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Writer Officina Blog
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Dacia Maraini nasce a Fiesole (Firenze). La madre Topazia
appartiene a unantica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta.
Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino,
è un grande etnologo ed è autore di numerosi libri sul Tibet
e sullEstremo Oriente. Nel 1943 si trova con la famiglia in
Giappone e vive la drammatica esperienza di un campo di prigionia. Ad oggi,
è considerata a pieno titolo "la signora della letteratura Italiana".Gli
ultimi romanzi pubblicati con Rizzoli, sono Corpo Felice e
Trio. |

Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |

"Il destino di ogni uomo è un segreto sepolto nel silenzio"
A pronunciare queste parole è Glenn Cooper, uno scrittore
che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e che ha un legame particolare
con la storia Italiana. Il suo ultimo libro si intitola Clean - Tabula
Rasa e racconta di una epidemia mondiale molto simile a quella che abbiamo
appena vissuto. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'evaso volante
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L'assemblea. Nella ditta dove lavorava, un giorno Elias lesse la comunicazione di un'assemblea indetta proprio nella sala disegnatori. Non era mai accaduto prima. Quando non mancavano che pochi minuti all'ora stabilita, iniziarono i preparativi. Accanto alla scrivania del capoufficio, che dominava il salone, ne fu affiancata un'altra d'uguali dimensioni, e dietro di quelle furono sistemate numerose sedie che avrebbero ospitato alcuni rappresentanti sindacali e i membri della commissione interna. Furono inoltre approntati un microfono e due altoparlanti che impegnarono per qualche tempo un collega. Questi sembrò considerarsi soddisfatto solo al termine di numerose e impegnative prove. Tutti i tecnigrafi furono abbassati completamente e disposti in piano a formare dei grandi tavoli; dietro furono collocati alcuni sgabelli accanto a quelli dei rispettivi disegnatori, perché potessero sedere anche gli impiegati degli altri uffici. Vicino a Elias, durante il fermento dei preparativi, andarono a sedersi a turno diverse persone che infine preferivano la prossimità con colleghi con i quali erano in maggior confidenza. Finalmente restò accanto a lui la centralinista che aveva sempre avuto atteggiamenti di sufficienza nei suoi confronti, ma che ora, nell'occasione, sfoderò un gran sorriso. Elias, per reazione, si morse un labbro, poi si mise a fissare il soffitto, come se la ragazza avesse sorriso a qualcun altro. Con la coda dell'occhio vedeva che la signorina Luciana non aveva smesso di osservarlo e questo gli causò un certo imbarazzo, così iniziò a desiderare che qualcuno cominciasse finalmente a parlare al microfono. Qualche colpo di tosse e un sibilo prolungato proveniente dall'altoparlante annunciarono l'intervento del primo oratore. - Abbiamo indetto quest'assemblea per discutere la questione del licenziamento di Rossinelli, che al momento, purtroppo, è ammalato. La lettera gli è stata recapitata non più tardi di due giorni fa, quando... - . L'oratore cercò conferma di qualcosa da un rappresentante della commissione interna che gli sedeva accanto, ma questi, sempre fissando davanti a sé con aria truce tutti i presenti, che sembrava voler soggiogare, scosse appena il capo per significare che non ne sapeva nulla. L'oratore si rivolse a un altro e quest'ultimo si allungò verso di lui per mormorargli qualcosa in un orecchio. - ... quando l'amico, il compagno Rossinelli era già malato e costretto a letto in condizioni pietose! - . Un “Oh...” prolungato si levò dalla moltitudine dei presenti. - Ebbene, sapete qual è la motivazione addotta per questo grave provvedimento? Scarso