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Meraki
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Gran Bretagna - Cornovaglia - Scilly Islands.
Gugh è un'isola tidale, un lembo di terra collegato all'isola St. Agnes da un tombolo, una sottile banda sabbiosa che periodicamente viene ricoperta dalle acque durante l'alta marea. È una situazione geologica di per sé instabile e, proprio per tale natura, queste terre emerse vengono utilizzate per costruzioni particolari come fortezze o abbazie. Fa parte dell'arcipelago delle isole Scilly, da sempre considerate una terra di frontiera, dove le comunità di residenti hanno mantenuto tradizioni e abitudini vecchie di secoli. A differenza di molti altri luoghi simili, come il Mont Saint Michel e la Penisola di Giens in Francia, il Castello Aragonese di Ischia in Italia, Lindisfarne in Inghilterra e il Castello di Methoni nel sud della Grecia, Gugh ospitava una proprietà privata, costituita da una fattoria e della rispettiva abitazione, entrambe in disuso da alcuni anni.
Quando quello strano uomo arrivò col traghetto, trascinandosi dietro il suo enorme baule e vi si sedette sopra in attesa che calasse la marea, per tutti fu chiaro che era venuto per restare. Qualcuno disse che il suo nome fosse Warren. L'aveva sentito pronunciare durante la traversata, in uno scambio di informazioni con uno dei marinai, ma per tutti a St. Agnes, era soltanto "lo straniero". Prese possesso della sua terra oltre il tombolo con passo incerto. Chi lo vide, disse che si inginocchiò sulla sabbia ed alzò le mani al cielo, prima di percorrere con fierezza gli ultimi passi come se fosse Cristoforo Colombo quando raggiunse finalmente le sue Indie.
Aveva sessant'anni ma ne dimostrava il doppio, con quel viso nascosto dai lunghi capelli bianchi stropicciati dal vento. Per qualche giorno sembrò essere svanito nel nulla, poi riapparve al tramonto sulla riva, armato di canna da pesca.
- Mangia solo quello che riesce a pescare... - fu il commento di uno degli anziani - vive senza acqua corrente né luce elettrica, proprio come un eremita!
In realtà Warren si era portato con sé tutto ciò che poteva trasportare dentro il suo capiente baule, sistemato a mo' di carretto su due piccole ruote, ma era ovvio che prima o poi si sarebbe dovuto spingere fino al villaggio per fare provviste. La prima volta che osò presentarsi nell'emporio di St. Agnes, il commesso corse subito nel retrobottega a chiamare il gestore. Entrambi restarono imbambolati lì a fissarlo, in attesa che pronunciasse qualche parola. Invece lui tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta da pacchi, su cui aveva scritto diligentemente la lista di ciò che aveva bisogno. Attese che la merce venisse appoggiata sul bancone, ne controllò etichette e scadenze e poi, lentamente, si avvicinò alla cassa per pagare. Saldò il conto fino all'ultimo penny, quasi volesse liberarsi dagli spiccioli. Ripose ordinatamente la spesa in una sacca e se ne tornò con calma da dov'era venuto.
Da quel giorno, lo straniero divenne l'incubo dei curiosi ed ogni sua mossa, ogni respiro, veniva seguito con attenzione da chiunque si trovasse ad incrociarlo. Le domande che si rincorrevano erano sempre le stesse. Come aveva potuto acquistare le proprietà del vecchio Murray e come aveva fatto a pagarlo, considerata la sua apparente indigenza? Quello che poi mandava tutti in bestia era il non sapere il motivo per cui si era trasferito da quelle parti.
- Dovrebbero fare una legge per cui le proprietà delle Scilly debbano essere vendute soltanto a chi è nato e vissuto qui! - Sbraitò Morgan, picchiando il pugno sul pesante tavolo del bar.
- Guardati intorno, - obiettò Martin - quelli che sono rimasti lo hanno fatto perché non hanno abbastanza denaro per scappare sul continente. A nessuno interessa più investire su queste terre.
- E allora perché lo straniero ha acquistato la proprietà di Murray? Visto che sei così informato, svelaci cosa è venuto a fare qui!
- Sarà uno scrittore... - affermò senza troppa convinzione - di solito sono loro a estraniarsi dalla civiltà per trovare l'ispirazione per un nuovo libro.
- Certo, - lo incalzò, sollevando il bicchiere in aria - oppure un ricercato dalla Polizia o un assassinio seriale che vuole far perdere le sue tracce.
- E' solo un vecchio! - Intervenne Theodore, cercando di pulire il bancone, colmo di bicchieri vuoti - Non ricamateci sopra troppe storie o finirà che passerete inutilmente le vostre notti insonni. State cercando risposte complicate invece di farvi la domanda più semplice.
- Sei diventato anche un filosofo adesso? Sentiamo questa domanda facile facile.
- Chiedetevi come mai non siete mai andati via da questo posto e probabilmente scoprirete perché lui è venuto qui.
- Per me è muto, - tagliò corto Morgan - nessuno l'ha mai sentito parlare.
- Ma che dici? Perché un muto dovrebbe venire qui?
- Perché così non sente le vostre cazzate! - scoppiò a ridere - Datemi retta, lo straniero è arrivato per un motivo specifico, qualcosa di losco, ed io lo scoprirò!
Dopo qualche giorno dal suo arrivo e dopo svariati tentativi di seguirlo nei suoi ripetuti andirivieni all'emporio, il postino confermò che il vero nome dello straniero era davvero Warren. - ...ed il cognome dovrebbe essere Beker, o qualcosa di simile. - spiegò - E' arrivato un pacco per lui e sull'etichetta c'era scritto appunto Warren B. Gugh Island.
Alla domanda sul mittente, l'uomo si guardò in giro e abbassò repentinamente il tono della voce: - Sembra che provenisse da Hong Kong.
- Allora è tutto chiaro! - commentò Morgan, ordinando una bottiglia di birra - Solo chi ha qualcosa da nascondere poteva comprare la proprietà di Murray e intrallazzare segretamente coi cinesi!
