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Mea Culpa
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Atapuerca - Spagna - Iglesia di San Lesmes - 3 Luglio 2002. - Padre nuestro que estas en los cielos, santificado sea tu nombre, venga a nosotros tu reino y hagase tu voluntad asì en la tierra como en el cielo. Perdona nuestras deudas, asì como nosotros perdonamos nuestros deudores.
Il sacrestano, sollecitato da Martinez, accostò il portone della vecchia chiesa, si guardò nervosamente intorno, prese la banconota di mancia e subito la nascose nella tasca interna della giacca. - La iglesia se comenzó a construir a finales del siglo XIV en un lugar próximo al que había ocupado la capilla de San Juan Evangelista, erigida en 1074 por Alfonso VI. - borbottò - El francés Adelelmo o Lesmes, que había sido abad de La Chaise-Dieu, en Auvernia, vino a España, a instancias de la reina Constanza, para elevar el tono espiritual de la corte de Alfonso VI, de la que se retiró pronto para dedicarse al cuidado de los peregrinos jacobeos que pasaban por la ciudad de Burgos. Falleció en 1097 y fue enterrado en la capilla de San Juan, que pasó a tomar su nombre y a depender del vecino monasterio de San Juan, del que fuera primer prior el citado santo.
- Dice che la chiesa è stata costruita verso la fine del XIV secolo sulle rovine della cappella di San Giovanni Evangelista... - tradusse Martinez, facendo cenno all'uomo di attendere.
- Questo l'ho capito, - rispose Alicia - lascialo continuare.
- La capilla fue demolida en 1382 a instancias del rey Juan I, y con su ayuda se erigió un nuevo edificio, que a finales del siglo XV sufrió una importante transformación, - continuò il vecchio, masticando nervosamente tabacco - el actual templo se corresponde, en esencia, con la obra realizada a finales de esa centuria.
- La cappella fu demolita nel 1382 e venne costruito il nuovo edificio che, alla fine del XV secolo, subì una importante trasformazione.
- Corrisponde a verità che don Alvaro custodisca i disegni originali della vecchia cappella? - insistette la donna, frugando nella borsa alla ricerca di un'altra banconota.
Il sacrestano scosse ripetutamente il capo e immediatamente i suoi occhi scuri tradirono un senso di profonda irrequietezza.
- Non caveremo niente da quest'uomo, - grugnì Martinez - dobbiamo parlare col prete.
- Gli ho scritto diverse lettere... gli ho anticipato anche una congrua donazione per i poveri della sua parrocchia, non si è mai degnato di rispondermi. Cosa ti fa pensare che mi parlerà adesso?
- Siamo qui per questo no? Appena avrà finito di celebrare la messa cercheremo di farci ricevere direttamente da lui. Tu però devi cercare di tenere a freno la tua irruenza. Non siamo nell'aula magna dell'Università... questo è un paese di poco più di mille abitanti dove il tempo scorre lento come ai tempi della costruzione di questa chiesa. Cerca di entrare in sintonia invece di travolgerlo come tua abitudine!
- Il tempo non aspetta nessuno, - ribadì Alicia, facendo cenno al sacrestano che poteva continuare il suo lavoro - dobbiamo capire cosa c'è qui sotto prima che lo faccia qualcun altro.
- Sempre che ci sia davvero qualcosa da scoprire! E poi perché dovrebbe essere proprio qui, sotto la chiesa, e non in qualunque altro luogo qui intorno?
- La risposta è semplice, - ribadì stizzita - se fosse altrove l'avrebbero già trovato! L'epicentro del disturbo è stato localizzato accanto all'altare, in corrispondenza dell'antico sacrario.
- Non c'è alcun disturbo, - continuò Martinez - hanno monitorato tutte le frequenze senza riscontrare nessuna emissione radio.
- Però nessuna apparecchiatura elettronica è in grado di funzionare, i telefoni cellulari sono muti e le telecamere non registrano altro che un fruscio ininterrotto. Ti rendi conto che questo è l'unico posto al mondo dove è riscontrabile un'anomalia del genere?
- Dòminus vobiscum.
- Et cum spìritu tuo.
- Benedìcat vos omnìpotens Deus, Pater et Fìlius et Spìritus sanctus.