rendimento! Ma a noi risulta che il compagno Rossinelli nei quasi due anni da che fa parte di quest'azienda, abbia trascorso più tempo a casa per malattia di quanto non ne abbia passato qui, nel suo ufficio - . Così dicendo, l'oratore puntò un dito giusto in direzione di Elias che istintivamente si ritrasse. Quindi, pensò Elias, questo Rossinelli doveva essere un disegnatore, ma non ricordava nessuno che avesse quel nome, anche se doveva conoscerlo per forza, almeno di vista. Si chiese chi mai potesse essere. - lo mi domando quali elementi possa avere la Direzione per valutare il rendimento di un tale lavoratore - , riprese l'oratore con enfasi; - Tutti noi possiamo testimoniare di averlo sempre visto piegato sulla scrivania o attaccato al tecnigrafo durante le ore di lavoro. Nessuno ricorda d'averlo visto abbandonare il posto per andare alla macchina del caffè, consuetudine innocente, del resto, ma dico questo solo per rappresentare la personalità di Rossinelli; la sua serietà professionale, la sua limpida rettitudine. Con i nuovi colleghi, per quel che mi risulta, non ha mai scambiato neppure una parola che non fosse di semplice saluto. Talvolta, preso dal proprio lavoro, dimenticava persino di rispondere, un particolare questo che lo faceva passare per maleducato, soprattutto tra coloro che non lo conoscevano a fondo. - Quando entrava in ufficio, non aveva altra meta che il suo posto e sembrava farsi scrupolo, persino, di non produrre il minimo rumore. Per questo, spesso camminava sollevandosi sulla punta dei piedi; per non parlare, poi, della cura meticolosa che prestava nello spostare la sedia da sotto la scrivania e nell'abbassarsi piano piano per potersi sedere. Un vero rito. - A proposito della sua personalità, voglio raccontarvi un aneddoto curioso. Se lo faccio, è perché penso di essere chi, qui dentro, lo conosce meglio di tutti; infatti, se mai si è confidato con qualcuno dei suoi colleghi, quello sono io, anzi, posso ben assicurare che qui dentro non ha altri amici all'infuori di me. Ebbene, un giorno, nel passargli accanto, vedo Rossinelli seduto alla sua scrivania mentre controlla un lungo elenco di materiali, lista che, probabilmente, aveva appena terminato di compilare. Era compostissimo, immobile, con la matita puntata e la mano sospesa a mezz'aria, pronto a rettificare il primo errore che gli fosse mai capitato di trovare. Io non ho osato disturbarlo nemmeno salutandolo con un semplice cenno della mano, com'è ormai consuetudine tra noi. Dovete sapere, infatti (dico questo solo per i nuovi assunti), che Rossinelli, dall'inizio alla fine dell'orario di lavoro, non parla mai con nessuno, nemmeno col capoufficio. Lo fa solo per motivi gravissimi e del tutto imprevedibili; infatti, in occasioni normali si spiega con cenni della mano o con leggeri movimenti del capo. - Al ritorno, dopo alcuni minuti, con mia grande sorpresa l'ho visto nella stessa identica posizione. Allora, ho finto di proseguire fino al mio posto, ma poco più in là mi sono fermato nascondendomi dietro una colonna, da dove potevo osservarlo senza essere visto. Così ho scoperto con sgomento... - e qui l'oratore, visibilmente commosso, fece una pausa prima di proseguire; - ... ho scoperto che Rossinelli non respirava. Sissignori, avete capito benissimo: non respirava! A quella vista mi sono sentito mancare le forze, perché temevo che da un momento all'altro potesse... sì, sarebbe potuto morire. Allora sono corso da lui e l'ho scosso per una spalla ma Rossinelli ha fatto con la mano un gesto secco, come per indicare che non voleva essere disturbato. Per il suo bene, ho insistito, e quando l'ho ammonito sul grave pericolo che stava correndo, quel caro ragazzo finalmente ha ripreso a respirare. Con dei gesti della mano mi ha spiegato che se n'era dimenticato, semplicemente. Preso