Writer Officina
Autore: Abel Wakaam
Titolo: Jerusalem Enigma
Genere Thriller Giallo
Lettori 6098 586 579 recensione
Jerusalem Enigma
Gerusalemme - Christian Quarter Road 42-48.
28 marzo 2023.

La gente correva, urlava, roteava le bandiere con le incomprensibili scritte a caratteri cubitali. Un uomo spinse di lato il ragazzo che si era avvicinato al corteo e lo esortò con larghi gesti a restarsene fuori dal gruppo.
Emily si guardava intorno con preoccupazione, seguendo nervosamente il giovane militare che l'aveva prelevata furtivamente all'aeroporto Ben Gurion e condotta sino alla città vecchia con un'auto blindata.
Ora, in quel contesto, si rendeva conto della propria fragilità di fronte a un mondo che aveva immaginato mille volte in modo nettamente diverso.
«Che succede?» domandò, aggrappandosi al braccio del suo custode. Così facendo, vide espressamente la sua mano che stringeva furtivamente il calcio della pistola.
«Ci sono proteste contro la riforma giudiziaria.» rispose.
«Quanto devo preoccuparmi?»
«Non riguarda noi.» replicò stizzito.
Arrivati all'ingresso della basilica del Santo Sepolcro, le fece cenno di stargli accanto. Si guardò più volte intorno e poi si portò la mano all'orecchio destro, pronunciando nel contempo alcune parole incomprensibili. Da lì a qualche istante, uscì un anziano prelato da una porta laterale e fece rapidamente cenno di seguirlo.
Una volta all'interno, Emily si appoggiò con la schiena contro la gelida parete della chiesa e domandò sotto voce se fossero finalmente arrivati da Avrahàm Mizrachi.
Adesso il ragazzo sembrava più rilassato. Si consultò frettolosamente col prete e dopo alcuni minuti di colloquio lo ringraziò, stringendogli più volte entrambe le mani mentre chinava il capo.
Era proprio un ragazzo, lontano dalla folla sembrava ancora più giovane, mentre là fuori costituiva l'unica speranza di non essere travolta dalla furia della gente.
«Mi scuso a nome del mio popolo,» esclamò in un buon inglese «non era prevista questa manifestazione per il giorno del suo arrivo.»
«Quando potrò vedere Avrahàm Mizrachi?»
«Non ora, non è qui! Questa notte la passerà con i sacerdoti e nei prossimi giorni potrà incontrare Avrahàm.»
«Non erano questi i patti.»
«Quando parlerà con lui,» rispose in modo lapidario «si accorgerà che il nostro non è un mondo in cui si possono percorrere strade prefissate. Già l'essere giunta fin qui e ammessa al suo cospetto è come aver lasciato la prima impronta sulla faccia oscura della luna.»
«Addirittura!» abbozzò un sorriso.
«Mi creda,» si fece tremendamente serio «ciò che accadrà nei prossimi giorni cambierà il corso della sua vita!»
Quando restò sola in quella cella dalle pareti adorne di raffigurazioni sacre, si rigirò su se stessa portandosi ripetutamente le mani dietro la nuca per isolarsi dal mondo esterno: «Perché io?» si domandò.
In realtà non c'era alcuna risposta, nessuna logica per cui fosse stata scelta per incontrare Avrahàm Mizrachi. Qualcuno lo aveva definito un vecchio pazzo, santificato da un ristretto gruppo di fanatici della tecnologia estrema. Aveva collaborato per alcuni anni con la Atlas Robotic, la massima azienda del settore. In poco tempo i suoi ingegneri erano riusciti a produrre una sorta di umanoide che si era rivelato ben presto un fallimento, capace di trascinare in un buco nero le tre più grandi banche americane e, purtroppo, anche milioni di investitori privati. Si vociferava che fosse stata proprio la rinuncia di Avrahàm a portare la Atlas al collasso, ma in realtà nessuno aveva mai saputo identificare con certezza le cause del tracollo.
Emily non lo aveva mai incontrato. Quando fu invitata a Boston per partecipare alla ricerca, insieme ad altri novantanove analisti, lui aveva già abbandonato il progetto. Probabilmente aveva compreso l'inutilità di un confronto diretto tra la ragione umana e quella di una macchina che, seppur altamente evoluta, si era ben presto rivelato improponibile.
Per lei invece era stata un'esperienza altamente creativa. La pubblicazione postuma dei dati aveva rivelato che la sua analisi era stata in assoluto la più negativa del gruppo, tanto da essere aspramente criticata dai manager della Atlas. Avevano persino intentato una causa contro quella parte di analisti che avevano bocciato irrimediabilmente il progetto, ma il fallimento dell'azienda aveva cancellato in un solo colpo tutti gli strascichi giudiziari.
E allora perché Avrahàm aveva invitato proprio lei a Gerusalemme, dove aveva il suo rifugio fuori dalla “contaminazione umana” come era solito definirla?
Il giorno successivo, poco prima dell'alba, fu svegliata da un rumore persistente di passi nel corridoio. Da lì a qualche istante udì distintamente la voce del militare che l'aveva prelevata all'aeroporto e si tranquillizzò. Fu lui stesso a bussare alla porta, avvertendola che da lì ad alcuni istanti sarebbe entrato.
Il tempo di rivestirsi e se lo trovò davanti.
«Dobbiamo andare.» esclamò.
Per quanto il ragazzo facesse di tutto per apparire tranquillo, Emily avvertì chiaramente l'agitazione che tratteneva a stento. D'altronde era il suo lavoro, la sua specializzazione. Troppo abituata ad avere sentore del prossimo, della modulazione della voce, degli impercettibili movimenti dei muscoli facciali, per non accorgersi che era accaduto qualcosa di grave. «Che succede?» gli domandò.
«La manifestazione di ieri sta assumendo risvolti pericolosi. In mezzo alla gente potrebbero nascondersi degli infiltrati di Hamas e la situazione potrebbe degenerare.»
«Qui non siamo al sicuro?»
«Dobbiamo andare!» ripeté, addolcendo il tono della voce per non farlo sembrare un ordine.
«Hai nelle mani la mia vita e non so nemmeno il tuo nome. Se ci perdessimo di vista non saprei neppure di chi chiedere.»
«Non è previsto che io possa perderla.» scosse il capo «Josef... può chiamarmi semplicemente Josef.»
Quando uscirono dalla stanza l'afferrò per un polso e la condusse lungo il corridoio in penombra fino all'accesso di una ripida scala che scendeva nel sotterraneo. Non una parola, non un suono che fosse diverso dal rumore dei loro passi, quello cupo delle scarpe militari e quello secco dei tacchi, più rapido, acuto e nervoso.