- Amen
- Ite, Missa est.
- Deo gràtias.
Don Alvaro alzò gli occhi e le braccia al cielo per qualche istante e nessuno dei presenti osò rompere il silenzio mistico che si era creato.
Quando abbassò di nuovo lo sguardo, cercò insistentemente i due stranieri che sostavano all'interno del portone.
- Desculpame... - sussurrò il sacrestano, restituendo la banconota ad Alicia, poi sospinse i due antoni di legno massello ed il sole illuminò con prepotenza l'antico pavimento consumato della chiesa di San Lesmes. Uno ad uno i fedeli si avvicinarono al vecchio prete per un ultimo saluto e solo dopo aver scambiato qualche parola con lui, s'incamminarono lentamente verso l'uscita.
Nessuna delle donne guardò in faccia i due stranieri, gli uomini invece fissarono prepotentemente Alicia, parlottando sommessamente tra loro.
- Vado io dal prete, - esclamò Martinez - mettiti in un angolo e fai finta di pregare.
- Pregare... gli scienziati usano la logica al posto del cuore. Sprecano tutta la loro vita per farci credere che siamo figli di una scimmia e solo in punto di morte si rendono conto di aver sbagliato tutto. - Di colpo le tornarono alla mente le parole di sua madre mentre usciva dalla camera da letto con gli occhi pieni di lacrime. No, pregare non era ancora una priorità da aggiungere alla lunga lista delle cose da realizzare... ma se inginocchiarsi davanti ad una statua di legno poteva servire allo scopo, allora era disposta a farlo.
E' strano come i volti dei santi sembrano seguirti in ogni angolo della chiesa, è come se avessero la facoltà di leggere dentro mille anime all'unisono e di sapere per ognuna quale sia la giusta cura. Alicia fu colta da un brivido improvviso, si coprì le spalle con le mani e nello stesso istante sentì chiamare il proprio nome.
Martinez la chiamò più volte, strappandola da quello strano torpore e lentamente s'incamminò verso di lui che la condusse di fretta fin dentro la sacrestia. - Don Alvaro parla bene l'italiano, - spiegò - è stato diverse volte a Roma, sembra ben disposto nei nostri confronti.
Il vecchio prete era in piedi nella stanza, alla mercé di un chierico e di una perpetua che lo aiutavano a spogliarsi dei paramenti. Ogni tanto tossiva e poi rigirava in bocca la saliva, prima di sputarla di nascosto dentro un fazzoletto ingiallito. - Avanti... avanti, - esordì, con voce roca - mettetevi pure a sedere dove vi pare. In quella brocca c'è del vinsanto, i bicchieri sono lì... da qualche parte, servitevi da soli.
- Le ho scritto diverse lettere e le ho anche mandato una donazione per la chiesa... - sussurrò Alicia, guardandosi intorno spaesata - ma non mi ha mai risposto.
- Ho pensato che se fosse stato per qualcosa di importante, saresti venuta a trovarmi, tu sei l'astrologa italiana vero?
- Astronoma... astronomia, - sorrise, sillabando una ad una le lettere della parola - l'astrologia è una scienza nettamente diversa dall'astronomia. Io non mi occupo di oroscopi, guardo il cielo per scoprire nuovi pianeti, nuove stelle nell'immensità delle galassie.
- Cosa usa per guardare così lontano, un telescopio? Io ne ho uno con cui ho seguito l'ultima eclissi, mi è stato donato da un Vescovo del Vaticano.
- Si, una specie di telescopio, ma molto potente, si trova nello spazio per non essere disturbato dall'atmosfera terrestre.
- E può vedere in ogni parte dell'Universo?
- In teoria può vedere tutto...
- Però non hai trovato Dio, - sentenziò, con tono greve - per quanto tu abbia cercato, non hai trovato Dio.
Alicia non riuscì a formulare una risposta logica. Attese per qualche istante che Martinez la togliesse dall'impaccio, e quando si rese conto che nemmeno lui sapeva cosa dire, abbozzò un timido cenno di resa. - Ha ragione don Alvaro, ma come fa lei a saperlo?