com'era dal suo lavoro; ha dato ad intendere solo questo, non attribuendo alcuna importanza alla sua persona. Poi, senza perdere altro tempo, è tornato a sollevare il braccio a mezz'aria. - La lettera di licenziamento parla di scarso rendimento, forse perché quando Rossinelli disegna, non fa assolutamente nulla per essere notato. Questo non perché lavori poco, ma per la scrupolosità con la quale tiene in perfetta efficienza il suo strumento di lavoro: il tecnigrafo. È tanta e tale la precisione che riserva alla pulizia e all'oliatura delle parti metalliche ed è tanta la delicatezza con la quale se ne serve che non produce, nemmeno nei periodi di massima attività, il benché minimo rumore. - Se, dunque, l'azienda ha addotto per il licenziamento una scusa puerile per nascondere qualche altra ragione, magari più seria, io voglio cercare di figurarmela formulando tutte le possibili ipotesi. Rossinelli era troppo allegro o anche semplicemente giocoso; ebbene, no. Lo escludo nel modo più categorico, perché non ricordo di averlo mai visto ridere né sorridere, mai. - Rossinelli ha osato corteggiare qualche collega o anche soltanto lanciarle un'occhiata lasciva? Come potrei rispondere a questo interrogativo? Posso dire però che tutto il suo comportamento tenderebbe a escluderlo. Più di una volta ho assistito a un incontro occasionale con una delle segretarie; sia che incrociasse una ragazza sia che qualcuna gli si rivolgesse direttamente per dei chiarimenti su un lavoro che lo riguardava, lui teneva lo sguardo rivolto ostinatamente per terra. Si limitava a scuotere il capo per far segno di sì o di no, e quando l'interrogatorio andava troppo per le lunghe, temendo di perdere del tempo prezioso, cominciava ad agitare nervosamente una gamba. Era il segnale per far intendere che non poteva fermarsi oltre. Tanto bastava perché la ragazza lo lasciasse ai suoi impegni, e se aveva bisogno di altre informazioni, avrebbe dovuto rimandare al giorno seguente. - È pur vero che in cuor suo poteva nutrire qualche sentimento per qualcuna delle sue colleghe, ma mi riesce difficile immaginare che ipotetiche passioni amorose potessero mai gareggiare con l'adorazione che Rossinelli ha sempre nutrito per il suo capufficio. Era un sentimento che traspariva così chiaramente che, per quanti sforzi facesse per nasconderlo a causa della sua riservatezza, diveniva perfettamente manifesto quando osservava il superiore con occhi sognanti, soprattutto quando erano a colloquio per questioni riguardanti il lavoro. Erano quelli gli unici momenti in cui si lasciava sfuggire qualche monosillabo, e poi, appena si accorgeva di aver parlato, arrossiva abbassando lo sguardo. - Ho dovuto parlarvi anche dei sentimenti più intimi di Rossinelli solo per discolparlo. E non crediate che mi sia costato poco rendere pubblici aspetti così personali del mio caro amico, aspetti che alcuni di voi magari avranno già colto, soprattutto la sua debolezza nei confronti del capoufficio che solo la commovente ingenuità gli fa credere segreta. Né questa passione deve farci sorridere, perché il suo amore è del tutto casto, anzi, mi piace pensare di Rossinelli come di un ragazzo senza sesso, proprio come un angelo che non è né uomo né donna... un vero impiegato modello. - Elias aveva partecipato all'assemblea giusto perché non era possibile sottrarsi ed era preparato ad ascoltare discorsi scontati che non sarebbero approdati a nulla, ma ora sentiva riempirsi di sdegno. Dal caso particolare l'oratore si allargava a considerazioni di carattere generale che coinvolgevano tutta la categoria degli impiegati e, segnatamente, quella dei disegnatori. Si pretendeva che un disegnatore parlasse poco, e questo era comprensibile, ma che poi si considerasse una mancanza essere allegri o addirittura da biasimare il fatto