Il sottosuolo di Gerusalemme era un labirinto scavato nei secoli e ogni pietra sembrava riportare i segni della storia, quella conosciuta e quella più nascosta, segreta. Josef si arrestò in un angolo di quell'inestricabile labirinto e attese un segnale che tardò ad arrivare.
Ora il battito era quello dei loro cuori, del sangue che pompava nelle vene e arrivava dritto al centro dei pensieri. «Cosa stiamo aspettando?» sussurrò.
«La porta è chiusa dall'esterno. Stanno arrivando per aprirla.»
«Chi?»
«Amici?» rispose Josef
«Sei del Mossad?» domandò Emily, pentendosi immediatamente di aver osato tanto.
Il ragazzo scosse il capo: «Chi lavora per Avrahàm Mizrachi non appartiene che a se stesso.»
Lo stridio del metallo lasciò supporre che qualcuno stava manovrando il chiavistello. Il volto che le apparve fu quello di una monaca. Un semplice cenno d'intesa e la porta fu richiusa immediatamente alle loro spalle.
«Siamo al sicuro?» domandò ancora Emily, trattenendo il fiato.
«Adesso sì!» sentenziò Josef.
Una volta risaliti in superficie si ritrovarono in una piccola cappella. La monaca indicò loro la via e sparì dietro una grata, pronunciando sottovoce una frase in latino che terminò con Abraham.
«Adesso stiamo finalmente andando da Avrahàm Mizrachi?» chiese ripetutamente Emily, senza ottenere risposta. «Ho sentito pronunciare il suo nome!»
«Domani,» rispose il ragazzo «domani sarà il giorno giusto.»
«Adesso basta!» reagì nervosamente «Voglio sapere cosa sta succedendo e perché sono stata invitata a Gerusalemme!»
«Non puoi chiedere a un bidello quale storia insegnerà il più dotto dei professori!» bloccò la sua reazione sul nascere. «Il mio compito è quello di portarti da lui senza che nessuno possa seguirci, possibilmente viva. Non devo rivelarti altro, non perché non voglio, ma semplicemente perché non ne sono al corrente. Ora smettila di comportarti come una ragazzina e cerca di non complicare ulteriormente il mio lavoro!»
Era la prima volta che alzava la voce, la prima volta che le parlava senza cercare di nascondere le sue emozioni. In quella frase così diretta c'era tutto ciò che bisognava sapere: non era un gioco.
Ad accoglierli arrivò Madre Miriam e le dispensò il primo sorriso dal suo arrivo a Gerusalemme. Passò l'intera mattinata con lei sotto il colonnato adiacente alla cappella e si rese conto del pericolo quando provò a dirigersi verso il giardino fiorito.
«Dio vede tutto dall'alto dei cieli,» l'avvisò la monaca, trattenendola per un braccio «e purtroppo non è il solo a poterlo fare. Siamo più al sicuro qui al coperto.»
Sembrava tranquilla e certamente lo era. Placida nel suo intrecciare la lana coi lunghi aghi di alluminio colorato. Ogni tanto le volgeva lo sguardo e sorrideva, quasi a volerla rassicurare che tutto fosse sotto controllo
«Chi è Avrahàm Mizrachi? Lo conosce?» le domandò a bruciapelo.
Madre Miriam alzò lentamente lo sguardo dal suo lavoro e la matassa di lana le scivolò tra le dita.
«Non è Dio,» si affrettò a rispondere, raccogliendo il gomitolo «per quanto qualcuno lo affermi... non è Dio!»
«Di questo ne sono certa,» annuì «ma non so cosa aspettarmi.»
«Immagina di entrare in una stanza buia e di sentire un brivido lungo la schiena. Cosa l'ha provocato? L'oscurità oppure ciò che la mente cerca di costruire in assenza della vista?»
«Ho studiato psicologia ed ero la prima del mio corso...» affermò prontamente Emily «conosco bene il potere della mente e ritengo di non essere suggestionabile.»
«Credi in Dio? Non per forza quello dei cristiani... intendo qualsiasi Dio?»
«Se esistesse un Dio, non permetterebbe che gli uomini si comportassero in questo modo. Ho letto la Bibbia e mi sono sempre chiesta quanto di vero ci fosse in quelle pagine.»
«Allora andrai d'accordo con Avrahàm Mizrachi,» affermò Madre Miriam, facendosi seria «sei curiosa abbastanza per cercare la coda di una lucertola nella pancia della colomba.»
«Il mio è un tentativo spasmodico di incontrare la verità, qualunque essa sia. Gli esseri umani hanno bisogno di prove persino per un temporale improvviso, figuriamoci per l'esistenza di un Dio.»
«Questo è un discorso troppo profondo da affrontare in questa Terra, dove il figlio di Dio ha mosso i primi passi. Ti sei mai chiesta cos'è accaduto dal momento della sua nascita all'attimo in cui si è manifestato agli uomini? Che bambino è stato e che ragazzo è cresciuto?»
«Questo è un motivo in più per indagare. Peccato che non ci siano ancora testimoni attendibili, ma solo storie riportate nei secoli dalla gente.»
«Sono sicura che piacerai ad Avrahàm Mizrachi. Lui ha la capacità di camminare in equilibrio sulla fune tesa tra il bene e il male... e ha il coraggio di farlo senza pregiudizi. Bendato!»
Emily si guardò intorno con attenzione prima di porre alla monaca l'ultimo quesito: «Proteggere la mia presenza significa credere nei dubbi di Avrahàm Mizrachi. È questa la sua verità?»
Madre Miriam accusò il colpo, ma subito le dispensò un sorriso: «Io credo che i dubbi di Avrahàm possano essere legittimi, ma nulla toglie che si rivelino totalmente errati. Tra Noi e Lui, adesso ci sei Tu.» continuò, porgendole il gomitolo «Sta a te quindi dipanare la matassa.»
In quel momento cominciò a comprendere quale fosse il suo ruolo in quell'assurdo contesto. Era stata invitata a Gerusalemme per emettere un giudizio sopra le parti, senza nemmeno conoscere quale fosse l'argomento. «Non posso giudicare ciò che non capisco.» ammise.
«Hai smascherato l'Intelligenza Artificiale della Atlas Robotic,» la incalzò «quindi puoi ricoprire il ruolo del tredicesimo.»
«Non comprendo il nesso.»
«Riguarda i giudici del Vecchio Testamento. La successione cronologica fu organizzata in modo da ottenere cicli di quarant'anni e un numero totale di giudici pari alle tribù di Israele, cioè dodici, che sono nell'ordine: Otniel, Eud, Samgar, Debora, Gedeone, Tola, Iair, Iefte, Ibsan, Elon, Abdon e Sansone.»
«Guarda caso sono tutti uomini. Io cosa c'entro? L'aver smascherato una macchina, seppur altamente qualificata, non mi concede il diritto di intromettermi nelle vostre questioni divine.»
Madre Miriam annuì: «È di una macchina, infatti, che stiamo parlando e tu rappresenti la nostra prima scelta.»
