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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Antonella Marsiglio
Titolo: Me lo racconti stasera
Genere Romance
Lettori 3456 37 61
Me lo racconti stasera
La giornata non è ancora giunta al termine ma il pallido sole dicembrino, che si era concesso per qualche ora in mattinata, si è già nascosto tra le nuvole scure e il pomeriggio ha portato con sé quella pioggia sottile ma fitta che, insistente, batte contro le vetrate della redazione di Milano Cronaca News. Oggi il quotidiano compie trent'anni: negli uffici si alternano la frenesia di terminare gli articoli in tempo per essere mandati in stampa e i festeggiamenti, fatti di bicchieri di plastica colorata e spumante a basso costo.
In questo momento nessuno ha voglia di pensare al fatto che il giornale potrebbe chiudere o essere venduto a breve; si ha solo voglia di brindare a questi anni di correttezza professionale e di ricerca della verità, di fare festa con quella che è diventata una famiglia allargata un po' per tutti i dipendenti.
Negli ultimi anni sponsor e pubblicità sono diminuiti drasticamente a causa della crisi e per un giornale che ha fatto della propria indipendenza un punto di forza imprescindibile, i tempi si sono fatti sempre più duri.
In queste ore le novità sembrano riguardare più noi della redazione che le notizie di cronaca: con la scusa dei festeggiamenti, stiamo salutando non solo uno dei soci fondatori che va in pensione ma anche il caporedattore, che ha trovato un posto più sicuro in un giornale di gossip - e se a casa hai quattro figli - qualche volta devi ignorare gli ideali per far posto alla realtà.

E poi... e poi si aspetta chi lo sostituirà! Sarebbe dovuto arrivare la settimana scorsa ma non si è fatto vedere e se entro le 21 di oggi non dovesse arrivare, la redazione si troverà costretta ad autogestirsi. Il nuovo caporedattore sembra essere avvolto da un'aurea di mistero; si sa solo che si chiama Simone e che è il figlio di un carissimo amico del direttore: praticamente un raccomandato!
Però, a ben guardare, si può dire la stessa cosa di me, considerato il fatto che anch'io lo conosco da una vita e che fino a quattro anni prima ero sposata con suo fratello; in fin dei conti Maurizio ha sempre scelto di circondarsi di persone fidate.
L'unica certezza che abbiamo sul nuovo arrivato è che non ha mai lavorato in una redazione di un quotidiano. No, in realtà non lo si sa per certo, lo si è intuito quando Maurizio, durante l'ultima riunione, si è fatto particolarmente serio nel dire: - Cercate di non farlo scappare subito! Non è abituato a stare nell'arena con dei gladiatori come voi! -
Gli uffici del Milano cronaca news e del settimanale ad esso associato si trovano al terzo e al quarto piano di un vecchio palazzo a un passo da piazzale Loreto.
L'ascensore porta direttamente all'openspace della redazione. Appena si aprono le porte, noto che quasi tutti sono seduti alle loro postazioni davanti ai pc: qualcuno sta cercando informazioni e, un po' spazientito per i pochi risultati, beve il proprio caffè; c'è chi controlla il cellulare di servizio, chi sta battendo sulla tastiera con una velocità ritmica data dall'esperienza di molti anni e chi si rilassa per qualche minuto con il bicchiere di spumante in mano.

D'istinto guardo a destra, verso l'area relax, come se mi aspettassi che in una serata così adrenalinica qualcuno possa concedersi del tempo alle macchinette del caffè.
A dividermi dal mio ufficio ci sono i tanti tavoli posizionati nella zona openspace ma li sorvolo e cerco con lo sguardo la reception - una scrivania a mezzaluna, tanto inusuale per una redazione quanto pratica - finché i miei occhi non si posano su Sara. Sara è la giovane segretaria che si occupa di gestire l'agenda del direttore e del caporedattore ma che, in realtà, si prende cura anche di tutti noi, nonostante questo non rientri nelle sue mansioni. Le ciocche viola e rosa e il maglione con paillettes che formano la scritta “baciami”, non si addicono all' aria insolitamente cupa che ha in volto; mi avvicino per capire cosa non vada.
- Emma, vai in ufficio. - Nonostante da tanti anni lavoriamo in un enorme openspace, io ho uno spazio tutto per me. - Timbro io il tuo rientro in sede e ti raggiungo subito con il caffè. Ti ho già acceso il pc. -
- Lo sai vero che ti adoro? - Per me Sara non è solamente la segretaria del capo, è anche la mia migliore amica. - Tutto bene? Mi sembri un po' tesa... -
- Tutto bene. Perché dovrei essere tesa? Non abbiamo un vicedirettore, non abbiamo un caporedattore, quasi nessuno ha inviato gli articoli da mandare in stampa e il direttore ha chiuso la porta del suo ufficio! - Mi risponde ironica - Come vedi, una tranquilla giornata come tutte le altre. Perché qui funziona sempre così! Poi, improvvisamente, tutti si svegliano e comincia il solito ritornello: “Sara puoi fare questo, Sara puoi guardare quello, Sara un caffè”... -

Mi dirigo verso l'ufficio ma non faccio in tempo a togliermi il cappotto e sedermi, che Sara mi ha già raggiunto con una tazza di caffè americano. Le prendo la tazza dalle mani e mi siedo sulla scrivania mentre lei ne approfitta per riprendere fiato, sembra abbia bisogno di sfogarsi un po':
- Chissà se il nuovo caporedattore arriverà o se domani dovremo andare in stampa con le barzellette... già non abbiamo più il vicedirettore, se manca anche il caporedattore, siamo messi peggio di un giornalino scolastico! -
- Mi hai già detto tutto questo circa un minuto fa, cosa ti succede? Tu non perdi mai il controllo. -
- Io, da domani mattina, devo fare la segretaria per uno che non ho mai visto in vita mia e “questo” non si è neanche mai degnato di fare un salto in redazione a conoscerci! -
- A me sta già ... antipatico... -
- Non volevi dire “antipatico”! Che fai? Ti censuri da sola? Dicono che sia giovane... magari è simpatico. -
- Sara non hai motivo di preoccuparti così tanto! Tu sei il pilastro di questa redazione! Lui, come tutti noi, non potrà fare a meno di te! -
- E se è uno tutto serio? Se mi chiede di non tingere i capelli? Sai che io non posso rinunciare a essere me stessa. Se è abituato a schioccare le dita e la gente corre? Io corro ma solo se non vengo chiamata come fossi il cane che porta il giornale in bocca! -
- Dicono che non abbia mai lavorato in una redazione... magari non ha voglia di lavorare... me lo immagino giovane, ricco e incapace. -
- Stai diventando una zitella acida! In ogni caso, nessuno ha mai detto niente in giro: sei tu che ti sei convinta che non