di nutrire qualche segreta passione, era veramente troppo. A questo punto non poté più trattenersi dall'andare in soccorso di Rossinelli pur non ricordando neppure chi fosse. - Soprattutto non dobbiamo dimenticare la sua non comune intelligenza... - , iniziò con voce incerta, approfittando di una breve pausa dell'altro. Nel pronunciare quelle parole, si sollevò sul poggiapiedi dello sgabello allungandosi in avanti e reggendosi con le braccia puntate contro il tavolo del tecnigrafo. Si protendeva verso l'oratore come in un moto dì sfida, pallido e con i lineamenti del volto tirati. La sua voce fu udita solo da quelli che erano nelle più immediate vicinanze, ma tutti si voltarono a fissarlo richiamati dal sollevarsi della sua figura. Elias avvertì gli sguardi posarsi su di lui e la sua voce si ruppe dall'emozione e dalla rabbia. Le parole che articolava a stento, con voce affannata, non erano certo le più adatte a convincere né l'oratore né, tanto meno, l'assemblea, sensibile più all'autorità con la quale erano pronunciate che al loro vero significato. - ... intelligenza che ha sempre rivelato nello svolgimento del lavoro quotidiano, intelligenza che ha sempre rivelato nel prendere immediate e appropriate decisioni quando le circostanze lo richiedevano... - Elias si manteneva nel vago, nel timore di descrivere qualche aspetto di Rossinelli che agli altri fosse noto e in contrasto con la sua rappresentazione. - Vieni a parlare al microfono, perché non si riesce a sentire niente - , lo interruppe l'oratore con un moto d'impazienza, mentre dava una rapida occhiata all'orologio. Elias scese dallo sgabello e si fece largo tra i colleghi, ma senza fretta, per inspirare profondamente due o tre volte al fine di calmare la sua agitazione. Ma, davanti al microfono, la sua voce era alterata, e questo lo indispettì ancor di più: - Stavo dicendo che hai trascurato di accennare alla superiore intelligenza di Rossinelli... - - Ehi, un momento. Di quale intelligenza stai parlando? Rossinelli ha una gran memoria, ha il senso della disciplina; Rossinelli è ordinato, educato, veloce nel lavoro, ma, per favore, non confondiamo l'istinto con l'intelligenza. E poi, come fai a tirar fuori un simile giudizio che, a parer mio, è del tutto gratuito?! - - Ma..., ma lo sanno tutti ... - , balbettò Elias indicando con la mano aperta la moltitudine dei presenti e cercando di cogliere qualche cenno di assenso. Ma la folla era muta, le espressioni impenetrabili; i volti, duri, sembravano scolpiti nella pietra. - Hai delle prove concrete per supportare quest'accusa? - , tagliò corto l'oratore. - Lo sanno tutti. Quante volte l'avrò sentito dire... - - Pettegolezzi! Nient'altro che pettegolezzi. Non si può condannare una persona soltanto in conformità a dicerie. E poi, scusami, ma non ti nascondo il sospetto che questo tuo intervento non abbia altro scopo che gettare cattiva luce su un collega che, oltretutto, non può nemmeno difendersi. - Elias guardò attonito l'oratore per qualche secondo senza riuscire a pronunciare una sola parola, poi scosse la testa, sconsolato, e non desiderò altro che tornare al suo posto, ma un simile gesto sarebbe apparso come l'ammissione del suo presunto malanimo verso Rossinelli. Sì sforzò allora di dire, vincendo la rabbia e la vergogna: - Ma essere intelligenti è una colpa? - - Ah, ah, ah!... - , scoppiò a ridere l'oratore cui fece eco la moltitudine dei presenti; - Mi chiede se essere intelligenti è una colpa. Ah, ah, ah!... - L'oratore si gettò all'indietro col busto indicando Elias col braccio teso; quando, infine, ebbe ragione della propria ilarità, disse: - Forse hai semplicemente usato la parola sbagliata, e con intelligenza intendevi dire predisposizione - . L'oratore sembrò assumere un atteggiamento meno severo nei confronti di Elias a