Un ulteriore indizio su quel misterioso personaggio arrivò alla fine dell'anno scolastico, quando i ragazzi erano soliti festeggiare lungo il tombolo che univa St. Agnes a Gugh. Appena provarono a oltrepassare quella piccola lingua sabbiosa, si trovarono di fronte a Warren che subito tracciò una linea per terra: - Consideratelo un confine invalicabile. - sentenziò - Tutto quello che si trova oltre a questo punto è proprietà privata.
- Privata di chi? - obiettò Alvin, considerato da tutti il capo della compagnia.
- Privata mia! - ribadì lo straniero, avvicinandosi con aria decisa.
- Noi abbiamo sempre giocato dove ci pareva... non esistono proprietà private su quest'isola e poi, da quella parte c'è il nostro castello!
- Non c'è nessun castello sulla mia terra! Se oltrepassate il confine ve ne farò pentire amaramente.
- Il castello c'è! - insistette il ragazzino - Si trova oltre quegli alberi laggiù e, anche se a te possono sembrare solo quattro mura diroccate, per noi ha un grande valore. E' il nostro punto di ritrovo.
Warren mutò improvvisamente espressione: - Il vostro castello si trova dalla parte sbagliata del confine... ma possiamo fare un patto.
- Noi non scendiamo a patti con uno sconosciuto!
- Ah no? Allora stanotte, mentre dormirete, prenderò il piccone e raderò al suolo quelle quattro mura. Poi butterò i sassi di cui sono fatte in mare così risolviamo il problema del castello una volta per tutte!
Il ragazzino si allontanò di qualche metro e confabulò con gli altri per alcuni minuti: - Possiamo ascoltare la tua proposta, - esclamò, tornando sui propri passi - ma non è detto che intavoleremo una trattativa.
- Potrei concedervi il diritto di passaggio fino al vostro rifugio, - spiegò lo straniero, sedendosi a cavallo del confine - ma questo vi costerà un pedaggio.
- La tua richiesta è scartata, - rispose Alvin - noi siamo ragazzi, non abbiamo soldi.
- Non ho parlato di denaro, un pedaggio si può pagare in molti modi.
- Cosa abbiamo da guadagnare nel pagarti un pedaggio?
- Intanto sarete gli unici a poter raggiungere il castello, e questo mi sembra un ottimo privilegio. Immaginate quando gli altri ragazzi del posto sapranno di questo vostro vantaggio. Pensateci bene... gli unici a poter calpestare la terra di Gugh.
Dopo un rapido conciliabolo, il ragazzino domandò quale fosse il pedaggio da pagare.
- Pane, frutta, burro, marmellata... insomma, quello che vi passano come merenda. Non voglio tutto, ma soltanto quello che deciderete di dividere con me.
- Non hai da mangiare? Se hai comprato l'isola devi avere un sacco di soldi.
- Diciamo che ho speso tutto quello che avevo per acquistare questa terra e adesso sono un po' a corto di contanti. Almeno finché non avrò finito di sistemare la casa e non troverò un lavoro.
Alvin si voltò di scatto per controllare l'espressione degli altri ragazzi e poi annuì. - Un giorno, in chiesa, il prete ci ha letto una frase in cui si raccomandava di dar da mangiare agli affamati...
- ...anche dar da bere agli assetati... - si affrettò ad aggiungere Warren - accetto anche qualche bottiglia di birra come pedaggio.
- Non ci danno la birra per merenda! - lo affrontò a muso duro - Dovrai accontentarti di quello che ci passano le nostri madri.
Suggellarono il patto con una stretta di mano ed uno sputo dietro la schiena. - Non dite nulla a nessuno del nostro accordo, - ribadì lo straniero - deve restare un segreto tra noi, altrimenti decadrà ogni cosa.
- Non vuoi far sapere che hai fame? Se lo dici al prete, potrebbe aiutarti.
- C'è una cosa che conta più della fame, - gli sussurrò all'orecchio - e si chiama dignità.
- Cosa significa?
- Cerca la parola sui libri di scuola. Ti sarà utile saperlo.
Il giorno successivo, quando i ragazzi si presentarono sul tombolo, trovarono un cesto vuoto ad attenderli, coperto da un tovagliolo che lo proteggeva dalla sabbia. Alvin si guardò in giro con attenzione e poi invitò tutti i presenti a riempirlo con una parte delle loro merende. Appena lo ricoprirono, il piccolo contenitore cominciò a scivolare sulla sabbia fino a scomparire dietro alcuni cespugli dove Warren si era appostato. - Perché ti sei nascosto? - gli domandò Alvin che aveva seguito il filo della lenza, usato come traino.
- Non voglio che i curiosi di St. Agnes scoprano dove finisce una parte delle vostre merende.
- Sempre per quella questione della dignità?
- Hai scoperto cosa significa?
- Ho cercato il termine nel dizionario ma non ci ho capito niente. Troppo difficile.
- Lo capirai strada facendo. - gli sorrise Warren - Ora porta i tuoi amici al castello, stanotte ho tolto un po' di erbacce e sistemato le mura.
E' così che si conquistano i ragazzi, usando il baratto come chiave di volta. Non gli si può dare tutto senza chiedere nulla in cambio, altrimenti perdono il senso del valore di ogni piccola cosa. In pochi giorni, tra Alvin e lo straniero si sigillò un patto che andava oltre quel semplice accordo, ma nel villaggio qualcuno cominciò a chiedersi il perché di quel cesto di vimini appoggiato alla fine del tombolo. - Sembra che si muova da solo, - affermò Morgan - e vi assicuro che non avevo ancora bevuto nemmeno un sorso di birra quando l'ho visto scivolare via come se ci fosse dentro un serpente!
- Lo userà per tenerci i pesci che ha pescato, - commentò Martin - e magari è stato un soffio di vento a darti l'impressione che si muovesse.