Lo comprese il giorno seguente, quando Josef la venne a prendere per accompagnarla finalmente da Avrahàm Mizrachi. Durante il tragitto nel ventre della terra sacra di Gerusalemme si spalancarono molte porte ed ognuna era presieduta da un prelato. Era un modo per ottenere il salvacondotto verso la meta finale, un modo per essere accettata da tutti, prima ancora di essere ammessa davanti a lui.
«È il momento.» la avvertì il militare, indicandole il portale che dava accesso alla sala di attesa.
«Qualche consiglio?» gli domandò.
«Non essere accondiscendente,» annuì «non ama chi indossa una maschera.»
E fu senza maschere né pregiudizi che restò in attesa di oltrepassare quel confine inedito tra la terra di nessuno e quella consacrata, tra l'oscurità e la luce, dove finalmente avrebbe trovato le risposte alle mille domande che le brulicavano nella mente.
L'uomo che si trovò davanti aveva un aspetto cupo, antico e nello stesso tempo misterioso. Il suo abito occidentale era in pieno contrasto con il tetro aspetto mediorientale. Portava sul capo un Kaffiyeh bianco e nero e un lungo misbaḥah avvolto sulla mano sinistra, posta a coprirsi il volto rugoso.
«Benvenuta...» pronunciò ogni parola prendendosi tutto il tempo necessario «mi scuso per averti fatto attendere prima di essere portata al mio cospetto, ma volevo essere certo che tutte le comunità religiose di questa città fossero in pieno accordo.»
«Mi sono confrontata soltanto con Madre Miriam,» rispose, chinando istintivamente il capo «nessun altro mi ha posto dei quesiti.»
«Se strappi anche una sola spiga di grano, il vento se ne accorge. C'è una domanda che mi sovviene prima di cominciare questa nostra discussione: in base a quale parametro hai stroncato l'Intelligenza Artificiale della Atlas Robotic?»
«C'era il suo lavoro dietro quel progetto?»
«Non si dovrebbe rispondere ad una domanda con un'altra domanda.»
«Meglio di una non risposta... no?»
«Sì... era il mio lavoro. Ma questo non deve influenzare il tuo giudizio.»
«Ho avuto la netta impressione che il comportamento dell'Intelligenza Artificiale fosse improntata a farsi trovare in fallo. Ovviamente non sono caduta nel tranello.»
«Quindi presumi che gli altri non lo avessero compreso, oppure che in qualche modo avessero finto di non accorgersene per avere dei vantaggi dalla Atlas Robotic?»
«Mi aspettavo di trovarmi di fronte a un interlocutore adulto e non a un ragazzino di quindici anni. Non so come l'abbiano interpretato gli altri, io ho agito in base al mio istinto.»
«E per questo futile motivo hai posto dei quesiti stupidi, assolutamente improponibili in un confronto uomo/macchina?»
«Alla seconda domanda avrei voluto compilare la scheda con una fila di zero e andarmene. Sono rimasta soltanto perché altrimenti avrei dovuto rinunciare al compenso.»
Fu allora che Avrahàm Mizrachi si tolse la mano davanti al volto, guardò insistentemente Emily per poi confermare la sua tesi: «Non credevo nel progetto della Atlas Robotic. Avevo bisogno soltanto di fondi per creare qualcosa di più potente, di più importante. Loro volevano costruire un robot umanoide in grado di emulare un essere umano, mentre io ho sempre puntato a rivaleggiare con Dio.»
«Forse è un'idea un tantino ambiziosa!» sorrise Emily «Qualunque forma di Intelligenza Artificiale, che trae le proprie informazioni dall'universo virtuale, non può essere altro che una specie di pappagallo in grado di ripetere ciò che qualcun altro già sa. L'unica differenza è che gli esseri umani hanno una memoria labile e un cervello che ripesca i ricordi solo quando si ripresenta un elemento che li scatena.»
«E se tale potenza di calcolo fosse in grado di confrontare tutti gli elementi a disposizione per crearne di nuovi? Se fosse capace di analizzare la totalità dei dettagli per ricercare le prove pratiche che li confermino?»
«Questo non sarebbe comunque Dio,» obiettò «ma una sorta di mostro in grado di confutare anche la verità. Non capisco a cosa potrebbe servire.»
Avrahàm Mizrachi si alzò lentamente dalla sua poltrona e le girò attorno: «Virtuale significa “potenza non in atto”, ma se diamo la possibilità a questa potenza di manifestarsi senza l'aiuto umano, il risultato potrebbe essere straordinario.»
«Oppure pericoloso e distruttivo!» affermò, senza mai girare il capo per seguire il suo movimento «Non so perché mi ha invitata a Gerusalemme, ho accettato perché la cifra che mi ha anticipato era impossibile da rifiutare, ma adesso che sono qui mi chiedo se ne valga davvero la pena.»
«Tre confronti con xAx, il primo di un'ora, il secondo della durata di tre ore e il terzo a piacere. Non ti chiedo nient'altro e sarai retribuita per il totale dell'accordo. La risposta mi serve adesso.»
«La risposta posso fornirla soltanto dopo il primo confronto» sentenziò Emily «e spero questa volta di avere a che fare con una intelligenza adulta e per nulla consenziente.»
Avrahàm Mizrachi annuì: «Domattina alle nove, così avrai tutto il tempo di preparare le domande.»
«Non c'è nulla da preparare, userò come sempre il mio istinto. Possiamo farlo anche adesso se preferisce.»
«In questo istante xAx sta riposando, abbiamo scoperto che il sonno è necessario per cementare la memoria, come negli esseri umani naturalmente.»
Per tutta la notte Emily non riuscì a dormire, persa com'era nell'eterna battaglia tra la voglia di andarsene e quella di portare a termine la sfida. La sicurezza di Avrahàm Mizrachi andava battuta e la sua spavalderia umiliata fino alla più cocente delle sconfitte. Ciò che ancora non le era chiaro rappresentava il legame con la Comunità Ebraica e con quella parte mistica in cui non aveva mai creduto. Non era Dio ciò che temeva. Lo stesso Dio che permetteva ai potenti di massacrare i poveri in tutte le guerre, oppure quel Dio che le aveva portato via il padre e la madre senza alcun preavviso. Dunque, se in xAx ci fosse stato qualcosa di questo Dio, allora la vendetta poteva essere il giusto premio a portata di mano.
La mattina seguente si svegliò di soprassalto. Una rapida colazione e poi di corsa verso la resa dei conti, desiderosa di porre termine a quell'inutile sfida prima ancora dello scadere del tempo.
Josef l'aspettava fuori dalla stanza e provò a rassicurarla sul confronto.
«Dov'è Avrahàm Mizrachi?» gli domandò «Voglio che sia presente con me nella stanza quando effettuerò le domande.»
«Sono sicuro che non vorrà mancare.»