abbia esperienza e hai poi influenzato anche gli altri, compresa me. Comunque, tornando a noi... a te come è andata oggi? -
- Non ho niente da scrivere! Una donna è scomparsa e i vicini non si ricordano neanche l'ultima volta che l'hanno vista! -
- Scrivi che l'ha ammazzata il marito. -
- E la zitella acida sono io? E poi... chi te lo dice che sia morta? -
- Io. Sono solo realista. Alla fine si scopre sempre che è stato il marito. Dai, quanti casi hai seguito che poi sono finiti così? -
Un collega entra senza bussare: - Ragazze in sala riunioni! È arrivato il nuovo caporedattore! -
Quando uno pensa che la giornata non possa peggiorare, il destino s'intromette, dimostrando che può sempre esistere un “peggio”.
Da quando Carlo aveva annunciato la decisione di accettare l'offerta di un nuovo posto di lavoro, una sensazione che qualcosa di brutto stesse per accadere si è impadronita di me e la comparsa del nuovo arrivato sembra proprio l'inizio della catastrofe.
“Un esterno”. Perché Maurizio ha scelto “un esterno”? Sarebbe stato più corretto promuovere un caposervizio del giornale. Non è da lui una scelta come questa. Chi è veramente il nuovo arrivato? Cosa nasconde questa scelta?

Jeans strappati, maglione nero lungo e slargato, stivali neri, capelli ricci rosso rame - che mi arriverebbero a metà schiena se non fossero quasi sempre legati - un viso acqua e sapone spruzzato di lentiggini e l'immancabile cartellino identificativo appeso alla cintura dei pantaloni con su scritto: “Milano Cronache News - Emma Neri - Inviata”.
Questa è l'immagine riflessa allo specchio ma dentro di me vive un'anima inquieta, che non sa trovare pace né tantomeno un posto nel mondo. Per strada porto sempre le cuffiette, anche quando l'ipod è scarico, per fingere di non accorgermi delle persone che cercano di fermarmi per un saluto. Per questo qualcuno mi definisce asociale e forse è vero ma non sono sempre stata così: un tempo ero solare e ottimista, mi piaceva socializzare con chiunque e dovunque mi trovassi; non aveva importanza se l'incontro sarebbe durato il tempo di qualche fermata di metropolitana, io me lo godevo lo stesso. Fin da piccola mia madre mi rimproverava di passare al “tu” senza mai chiedermi se fosse opportuno: che fossero mendicanti, il postino, un medico, il prete, per me era del tutto irrilevante, io salutavo chiunque con uno squillante “ciao”.
Poi sono cresciuta e mi sono innamorata; un matrimonio finito male mi ha lasciato un segno talmente profondo che non mi permette di fidarmi più di nessuno, in particolare in campo sentimentale. Le mie amiche, Sara e Barbara, mi ripetono continuamente che quando meno me l'aspetto,

arriverà l'uomo giusto per me e non potrò farci nulla: mi innamorerò nuovamente! Io invece credo che il mio cuore non sia più disposto a soffrire per amore. A essere sincera, devo ammettere che questa consapevolezza, se da una parte mi rasserena - è bello poter pensare solo a me -dall'altra mi causa dispiacere perché ci sono momenti in cui sogno serate passate sul divano davanti al caminetto acceso, accoccolata all'uomo che amo e che mi ricambia con la stessa intensità, senza la paura di essere tradita ancora. Ovviamente questo scenario è irreale, iniziando dal fatto che non ho un caminetto davanti a cui stare. Ecco, io vivo sempre così: un'altalena di sentimenti contrastanti che fanno a pugni nella testa e nello stomaco.
Sono un'inviata di cronaca nera, che lavora per il giornale del suo ex cognato e caro amico ma nessun favoritismo: sono una brava giornalista, il mio posto di lavoro me lo sono guadagnato. Forse questo lavoro è l'unica cosa che mi riesce bene e la redazione è l'unico luogo dove mi sento a casa, dove riesco ad avere dei rapporti sociali: sono convinta che, a differenza del resto dell'umanità, i miei colleghi non mi deluderanno mai. Sono un'insicura patologica ma solitamente riesco a nasconderlo molto bene. Naturalmente c'è qualche eccezione e Sara è una di queste:
- Se non la smetti di giocare con i tagli di quei jeans, a breve rimarrai in mutande. - Sara mi strappa dai miei pensieri, riportandomi alla realtà - Emma, dobbiamo andare alla riunione. Tanto, prima o poi, questa cosa la dobbiamo affrontare. Da stasera Carlo non lavora più qui e noi dobbiamo renderci conto che abbiamo un nuovo

caporedattore e ce lo dobbiamo fare anche piacere per almeno otto ore al giorno: credi di potercela fare? -
- Perché Maurizio ha preso un esterno? -
Sgrana gli occhi, tipico di quando sta per farmi la predica:
- Ancora con questa storia? -
- Sì Sara, ancora! Qualcosa non quadra! Non ha senso, non è da lui fidarsi così di uno sconosciuto! -
Inizia a scrocchiarsi le dita - una a una - e prende fiato prima di rispondere: - Probabilmente è uno sconosciuto per noi ma non per lui. -
- Non voglio che cambi niente... -
- Ti ascolti mentre parli? Sembri una bambina capricciosa! Di fatto qualcosa è già cambiato! -
- Io non lo voglio QUESTO cambiamento, non riesco ad affrontare QUESTA situazione! Chi è questo tizio? Cosa ne farà del nostro giornale? -
- “Cosa farà del nostro giornale?” Punto primo: non è nostro; punto secondo: il capo rimane Maurizio, quindi “il tizio” non farà niente che non segua le idee e gli ideali del direttore. Il caporedattore è il tramite tra lo staff e la direzione, cambia solo la persona a cui rivolgerci, la targhetta sulla porta. Perché fai così? Non ti capisco! Andiamo, la riunione sarà già cominciata e non ci stiamo facendo una bella figura ad arrivare in ritardo. -
- Non voglio venire! -
- A volte temo che frequenti troppo Babi... Ma si può sapere che ti prende? -
Devo ancora alzarmi quando la vedo avvicinarsi alla porta. Mi chiedo se intenda andare veramente alla riunione senza di