- No, vi assicuro che quel coso si muove da solo e lo fa solo dopo che i ragazzi gli si avvicinano. Bisogna che qualcuno vada a vedere cosa combina quell'uomo... specialmente adesso che la scuola è chiusa.
- Calmati vecchio mio, - lo incalzò il barista - i ragazzi sono sempre andati a giocare su Gugh, non ci sono pericoli.
- Mio caro Theodore, tu dimentichi che adesso su quell'isola c'è lo straniero e non sappiamo niente di lui. Potrebbe essere anche un pedofilo, bisogna mandarci la Polizia a fare un controllo. Se nessuno ha il coraggio di fare una denuncia, la farò io!
Fu così che Arthur, il rappresentante della legge, fu convinto ad effettuare un sopralluogo su Gugh per verificare quali misteriosi eventi accadessero sull'isola quando la marea la rendeva irraggiungibile da St. Agnes. Quando tornò, passò dal solito bar a raffreddare gli animi, spiegando che aveva visto i ragazzi giocare nel loro solito rifugio mentre lo straniero era intento a pescare poco distante.
- Lo vedi? - si infervorò Morgan - avrebbe dovuto stare molto distante e non poco distante come invece lo hai trovato!
- Ho parlato anche coi ragazzi, mi hanno riferito che non li ha mai disturbati e che, in loro assenza, ha provveduto a mettere in sicurezza le mura, cementando quelle danneggiate e rifinendo la superficie superiore con alcuni merletti. Lo sapete bene che loro considerano da sempre quel posto il loro castello.
- E' un modo per avvicinarli, per carpire la loro fiducia!
- O forse è solo un modo per sentirsi meno solo, - spiegò il poliziotto - considerato che, da quando è arrivato, nessuno di voi si è preso la briga di parlare con lui.
- Per forza, è muto!
- Non è muto, - affermò Arthur – abbiamo scambiato qualche parola e l'ho invitato a venire al bar nei prossimi giorni. Offritegli da bere almeno.
Quell'ultima affermazione creò una forma di aspettativa tale da caricare l'atmosfera di una indescrivibile tensione. Ci vollero tre giorni prima che Warren si presentasse nel villaggio. Lo videro arrivare da lontano ed il passaparola fu così rapido che metà della popolazione di St. Agnes si fece trovare appoggiata al bancone. Quando lo straniero entrò nel bar, il brusio si trasformò in un silenzio imbarazzante, tanto che Theodore rimase pietrificato col vassoio colmo di birre in mano. Lui abbozzò un cenno di saluto, timido e rispettoso, ricambiato con un frettoloso cenno di assenso da parte di tutti i presenti.
Adesso non sembrava più così vecchio com'era apparso il giorno del suo arrivo. Aveva accorciato i capelli, sistemato un po' la barba incolta ed il sole delle Scilly aveva riempito le sue profonde rughe. Si guardò in giro con circospezione, si avvicinò al bar e immediatamente Morgan gli porse la sua birra, ancora intonsa nel boccale appena schiumato. Prima di sorseggiarla, si avvicinò alla bacheca dov'erano affissi gli avvisi del municipio e vi aggiunse un foglio scritto a mano: si aggiusta ogni cosa a poco prezzo.
- Che cosa sai aggiustare? - osò chiedergli Martin.
- Ogni cosa, - sussurrò, allargando le braccia - mi intendo un po' di tutto, dall'idraulica all'elettricità. Se avete qualcosa che non funziona, mettetemi alla prova.
Quello fu l'unico dialogo di tutta la giornata, come se, di colpo, nessuno osasse domandargli altro. Solo quando se ne andò, il parlottare sommesso si trasformò in un appassionato chiacchiericcio ed ognuno disse il contrario dell'altro in un susseguirsi di ipotesi sempre più assurde. Quando calò la sera, la più accreditata sembrò quella dell'ex carcerato perché, a dir di tutti, solo chi era stato in prigione poteva aver avuto il tempo di imparare ad aggiustare ogni cosa.
Il primo lavoro fu Alvin a proporglielo: - Al villaggio dicono che sai aggiustare le cose,- gli disse - il padre di Tom sta impazzendo da due giorni per far partire il trattore. Puoi dargli una mano?
- Perché non me lo chiede lui?
- Perché è un'idea mia... e anche un po' di Tom. E' stanco di sentire suo padre che si arrabbia e dice che vuole andare via da questo posto in cui niente va mai bene.
- Dov'è il trattore?
- Nei campi, dietro a Turks Head. Si è fermato lì e non è più riuscito a metterlo in moto per riportarlo a casa.
- Non c'è un meccanico a St. Agnes?
- Non può pagarlo!
- Troverò il modo di parlare col padre di Tom, - sospirò Warren - ma non ti assicuro niente.
Il ragazzo lo guardò dritto negli occhi, quasi volesse supplicarlo: - C'è un altro favore che ti devo chiedere. - sussurrò.
- Dimmi... - lo esortò Warren - tu sei il primo amico che ho su quest'isola, non devi vergognarti a chiedermi un favore.
- Davvero mi consideri un amico?
- Un buon amico... - lo corresse immediatamente - probabilmente il migliore che abbia mai avuto.
- Ma ci conosciamo da così poco tempo.
- Sì, è vero, ma ho notato che spesso hai rinunciato a tutta la frutta che tua madre ti ha dato per merenda per darla a me.
- E' lei che ha bisogno di un aiuto, - abbozzò un sorriso - sai aggiustare anche un bollitore dell'acqua calda? Il nostro non funziona più e il tecnico dell'emporio dice che va sostituito.
- E tuo padre cosa dice?
- Mio padre non esiste.
- Se ti ha messo al mondo, non può non esistere.
- E' andato a cercare lavoro in Cornovaglia quando ero ancora piccolo... e da allora è sparito. Non esiste più.
- Magari ha avuto un problema. Appena riuscirà a risolverlo tornerà a casa.
- Ha mandato una lettera in cui diceva che non sarebbe mai più tornato. Mamma ha detto che c'erano anche dei soldi ed un saluto personale per me.