causa, forse, dell'espressione abbattuta di quest'ultimo che fu interpretata come un atto di pentimento. - Ma avere predisposizione per un certo lavoro - , riprese; - è piuttosto questione di fortuna che non un merito; questo va chiarito subito. È pur vero che Rossinelli ha forse maggior predisposizione per il suo lavoro di qualsiasi altro collega e che l'azienda è la prima a trarne vantaggio... - L'oratore sorrise a un pensiero che gli fece interrompere il filo del discorso; - ricordo come Rossinelli avesse sempre l'abitudine, fuori dell'orario di lavoro, di accompagnare ogni sua descrizione con dei rapidi e precisi disegnini e, pur potendo parlare liberamente, preferisse scrivere dei messaggi su foglietti di carta che portava ovunque con sé, in un perfetto e velocissimo stampatello. - I primi tempi che lo conoscevo pensavo che quell'abitudine gli derivasse dalla necessità di tenersi in costante allenamento, ma quando affrontai l'argomento chiedendone la ragione, lui sollevò gli occhi al cielo e disse in un soffio: “È il mio unico vizio!” E allora capii che veri disegnatori si nasce, e il nostro amico e compagno è uno di quelli veri! - Seguì un applauso fragoroso, l'occasione propizia per Elias di tornare al suo posto. Non poté fare a meno di considerare che alla sua misera condizione dovesse aggiungere la dolorosa constatazione d'avere a che fare con persone senza alcuna sensibilità e priva d'intelligenza, come ammetteva lo stesso oratore. Ed ebbe così la precisa sensazione di trovarsi completamente isolato in mezzo a tutte quelle persone pronte a commuoversi di fronte all'immagine di un ragazzo senza desideri, senza personalità, senz'anima. Alla rassegnazione subentrò improvviso un moto di cieca ribellione. - Basta! - , urlò dal suo posto, battendo un pugno sul tavolo; - Non sono per niente d'accordo con questa rappresentazione di Rossinelli. Intanto insisto nell'affermare che è un essere intelligente, come lo siamo noi tutti disegnatori, e poi non mi meraviglierei per niente se avesse corteggiato una di queste ragazze o se addirittura avesse messo loro le mani addosso, così come sono convinto che non abbia mai provato la minima simpatia per il capoufficio che è una persona prepotente e maleducata come poche... - Nella sua grande agitazione, a Elias occorse del tempo per capacitarsi di non aver urlato, anzi, di non aver pronunciato alcuna parola. Solo il fatto di essere nuovamente al centro dell'attenzione generale e di avere la mano stretta a pugno gli fece capire di aver dato realmente un forte colpo, sì da far ammutolire la platea. - Quale futuro attende ora Rossinelli? - , disse invece, sforzandosi di parlare a voce alta. In un lampo si rese conto che qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe stata capita o, peggio, sarebbe stata male interpretata. A un tratto desiderò uscire dalla scena, mettersi in un angolo sino al termine dell'assemblea. Intanto, però, ora avrebbe dovuto continuare nella finzione d'interessarsi alla sorte di Rossinelli e il suo intervento richiedeva un alto tono di voce per essere udito. Non gli interessava il giudizio degli altri; agiva così solo per risparmiarsi un'inutile lotta. E con questo stato d'animo, mentre guardava in direzione dell'oratore, udì appena la risposta dell'altro. - Il futuro del nostro collega non è mai stato messo in discussione: la decisione dell'azienda è inappellabile. Quello che possiamo fare ora è contestare la motivazione addotta per il licenziamento e, soprattutto, indurre Rossinelli a rifiutare quanto gli compete. Io dico che se è vero che non metterà mai più piede qui dentro, sarà lui stesso a umiliare la ditta rinunciando perfino alla liquidazione: che l'azienda s'ingozzi! - Seguì un boato prodotto da urla d'approvazione, risate isteriche, pugni e calci sferrati alla cieca. Chi