me. Se lei dovesse decidere di andarci seriamente, dovrò seguirla per forza:
- Ho la sensazione che stia per succedere qualcosa di brutto... -
- Wow! Quando hai finito di leggere i fondi del caffè della tua tazza, ti spiacerebbe concentrarti anche sui miei? Così mi dici se diventerò ricca a breve... -
- Quanto sei spiritosa! -
- Emma Neri? - La voce sconosciuta fa trasalire entrambe. D'istinto scendo dalla scrivania dove sono ancora seduta da prima. Sulla porta un uomo alto, capelli scuri, intensi occhi blu, viso leggermente abbronzato, un corpo scolpito - probabilmente da tante ore di palestra - fasciato da un impeccabile vestito scuro con camicia bianca e scarpe di classe; un'aria vagamente familiare anche se sono piuttosto sicura di non averlo mai visto prima.
- Posso esserle utile? -
- Sì, se fosse Emma Neri. E anche se non lo fosse, perché vorrebbe dire che mi sono perso. Sono Simone Marini, il nuovo caporedattore. -
- Ah! Ehm ... piacere. Sì, sono Emma. Stavamo arrivando... lei è Sara, la sua segretaria. È in ritardo per colpa mia. -
Mentre io mi sento travolgere dall'imbarazzo per la mia goffaggine, lui stringe la mano a Sara con un sorriso serio ma cordiale:
- Maurizio mi ha detto che è appena rientrata, - sposta l'attenzione nuovamente su di me - immagino quindi stesse scrivendo il pezzo. Non era mia intenzione interromperla, ci possiamo presentare anche così... e magari possiamo darci del tu per rendere tutto più semplice.”

- Ah, sì... ok, sì... mi sta bene tutto quello che ha detto. Io allora vado avanti a scrivere? Grazie... -
In quei pochi secondi che passano mentre sta uscendo, sento su di me lo sguardo di Sara. È uno sguardo tra la disapprovazione e la delusione ma sono troppo occupata a specchiarmi con il retro del cellulare - voglio capire se il calore che mi fa bruciare il viso corrisponda a un effettivo rossore - per prestarle la dovuta attenzione, anche se la sua voce mi arriva chiara e diretta:
- Il problema della riunione lo hai risolto ma ora hai quello di dover scrivere un articolo. Articolo che poco fa dicevi di non avere. Forse era questa la catastrofe che hai visto nei fondi del caffè. Vado alla riunione, Giuda! -
- Te ne vai senza commentare? -
- Cosa dovrei dire, scusa? È bello come il sole, gentile, cordiale, alla mano... ma te lo leggo in faccia cosa vuoi sentirti dire: “dai, presto preparati! Io accendo il rogo e tu ce lo butti dentro!” -
- Ma dai! Hai visto i suoi modi? Si atteggia, è falso. -
- Tu sei pazza! Lo sai vero? Tu sei squilibrata! Adesso vado alla riunione, poi mi deluciderai su cosa ti ha fatto capire che è una persona falsa. È stato nel tuo ufficio trenta secondi ma tu hai già le idee chiare. Sai cosa ti dico? A me piace. Ciao inviata, occupata a scrivere un articolo fantasma. -
Sara non aspetta la mia replica. Visibilmente contrariata se ne va socchiudendo la porta. Ero convinta che l'avrebbe sbattuta: di solito, quando è arrabbiata con me, lo fa. Rimasta sola, provo un misto di sollievo e senso di colpa. Ho finito anche il caffè ma qualcosa d'invisibile mi trattiene dall'uscire a prenderlo, come se fuori dalla porta il potere che circonda

la mia zona protetta si esaurisse. Cerco le sigarette nella borsa, nuovamente il senso di colpa riaffiora: so benissimo che è tassativamente vietato fumare ma Carlo ha sempre fatto finta di non accorgersi che lo facessi. Prendo tra le labbra la sigaretta, mi avvicino alla finestra e la socchiudo; mentre l'aria gelida invade la stanza, spruzzo preventivamente del deodorante nell'aria e mi ripeto “una sola, giuro una sola”. Finalmente mi siedo sulla poltrona, mi avvicino alla scrivania e con pochi click del mouse apro una nuova pagina word:
“Asia Serri non torna a casa da sei giorni. Nessuno l'ha più vista o sentita. I vicini di casa la descrivono come una donna cordiale ma molto riservata.”
Ecco... io teoricamente avrei finito l'articolo. Accendo la sigaretta e tengo premuto il tasto canc:
“Asia Serri, 52 anni, scomparsa da Truccazzano - provincia di Milano - il 6 dicembre. Il marito è l'ultima persona ad averla vista prima che lei si recasse al lavoro alle sette del mattino. Ritrovato in casa il cellulare e il portafogli con soldi, carta di credito e documenti.”
Fisso le quattro righe illuminate sul monitor, senza leggere quello che ho scritto. Senza distogliere lo sguardo da lì, cerco il posacenere, ben nascosto da sguardi indiscreti e scrollo la cenere. Intanto provo a farmi venire in mente chi mi ricorda quell'uomo, Simone Marini. Io l'ho già visto. Abbasso la pagina word, apro il motore di ricerca e digito il suo nome. Le uniche cose che trovo sono un articolo di poche righe che parla della sua laurea con 110 e lode e bacio accademico in scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma... quindi è romano? Ma non ne ha l'accento!

Cerco sui vari social ma niente, sembra non essere iscritto o, per lo meno, non lo è con il suo vero nome.
Richiamo la pagina word e tengo premuto il tasto canc. Di nuovo davanti alla pagina bianca...
Una mattina di dicembre... canc.
Accendo un'altra sigaretta.
"Truccazzano. Dopo aver salutato il marito, Asia Serri, 52 anni, scompare nel nulla. Non è mai arrivata sul posto di lavoro a pochi chilometri da casa. La macchina, una Fiat Punto grigia metallizzata, è stata ritrovata parcheggiata dove l'aveva lasciata la sera precedente. A casa sono stati ritrovati il cellulare e il portafogli contenente contante, carta di credito e documenti. I vicini di casa la descrivono come una persona
Cordiale e riservata. Il marito riferisce che non..."
“Riferisce”... sembra che stia scrivendo il verbale dei carabinieri ma non posso cancellare di nuovo tutto.
“...Il marito sostiene che non avessero problemi economici e che tra loro andasse tutto bene, non ha peraltro notato niente nel suo comportamento che facesse pensare a qualche problema.”
Ho la sensazione di essere osservata. Nessuno ha bussato e non ho sentito passi avvicinarsi eppure la percezione si fa sempre più palpabile. Alzo la testa e per poco non collasso: appoggiato allo stipite della porta ormai aperta, a braccia conserte, c'è il nuovo caporedattore. Non so da quanto tempo sia lì in piedi a guardarmi. Non riesco a decifrare la sua espressione. Spengo la sigaretta al volo e mi maledico per non essermi fermata alla prima come mi ero ripromessa.
- Signor Marini... già finita la riunione? Io sono un po' indietro con l'articolo. -