Warren lo accarezzò dolcemente sulla testa: - Sei un bravo ragazzo, - sospirò - quando posso venire a controllare il vostro bollitore?
- Anche adesso se vuoi! - lo abbracciò - Però prima devi darmi il tempo di avvertire mia madre. Di solito, quando abbiamo visite, vuole sistemare per bene la casa. Ci tiene che sia in ordine. Puoi venire tra due ore se ti va bene.
Quando lo straniero attraversò il villaggio con la borsa degli attrezzi sotto braccio, Morgan lo seguì con lo sguardo da dietro le vetrate del bar: - Quell'uomo non mi convince, - commentò - guardate come cammina, sembra che vada ad un duello.
- Tu vedi troppi film alla televisione, - sorrise Theodore - quell'uomo cammina come tutti gli altri.
- Ti sbagli, - insistette - ha un modo tutto suo, avanza sulla strada controllando ogni cosa che gli si muove intorno. E non è tutto! Danfoss, il pescatore, mi ha riferito che ha visto spuntare dal tetto della sua casa una grossa antenna. Sai... una di quelle bianche, fatte a scodella, puntata verso il cielo. Che se ne fa di un'antenna simile se nemmeno ha l'energia elettrica?
- Forse parla con gli alieni. - lo schernì il barista - Magari gli sta passando le coordinate per uno sbarco nelle Scilly Islands.
- Non scherzare su queste cose. Alla prima occasione organizzerò una spedizione segreta su Gugh e faremo chiarezza una volta per tutte su questo mistero.
- Chi porterai con te? I vecchi amici dello sbarco in Normandia? Siete sicuri di riuscire a oltrepassare indenni il tombolo di sabbia? Magari lo ha minato.
Nel frattempo, Warren raggiunse la casa indicata da Alvin. In assenza di campanello, bussò timidamente con le nocche sulla porta di legno e attese. Non passò che qualche secondo quando l'uscio si aprì all'improvviso. La madre del ragazzo apparve in tutta la sua complicata esistenza. - Prego, - sussurrò, facendogli cenno di entrare, mentre si sistemava continuamente i capelli - la stavamo aspettando.
Pur nella sua semplicità, ogni cosa sembrava ordinata al proprio posto, apparentemente perfetta in quel contesto senza inutili fronzoli. Le pentole di rame erano allineate sulla parete dietro la cucina, sulla tavola invece la tovaglia nuova che aveva ancora le pieghe sul tessuto di quando era riposta dentro il cassetto. - Che succede al bollitore? - domandò, accennando ad un timido saluto.
- Non lo posso lasciare acceso! - rispose, indicando un locale esterno, accanto al bagno - Se lo faccio, va in ebollizione. Il tecnico dell'emporio ha detto che è vecchio, che va cambiato, ma costa più di trecento sterline e, al momento, non posso permettermi una simile spesa.
- Quanto potrebbe spendere? - le domandò, accarezzando la superficie smaltata del serbatoio come se fosse un veterinario che visita il ventre di una vacca.
- Trenta... - rispose - al massimo cinquanta sterline.
- E' il termostato, - sentenziò Warren - se l'acqua va in ebollizione, può essere solo il termostato. - Così dicendo, smontò il coperchio di una scatoletta che si trovava in cima, prese un lungo cacciavite dalla borsa e cominciò e premere sul meccanismo di rilascio. - Avete una biro? - continuò.
- Non serve che mi scriva un preventivo, - balbettò la donna - mi basta che me lo comunichi a voce. Alvin mi ha detto che di lei posso fidarmi.
- Mi serve una biro vecchia, va bene anche se non funziona.
Quando il ragazzo gliela portò, scardinò il tappo di chiusura e ne trasse la molla di ritegno. La maneggiò con cura mentre la accostava al termostato ed infine la tagliò col tronchese circa a metà. Dopo aver trafficato per qualche minuto, disse alla donna di accendere il bollitore.
- Si può aggiustare? - domandò lei con apprensione.
- E' già aggiustato. - rispose Warren - Dobbiamo solo verificare se adesso il termostato scatti regolarmente.
- A cosa ti è servita la molla della mia biro? - chiese Alvin.
- Quella di prima si era spezzata. Sarà caduta da qualche parte e da quel momento non scattava più il contatto quando l'acqua raggiungeva i sessanta gradi. Così il gas continuava a bruciare fino a portarla all'ebollizione.
- E adesso siamo sicuri che funzioni? - domandò la madre.
- Vogliamo scommettere? - sorrise.
Quella fu la prima volta che Alvin lo vide sorridere. - Mia madre si chiama Bess, - esclamò - non vi siete nemmeno presentati.
Lei accennò una smorfia, arricciando un po' il naso e lo sguardo tra loro divenne timido e imbarazzato. Era ancora una bella donna, quarant'anni portati egregiamente sopra la solitudine e la disperazione, con un figlio da tirare grande in un posto fuori dal mondo. - Intanto che l'acqua bolle, - sussurrò, abbassando gli occhi - posso offrirle qualcosa da bere?
- Una birra... - sorrise per la seconda volta, pregustandone il sapore.
- Mi dispiace, - si scusò Bess - ma non abbiamo alcolici in casa. Posso preparare un the verde o una tisana.
- O qualcosa da mangiare... - aggiunse Alvin, provocando una reazione risentita da parte di Warren.
- Scusami, - continuò il ragazzo - mi ero dimenticato quella cosa della dignità.
- Sto cucinando un arrosto, - intervenne la donna - se non ha fretta, appena sarà pronto posso dargliene una fetta. Intanto può dirmi a quanto ammonta il costo dell'intervento al bollitore.
- Una sterlina. - fu la sua laconica risposta - La ringrazio dell'offerta ma non posso fermarmi oltre.
- E' un prezzo ridicolo. Il tecnico dell'emporio me ne ha chieste dieci soltanto per venire qui a dirmi che andava cambiato tutto. Me le avrebbe scontate solo se avessi fatto il lavoro con lui.