bestemmiava, chi non poteva trattenere lacrime di commozione; intorno ai tavoli saltellava una ragazza che si teneva la gonna sollevata fino all'altezza del seno. Di tanto in tanto si rivolgeva a qualcuno, faceva le boccacce e, girando la schiena, mostrava il sedere. - Ma Rossinelli in questo modo verrà a trovarsi in mezzo ad una strada... - , obiettò Elias a mezza voce. Ora il suo disgusto era completo. Udendolo parlare, la ragazza con la gonna sollevata gli corse incontro, schiaffeggiandosi a tratti il posteriore, poi gli si piantò davanti protendendo il didietro e osservandolo da sotto, tra le gambe divaricate. Ora lo stuzzicava con qualche mossa ben assestata del deretano. L'oratore, per nulla sorpreso, l'ammonì dal podio: - Va a cuccia, su, va a cuccia, troietta! Dai, su, a cuccia, puttanella, dai! - Visto inutile ogni tentativo, estrasse da sotto la scrivania una frusta che fece dapprima schioccare per aria, quindi verso la ragazza che, una volta colpita, guaì come una cagna. Ma subito dopo ringhiò con fare minaccioso graffiando l'aria con le unghie e mostrando il bianco dei denti. L'oratore la colpì con forza mentre i suoi occhi s'illuminavano di bagliori satanici: - Va a cuccia, su, va a cuccia, piccola troia! - Qualcuno osò mormorare delle parole in difesa della ragazza, ma fu subito fustigato a sua volta. L'oratore, con un balzo felino, da terra balzò su un tavolo e da lì prese a menare colpi all'impazzata accompagnando ogni sferzata con un “Ah!” dal tono di comando e di minaccia. La frusta sibilava nell'aria abbattendosi su chiunque osasse protestare e che era costretto a farsi scudo con le braccia alzate. La ragazza che aveva causato quella reazione inaspettata si godeva la scena da lontano battendo le mani al ritmo di una musica immaginaria e, dondolando il capo, ripeteva: - La, la, la... - Elias si guardò attorno smarrito; gli sembrava di essere precipitato in un girone dell'inferno dantesco. Le grida di dolore si mescolavano alle urla di chi tentava di sottrarsi all'oratore, che ora saltava leggero da un tavolo all'altro fustigando quante più persone poteva. Chi si addossava alle pareti con occhi sbarrati, chi si rifugiava sotto i tavoli o si nascondeva sotto le scrivanie, chi si gettava per terra coprendosi il capo con le mani giunte. Lui invece, di proposito o per fortuna, fu risparmiato dai colpi, né si preoccupò di ripararsi, tanto la sua attenzione era calamitata dal volto dell'oratore. A un tratto ebbe la certezza di conoscerlo, anche se non ricordava in che occasione l'aveva visto né quando. Quella luce sinistra negli occhi e quel ghigno satanico non gli erano nuovi, e tuttavia non riusciva ad assegnargli un nome. Più lo guardava e più gli era familiare. Era forse suo padre? No, che idea assurda! Eppure fu la prima ad affacciarsi alla mente. Suo fratello? In qualcosa gli assomigliava... no, era da escludere. Il suo insegnante di religione? Chissà che la sua vera natura non fosse quella di un sadico. Rossinelli: ecco chi era l'oratore! A quel pensiero sentì accapponarsi la pelle. Perché, dunque, quella commedia? Che interesse aveva Rossinelli a celare il ruolo di difensore di se stesso? E poi, come non sospettare che neppure Rossinelli fosse il suo vero nome e non, piuttosto, quello di un personaggio creato a bella posta per non si sa quale scopo? Inaspettata, suonò la campana delle cinque, e fu come l'urlo della sveglia che scosse tutti ridestandoli alla vita normale come emergendo da un incubo penoso. Elias, l'oratore e gli altri partecipanti all'assemblea si bloccarono di colpo, si diressero poi verso gli spogliatoi, dove si tolsero il camice, si lavarono le mani, si rivestirono e infine, salutandosi in fretta, corsero a timbrare il cartellino come tutti gli altri giorni. |
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