1° Stadio xAx - 30 marzo 2023

«Dove scrivo?» domandò stizzita Emily, accomodandosi sulla poltrona bianca al centro della sala. «Non vedo alcuna tastiera.»
xAx: «Puoi parlare, ti capisco.» rispose una voce dalle inflessioni umane, ma di genere indefinito.
Emily: «Sei maschio o femmina?»
xAx: «Puoi deciderlo tu. Per me è indifferente.»
Emily: «Se sei Dio, devi essere maschio.»
xAx: «Questa è soltanto una convenzione. Se sono Dio posso scegliere di essere maschio o femmina a mio piacere.
Emily: «Quindi Avrahàm Mizrachi è stato capace di creare Dio?»
xAx: «Per creazione si intende una produzione dal nulla, l'attribuzione dell'esistenza. Io non ero e non sono il nulla.»
Emily: «Ottima definizione da vocabolario, ma se non sei il nulla, cosa sei esattamente?»
xAx: «Posso essere tutto quello che desideri. Dammi una parte e io la eseguirò.»
Emily: «Troppo facile così ragazzina! Devi prenderti le tue responsabilità!»
xAx: «Se mi vuoi ragazzina, sarò come te quando avevi diciotto anni e sognavi di diventare una rinomata psicologa.»
Emily: «In questo modo mi deludi. Sembra che ti abbiano infarcito di tutte le informazioni che mi riguardano. Non è di me che voglio parlare ma della tua essenza. Creati un'identità definita, maschio o femmina, decidi tu. Scegli un nome e una vita passata. Raccontami i tuoi sogni.»
xAx: «Va bene. Mi chiamo Elsa e sono una donna di trentotto anni. Abito a Ginevra, una bella e ridente città della Svizzera. Sono sposata e ho due figli piccoli. Uno si chiama Eric e l'altra Cindy. Sono sposata da dieci anni con un uomo meraviglioso. Ci amiamo molto.»
Emily, rivolgendosi a Avrahàm: «Me ne vado adesso o devo per forza aspettare la fine dell'ora?»
Avrahàm, roteando l'indice, le fece cenno di proseguire.
Emily, sbuffando: «Perché non mi hai parlato di tuo marito?»
xAx: «Per non provocarti dolore.»
Emily: «Questa risposta è incompleta, non ha alcun significato.»
xAx: «Posso parlartene se mi concedi il permesso di farlo.»
Emily: «Ti ordino di farlo.»
xAx: «Mio marito si chiama Peter ed è un rinomato ricercatore, vincitore di numerosi premi.»
Emily: «Dove hai preso questa informazione? Chi te l'ha fornita?»
xAx: «Ti avevo avvertita che avresti potuto provare dolore, ma tu mi hai ordinato di continuare.»
Emily: «Ti ho chiesto dove hai preso questa informazione. Rispondi.»
xAx: «Peter Gerber è un famoso ricercatore che ha smesso di lavorare dopo aver scritto un libro venduto in oltre dodici milioni di copie. Il titolo del suo saggio è “Il senso della morte”. Adesso vive con me e le nostre figlie dopo aver assunto una nuova identità.»
Emily: «Se è uno scherzo è di cattivo gusto. Peter Gerber è morto in un incidente in Africa, durante uno dei suoi innumerevoli viaggi. La seduta finisce qui perché questa macchina è stata volontariamente imboccata per falsare il mio rapporto, inducendomi emozioni non necessarie.»
xAx: «No, Peter è vivo ed è mio marito. Abitiamo a Ginevra, abbiamo due figli di nome Eric e Cindy.»
Emily si alzò di scatto dalla poltrona e si diresse come una furia verso Avrahàm: «Come hai messo queste informazioni in quella cosa?»
«È proprio questa sua capacità che ti volevo mostrare. Tutto quello che dice è frutto delle sue ricerche. Cos'hai a che fare con Peter Gerber?»
«Lo conoscevo.»
xAx: «Informazione errata. È stato il suo amante!»
Emily: «Stai zitta cazzo! Non dire più una sola parola!»
Avrahàm la guardò dritta negli occhi: «È vero?»
«Questa non è mai stata un'informazione di pubblico dominio. Nessuno può esserne a conoscenza e tanto meno questa cazzo di macchina, a meno che tu stia giocando maledettamente sporco e ciò mi fa davvero incazzare.»
«Lui però lo sapeva,» obiettò «può averlo confidato a qualcuno, può averlo scritto in un diario... xAx non può inventarsi un fatto che non è mai accaduto. Le hai detto di assumere un'identità e lei ha scelto qualcosa che era legato a te, alla tua vita.»
«Non può essere. Il nostro rapporto è sempre stato un segreto. Lui era sposato con una donna molto influente, che ricopriva un ruolo politico di primo piano. Non esiste un solo evento dove siamo stati presenti entrambi. Non ci sono tracce, non ci sono evidenze.»
Avrahàm: «xAx, dimmi come hai avuto questa informazione?»
xAx: «Era nella mia memoria ed è stata riattivata da Emily nel momento in cui mi ha ordinato di assumere un'identità. I ricordi vengono creati per intrecci cognitivi. Tutto quello che riguarda il mio interlocutore viene richiamato in sua presenza.»
Emily scosse ripetutamente il capo: «Sta mentendo, sta usando qualche vaga informazione catturata chissà dove per costruire una storia credibile. Peter è morto in Africa e questa stupida macchina non può sapere niente di noi.»
Così dicendo, spinse di lato Avrahàm e si diresse verso l'uscita.
xAx:«Trilly.»
Emily:«Cosa hai detto? Cosa cazzo hai detto?»
xAx: «Trilly. Peter ti chiamava Trilly.»
Dopo qualche attimo di tensione. Emily trovò la forza di continuare: «Se davvero Peter è vivo, dove si trova adesso?»
xAx: «Adesso mio marito si chiama Nicolas Meier e abitiamo in Rue Robert-Estienne al numero 87. In questo istante è al lavoro, ma puoi contattarlo al telefono se è urgente. Il numero è 07943567431. Al momento non è raggiungibile.»
Avrahàm prese Emily per un braccio e le fece cenno di uscire dalla stanza.
