Nella mia mente
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Introduzione.
– Un eccesso di energia psichica dovuta ai conflitti sviluppatisi, il più delle volte con persone della propria famiglia, sfocia se non abreagìta, – l'eccesso di energia intendo – in comportamenti violenti, lo sanno tutti.
– Nei soggetti sani tale atteggiamento trova un compromesso che non gli fa scavalcare quella sottile linea comportamentale che lo porterebbe a valicare l'equilibrio fra la tendenza all'espressione e i fattori inibitori.
È una luminosa giornata di primavera, il sole riverbera i suoi raggi sui prati dai corti ciuffi d'erba tagliati all'inglese, per poi imbattersi nelle tapparelle abbassate a metà sulle larghe finestre che circondano la stanza. Poco distante dal campus spicca una tesa e fiera bandiera americana.
– Ciò che distingue l'assassino da chi non lo è, per intenderci – termina lo psichiatra.
– Secondo me siamo di fronte ad un disturbo istrionico di personalità – interviene lo psicologo.
– Non sono d'accordo! Non credo sia un soggetto che si può definire semplicisticamente istrionico.
– Non ho detto questo!
– Signori... un po' di contegno, prego! Non è una gara di sfoggio delle proprie competenze.
– Dalle nostre decisioni dipende la sua vita! – conclude il capo della commissione medica.
I due si ricompongono nei gesti e nei modi, assumendo di riflesso delle pose più rilassate.
– Non c'è dubbio che ci ritroviamo di fronte ad un soggetto con una forte componente narcisista – esprime lo psico-fisiologo, come se parlasse a se stesso.
Lui non è abituato alle posizioni di comando. Non è abituato a interagire con un gruppo di professionisti che seguono le sue indicazioni. È al suo primo incarico da coordinatore, è molto nervoso e non vuole assolutamente sfigurare.
– Annette... stai annotando tutto?
La giovane segretaria dal capello biondo platino s'interrompe e pone la penna alla destra del suo taccuino. Verga tutto ciò che si pronuncia nella stanza, servendosi dell'uso della stenografia.
– Sì, signore.
– Bene. Dove eravamo rimasti?
– Al disturbo narcisistico della personalità – si intromette il neurologo.
– Aggiungo la possibilità di un disturbo dissociativo - perdonate i giochi di parole - associato al primo – continua lo psico-fisiologo.
Un mormorio di consultazione si leva nella stanza.
– È troppo presto per valutare: ci servono altri elementi – si fa portavoce lo psichiatra.
– A questo punto sarebbe meglio riascoltassimo il nastro fornitoci dalla polizia riguardo alla sua confessione. Sospetto sia la punta dell'iceberg.
– Volete dire che potremmo trovarci di fronte ad un serial-killer? – chiede lo psicologo.
– Proprio così dottor Reaply. È molto probabile – termina lo psichiatra.
– Suggerisco di servirci di un escamotage per guadagnarci la sua fiducia – interviene il neurologo.
– Che cosa avete in mente dottor Scott?
– Potremmo relegare i nostri profili a dei semplici osservatori e lasciare che la signorina O'Toole si occupi di formulare le domande. Naturalmente sarà nostra cura imboccarla a dovere.
Gli sguardi dei medici si volgono all'unisono nella direzione della segretaria che siede compunta e intenta a trascrivere diligentemente.
Annette O'Toole solleva il capo all'improvviso, sollecitata da quella sensazione strana che prova chi si sente osservato. Smette di scrivere e arrossisce per l'imbarazzo.
– Oh, no signori. Non pensateci nemmeno! Non ne sarei capace.
– È un colpo di genio! – inframmezza il dottor Reaply, distogliendo immediatamente l'attenzione dalle parole della giovane ansante per l'affanno, dovuto all'assegnazione del nuovo incarico.
– Mi rendo conto che l'idea è azzardata, ma proprio per questo può funzionare. In questo modo possiamo creare una corrente emozionale a senso unico: una sorta di filo conduttore.
