Il Barrio dei fiori
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Certe cose non si possono mettere in valigia.
Tredici ore prima dell'omicidio.
Il vento secco fra le dita. Un parco in fiore, circondato da colibrì danzanti. Una Madonna con il figlio che, immobili e freddi, guardano il ragazzo seduto su una delle panchine grigie.
Accucciato sul lato opposto, un cane lo osserva e riconosce quell'espressione, perché in tanti ce l'hanno avuta, pure coloro che abitano appena due metri più in là. Quello sguardo sintetico sta dicendo addio a questo luogo, all'aria, ai fiori, ai colibrì, alle persone. Quegli occhi, così stranieri, reprimono le lacrime da giorni e non sanno fino a quando riusciranno a costringere le ciglia a esserne le carceriere.
Kuki rimane immobile, scodinzolando. Non osa avvicinarsi, sa come sono fatti gli uomini, sono soliti reprimere le loro emozioni con scarsi risultati.
El gringo, come lo chiamano nei quartieri, non sa come tornare alla terra natia, ma soprattutto se farlo. Ha pregato Iddio di aiutarlo a scegliere, ma sembra che non ci sia da prendere alcuna scelta, se non quella di cosa infilare nelle valige tra i vissuti degli ultimi mesi.
Il suo dilemma sta nel riuscire a farci stare i vestiti, i sorrisi, le emozioni, le persone e le sensazioni che ha provato. Sembra un'impresa impossibile, e pure il cane biancastro sa che non ce la farà. Certe cose non si possono mettere in valigia.
Amori, amicizie, esperienze, sono corpi così ingombranti che non riescono a essere delimitati da nessuna barriera fisica.
A 3.259 metri il senno non esiste. Con quell'aria rarefatta due polmoni europei, abituati alla costa, non sanno come respirare, non sanno che l'aria che penetra ogni loro fibra è un'aria colma di musica. E inizialmente la ripudiano, non riescono ad accettarla e troppo tardi mettono da parte lo iodio del salmastro per le note di un vento andino. A 3.259 metri, da qualche parte nel Perù, un ragazzo socchiude gli occhi colmi di quell'atmosfera, che ora è la sua, insieme a un cane che, avvicinatosi, odorando nel parco Santa Rosa i profumi primaverili, ricorda el barrio nel quale è cresciuto.
Due anime con forma diversa. Due anime con il cuore intriso della stessa aria.
Tre giorni dopo l'omicidio.
Una telecamera viene appoggiata su un tavolo grigio. Lo schermo è nero, riflette appena i lineamenti di un volto maschile. Il tasto di accensione viene premuto e nel desktop appare una donna. Gli occhi grandi incavati nel cranio. Un naso aquilino di fine bellezza. Zigomi martoriati dall'età. Pelle dura, come il cuoio che aveva imparato a lavorare insieme al marito. Rughe disegnate da punzoni e marcatori. Labbra ritirate, riparate dagli schiaffi d'aria dai baci desiderati, ricevuti e perduti. Un testimone di pietra dell'antica bellezza corrotta, coperta dalla manta azzurra, tessuto andino di inestimabile bellezza. Fisico tarchiato, alienato dalle movenze sensuali e smorfiose di un ballo serrano della gioventù perduta.
- Si presenti, prego - , dice il detective con voce roca e profonda.
- Sono Naira Cortés Gonzalés, il mio DNI è ********, residente in Gladiólos 81 - , risponde schietta la donna.
- È a conoscenza dei suoi diritti e che è sotto interrogatorio? - le chiede l'ufficiale Gamarra, lui ha una voce più morbida.
- Volontario, aggiungerei. Comunque papachito, sono vecchia... ma non stupida - .
Il detective si appoggia alla lastra di metallo e digrigna i denti divertito, esattamente come farebbe un cane da combattimento. Conosce bene la vecchia che gli siede davanti e si diverte guardandola dall'alto in basso.
- Dove si trovava alle due del mattino di tre giorni fa? -
- Ero nel mio letto a dormire. Sai bene che dalle cinque sono già al mercato a vendere le erbe: vieni spesso a comprarle, mi querido inspector. -
- C'è qualcuno che può testimoniarlo? - prende la parola Gamarra.