Avrei dovuto chiamarlo dottor Marini, anche se il mio inconscio non lo riconosce come mio superiore. Ancora una volta sento il volto in fiamme, ho le mani sudate e un nodo alla gola.
Un po' di fumo esce dal portacenere, non ho spento bene la sigaretta e rimango impietrita a fissare quel sottile filo bianco che si è alzato, indecisa se la cosa migliore sia fingere di non vederlo o spegnere meglio il mozzicone.
- In realtà sono fuggito. Non amo queste cose. Mi mette in imbarazzo essere al centro dell'attenzione. Fumi spesso in ufficio? Il cartello sulla parete sostiene che sia vietato. Lo sai vero? -
Ormai è entrato ed è davanti alla scrivania. Si slaccia l'ultimo bottone della giacca. Lo fa così velocemente ma al contempo con una tale eleganza che si capisce che per lui sia un gesto abituale. Si siede sulla sedia davanti alla scrivania e si lascia andare contro lo schienale, come se si stesse finalmente rilassando. Lo vedo fissare le tre tazze del caffè ormai vuote: speriamo non sia un patito dell'ordine! Sposta lo sguardo su di me, dritto negli occhi senza lasciar trasparire nessuna emozione. Il mio disagio è sempre più evidente:
- Scusi... cioè... scusa. Qualche volta... mi capita... ma raramente... -
A queste scuse balbettate, socchiude gli occhi. Mi rendo conto che non gli interessano le mie giustificazioni; quello che non capisco è se sia disposto a chiudere un occhio su questo mio vizio o si aspetti che non si ripeta più.
- Come mai in ritardo con l'articolo? -
- Vuole... - - Vuoi. Ci siamo detti che ci diamo del tu. -

- Hai ragione. Vuoi che ti dica la verità? -
- Non mi dispiacerebbe. -
La sua voce non lascia trapelare nulla: è arrabbiato? Deluso? Annoiato?
- Questa donna è scomparsa misteriosamente ma la cosa più triste è che nessuno ha saputo raccontarmi qualcosa sul suo conto. -
- Non è una buona cosa per l'articolo. -
Si allunga in avanti e gira il monitor verso se stesso, lo fissa per qualche istante per poi tornare a guardarmi con fare vagamente divertito. Non so se abbia letto quello che ho scritto o abbia solo guardato la lunghezza del pezzo, però ora faccio ancora più fatica a proseguire:
- Anche se... -
- “Anche se” cosa? -
- Io non sono una giornalista che scrive l'articolo per il giorno dopo, io sono... -
- Tu sei una giornalista d'inchiesta. Lo so. Ma prima di andare in riunione mi sembrava di aver capito che stavi scrivendo un articolo, motivo per cui sei stata esonerata dal parteciparvi. -
- Asia Serri è un essere umano e sembra che a nessuno interessi la sua scomparsa. È triste questa cosa. Non parlo di un articolo che si conclude troppo brevemente, sto parlando di una donna che pare non mancare a nessuno. -
- Ricorda che noi siamo giornalisti. Non psicologi né assistenti sociali, solo giornalisti. Ci dobbiamo limitare a scrivere solo come si sono svolti i fatti. -
- Ok, perfetto! Allora posso scrivere qualcosa del tipo: “è scomparsa una donna ma non preoccupatevi, non interessa a nessuno. La sua immagine e la sua storia non appariranno

ogni dieci minuti su ogni canale né Saranno pubblicati su ogni giornale! Ora lascio lo spazio al meteo, così possiamo scoprire se in mancanza di neve abbiano provveduto a sparare quella artificiale.” Va bene così? -
Mi rendo conto di aver alzato la voce e le mie parole esprimono più rabbia di quello che avrei voluto. So di non aver dato un'impressione molto professionale ma mai, in nessun articolo, ho dimenticato di metterci il cuore e mai potrei fare diversamente, è l'unica cosa che non mi può chiedere.
- No che non mi va bene! -
- Allora dimmelo tu cosa devo fare. -
Dalla sua espressione mi rendo conto di non aver abbassato i toni come invece ero convinta di aver fatto. D'impulso giro nuovamente il monitor verso di me. Lui, per tutta risposta, si riappoggia allo schienale e torna a socchiudere gli occhi.
- Tu fai inchieste. Te lo devo dire io che bisogna continuare a fare ricerche? -
- Lo posso fare? -
- Perché questo stupore? È il tuo lavoro! Non è che puoi... devi farlo! -
- Stai parlando seriamente? -
- Parlo seriamente! Non è nella mia indole fare cabaret durante l'orario di lavoro! -
- Scusa, non intendevo quello. Ma ora l'articolo mancante? -
Sorride divertito: per la prima volta lascia trasparire un'emozione. Inaspettatamente mi sento rilassata anch'io. D'istinto allungo la mano per recuperare una sigaretta. Il suo sorriso viene accompagnato dal movimento di diniego della

testa, come a dire ‘non ci posso credere'. Non posso fare a meno di pensare che quando sorride è veramente sensuale.
- Scopriremo presto se, in mancanza di neve, abbiano sparato quella artificiale. -
Questa volta sono io a sorridere per la sua battuta e chiedo:
- È possibile che ci siamo già visti? -
- Lo escludo, me ne ricorderei. -
- Sei di Roma, giusto? -
- Esatto. Credevo di aver cancellato il mio accento ma a quanto pare non bene come avrei voluto. -
- Vuoi che ti dica la verità? -
- Non mi dispiacerebbe. -
Chissà se si è accorto che questo scambio di battute lo abbiamo già avuto poco fa.
- In realtà ti devo confessare che lo spirito giornalistico mi ha spinta a cercare notizie su di te e ho visto che ti sei laureto alla sapienza di Roma... complimenti per il voto, a proposito. -
- Deformazione professionale? -
- Forse più curiosità femminile. Come mai a Milano? Se posso chiedertelo. Se mi trovi troppo invadente, sei libero di non rispondere. -
- Sentivo l'esigenza di ricominciare. In fin dei conti a quarant'anni inizia il secondo tempo della vita, giusto? -
- Giusto! Quindi hai 40 anni? -
- Esattamente. Tu? -
- Non si chiede ad una donna! -
- Hai ragione. Scusa, sono stato indelicato. Dopo controllo sulla tua scheda. -
- Trentasei. -