- Se una birra costasse di più, - sentenziò, facendosi serio - avrei aumentato la mia tariffa. In fondo ho soltanto sistemato il termostato usando la molla della vostra biro. Credo che una sterlina possa bastare.
Fu allora che Alvin gli si avvicino con l'aria triste e dispiaciuta: - Ti devo confessare una cosa. - sussurrò - mia madre sa del nostro accordo. Non ho mai avuto segreti con lei.
Warren guardò Bess dritta negli occhi.
- Ti lasciavo nel cesto più frutta degli altri perché lei me ne dava il doppio, sapendo che l'avrei divisa con te. - aggiunse - Scusami se ho tradito la tua fiducia, ma a lei ho sempre detto tutto.
- Va bene, - gli rifilò la solita carezza sulla testa - ad una madre non si deve mai nascondere nulla.
Il click del termostato interruppe quello strano momento. - Funziona! - sorrise Bess - Il bruciatore si è fermato.
Una sterlina, lo straniero tornò di colpo ad essere straniero, salutò con garbo e andò dritto al bar. Quando appoggiò la moneta sul bancone, tutti si voltarono a guardarlo. - Basta per una birra? - domandò
Theodore annuì. Riempì il boccale sino all'orlo e glielo fece scorrere sul marmo sino a pochi millimetri della mano destra. - Come mai da queste parti? - domandò, con tutti gli sguardi addosso e le orecchie tese per ascoltare la risposta.
Lui grugnì qualcosa solo dopo il terzo sorso: - Il destino... - sussurrò - oppure il caso, non c'è mai un solo motivo che ci spinge a cambiare il senso della nostra vita.
- A volta la vita richiede delle scelte, - lo incalzò il barista - e a volte invece ci accompagna senza farci domande.
- E' come un boccale di birra, - annuì Warren - riesci a vedere il fondo solo dopo essertelo gustato tutto.
Quando uscì dal bar, nessuno osò aggiungere una sola parola, ma tutti i presenti si affacciarono alla finestra perché sapevano che sarebbe accaduto qualcosa. L'incontro avvenne proprio lì davanti, sotto gli occhi di Arthur, il poliziotto, che controllava a distanza la scena.
Chester, il fabbro, gli si parò davanti stringendo il martello in pugno: - Non mi piace che tu vada in giro per le case senza un valido motivo. - esordì.
- Il motivo è che ho bisogno di guadagnare qualcosa, - rispose con calma Warren - ho soltanto aggiustato un bollitore. Non mi pare che sia un lavoro di tua competenza.
- Non è il lavoro che mi interessa, - tagliò corto - ma la persona. Quella donna è mia!
- Ma tu sei un fabbro o un maniscalco? Non mi sembra di aver visto un marchio a fuoco sulla sua pelle. In ogni caso, le ho soltanto aggiustato un termostato. Non hai di che preoccuparti.
Prima che la discussione degenerasse, Arthur si frappose tra i due. - Chester, datti una calmata, - lo affrontò con decisione - e tu, straniero, evita di provocarlo. Non voglio casini qui a St. Agnes!
- Non voglio creare nessun problema, - rispose Warren - ma non immaginavo che la gente di qui fosse rimasta al medioevo.
Dopo aver rimandato il fabbro alla sua officina, il poliziotto accompagnò lo straniero fino al limite del tombolo di sabbia. - Bess è una donna sola, - gli spiegò - e qui sono tutti molto protettivi nei suoi confronti. Specialmente Chester che la corteggia da molti anni.
- E' la sua donna?
- Sono usciti insieme qualche volta, ma poi non ha funzionato. Personalmente credo che lei non abbia voluto approfondire la faccenda per via del figlio.
- Di cosa vive?
- Lavoretti domestici... e poi fa la sarta, cuce e rammenda, insomma si arrangia.
- Ed il padre del ragazzo che fine ha fatto? Nessuno sa dove si trova?
Fu allora che Arthur assunse un'espressione truce: - E' morto! - sentenziò.
- Come mai nessuno lo ha detto ad Alvin?
- Perché è stato ucciso. Un tragico evento che ha sconvolto quest'isola e tutti i suoi abitanti.
- Chi è stato?
- Bella domanda! - commentò il poliziotto - A quei tempi ero da poco entrato in servizio e del caso si era occupato il mio superiore. Ha perso le notti per venire a capo di quel mistero e alla fine un infarto se l'è portato via. Ne aveva fatto una questione personale perché era la prima volta che succedeva un omicidio qui a St. Agnes. Tutt'ora nessuno ne vuole parlare e non soltanto per preservare il ragazzo dalla verità.
- Come è stato ucciso? - insistette Warren.
- In modo barbaro e disumano, - spiegò, guardandolo dritto negli occhi - e poi hanno dato fuoco al cadavere.
- Qualche sospetto? Qualcuno aveva dei motivi per vederlo morto?
- Non era certo un tipo con cui si poteva far amicizia. Scontroso e taciturno, non aveva amici, ma dubito che si sia trattato di qualcuno del posto. Dalle indagini di quel tempo, risulta che c'era una grande barca a vela che in quei giorni girava attorno all'isola e che poi è sparita improvvisamente. Perché ti interessa tanto questa storia?
- I ragazzi vengono a giocare su Gugh e ho avuto modo di conoscerli nella loro semplicità. Alvin sembra più cresciuto degli altri e vorrei far qualcosa per lui.
- Per lui oppure per la sua bella mamma? Se le giri troppo intorno, ti troverai a dover affrontare Chester. Come hai sentito prima, la considera di sua proprietà.
- Non voglio creare questioni, - ribadì Warren - ma nemmeno posso accettare che qualcuno le crei a me! Questo riguarda sia Bess che chiunque altro, fallo pure sapere agli amici del bar... ed anche al fabbro.
- Il mio dovere è evitare che succedano incidenti su quest'isola, - aggiunse Arthur - quindi cerca di evitare situazioni che possano turbare la quiete di St. Agnes.