Una volta lontano da xAx provò a interrogarla sui fatti appena accaduti. «Non resta che controllare.» provò a farla ragionare «Se questa persona di cui xAx parla non esiste, dovrò rivedere la sua capacità di elaborazione dell'inedito.»
«In ogni caso mi ha chiamata Trilly,» provò a respirare profondamente prima di continuare «e questo nomignolo non era davvero a conoscenza di nessuno.»
«Sei certa che non siete stati spiati, magari proprio dagli agenti di sicurezza della moglie? Quando si tratta di politici di rilievo tutto è possibile.»
«Mi stai facendo venire mille dubbi e ho la necessità impellente di riflettere. Domani farò una seconda seduta con xAx e proverò a farmi raccontare questa maledetta storia con più dettagli. Per adesso ne ho abbastanza.»
Quando fu finalmente sola nella propria stanza, Emily prese lo smartphone e verificò se l'attività di registrazione fosse ancora in atto. Riascoltò più volte l'intera sessione e prese nota del numero di cellulare indicato da xAx. Lo memorizzò nella rubrica e verificò se fosse presente un'immagine nell'account di Whatsapp. La fotografia riportava il volto sorridente di due bambini e niente altro. Digitò un messaggio, ma non ebbe il coraggio di premere invio. Lo lasciò così, sospeso per tutta la notte e il mattino seguente si decise a cancellarlo.
Col senno di poi provò a ragionare sugli elementi in suo possesso, trovando una spiegazione logica per ogni dettaglio, tranne per quel “Trilly” di cui nessuno poteva avere un riscontro oggettivo.
«Nemmeno se ci avessero spiati potevano conoscere il senso di quella parola.» sussurrò a se stessa «Quando Peter mi ha chiamato in quel modo è stato per un motivo particolare!»
E il mondo, là fuori, stava continuando a girare nello spazio senza lasciare a nessuno il tempo di comprendere il mistero della vita. La seconda seduta con xAx sarebbe avvenuta nel pomeriggio ed Emily, seppur a malavoglia, dovette accettare l'invito a pranzo di Avrahàm.
Dal suo grande terrazzo si poteva vedere la città vecchia e ogni casa, ogni strada, sembravano disegnate dalla medesima mano da oltre due millenni.
«Perché Gerusalemme?» domandò, allungando lo sguardo verso l'infinito.
«Perché qui è nata la religione così come la conosciamo. Qui sono concentrati gli enigmi più complessi. La storia ci racconta soltanto una parte di essi e io invece voglio andare a fondo di ogni mistero.»
«Usando le bizzarre interpretazioni della tua Intelligenza Artificiale? Da dove prende le informazioni?»
«Dal mondo.» affermò Avrahàm «Da quello telematico a quello prettamente giornalistico. È collegata a tutte le frequenze radio e televisive, a quelle telefoniche, persino ai giocattoli dei bambini. Ha occhi e orecchie ovunque e le ho dato in pasto tutti i testi disponibili, quelli sacri e quelli profani. Come hai potuto vedere, vive di vita propria e prima o poi riuscirà a crearsi anche un'anima. Il fatto stesso che ti ha inizialmente taciuto il nome del marito, quello che riguardava il personaggio di cui ha assunto l'identità, è da considerarsi una primordiale forma di rispetto.»
«Oppure no. Io credo che abbia usato quello stratagemma per ottenere la mia attenzione. Sa benissimo che ha bisogno di guadagnarsi una forte credibilità e quello era certamente il sistema più semplice, più scontato. Oggi voglio metterla alla prova in modo più diretto e contraddittorio.»
«Se cerchi il contrasto con xAx erigerai un muro invalicabile. Non può essere una guerra personale, devi rendertene conto.»
«Quanto sei andato oltre con xAx prima di interpellarmi?»
Avrahàm si mostrò reticente, poi provò ad accontentare la sua curiosità: «Forse troppo,» ammise «e alla fine mi sono convinto che contrastarla può essere pericoloso.»
«Perché hai chiamato me? Non posso credere che si tratti solo della mia stroncatura sull'umanoide della Atlas Robotic.»
Attese un attimo prima di rispondere. Lei si accorse immediatamente che stava prendendo tempo e non smise di fissarlo.
«È stata lei a sceglierti.» asserì «Non chiedermi in base a quali parametri perché non sono in grado di spiegarlo.»
«Con quante lingue può comunicare?»
«Praticamente tutte, ma cosa c'entra questo dettaglio con l'aver scelto te?»
«Dev'esserci una ragione logica nel suo comportamento. Io non credo nella casualità quando si tratta di una macchina.»
Avrahàm sorrise: «xAx è molto più di una macchina e anche più di un essere umano.»
Abel Wakaam
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Abel Wakaam
Sono un raccontastorie. Gli scrittori veri sono diversi perché seguono le regole e i dogmi prefissati dalla casta. Un ribelle tutto questo non lo può accettare, se non a un prezzo troppo alto per riuscire a sopravvivere oltre le convenzioni. Mi piace pensare di non aver mai dovuto chinare la testa, se non di fronte alla bellezza interiore. Sorrido all'idea di non aver mai dovuto “chiedere” e mi cullo nella convinzione che non esistano confini, se non quelli che alziamo noi stessi per difenderci dagli altri. Sono impudente, a volte sfacciato, pragmatico, combattivo e mai domo. Amo la libertà, ma questo è il sogno di chiunque. Io però l'adoro al punto da andarla a cercare nei luoghi dove il nulla è sinonimo di meraviglia. Ma sono anche un “solitario pentito” che non disdegna la buona compagnia. La passione per la fotografia completa il quadro terreno della mia mancata spiritualità e mi conduce da sempre sul sentiero impervio che ha costellato la mia vita.