Lui sorride nuovamente, mi piace quando sorride.
- Non te ne davo più di trenta. -
- Sei un pessimo bugiardo! Comunque mi hai lusingata lo stesso. Cosa facevi a Roma? -
- Tutt'altra cosa. -
Le sue risposte sono brevi e non è più rilassato. Forse non ha voglia di parlare di questo argomento ma non riesco a fermare la curiosità.
- Non lavoravi in un quotidiano? -
- Non mi occupavo proprio di giornalismo. -
Dovrei fermarmi. Sembra che gli stia facendo un interrogatorio ma più è evasivo nelle risposte, più voglio sapere chi è l'uomo che da domani avrà nelle sue mani il mio destino.
- Scusa. Ti sto facendo troppe domande e forse non hai voglia di rispondermi. -
- Non molta in effetti. Ero l'addetto stampa di un attore di teatro, Marco Conti. -
- Non ci credo! Io amo quell' uomo! Da sempre! Ero piccolissima quando dicevo a tutti che lo avrei sposato! -
- Non è un po' vecchio per te? -
- Marco Conti non invecchia mai. -
- Se lo dici tu... -
Giurerei di aver sentito un notevole fastidio - quasi dell'astio - nella sua risposta. Forse è stato licenziato...
Ma se è stato licenziato... perché Maurizio ha così tanta fiducia in lui?
- Quindi tu hai lasciato un lavoro così per venire su, a Milano? -

- Mica sono innamorato di Marco come te! Volevo fare il mio lavoro, il giornalista. Non mi gratificava più lanciare di tanto in tanto qualche osso al gossip. -
- In effetti... hai ragione. -
- A che ora stacchi? -
Direi che ha deciso che il discorso sul suo passato sia terminato.
- Uhm... un quarto d'ora fa. -
Avrebbe potuto guardare quello appeso al muro, invece solleva leggermente la manica della giacca e sfoggia un orologio dall'inconfondibile quadrante blu e la scritta oro, un Rolex. Lo ha fatto per abitudine o per sottolineare la differenza tra noi? Per quello basterebbe il vestito, sicuramente un Armani.
- Ma sono già le venti e un quarto? Io inizio tra quarantacinque minuti. Ti va di mangiare qualcosa al volo giù al bar? Sempre che tu non abbia già altri impegni. Non conosco ancora nessuno, mi toglieresti dall'imbarazzo di tutti gli occhi addosso al nuovo arrivato. -
- Volentieri. Chi hai ucciso per essere stato messo al turno di notte il primo giorno? -
Ho veramente accettato? Non ci posso credere. Il disagio è ritornato altissimo. Vorrei scomparire o almeno poter tornare indietro di pochi secondi e rispondere “scusa, ho già un impegno ed è troppo tardi per disdire!” ma nessuna delle due opzioni è possibile. Lui sembra non accorgersi della vena che ha preso a pulsarmi sul collo.
- L'ho chiesto io, volevo ambientarmi un po' -
- Per caso sei un autolesionista? Mi dispiacerebbe scoprire che sei psicopatico perché mi stai simpatico! -

- Non mi definirei autolesionista e, da quello che ho sentito dai tuoi colleghi, “simpatico” non è la parola che usi più spesso riferendoti a me. -
Odio il fatto che né la sua voce né la sua espressione tradiscano il suo stato d'animo. Quanto si è allenato per essere così bravo a non permettere agli altri di capirlo?
- Scusa? -
- Girano voci che tu non sia contenta che la scelta per questo lavoro sia ricaduta su di me. Anzi, no... su “un esterno”. È giusta la parola? Dicono anche che non ne fai un mistero. -
- Girano voci? -
- Sì. -
Mi sento sempre più nel panico: chi può avergliene parlato? È entrato nel mio ufficio per licenziarmi? No, non è possibile, mi ha dato più tempo per l'articolo. Però potrebbe licenziarmi domani, visto che oggi non è ancora ufficialmente il mio capo e stasera è venuto qui solo per farmi sapere che lui sa. Ma allora perché chiedermi di scendere con lui al bar?
- Chi le farebbe girare queste voci? -
- L'esperienza mi ha insegnato a dire il peccato ma non il peccatore. Nella mia posizione sarebbe stupido mettere i colleghi l'uno contro l'altro, non credi? -
Questa è una provocazione. Non serve che la voce tradisca il suo intento; a questo punto non mi rimane altro che essere schietta e sincera, anche perché non so esattamente cosa possano avergli raccontato.
- Vuoi che ti dica la verità? -
- Non mi dispiacerebbe. -
Questa volta non mi diverte il gioco tra noi.

- Non ti nascondo che m'infastidisce che qualcuno ti abbia riportato questa cosa. La vivo come un tradimento. Anzi, no! Non m'infastidisce, mi fa proprio incazzare! Ad ogni modo, non ho nulla contro di te, non ti conosco e non abbiamo mai lavorato insieme. È vero, ho detto di non essere contenta dell'arrivo di un esterno - come vedi la parola era giusta - ma tu o un altro fa poca differenza. Mi sarei sentita più a mio agio con la promozione di un caposervizio della redazione, uno che conosco, da cui so cosa aspettarmi. Faccio fatica ad abituarmi alle novità e se ci aggiungi che non è da Maurizio fare cambiamenti così drastici, capirai il perché ho dubitato che ci fosse dell'altro sotto. Sai, il giornale è in crisi e... -
Non mi lascia finire la frase.
- Io non sono un cambiamento drastico. -
Si alza dalla sedia: a quanto pare il discorso è chiuso. Non credo che mi abituerò presto a questo suo modo d'interrompere le conversazioni. Non so se abbia creduto alle mie parole. Con un gesto elegante richiude l'ultimo bottone della giacca, riguarda l'orologio e mi fissa per qualche istante: mi rendo conto che l'invito di scendere insieme è ancora valido. Sono confusa più di prima: forse mi ha creduta o forse - cosa più probabile - non gli interessa il parere degli altri. Non sembra certo il tipo di persona che ha bisogno del benestare degli altri. È sicuro di sé e lo dimostra con la sua imponente fisicità e la sua calma nell'affrontare qualsiasi dialogo. Insomma, è esattamente il contrario di me. Salvo, chiudo al volo le cartelle aperte e clicco su arresta il sistema. Mi alzo controvoglia e mentre faccio il giro della scrivania, mi tremano le gambe. Alla porta mi lascia il passo per uscire e mi sorride guardandomi. È almeno venti centimetri più alto