- Quando si scrive ad un vecchio prete di campagna, bisognerebbe tener conto che si tratta di un povero pastore di anime, poco propenso a leggere un foglio stampato a macchina. Con quelle diavolerie di computer che usate oggi, le parole sembrano tutte uguali, non si capisce se chi sta scrivendo soffre, se è felice o se ha il cuore pieno di rimorso. Le tue lettere sono ancora lì, da qualche parte, qui non buttiamo via niente, siamo gente povera che dà valore anche alle piccole cose.
- Le ho mandato un assegno...
- Quello puoi riprendertelo, nessuno l'ha voluto, ora però mettiti seduta e spiegami perché hai fatto tanta strada per vedermi.
Cercò con lo sguardo Martinez che subito annuì.
- Siamo qui perché abbiamo saputo che c'è qualcosa di anomalo nella chiesa... o sotto di essa, qualcosa che non fa funzionare gli apparecchi moderni.
Don Alvaro abbozzò un sorriso: - Il mese scorso è venuto un tecnico della sociedad electrica. Aveva con sé innumerevoli... herramientas de detección...
- Strumenti di rilevazione. - tradusse prontamente Martinez, versandosi un bicchiere di vinsanto.
- ...pero no ha encontrado precisamente nada!
- Ma non hanno scoperto niente di strano.
- Dipende da quello che stava cercando, - commentò Alicia - io non credo che si tratti di emissioni radio.
Il prete arricciò le sopraciglia.
- Depende de lo que estaba buscando. - Precisò Martinez, affinché fosse chiaro il concetto - Ella no cree que puede ser una transmisión de radio.
Don Alvaro scosse il capo, ringraziò il chierico e la perpetua per averlo assistito e si incamminò verso la canonica. - El diablo no duerme en virtud de las iglesias. - brontolò, sputando per l'ennesima volta dentro il fazzoletto - El diablo vive en los corazones del mal.
Alicia lo rincorse fin sulla soglia: - Non è il diavolo che sto cercando, - lo affrontò - ma il nucleo ferroso di un grosso meteorite caduto qui alla fine del primo millennio.
- Un meteorito que cayó aquí? - si voltò di scatto - Cómo se sabe qué sucedió en el pasado?
- Ho studiato le carte dell'epoca e poi ho elaborato un modello matematico... mi scusi se glielo dico in modo sfacciato, ma io credo che lei sappia benissimo di cosa sto parlando... e la smetta usare lo spagnolo per rendere più complicato questo colloquio!
- La vertad es complicado, - borbottò il prete - como estudiar el cielo sin encontrar a Dios.
- Avrei potuto chiedere un permesso al Governo e arrivare qui con una squadra di tecnici e scienziati, - reagì nervosamente Alicia - invece ho scelto la via della mediazione.
- El Obispo no otorga a la excavación de la iglesia.
- Faccia come crede, ma io le dico che sta sbagliando!
Quando uscì dalla Chiesa, si mise ad urlare tutta la sua rabbia verso il cielo, subito inseguita da Martinez che provò a farla ragionare. - Grazie per avermi ascoltato, - la affrontò con sarcasmo - ora ci siamo bruciati l'unica possibilità di collaborare col prete! Non ci resta che contattare il direttore del sito archeologico di Atapuerca, e chiedere il suo aiuto per dei piccoli scavi di assaggio attorno alla chiesa. - Come te lo devo spiegare che quel dannato nucleo ferroso non è affossato attorno alla chiesa, ma sotto di essa! Le carte dell'epoca raccontano che la cappella di San Giovanni Evangelista fu eretta dopo che il fuoco sacro venne dal cielo per purificare i peccati del mondo.
Quel meteorite era sempre stata la sua ossessione, ed ora che sembrava a portata di mano, le veniva preclusa la possibilità di appurarne la vera essenza. Ma com'era possibile che il suo nucleo ferroso azzerasse completamente le comunicazioni radio su tutte le frequenze, inibendo di fatto qualsiasi microprocessore? Nella chiesa di San Lesmes cessavano di funzionare le macchine fotografiche elettroniche, le telecamere e persino le calcolatrici, come se qualcosa di indefinito riuscisse ad annullare le operazioni matematiche compiute dal chip digitali di ogni computer. Alicia sapeva bene che, da sola, una massa ferrosa non poteva avere un simile potere, e si stupiva dell'indifferenza generale dei ricercatori del luogo, molto più interessati alle "quattro ossa" di Atapuerca che al mistero di quel meteorite.