Sì, ma non posso dirlo, mi prenderebbero per pazza, pensa la donna.
- No, vivo da sola da quando– - la voce le si rompe, frammentata fra le bugie e i ricordi.
- Non ci menta, renda tutto più semplice. Sappiamo che lei ha il movente e i mezzi - , la contraddice l'ufficiale. Ridendo le mostra le foto di un corpo martoriato dalla terra e sovrastato da un'espressione agonizzante. - Quanto scommette che fatta l'autopsia risaliremo a lei? -
- Manan canchu! - non hanno nulla in mano. Lei lo sa bene, e questo mette l'uomo grottesco in preda a una furia che non sa se riuscirà a controllare. - Comunque, non sarei l'unica - .
- ¡Rayos! Non metta in discussione il mio buonsenso, la smetta di parlare quechua e ci aiuti! - le urla contro il detective, distrutto dalla consapevolezza che lei potrebbe aiutarli a incastrare il colpevole.
- Non mi manchi di rispetto! - gli risponde a tono la donna offesa. Le si dipinge un sorriso malizioso sul volto incartapecorito. Le mani le si congiungono sulle ginocchia, pronte a sfoderare il suo asso nella manica. - Lei forse no, ma la sua famiglia potrebbe essere coinvolta quanto me. Faccia attenzione - .
- Questa sarebbe una minaccia? - le chiede il detective ancora immaturo, nonostante gli anni di servizio.
- Questa è solo l'osservazione di una vecchia signora - , gli risponde scostando le foto raccapriccianti da davanti i suoi occhi, - non ho tutta la forza necessaria per farlo - , constata compiaciuta.
- Lei ha una vasta conoscenza delle erbe, potrebbe averle usate per inscenare un infarto - , la provoca con un tono gentile l'ufficiale che porta con sé molti anni d'esperienza.
- Sa cosa? - chiede Naira guardando il più giovane dei due. - Io ho una buona memoria - .
- E quindi? - la interrompe con voce roca.
- Be', certe macchie non si dimenticano. -
L'obiettivo osserva l'aria soddisfatta di quegli occhi grandi e lucidi di antichità.
- Se ne vada! - le ordina l'uomo appoggiato alla lastra di metallo. Ringhia con ferocia.
Cortés si alza rimettendosi il cappello turchese che indossa sempre, il tutto sventolando le due trecce nere unite da un nastro del medesimo colore. - Se volete incolparmi, fatelo. Non mi resta più nulla per cui vivere - .
- Vattene! - le urla l'uomo adirato. Sbatte la sedia per terra e ribalta il tavolo. Il collega assiste passivamente.
- Qui qualcuno mente, mi sembra chiaro, però– -
- Perché è così difficile? - lo interrompe il detective con gli occhi umidi.
- Cosa? -
- Nulla, ma la telecamera è ancora accesa? -
Nero.
L'eco del silenzio.
Trenta giorni prima dell'omicidio.
Kuki è un cane callejero, ossia di strada. Adottato quando ancora era un piccolo batuffolo bianco, scambiato per un labrador di razza pura, ha deciso di abbandonare le agiatezze di una casa per vivere all'esterno dei muri contornati dal filo spinato. Spesso si ritrova a fissarlo, interrogandosi sulla sua possibile utilità. In fondo è solo un filo arrugginito, un rovo ferroso che deturpa la bellezza grezza dei cornicioni, delle finestre, dei balconi e pure di quei tetti provvisori, futuri piani delle dimore.
Quei denti di ferro, che si arrampicano sulle case, servono a proteggere l'immobile dai ladri, dai malintenzionati e, aggiungerebbe Rolando Vásquez, dai venezuelani: un'onda anomala che ha investito l'intero paese. Scappano da una situazione insostenibile, persone di tutte le età pronte ad abbandonare la loro terra per avere una possibilità almeno qui. Un cambiamento epocale per ogni famiglia, preso con coscienza, con ragionamento, per necessità. Proprio per l'ultimo aspetto, nessuno di loro è mai riuscito a rendersi conto di tutte le difficoltà che avrebbero incontrato in una nuova nazione, in una nuova cultura, in un nuovo mondo...