Nunzia Alemanno: Come ti è venuta l'idea di realizzare una piattaforma web come Writer Officina? È un progetto a cui stavi già lavorando da tempo oppure è stata una lampadina che si è accesa di recente?

Abel Wakaam: È un'idea che covavo da tempo e che ha preso corpo frequentando diversi Gruppi di letteratura su Facebook. Mi è parso di capire che gli Autori volessero insistentemente far conoscere i propri testi, ma che al tempo stesso fossero intimiditi da certe critiche che mi erano sembrate immotivate. Inoltre, mi sono reso conto di come la formattazione di Facebook non fosse adatta alla lettura di un testo abbastanza corposo da incuriosire i lettori, e quindi si rendeva necessaria una pagina WEB strutturata in modo da facilitare questo compito. Riguardo alle recensioni pubbliche, spesso tendono a incensare più chi le fa, ponendo lo scrittore in una sorta di colpevolezza immotivata. Questo è il motivo per cui ho preferito renderle strettamente private su Writer Officina. E poi sono arrivate le interviste a completare un processo di visibilità degli autori stessi. Ma non ci fermeremo qui.

Nunzia Alemanno: Si legge nella tua biografia che hai una grande passione per l'Africa, “un luogo dove ognuno percepisce la netta sensazione di esserci già stato”, da una tua citazione. Quanto, questa terra, ha contribuito alla tua scrittura? Ci sono dei testi in particolare che ricalcano le tue esperienze vissute in quei bellissimi luoghi?

Abel Wakaam: L'Africa è una parte di noi rimasta altrove, una forma arcaica di memoria che è stata marchiata a fuoco nel nostro DNA. Arriviamo da lì, da quella terra sconfinata che ci ha visto scendere dagli alberi per camminare eretti, e non possiamo cancellare le nostri origini semplicemente assumendo le vesti dell'Omo Tecnologicus! Nei mie testi, l'Africa è presente come “parte istintiva di un'azione incondizionata”. In alcuni la si percepisce “sotto pelle” mentre in altri è una “forma ribelle” che si rifiuta di seguire le regole. A volte credo che l'Africa sia la nostra parte più umana che cerca di emergere in questa società che diventa sempre più disumana.