Quella notte dormirono a Santovenia de Oca, sulla strada per Burgos, da cui il mattino seguente sarebbero partiti per Madrid.
L'indomani, di prima mattina, Alicia ritornò invece nella chiesa, si inginocchiò su una delle antiche panche e, a capo chino, finse di pregare.
Il pianto flebile di un neonato sembrò echeggiare tra le volte ancestrali, aguzzò le orecchie e la voce divenne sempre più nitida. Si rese conto che arrivava da una delle grate poste ai lati dell'altare. Si chinò su di essa e udì distintamente la voce di don Alvaro: - Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Qualche minuto più tardi comparve una donna che stringeva tra le braccia il suo bambino. Era avvolto in uno scialle nero, quasi volesse proteggerlo dal mondo intero. Uscì con passo svelto, seguita dal sacrestano che l'aiutò ad aprire il portone, per poi richiuderlo con aria furtiva.
Alicia continuò la sua finta preghiera finché il vecchio prete si accorse di lei. La raggiunse con passo lento e barcollante, le si inginocchiò accanto e disse: - Aprender a orar es aprender a vivir.
- Si... - rispose, senza guardarlo in volto - imparare a pregare è imparare a vivere ma sono in collera con Dio perché ha permesso che mio padre morisse quand'ero ancora bambina. |
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Sono un raccontastorie. Gli scrittori veri sono diversi perché seguono le regole e i dogmi prefissati dalla casta. Un ribelle tutto questo non lo può accettare, se non a un prezzo troppo alto per riuscire a sopravvivere oltre le convenzioni. Mi piace pensare di non aver mai dovuto chinare la testa, se non di fronte alla bellezza interiore. Sorrido all'idea di non aver mai dovuto “chiedere” e mi cullo nella convinzione che non esistano confini, se non quelli che alziamo noi stessi per difenderci dagli altri. Sono impudente, a volte sfacciato, pragmatico, combattivo e mai domo. Amo la libertà, ma questo è il sogno di chiunque. Io però l'adoro al punto da andarla a cercare nei luoghi dove il nulla è sinonimo di meraviglia. Ma sono anche un “solitario pentito” che non disdegna la buona compagnia. La passione per la fotografia completa il quadro terreno della mia mancata spiritualità e mi conduce da sempre sul sentiero impervio che ha costellato la mia vita.
Nunzia Alemanno: Come ti è venuta l'idea di realizzare una piattaforma web come Writer Officina? È un progetto a cui stavi già lavorando da tempo oppure è stata una lampadina che si è accesa di recente?
Abel Wakaam: È un'idea che covavo da tempo e che ha preso corpo frequentando diversi Gruppi di letteratura su Facebook. Mi è parso di capire che gli Autori volessero insistentemente far conoscere i propri testi, ma che al tempo stesso fossero intimiditi da certe critiche che mi erano sembrate immotivate. Inoltre, mi sono reso conto di come la formattazione di Facebook non fosse adatta alla lettura di un testo abbastanza corposo da incuriosire i lettori, e quindi si rendeva necessaria una pagina WEB strutturata in modo da facilitare questo compito. Riguardo alle recensioni pubbliche, spesso tendono a incensare più chi le fa, ponendo lo scrittore in una sorta di colpevolezza immotivata. Questo è il motivo per cui ho preferito renderle strettamente private su Writer Officina. E poi sono arrivate le interviste a completare un processo di visibilità degli autori stessi. Ma non ci fermeremo qui.
Nunzia Alemanno: Si legge nella tua biografia che hai una grande passione per l'Africa, “un luogo dove ognuno percepisce la netta sensazione di esserci già stato”, da una tua citazione. Quanto, questa terra, ha contribuito alla tua scrittura? Ci sono dei testi in particolare che ricalcano le tue esperienze vissute in quei bellissimi luoghi?