di me ma sotto il suo sguardo mi sembra ci sia più di un metro a dividerci. I suoi occhi sono magnetici e ancora una volta ho l'impressione di averlo già visto.
Mentre ci avviamo all'ascensore, lui allunga la strada passando davanti alla scrivania di Sara, che è impegnata a spegnere il pc e a prepararsi per uscire. Non sembra più arrabbiata, il suo sguardo è diventato indagatore.
- Buona serata Emma, buona serata dottor Marini. -
La salutiamo in coro. Lei ci sorride e inclina leggermente la testa a sinistra: questa cosa la fa quando qualcosa la intriga e sicuramente vedere me e Simone uscire insieme, è una cosa che accende la sua curiosità.
La vedo maneggiare con il cellulare e mentre entro in ascensore, sento il mio vibrare nella tasca dei jeans.
Finita la brevissima pausa al bar con Marini, mi avvio verso l'auto. Ho bisogno di sfogare con le mie amiche tutta la frustrazione che ho dentro: cerco il cellulare per lanciare un SOS.
L'icona di Whatsapp segna 13 messaggi. Salgo in auto prima di aprirli anche se immagino già che provengano tutti dal nostro gruppo. E infatti è così:
Sara: La nostra amica è uscita con l'odiatissimo caporedattore.
Babi: Alla fine è arrivato?
Sara: No Babi. È uscita con l'amico immaginario... ma che domande mi fai?
Barbara ha imparato a sorvolare sul sarcasmo della nostra amica. Sa che non è cattiva, semplicemente non può fare a meno di essere gratuitamente velenosa; un lato del suo

carattere trascurabile perché di contro è un'amica sincera, non giudica e non tradisce mai una confidenza.
Babi: ...com'è?
Sara: Bellissimo!
Babi: Come mai è uscito con Emma?
Sara: Me lo domando anch'io! Ahahahha...
Babi: Che stupida che sei! Io intendevo come mai appena arrivato è uscito con Emma? Si conoscono già?
Sara: Non si conoscono. Forse l'ha invitato lei e lo vuole avvelenare... e lo farà con tutti finché Maurizio non metterà un caporedattore di suo gusto.
Babi: Dovresti scrivere romanzi Sara, sei demoniaca quando t'impegni.
Sara: Non sono demoniaca, solo realista! Eravamo nel suo ufficio, parlava di volerlo morto e meno di due ore dopo li vedo uscire insieme.
Babi: La cosa si fa intrigante... Emma non esce con il primo che passa.
Sara: Deve aver cambiato abitudini...
Metto in moto l'auto e accendo il riscaldamento, intanto rispondo: siete tutt'e due libere?
La risposta arriva immediata:
Babi: Io esco ora!
Sara: ...è stata una cosa breve se già ci rispondi. Con quel fisico mi aspettavo di meglio!
Emma: L'ho solo accompagnato al bar visto che non conosce nessuno qui a Milano. Ma dove ci vediamo?
Sara: A me va bene ovunque!
Babi: Anche a me!
Emma: Da Babi?

Sara: No dai, non ci stiamo!
Babi: Certo, perché vivo nella cuccia del cane. La smetti di dire stupidate? Stasera sono più stanca del solito, se veniste da me, apprezzerei molto.
Emma: Dai Sara! Se sei già a casa, ti passo a prendere io...
Sara: Sono in auto, non sono uscita da molto. Il tuo appuntamento è stato più breve di quello che pensi, forse è stato intenso?
Emma: Ci vediamo da Babi.
La pioggia si è fatta più forte e il traffico sembra fermo - mezz'ora per fare pochi chilometri - chissà perché mi è venuto in mente di proporre di incontrarci in zona Niguarda.
Quando arriviamo da Babi, la troviamo impegnata nel riordinare casa, buttare per terra la biancheria che è sul divano per far spazio e a far sparire dal tavolino i resti di varie cene take-away. Il suo stile di vita non è tanto diverso dal mio.
- Fai cene salutari tu. E brava la nostra infermiera! -
- Sara, cosa vuoi da me? Torno a casa sempre tardi, mi arrangio come posso. -
Recupera due birre per me e Sara, una cola e un pacchetto di patatine per sé.
- Questa è la cena? -
- Non avete ancora cenato? -
- Emma sì, io no. -
- Ho delle pizze surgelate se ti va. -
- Ti odio e odio le pizze surgelate! -
- Io non ho cenato, ho mangiato un'insalata. -
- Cosa hai mangiato? Esci con il capo e ordini insalata? -
Non riesco a comprendere se Sara sia più incredula o ironica.
- Lascia perdere... -

- Pizza surgelata per tutte? -
- Ma se ce le facessimo portare? Fa schifo quella surgelata! -
- Come la fai difficile! Io la mangio sempre! Ordina le pizze mentre io preparo un aperitivo con le patatine che trovo in giro. La mia la voglio con l'impasto integrale, zucchine, grana e rucola. -
- Gusti raffinati per una che si sfonda di roba surgelata! Tu, Emma? Vuoi un'insalata? -
- Non rispondo alla provocazione. La voglio panna e crudo. -
- Vuoi stare leggera stasera... ordino e poi ci racconti come sei finita a mangiare insalata con il presunto serial killer. -
Mentre Sara ordina le pizze e Babi prepara un aperitivo veloce, recupero gli abiti che sono per terra e li ripongo nella cesta dei vestiti da lavare, incurante delle obiezioni della proprietaria, che insiste a ribadire che non siano sporchi. Sistemo il copridivano e mi ci abbandono sopra, sperando di non addormentarmi prima dell'arrivo della cena.
- Hai del caffè? -
- Finito. Ho quello solubile. -
- Non è caffè! -
- Neanche l'americano che bevi tu! Dai, non pensare alla caffeina e raccontaci tutto! -
- Babi com'è andata la tua giornata? Non te l'abbiamo ancora chiesto... -
- Hai tentato di cambiare discorso ma non mi freghi con le lusinghe. Allora com'è? Chi è? Perché sei finita a mangiare con lui? -
- Non c'è nulla da raccontare: siamo scesi al bar e abbiamo preso un'insalata. Poi lui è risalito e io me ne sono andata. -
- Tu hai veramente preso l'insalata? -

