La
trascendenza dell'Ego è l'opera filosofica
d'esordio di Jean-Paul Sartre. Fu scritta nel
1934 e pubblicata nel 1936 nella rivista Les Recherches
philosophiques. La sua stesura fu effettuata durante
un soggiorno a Berlino, dove Sartre andò a
studiare la fenomenologia di Husserl. I riferimenti
a Husserl sono persistenti, ma resta sorprendente
l'importanza riservata al pensiero di Kant.
La tesi presentata in La trascendenza dell'Ego
sostiene che l'Ego non è un "abitante"
della coscienza e non è presente né
formalmente né materialmente in essa, ma si
trova "fuori, nel mondo". L'Ego non è
quindi alla base della coscienza, ma si rivela essere
un suo oggetto. Oltre a questa prima tesi, enunciata
all'inizio del libro, ne viene aggiunta una seconda
alla fine, dove afferma come la coscienza trascendentale
sia spontanea e impersonale. La posizione di Sartre
è alquanto originale, dato che egli crea una
filosofia della coscienza, senza però che essa
diventi una filosofia del soggetto. L'Ego è
stato spesso accostato a un termine più moderno
come l'Egoismo. Henri de Régnier ha scritto:
"L'amicizia dà l'idea del duraturo,
l'amore quella dell'eterno, e l'egoismo è quello
che sopravvive all'una e all'altro".
Io credo invece che la definizione odierna dell'Ego
possa essere plasmata sul concetto di "Personalità".
Questa considerazione mi conduce a valutare un testo
in base all'indole e al carattere che l'autore infonde
nei suoi personaggi, perchè altro non sono
che una proiezione onirica di se stesso.
La prima forma di Ego la possiamo leggere nel libro
dell'Apocalisse e rappresenta una considerazione della
potenza del proprio io.
Ego sum alfa e Omega,
primus e novissimus,
initium e finis,
che ante mundi principium e in saeculum saeculi vivo
in aeternum.
Sono io l'alfa e l'omega,
il primo e l'ultimo,
l'inizio e la fine
colui che vive prima dell'origine del mondo e nei
secoli dei secoli, per sempre.
Certo, è una presa di posizione divina di
Colui che ha il potere di vita e di morte,
ma in fondo non è la stessa facoltà
che uno scrittore esercita nelle trame? Non è
forse lui una sorta di ideatore che tutto crea
e distrugge, paventando la tavola di una giustizia
che non può essere impugnata? E allora perché
non trasporre questo ego anche nella rappresentazione
del proprio io, invece di farlo vivere soltanto nella
fantasia dei propri scritti? Perché un autore
non può ergersi oltre l'umiltà del proprio
essere, quando abitualmente si comporta da tiranno
verso i protagonisti delle storie che racconta? Se
ha il potere di dare vita a un personaggio, così
simile alla realtà da produrre sentimenti contrastanti
come l'amore, il dolore, la paura, la felicità,
perché non dovrebbe calarsi nelle parti di
un dio ed esigerne lo stesso rispetto?
E allora mi sento di affermare senza alcun timore
che la personalità dell'autore sia il fulcro
attorno a cui ruota l'intera storia ed è lui
ad attrarre l'interesse del lettore prima di ogni
altro elemento pragmatico dell'opera che rappresenta.
Tradotto in parole meno filosofiche e più
banalmente commerciali, significa che, per vendere
un libro, occorre prima vendere il suo autore. La
sua capacità di architettare una trama, certo...
la sua abilità di affabulare il lettore con
garbo e crudeltà, con forza e delicatezza,
ma soprattutto con l'Ego che scaturisce dalla sua
personalità. Non dev'essere per forza amabile,
accondiscentente, allineato sul filo della logica
di pensiero, così da appagare tutte le componenti
del mondo attuale, ma nepppure odioso e impertinente,
pronto a farsi maledire pur di mercificare le proprie
idee.
La speranza è che lo scrittore possa essere
semplicemente se stesso, con il proprio coraggio e
le paure, provocatore quanto serve ed egoista nella
difesa delle proprie certezze. Un egoismo sano però,
con cui deve difendersi dalle critiche e dai preconcetti,
senza mai abbassare il capo, perché l'Ego considera
l'ipotesi di sconfitta soltanto come un nuovo insegnamento.
Lo so, in molti storceranno il naso di fronte a queste
affermazioni, perché sostengono che l'opera
abbia più valore del rispettivo autore. Sarebbe
come negare l'immobilità dei burattini in assenza
di chi ne muove i fili nell'ombra e allora dobbiamo
accettare che siano essi stessi padroni del proprio
destino.
La capacità di "apparire" ha bisogno
però di una profonda convinzione del nostro
"essere", e va dosata con la "consapevolezza"
del proprio ego, trovando il punto di equilibrio incerto
che ci rispecchia negli altri. Siamo grandi e potenti
di fronte ai deboli e pavidi davanti ai forti.
Alla luce di queste considerazioni, io credo che
debba essere l'Autore al centro della scena,
veicolando la sua "immagine" attraverso
l'Ego che lo contraddistingue. E se proprio
dobbiamo sfociare nel marketing, prediligo una campagna
pubblicitaria improntata su di lui, prima ancora che
sui testi che ha prodotto. È questa la filosofia
celata nei Social, in cui tutto viene ricondotto
al Profilo e ogni ulteriore dettaglio serve
soltanto a rafforzare l'Io che rappresentiamo...
e non viceversa.
Non sono un filosofo come Jean-Paul Sartre
e neppure Platone, che ci ha illuminati coi
suoi quattro stati di coscienza. Non mi ritengo quindi
in grado di dibattere un concetto mediatico così
grande da non poter essere compreso a fondo dalla
mente umana. Sono solamente un attento osservatore
dei contrasti del nostro tempo e ciò che vi
racconto sono semplici riflessioni senza una base
solida di fondamento. Questo però non toglie
che sia il mio Ego a dettare ogni parola di
quanto ho scritto.
Abel Wakaam
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