- Ci proverò, - rispose lo straniero, aspettando che l'ultima risacca della marea liberasse il tombolo - ma questo non deve in alcun modo limitare la mia libertà.
- Se deciderai di restare, avremmo modo di parlare di questa tua scelta di vita ed anche del modo in cui sei venuto in possesso della proprietà dei Murray.
- L'ho comprata ad un'asta, - spiegò, saltellando sulla sabbia più asciutta fino a raggiungere l'altra sponda - e posso dirti fin da ora che ho intenzione di restare qui a lungo.
Nei giorni che seguirono, l'estate scoppiò all'improvviso ed il gruppo dei ragazzi si accampò a ridosso del tombolo, dove si creavano delle pozze calde in cui giocavano da mattina a sera. E fu in uno di quei pomeriggi afosi che Bess comparve all'improvviso. Sistemò una vecchia coperta sulla riva, raccolse i capelli e si sdraiò a prendere il sole, stretta in una camicetta bianca che esaltava le sue forme sensuali.
Warren la notò da lontano, mentre sistemava le tegole del tetto. Scosse il capo più volte e si lasciò sfuggire un'imprecazione: - ...anche quando cerco di star lontano dai guai, - sussurrò - i guai vengono a cercarmi!
Era inevitabile che, nel proseguo della giornata, Bess attraversasse il tombolo, invitata dai ragazzi a visitare il loro castello. Si fermò davanti alla scritta "Si aggiusta tutto" e, quando si trovò di fronte allo straniero, non poté esimersi dal dire: - Puoi aggiustare anche me?
- Per le anime serve un prete, - sorrise Warren - e per il corpo un buon dottore. Io non sono pratico né dell'una e né dell'altro, preferisco sistemare le cose meccaniche. Almeno quelle non si disperano.
- Quindi, l'altra notte, nei campi dietro a Turks Head, avevi un appuntamento con una donna di latta?
- Mi piace visitare l'isola quando non c'è nessuno a farmi domande.
- La mattina successiva, Tom è venuto a far colazione con Alvin. Pare che suo padre sia finalmente riuscito ad aggiustare il trattore.
- E tu che ci facevi nei campi dietro Turks Head?
- Ci vado spesso... - sospirò - specialmente nelle notti in cui la tristezza si fa sentire più forte.
- E' lì che è successo? - la incalzò, con voce calda.
- Per essere uno straniero sai molte cose di quest'isola. Te lo ha detto Arthur vero?
- Chi altro poteva farlo? - obiettò - A parte i ragazzi, nessuno mi rivolge mai la parola.
- Io non sono nessuno!
- Cosa c'è stato tra te e Chester?
- Dopo la morte di Luc, voleva sposarmi. - raccontò Bess, stringendosi le spalle - L'ho frequentato per un po' ma non mi piaceva come trattava Alvin. Si atteggiava a padre padrone e non perdeva occasione per umiliarlo. Così ho fatto la mia scelta e gli ho intimato di non venire più a casa mia.
- Non l'ha presa bene vero?
- Non ha importanza come l'ha presa. Mio figlio viene prima di qualunque uomo. |
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Autori di Writer Officina
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Sono un raccontastorie. Gli scrittori veri sono diversi perché seguono le regole e i dogmi prefissati dalla casta. Un ribelle tutto questo non lo può accettare, se non a un prezzo troppo alto per riuscire a sopravvivere oltre le convenzioni. Mi piace pensare di non aver mai dovuto chinare la testa, se non di fronte alla bellezza interiore. Sorrido all'idea di non aver mai dovuto “chiedere” e mi cullo nella convinzione che non esistano confini, se non quelli che alziamo noi stessi per difenderci dagli altri. Sono impudente, a volte sfacciato, pragmatico, combattivo e mai domo. Amo la libertà, ma questo è il sogno di chiunque. Io però l'adoro al punto da andarla a cercare nei luoghi dove il nulla è sinonimo di meraviglia. Ma sono anche un “solitario pentito” che non disdegna la buona compagnia. La passione per la fotografia completa il quadro terreno della mia mancata spiritualità e mi conduce da sempre sul sentiero impervio che ha costellato la mia vita.
Nunzia Alemanno: Come ti è venuta l'idea di realizzare una piattaforma web come Writer Officina? È un progetto a cui stavi già lavorando da tempo oppure è stata una lampadina che si è accesa di recente?
Abel Wakaam: È un'idea che covavo da tempo e che ha preso corpo frequentando diversi Gruppi di letteratura su Facebook. Mi è parso di capire che gli Autori volessero insistentemente far conoscere i propri testi, ma che al tempo stesso fossero intimiditi da certe critiche che mi erano sembrate immotivate. Inoltre, mi sono reso conto di come la formattazione di Facebook non fosse adatta alla lettura di un testo abbastanza corposo da incuriosire i lettori, e quindi si rendeva necessaria una pagina WEB strutturata in modo da facilitare questo compito. Riguardo alle recensioni pubbliche, spesso tendono a incensare più chi le fa, ponendo lo scrittore in una sorta di colpevolezza immotivata. Questo è il motivo per cui ho preferito renderle strettamente private su Writer Officina. E poi sono arrivate le interviste a completare un processo di visibilità degli autori stessi. Ma non ci fermeremo qui.
Nunzia Alemanno: Si legge nella tua biografia che hai una grande passione per l'Africa, “un luogo dove ognuno percepisce la netta sensazione di esserci già stato”, da una tua citazione. Quanto, questa terra, ha contribuito alla tua scrittura? Ci sono dei testi in particolare che ricalcano le tue esperienze vissute in quei bellissimi luoghi?