- Lui ha un corpo perfetto, magro e palestrato. Quando ha ordinato l'insalata, mi vergognavo a chiedere un panino con bacon, doppio formaggio e maionese a dosi industriali. -
- Come mai ti mette in imbarazzo quest'uomo? Quando è entrato in ufficio, ti sei catapultata giù dalla scrivania, sei diventata rossa e hai iniziato a balbettare. -
- Non mi mette in imbarazzo ma solo davanti a voi mangio come un camionista. Simone è l'unico romano che conosco che mangia insalatina per cena e non ci ha neanche messo il condimento! -
- Ma quante cose sai di lui. Come siete in confidenza. Quindi è romano? E cosa faceva prima, Simone? -
- Inutile che usi quel tono. Ha chiesto lui di dargli del tu. Era l'addetto stampa di Marco Conti. -
- Il “tuo” Marco Conti? -
- Sì. Capisci? Ha lasciato un posto al fianco dell'uomo più bello, intelligente e simpatico del mondo per venire a lavorare in un giornale che sta per chiudere. -
- Accidenti! Un mostro di furbizia ‘sto tizio. Non ha molto senso questa storia. -
- Grazie Babi! Io sono ore che cerco di spiegarlo a Sara ma lei non ci vede nulla di strano. Io farei di tutto per poter lavorare con quell'uomo... e non solo lavorare... -
- Chiedi al tuo nuovo capo se il suo vecchio posto è già stato occupato! -
- Così si trasferisce a Roma... non darle certe idee! In ogni caso, non ci hai ancora detto come siete passati dal tuo ufficio al cenare insieme. -
- Non abbiamo cenato insieme. Lui avrebbe iniziato il turno alle nove e mi ha chiesto se avevo voglia di mangiare qualcosa

con lui, considerato il fatto che è nuovo e non conosce nessuno. -
- Ma lui non iniziava alle ventuno! -
- Cosa dici? -
- A parte che sono la segretaria e quindi ho gli orari di tutti; in più alla riunione, quella a cui tu non hai voluto partecipare, Maurizio ha detto che stasera avrebbe seguito personalmente la stampa del giornale e che solo da domani il dottor Marini prenderà le redini della redazione. -
- Ma Sara... non ha senso! Perché avrebbe dovuto mentirmi? Probabilmente Maurizio segue la stampa e lui è rimasto per vedere cosa dovrà fare da domani. In fin dei conti non ha mai lavorato in un quotidiano! -
- Senti, non sono scema! Io ti sto riportando solo quanto è stato detto alla riunione. -
- E per il resto? Che altro è stato detto alla riunione? -
- Quale? Ah, sì... quella a cui non sei venuta per non vedere Simone ma che lui ha lasciato quasi subito per venire nel tuo ufficio? Bene! Maurizio ha detto che siamo alla canna del gas ma che prima di licenziare qualcuno, farà tutto il possibile e l'impossibile. Per esempio... vendere il giornale! -
- Vendere il giornale? Stai scherzando, vero? Non può vendere il giornale! È una tragedia! Sai cosa vuol dire, vero? Che siamo già tutti disoccupati! -
- Non ha detto che lo farà sicuramente ma che lo terrà in considerazione se si dovesse fare avanti un compratore che gli garantisca che il personale avrà il contratto rinnovato. -
- Ma nessuno lo farà mai! -
- Caspita! Hai rubato dal frigorifero di Babi una bottiglia di pessimismo? -

- Ma che senso ha assumere nuovo personale se per salvare il giornale, lo deve vendere? -
- Io non so cosa risponderti! Se fossi venuta alla riunione, gliel' avresti potuto chiedere tu. -
- Questa situazione mi sta facendo stare in costante ansia. Forse dovrei iniziare a guardarmi intorno, inviare curricula in giro. -
- Sicuramente è una buona idea iniziare a guardarsi in giro ma non farti prendere dalla fretta di fuggire da qualcosa se non sai ancora come stanno veramente le cose. In fin dei conti temevi tanto il nuovo arrivo ma non mi sembra che l'incontro sia andato così male... insalata a parte. Credimi, ti capisco: ora ti senti sospesa nel vuoto e tutte le certezze di questi anni ti sembrano svanite nel nulla ma forse questa novità porterà aria nuova in redazione. In ogni caso, se te ne vai da lì, la situazione non sarà tanto diversa: ti troveresti in un ambiente nuovo, tra estranei e con un modo nuovo di lavorare. Forse ti conviene rimanere ancora un po' e vedere come vanno le cose. Almeno sei circondata da colleghi che conosci e che stanno vivendo la tua stessa situazione. -
- I colleghi...certo. Sai che cosa mi ha detto Simone? Che qualcuno gli ha riferito che non lo volevo in redazione! -
- E chi l'avrebbe detto, scusa? -
- Non me l'ha voluto dire ma sta di fatto che ha usato le mie parole, quindi è chiaro che qualcuno gli ha riferito quello che penso. -
- A meno che non dubiti di me, io non riesco proprio a immaginare chi possa averglielo riferito! Non si è fermato a parlare con nessuno, è stato tutto il tempo con Mauri e alla

riunione ha parlato per cinque minuti, per poi fiondarsi nel tuo ufficio. -
- Non ce la faccio a dubitare di Mauri! -
- E di me invece sì? -
- Smettila! Non l'ho neanche presa in considerazione quest'eventualità! -
- Ok, ragazze ma se n'era a conoscenza e l'unica persona con cui ha parlato è Maurizio... -
- In realtà, c'è una persona che può averglielo riferito... -
- Chi? -
- Tu! -
- Io? Sara sei impazzita? Ma cosa stai dicendo? -
- Sara non avresti dovuto scolarti tutta la birra a stomaco vuoto, stai sragionando! -
- Pensaci un attimo: di cosa stavamo parlando quando ci hanno chiamato per la riunione? E chi è entrato subito dopo per presentarsi? Noi non sappiamo da quanto tempo fosse fuori dalla porta! -
- Sai che non hai tutti i torti? E sai che quest'ipotesi mi fa più schifo di quella di un collega traditore? -
- Sono arrivate le pizze. Se dite qualcosa in mia assenza dovete poi ripeterla, quindi state in pausa per qualche minuto. -
- Prendi i soldi dalla mia borsa! -
- Offro io stasera! -
La fame e argomenti più frivoli prendono il posto dei problemi di lavoro: Sara è indecisa se rifarsi le ciocche colorate ai capelli o farseli tutti rosa, parla di un ennesimo tatuaggio, magari un teschio; Barbara la prende in giro consigliandole anche due tibie incrociate. L'atmosfera si fa più leggera: nel silenzio della tarda serata le nostre risate