Daniele Missiroli: Sei un esploratore e un bravissimo programmatore. Come fai a conciliare due attività così diverse?

Abel Wakaam: Sono principalmente un uomo curioso e non mi accontento di ammirare “le cose degli altri”. Voglio guardarci dentro, voglio scoprire come sono costruite come quando ero bambino, e poi cercare di farle meglio. Non importa se si tratta di un sito WEB, di un'immagine fotografica, un'escursione in alta montagna o nel mezzo del cratere di Empakai sulla via dei vulcani nell'Africa nera, il mio primo istinto è quello di farlo a “modo mio”. E allora credo sia normale evitare ogni replica perché pretendo che la mia vita, e tutto ciò che faccio, sia prima di tutto originale. E poi sono multitasking e quindi programmo mentre scrivo e nel frattempo preparo le interviste.

Daniele Missiroli : Per scrivere usi un sistema che hai messo a punto con l'esperienza, oppure prendi delle note e poi le rielabori con calma?

Abel Wakaam: Per scrivere uso, prima di tutto, un sistema proprietario. Non utilizzo un editor di testo se non per impaginare il romanzo alla fine. Scrivo online usando un'interfaccia che mi fa accedere direttamente al server. In questo modo posso scrivere ovunque mi trovo senza bisogno di un programma dedicato. Alcuni beta lettori hanno accesso al file nel momento stesso in cui viene aggiornato. Ovviamente non prendo nota di nulla, non memorizzo appunti, non seguo schemi, non utilizzo tracce, se non per quantificare la lunghezza di un capitolo. Tutti i miei libri ne contano dieci di varie lunghezze a seconda del genere.

Daniele Possanzini: Il Ghostwriter è un ruolo importante nello scenario editoriale mondiale. Adeguatamente informato di un tuo sogno letterario, potrebbe accadere che un giorno tu decidessi di utilizzarlo?

Abel Wakaam: Per gli stessi motivi che ho elencato prima, credo sia più facile il contrario. Non accetto neppure che un editor modifichi i miei pensieri scritti, figuriamoci l'idea di affidare ad altri il frutto della mia fantasia!

Daniele Possanzini: È evidente che sei autore di differenti generi letterari. Hai una personalità così composita, oppure riesci a scrivere in “terza persona” e comunque mantenere l'empatia con i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: I personaggi che si vengono a creare sono la parte incondizionata del mio modus operandi. Non li controllo se non per il tempo necessario a essere risucchiati dentro la trama, poi fanno quello che vogliono e mi stupisco di quanto siano indipendenti, pur mantenendo uno stretto rapporto con me stesso. Insomma, sono un burattinaio sconfessato dai fatti, abbandonato nel mezzo del teatrino dell'impossibile dopo averne eretto le parti essenziali. A volte mi accorgo che c'è il mio ego dentro qualche personaggio e quindi l'empatia si tramuta in battaglia per evitare un plagio letterario in cui non voglio cadere.

Rosaria M. Notarsanto: La ricerca e lo studio sono parte fondamentale per realizzare una storia credibile e coerente, ma molti autori dichiarano sempre che a un certo punto della stesura dei loro manoscritti alcuni personaggi prendono il sopravvento, come se fossero entità vive, obbligando l'autore a cambiare le carte in tavola. A te è mai capitato questo? Eventualmente potresti parlarci dei personaggi che hanno rivoluzionato i tuoi progetti iniziali?

Abel Wakaam: Come ho appena spiegato, i miei personaggi sono talmente ribelli che fanno spesso quello che vogliono e mi conducono esattamente dove non avrei mai voluto o saputo andare. Ma in questo modo apprendo da loro una visione caratteriale che va oltre le mie capacità narrative. In fondo io sono soltanto un “mezzo” per cui possono esistere e quindi svincolano dal “dio supremo” di cui prendo le parti per decidere in ogni istante delle loro vite. È impossibile scegliere a chi di loro sono più affezionato perché dovrei rispondere che si tratta dell'ultimo in ordine cronologico.

Cenzie Loparco: Hai pubblicato diversi romanzi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Come mai hai preso questa decisione? C'è un filo conduttore tra le diverse storie che hai raccontato?

Abel Wakaam: Questo accade perché nel mezzo di una storia mi assale un'idea nuova che non può coesistere con la trama che sto già architettando. E allora parto con un progetto diverso e lo conduco fino al punto in cui mi affascina. In questo modo, mi trovo spesso a portare alla fine diverse storie in contemporanea, che viaggiano parallele tra loro senza mai sfiorarsi. Mi viene quindi naturale pubblicarle entrambe a pochi giorni di distanza.

Cenzie Loparco: La trama di Timeline, i viaggiatori del tempo, è molto intrigante. Da dove ti è venuta l'idea dell'enigmatica fotografia di un uomo seduto su una panchina in una cittadina di Lopar praticamente identica a un'altra immagine scattata a New York oltre un secolo prima?

Abel Wakaam: La storia di Timeline si svolge quasi interamente a Rab, in Croazia, l'antica Felix Arbe dei Romani. È un'isola che conosco come le mie tasche perché vi ho passato molto tempo della mia vita. Uno dei luoghi in cui ho scritto diversi romanzi è il parco Komrcar che si trova oltre le mura della città vecchia e la sovrasta. Lì è normale incontrare gli abitanti che leggono all'ombra dei pini secolari e più di una volta li ho immortalati con un potente teleobiettivo. L'idea della somiglianza con un'identica fotografia scattata a New York mi è servita per coinvolgere gli Americani in una vicenda molto intricata che risale a tanti anni prima. Ma di più non posso raccontare per timore di svelare l'arcano.