– Rischiamo grosso. Se falliamo, potremmo persino essere radiati dall'albo – puntualizza lo psichiatra.
– Ha ragione dottor Norton. Ma preferisco rischiare di essere radiato dall'albo piuttosto che rischiare di condannare all'iniezione letale un essere umano, sebbene l'ultima esecuzione sia avvenuta nel '97. Più aspetti riuscirò a cogliere della personalità del soggetto, più farò sonni tranquilli.
La segretaria continua a scuotere la testa nel disinteresse più totale.
– Mettiamo la questione ai voti per alzata di mano – propone il dottor Kellerman.
Il cognome tradisce le origini australiane del capo commissione.
– Tre braccia alzate... direi che la decisione è presa. Non ci resta che aggiornare la seduta per mettere a punto i dettagli e istruire come si deve la signorina O'Toole.
– Ma ...ma...
Gli astanti si alzano avviandosi alla porta, ignorando totalmente il balbettio della segretaria che nel frattempo sta diventando paonazza dalla rabbia.
.:.
Tutto terminerà tra poco. Giusto il tempo di lasciare scritto su queste pagine chi io sia veramente. Non mi sento un mostro, ma piuttosto una vittima della mia natura stessa, o forse della deviazione che mi è stata imposta come impronta di nascita, chissà. Non avrei mai creduto potesse succedere a me un tale epilogo, non lo avevo messo in conto, proprio no.Della prima volta ricordo il ticchettio traballante dei tacchi e l'aria autunnale pungente. La caducità delle foglie degli alberi, i lampioni sinistri, (vetuste sentinelle della notte) e la luce artificiale riflessa sui Murazzi scrostati e umidi.
Ero giovane, così come lo fu la mia prima vittima. Lei si voltò più di una volta per scrutare nel buio alle sue spalle, allertata dall'istinto soprannaturale della sopravvivenza. Le gocce di saliva che cadevano dai lati della mia bocca, sfumavano al contatto con l'aria umida e febbricitante di nebbia quasi a volersi uniformare a essa. Sentivo l'esplosione delle ossa mentre si adattavano alla nuova forma, il grattare sinistro delle unghie sul manto del sentiero che costeggiava il placido Po, unico testimone dell'evento. Sentivo la mia mente dissociata dall'essere, come se il nuovo me fosse un intruso e allo stesso tempo l'unico col diritto di esistere. La luna si stagliava alta, ammantando la Gran Madre di un'assurda luce calda e accogliente.
Si accorse di me tardi, quando ormai ero troppo vicino per tentare la fuga. L'unica cosa che l'avrebbe potuta salvare sarebbe stata gettarsi nel fiume, o forse no. Io odio l'acqua: vale a dire, la odia l'altra parte di me.
La cosa che più mi stupì non fu tanto la ferocia con cui la aggredii, ma piuttosto il continuare a ragionare come fossi in forma umana. Ma l'istinto della caccia e la bramosia del sangue furono troppo forti, non potevo fare altro che soccombervi.
Dopo vagai a lungo, strisciando come fossi insetto, celandomi a occhio umano. Non sapevo cosa fare: avrei voluto chiedere aiuto, ma l'immagine riflessa a pelo d'acqua faceva inorridire persino me. Mi domandavo terrorizzato se la trasformazione sarebbe stata irreversibile, se sarei rimasto intrappolato per sempre nella mia nuova forma.
Le prime luci dell'alba scemarono il terrore. Ritornai col sentore d'uomo, privo di crudeltà e di istinti primordiali.
Col tempo ho imparato a modulare le emozioni nelle circostanze di pericolo, ed è stato questo che mi ha preservato dalla cattura per molto tempo. La modulazione e la scelta delle vittime senza distinzione di genere, hanno depistato più volte gli inquirenti, e questi meccanismi, insieme al mio cambiare spesso territorio, mi hanno permesso di uccidere in quasi vent'anni ottantasette persone. Di loro ricordo ancora il viso, le modalità con cui le ho uccise, le espressioni, e persino l'odore della loro morte.