Abel Wakaam: L'Africa è una parte di noi rimasta altrove, una forma arcaica di memoria che è stata marchiata a fuoco nel nostro DNA. Arriviamo da lì, da quella terra sconfinata che ci ha visto scendere dagli alberi per camminare eretti, e non possiamo cancellare le nostri origini semplicemente assumendo le vesti dell'Omo Tecnologicus! Nei mie testi, l'Africa è presente come “parte istintiva di un'azione incondizionata”. In alcuni la si percepisce “sotto pelle” mentre in altri è una “forma ribelle” che si rifiuta di seguire le regole. A volte credo che l'Africa sia la nostra parte più umana che cerca di emergere in questa società che diventa sempre più disumana.
Daniele Missiroli: Sei un esploratore e un bravissimo programmatore. Come fai a conciliare due attività così diverse?
Abel Wakaam: Sono principalmente un uomo curioso e non mi accontento di ammirare “le cose degli altri”. Voglio guardarci dentro, voglio scoprire come sono costruite come quando ero bambino, e poi cercare di farle meglio. Non importa se si tratta di un sito WEB, di un'immagine fotografica, un'escursione in alta montagna o nel mezzo del cratere di Empakai sulla via dei vulcani nell'Africa nera, il mio primo istinto è quello di farlo a “modo mio”. E allora credo sia normale evitare ogni replica perché pretendo che la mia vita, e tutto ciò che faccio, sia prima di tutto originale. E poi sono multitasking e quindi programmo mentre scrivo e nel frattempo preparo le interviste. Daniele Missiroli : Per scrivere usi un sistema che hai messo a punto con l'esperienza, oppure prendi delle note e poi le rielabori con calma?
Abel Wakaam: Per scrivere uso, prima di tutto, un sistema proprietario. Non utilizzo un editor di testo se non per impaginare il romanzo alla fine. Scrivo online usando un'interfaccia che mi fa accedere direttamente al server. In questo modo posso scrivere ovunque mi trovo senza bisogno di un programma dedicato. Alcuni beta lettori hanno accesso al file nel momento stesso in cui viene aggiornato. Ovviamente non prendo nota di nulla, non memorizzo appunti, non seguo schemi, non utilizzo tracce, se non per quantificare la lunghezza di un capitolo. Tutti i miei libri ne contano dieci di varie lunghezze a seconda del genere.
Daniele Possanzini: Il Ghostwriter è un ruolo importante nello scenario editoriale mondiale. Adeguatamente informato di un tuo sogno letterario, potrebbe accadere che un giorno tu decidessi di utilizzarlo?
Abel Wakaam: Per gli stessi motivi che ho elencato prima, credo sia più facile il contrario. Non accetto neppure che un editor modifichi i miei pensieri scritti, figuriamoci l'idea di affidare ad altri il frutto della mia fantasia!
Daniele Possanzini: È evidente che sei autore di differenti generi letterari. Hai una personalità così composita, oppure riesci a scrivere in “terza persona” e comunque mantenere l'empatia con i tuoi personaggi?
Abel Wakaam: I personaggi che si vengono a creare sono la parte incondizionata del mio modus operandi. Non li controllo se non per il tempo necessario a essere risucchiati dentro la trama, poi fanno quello che vogliono e mi stupisco di quanto siano indipendenti, pur mantenendo uno stretto rapporto con me stesso. Insomma, sono un burattinaio sconfessato dai fatti, abbandonato nel mezzo del teatrino dell'impossibile dopo averne eretto le parti essenziali. A volte mi accorgo che c'è il mio ego dentro qualche personaggio e quindi l'empatia si tramuta in battaglia per evitare un plagio letterario in cui non voglio cadere.
Rosaria M. Notarsanto: La ricerca e lo studio sono parte fondamentale per realizzare una storia credibile e coerente, ma molti autori dichiarano sempre che a un certo punto della stesura dei loro manoscritti alcuni personaggi prendono il sopravvento, come se fossero entità vive, obbligando l'autore a cambiare le carte in tavola. A te è mai capitato questo? Eventualmente potresti parlarci dei personaggi che hanno rivoluzionato i tuoi progetti iniziali?
Abel Wakaam: Come ho appena spiegato, i miei personaggi sono talmente ribelli che fanno spesso quello che vogliono e mi conducono esattamente dove non avrei mai voluto o saputo andare. Ma in questo modo apprendo da loro una visione caratteriale che va oltre le mie capacità narrative. In fondo io sono soltanto un “mezzo” per cui possono esistere e quindi svincolano dal “dio supremo” di cui prendo le parti per decidere in ogni istante delle loro vite. È impossibile scegliere a chi di loro sono più affezionato perché dovrei rispondere che si tratta dell'ultimo in ordine cronologico.
Cenzie Loparco: Hai pubblicato diversi romanzi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Come mai hai preso questa decisione? C'è un filo conduttore tra le diverse storie che hai raccontato?
Abel Wakaam: Questo accade perché nel mezzo di una storia mi assale un'idea nuova che non può coesistere con la trama che sto già architettando. E allora parto con un progetto diverso e lo conduco fino al punto in cui mi affascina. In questo modo, mi trovo spesso a portare alla fine diverse storie in contemporanea, che viaggiano parallele tra loro senza mai sfiorarsi. Mi viene quindi naturale pubblicarle entrambe a pochi giorni di distanza.
Cenzie Loparco: La trama di Timeline, i viaggiatori del tempo, è molto intrigante. Da dove ti è venuta l'idea dell'enigmatica fotografia di un uomo seduto su una panchina in una cittadina di Lopar praticamente identica a un'altra immagine scattata a New York oltre un secolo prima?
Abel Wakaam: La storia di Timeline si svolge quasi interamente a Rab, in Croazia, l'antica Felix Arbe dei Romani. È un'isola che conosco come le mie tasche perché vi ho passato molto tempo della mia vita. Uno dei luoghi in cui ho scritto diversi romanzi è il parco Komrcar che si trova oltre le mura della città vecchia e la sovrasta. Lì è normale incontrare gli abitanti che leggono all'ombra dei pini secolari e più di una volta li ho immortalati con un potente teleobiettivo. L'idea della somiglianza con un'identica fotografia scattata a New York mi è servita per coinvolgere gli Americani in una vicenda molto intricata che risale a tanti anni prima. Ma di più non posso raccontare per timore di svelare l'arcano.