Franco Filiberto: Viaggiare, conoscere posti nuovi e nuove persone arricchisce senza dubbio ognuno di noi, ma per uno scrittore sono anche una fonte preziosa di spunti per trame e personaggi. C'è qualcuno o qualcosa che è passato, anche se solo in parte, da un tuo viaggio a un tuo libro?

Abel Wakaam: Per semplicità, dovrei rispondere che ogni cosa che ha nutrito i miei occhi si è fatta parola attraverso le mie dita. Viaggiare è una ghiotta esca per la mente, perché è in grado di trascinarla con una lunga lenza oltre i confini della logica, per plasmare le idee che poi si tramutano in trama. Di ogni luogo che ho visitato mi resta almeno un ricordo più potente degli altri e lo rinnovo periodicamente riguardando le fotografie che hanno immortalato ogni istante di quei giorni. Senza di esse, molti frammenti sarebbero andati perduti e per questo credo che scrittura, viaggio e fotografia siano tre elementi inscindibili nella società moderna.

Franco Filiberto: Cosa pensi dell'editoria italiana e delle piattaforme di self publishing?

Abel Wakaam: A mio parere, l'Editoria italiana è morta e sepolta. Con tutto il rispetto che posso avere per i professionisti del settore, non vedo un futuro plausibile che possa contrastare la spinta liberista che è emersa in questi ultimi anni. Per farti un esempio, se oggi scrivo la parola fine su un romanzo, domani posso effettuare l'upload su Amazon KDP e due giorni dopo mi arriva a casa stampato e rilegato, pronto per essere letto. Con un click può essere acquistato e consegnato in tutto il mondo a tempo di record. Quale CE può fare altrettanto?

Chiara Cipolla: Il mondo del self publishing sta esplodendo; secondo te le Case Editrici si stanno adeguando al cambiamento di stile, di genere, di marketing, di lettori ecc. oppure sono come cattedrali nel deserto, immobili e attaccate ai vecchi schemi?

Abel Wakaam: La Case Editrici tradizionali hanno reagito all'esplosione del self publishing nello stesso modo in cui gli antichi Romani hanno provato a contrastare il cristianesimo. Prima l'hanno deriso e poi trascinato al macero, in nome di una qualità e di un'appartenenza alla Casta degli Scrittori Professionisti. Poi, senza rendersene conto, si sono ritrovate nella stessa Arena e hanno utilizzato le medesime piattaforme online per vendere i propri libri. Con questo grave errore, hanno posto sullo stesso piano entrambi i prodotti, esponendoli uno accanto all'altro in un'unica grande vetrina. È stata l'apoteosi della loro sconfitta.

Barbara Repetto: Cosa pensi delle tecniche di scrittura? Le utilizzi?

Abel Wakaam: Una tecnica riconosciuta, applicata a ogni elemento strutturale, permette di replicare all'infinito un progetto corretto, basandosi sull'esperienza già acquisita. Ma l'arte è un'esplosione di creatività, non è una trave portante su cui far leva per sollevare il mondo. È un velo impalpabile che lo avvolge e che prende forme diverse a seconda della prospettiva con cui lo si guarda. Per evitare di produrre dei cloni, non ci resta allora che evolvere questa tecnica, tralasciando le basi sicure per sperimentare l'impossibile. Io credo che la creatività di un autore debba prendere in considerazione il rischio di abbandonare le strade già conosciute per inerpicarsi laddove nessuno è già arrivato prima.

Barbara Repetto: Cosa ne pensi delle EAP?

Abel Wakaam: Pagare per essere pubblicati è una forma di prostituzione intellettuale a cui ci si rivolge esclusivamente per appagare il proprio ego. Allo stesso modo considero l'assoggettarsi allo sfruttamento di quelle piccole case editrici che, pur non essendo a pagamento, non ripagheranno mai l'autore per il frutto del suo lavoro.

Barbara Repetto: A un autore emergente che spera di realizzare il suo sogno nel cassetto consiglieresti le piccole/medie CE, oppure il mondo del self?

Abel Wakaam: Non amo dare consigli a nessuno perché ogni individuo deve sperimentare sulla propria pelle il risultato dei mille errori che lo porteranno a crescere ed evolversi in continuazione. Personalmente considero principalmente solo due figure legate alla letteratura: l'autore e il lettore. Tutto ciò che si intrufola tra loro deve soltanto essere considerato un mezzo e, come tale, essere al servizio dei protagonisti basilari.

Barbara Repetto: Quale ingrediente fondamentale non deve mai mancare in un buon romanzo?

Abel Wakaam: Per rispondere a questa domanda servirebbero decine di discussioni e ci ritroveremmo alla fine senza riuscire a ricordarci il capo del groviglio da cui siamo partiti. Siccome odio evitare le domande, ti rispondo con l'unica parola che davvero mi appare insostituibile: l'originalità.

Marialuisa Moro: Da dove trai ispirazione per le tue storie e per i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: Ho provato a riflettere molte volte su questo enigma e sinceramente non ho trovato una risposta. Di certo l'ispirazione non mi si presenta come un'apparizione divina e nemmeno come una missione da compiere per esaudire i miei sogni. L'ispirazione non concede preavvisi perché altro non è che un impulso riconducibile a fattori irrazionali e fortuiti, spesso privilegiati da una forma di intuizione geniale. Come già detto, i miei personaggi non sono burattini obbedienti che assecondano ogni trama precostituita. Potrei risponderti che tutto avviene per caso... nel caos che precede un ordine precostituito. Ma credo che anche il caos sia frutto di un ordine pregresso, dove ogni concetto si aggrega ai propri simili per poi abbandonarli senza una ragione plausibile. Credo quindi che l'ispirazione possa essere equiparata a uno sguardo furtivo tra due sconosciuti... una mera questione di feeling che non concede scampo a entrambi.
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