diventano chiassose e la padrona di casa ci invita spesso ad abbassare il tono della voce.
Qualcosa però non mi permette di essere serena come dovrei ed è un nodo che sento in gola dal momento in cui Sara ha insinuato che Simone avesse origliato la nostra discussione. Ci sono cascata: per un attimo ho lasciato cadere l'armatura e mi sono fidata di lui, l'ho anche accompagnato al bar per non lasciarlo solo. In meno di un'ora mi ha mentito sul fatto che stanotte avrebbe lavorato e ha cercato di mettermi contro i miei colleghi. Tutto ciò non promette nulla di buono, eppure quel suo sorriso mi ha fatto sentire felice di essermi lasciata convincere a fargli compagnia.
È quasi l'una quando infilo la chiave nella serratura della porta a vetri dell'atrio del palazzo dove abito. Per abitudine prima di entrare, guardo in alto per vedere se le luci delle finestre dei miei sono accese ma il fatto che non lo siano mi ricorda che è veramente tardi. Vivo in un appartamento un piano sopra ai miei genitori ma nonostante la breve distanza, non mi vedono quasi mai, cosa per cui ovviamente mi rimproverano ogni volta che passo da loro.
Mentre prendo l'ascensore mando il messaggio sul gruppo:
Arrivata, tutto ok!
Sara: Sto parcheggiando anch'io!
Babi: Notte ragazze!
Mi butto sul letto, promettendo a me stessa di alzarmi subito per farmi la doccia ma so di mentirmi. Ho voglia di piangere e non so neanch'io bene il perché. Non è vero, so il perché; negli ultimi anni l'unica cosa che ha funzionato è stato il lavoro e se ora crollasse tutto, non so cosa ne farei della mia vita.

Le lacrime iniziano a scendere piano, sento il loro calore sfiorarmi le guance per poi diventare un fiume in piena, fino a sfinirmi e farmi crollare in un sonno tormentato.

Ore 06:30, la musica della radiosveglia stamattina la sento assordante. Apro gli occhi con la sensazione che nella notte un treno abbia deragliato sul mio letto, prendendomi in pieno. Ho mal di testa e sento le ossa doloranti, tutte mi fanno male senza pietà. Faccio fatica a mettere a fuoco, per qualche secondo mi sento così confusa da non capire nemmeno dove sono. Chiudo gli occhi qualche istante, li riapro: è decisamente camera mia ma vista da una prospettiva diversa da quella che vedo ogni mattina quando mi sveglio. All'improvviso ricordo che poche ore prima mi sono lasciata cadere sul letto di traverso e ho pianto fino ad addormentarmi.
Ho dormito in una posizione improbabile e completamente vestita. Cerco di alzarmi, per qualche millesimo di secondo accarezzo l'idea di chiamare in ufficio e darmi per malata, poi mi ricordo il motivo delle lacrime della sera prima: Simone!
Non posso mancare al lavoro, non oggi. Mi ha posticipato la scadenza dell'articolo e molto probabilmente ha origliato le mie conversazioni, direi che non è il caso di dargli altri motivi per licenziarmi.
Rimango seduta sul letto per parecchi minuti, cercando di capire in che ordine fare le cose: analgesico, doccia, caffè. Sì, è l'ordine corretto.
Apro il rubinetto verso l'acqua calda e vado in cucina a cercare una pastiglia. Con orrore vedo scivolare fuori dalla scatola il blister vuoto, senza motivo scoppio in un pianto

isterico. Com'è possibile che l'ultima volta non le abbia riprese? Svuoto la borsa sul letto: forse le ho ricomprate e sono rimaste intrappolate sotto tutto il caos che ho sempre lì dentro. Portafogli, portatessere, astuccio, un altro astuccio, block-notes vari, registratore, deodorante, fazzoletti - tanti pacchetti di fazzoletti - guanti... niente analgesici. Forse la doccia basterà...
L'acqua calda non mi dà il sollievo sperato ma trascina via le lacrime che ancora scendono: perché sto così male? Perché l'idea che un estraneo possa pensare male di me si sta trasformando in un incubo? Perché improvvisamente andare al lavoro non mi dà la solita serenità? Troppe domande e nessuna risposta. L'unico sollievo è che non devo andare subito in ufficio e quindi posso prendermela comoda.
Jeans neri, maglia nera, felpa con cappuccio nera e stivali neri mi sembrano il giusto look per una giornata che non promette niente di buono. Guardo se ci sono messaggi sul cellulare: scarico. Perfetto! Mi si gela il sangue mentre rifaccio l'inventario di quello che ho trovato in borsa: il telefono di servizio non l'ho visto. Controllo il contenuto sparso sul letto, riprendo la borsa, la controllo più volte e ripercorro con la mente gli ultimi istanti passati in ufficio: ho spento il pc e sono uscita... lasciandolo in carica. Può andare peggio di così? Certamente! Anche il registratore risulta essere scarico! Controllo l'ora: sono le sette e venti, mia madre è sicuramente già in piedi. Ora mi calmo, la smetto con il panico, che non serve a nulla: io sono una persona che sa organizzarsi. Metto in carica sia il cellulare sia il registratore: un'oretta e si risolve tutto.

Prendo le chiavi dei miei e scendo al piano di sotto. Appena apro la porta, sento arrivare dalla cucina le notizie dei telegiornali del mattino.
- Mamma ciao! Devi leggere i giornali per le notizie... fallo per tua figlia... -
Cerco di nasconderle il mio pessimo umore e le do un bacio sulla guancia ma proprio mentre lo faccio, mi rendo conto di essermi già messa nei guai: non è un gesto da me, questi sentimentalismi sono più da mia sorella, mi si addicono poco.
- Non stai bene? -
- Non posso più darti un bacio? -
- Non lo fai mai! -
- Oggi mi andava! Sono venuta a rubarti la colazione e a chiederti se hai qualcosa per il mal di testa. Ti prego, dimmi di sì perché mi sta scoppiando! -
- Guarda nell'armadietto, sicuramente c'è qualcosa ma potrebbe essere scaduta. -
- Va bene anche scaduta, sono disperata! -
- Non si prendono i medicinali scaduti. Cosa vuoi per colazione? Ieri ho fatto la torta. -
- Voglio solo del caffè. -
- Non si prendono i medicinali a stomaco vuoto! -
- Allora prendo anche una fetta di torta. Perché fai finta di chiedermi cosa voglio per poi far in modo che scelga quello che hai deciso tu? -
Non ho neanche finito la frase che sono già pentita: so perfettamente di essermi messa in un guaio e onestamente oggi potevo evitarmelo....
Antonella Marsiglio
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