Franco Filiberto: Viaggiare, conoscere posti nuovi e nuove persone arricchisce senza dubbio ognuno di noi, ma per uno scrittore sono anche una fonte preziosa di spunti per trame e personaggi. C'è qualcuno o qualcosa che è passato, anche se solo in parte, da un tuo viaggio a un tuo libro?
Abel Wakaam: Per semplicità, dovrei rispondere che ogni cosa che ha nutrito i miei occhi si è fatta parola attraverso le mie dita. Viaggiare è una ghiotta esca per la mente, perché è in grado di trascinarla con una lunga lenza oltre i confini della logica, per plasmare le idee che poi si tramutano in trama. Di ogni luogo che ho visitato mi resta almeno un ricordo più potente degli altri e lo rinnovo periodicamente riguardando le fotografie che hanno immortalato ogni istante di quei giorni. Senza di esse, molti frammenti sarebbero andati perduti e per questo credo che scrittura, viaggio e fotografia siano tre elementi inscindibili nella società moderna.
Franco Filiberto: Cosa pensi dell'editoria italiana e delle piattaforme di self publishing?
Abel Wakaam: A mio parere, l'Editoria italiana è morta e sepolta. Con tutto il rispetto che posso avere per i professionisti del settore, non vedo un futuro plausibile che possa contrastare la spinta liberista che è emersa in questi ultimi anni. Per farti un esempio, se oggi scrivo la parola fine su un romanzo, domani posso effettuare l'upload su Amazon KDP e due giorni dopo mi arriva a casa stampato e rilegato, pronto per essere letto. Con un click può essere acquistato e consegnato in tutto il mondo a tempo di record. Quale CE può fare altrettanto?
Chiara Cipolla: Il mondo del self publishing sta esplodendo; secondo te le Case Editrici si stanno adeguando al cambiamento di stile, di genere, di marketing, di lettori ecc. oppure sono come cattedrali nel deserto, immobili e attaccate ai vecchi schemi?
Abel Wakaam: La Case Editrici tradizionali hanno reagito all'esplosione del self publishing nello stesso modo in cui gli antichi Romani hanno provato a contrastare il cristianesimo. Prima l'hanno deriso e poi trascinato al macero, in nome di una qualità e di un'appartenenza alla Casta degli Scrittori Professionisti. Poi, senza rendersene conto, si sono ritrovate nella stessa Arena e hanno utilizzato le medesime piattaforme online per vendere i propri libri. Con questo grave errore, hanno posto sullo stesso piano entrambi i prodotti, esponendoli uno accanto all'altro in un'unica grande vetrina. È stata l'apoteosi della loro sconfitta.
Barbara Repetto: Cosa pensi delle tecniche di scrittura? Le utilizzi?
Abel Wakaam: Una tecnica riconosciuta, applicata a ogni elemento strutturale, permette di replicare all'infinito un progetto corretto, basandosi sull'esperienza già acquisita. Ma l'arte è un'esplosione di creatività, non è una trave portante su cui far leva per sollevare il mondo. È un velo impalpabile che lo avvolge e che prende forme diverse a seconda della prospettiva con cui lo si guarda. Per evitare di produrre dei cloni, non ci resta allora che evolvere questa tecnica, tralasciando le basi sicure per sperimentare l'impossibile. Io credo che la creatività di un autore debba prendere in considerazione il rischio di abbandonare le strade già conosciute per inerpicarsi laddove nessuno è già arrivato prima.
Barbara Repetto: Cosa ne pensi delle EAP?
Abel Wakaam: Pagare per essere pubblicati è una forma di prostituzione intellettuale a cui ci si rivolge esclusivamente per appagare il proprio ego. Allo stesso modo considero l'assoggettarsi allo sfruttamento di quelle piccole case editrici che, pur non essendo a pagamento, non ripagheranno mai l'autore per il frutto del suo lavoro.
Barbara Repetto: A un autore emergente che spera di realizzare il suo sogno nel cassetto consiglieresti le piccole/medie CE, oppure il mondo del self?
Abel Wakaam: Non amo dare consigli a nessuno perché ogni individuo deve sperimentare sulla propria pelle il risultato dei mille errori che lo porteranno a crescere ed evolversi in continuazione. Personalmente considero principalmente solo due figure legate alla letteratura: l'autore e il lettore. Tutto ciò che si intrufola tra loro deve soltanto essere considerato un mezzo e, come tale, essere al servizio dei protagonisti basilari. Barbara Repetto: Quale ingrediente fondamentale non deve mai mancare in un buon romanzo?
Abel Wakaam: Per rispondere a questa domanda servirebbero decine di discussioni e ci ritroveremmo alla fine senza riuscire a ricordarci il capo del groviglio da cui siamo partiti. Siccome odio evitare le domande, ti rispondo con l'unica parola che davvero mi appare insostituibile: l'originalità.
Marialuisa Moro: Da dove trai ispirazione per le tue storie e per i tuoi personaggi?
Abel Wakaam: Ho provato a riflettere molte volte su questo enigma e sinceramente non ho trovato una risposta. Di certo l'ispirazione non mi si presenta come un'apparizione divina e nemmeno come una missione da compiere per esaudire i miei sogni. L'ispirazione non concede preavvisi perché altro non è che un impulso riconducibile a fattori irrazionali e fortuiti, spesso privilegiati da una forma di intuizione geniale. Come già detto, i miei personaggi non sono burattini obbedienti che assecondano ogni trama precostituita. Potrei risponderti che tutto avviene per caso... nel caos che precede un ordine precostituito. Ma credo che anche il caos sia frutto di un ordine pregresso, dove ogni concetto si aggrega ai propri simili per poi abbandonarli senza una ragione plausibile. Credo quindi che l'ispirazione possa essere equiparata a uno sguardo furtivo tra due sconosciuti... una mera questione di feeling che non concede scampo a entrambi.
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