Abel Wakaam: L'Africa è una parte di noi rimasta altrove, una forma arcaica di memoria che è stata marchiata a fuoco nel nostro DNA. Arriviamo da lì, da quella terra sconfinata che ci ha visto scendere dagli alberi per camminare eretti, e non possiamo cancellare le nostri origini semplicemente assumendo le vesti dell'Omo Tecnologicus! Nei mie testi, l'Africa è presente come “parte istintiva di un'azione incondizionata”. In alcuni la si percepisce “sotto pelle” mentre in altri è una “forma ribelle” che si rifiuta di seguire le regole. A volte credo che l'Africa sia la nostra parte più umana che cerca di emergere in questa società che diventa sempre più disumana.
Daniele Missiroli: Sei un esploratore e un bravissimo programmatore. Come fai a conciliare due attività così diverse?
Abel Wakaam: Sono principalmente un uomo curioso e non mi accontento di ammirare “le cose degli altri”. Voglio guardarci dentro, voglio scoprire come sono costruite come quando ero bambino, e poi cercare di farle meglio. Non importa se si tratta di un sito WEB, di un'immagine fotografica, un'escursione in alta montagna o nel mezzo del cratere di Empakai sulla via dei vulcani nell'Africa nera, il mio primo istinto è quello di farlo a “modo mio”. E allora credo sia normale evitare ogni replica perché pretendo che la mia vita, e tutto ciò che faccio, sia prima di tutto originale. E poi sono multitasking e quindi programmo mentre scrivo e nel frattempo preparo le interviste. Daniele Missiroli : Per scrivere usi un sistema che hai messo a punto con l'esperienza, oppure prendi delle note e poi le rielabori con calma?
Abel Wakaam: Per scrivere uso, prima di tutto, un sistema proprietario. Non utilizzo un editor di testo se non per impaginare il romanzo alla fine. Scrivo online usando un'interfaccia che mi fa accedere direttamente al server. In questo modo posso scrivere ovunque mi trovo senza bisogno di un programma dedicato. Alcuni beta lettori hanno accesso al file nel momento stesso in cui viene aggiornato. Ovviamente non prendo nota di nulla, non memorizzo appunti, non seguo schemi, non utilizzo tracce, se non per quantificare la lunghezza di un capitolo. Tutti i miei libri ne contano dieci di varie lunghezze a seconda del genere.
Daniele Possanzini: Il Ghostwriter è un ruolo importante nello scenario editoriale mondiale. Adeguatamente informato di un tuo sogno letterario, potrebbe accadere che un giorno tu decidessi di utilizzarlo?
Abel Wakaam: Per gli stessi motivi che ho elencato prima, credo sia più facile il contrario. Non accetto neppure che un editor modifichi i miei pensieri scritti, figuriamoci l'idea di affidare ad altri il frutto della mia fantasia!
Daniele Possanzini: È evidente che sei autore di differenti generi letterari. Hai una personalità così composita, oppure riesci a scrivere in “terza persona” e comunque mantenere l'empatia con i tuoi personaggi?
Abel Wakaam: I personaggi che si vengono a creare sono la parte incondizionata del mio modus operandi. Non li controllo se non per il tempo necessario a essere risucchiati dentro la trama, poi fanno quello che vogliono e mi stupisco di quanto siano indipendenti, pur mantenendo uno stretto rapporto con me stesso. Insomma, sono un burattinaio sconfessato dai fatti, abbandonato nel mezzo del teatrino dell'impossibile dopo averne eretto le parti essenziali. A volte mi accorgo che c'è il mio ego dentro qualche personaggio e quindi l'empatia si tramuta in battaglia per evitare un plagio letterario in cui non voglio cadere.
Rosaria M. Notarsanto: La ricerca e lo studio sono parte fondamentale per realizzare una storia credibile e coerente, ma molti autori dichiarano sempre che a un certo punto della stesura dei loro manoscritti alcuni personaggi prendono il sopravvento, come se fossero entità vive, obbligando l'autore a cambiare le carte in tavola. A te è mai capitato questo? Eventualmente potresti parlarci dei personaggi che hanno rivoluzionato i tuoi progetti iniziali?
Abel Wakaam: Come ho appena spiegato, i miei personaggi sono talmente ribelli che fanno spesso quello che vogliono e mi conducono esattamente dove non avrei mai voluto o saputo andare. Ma in questo modo apprendo da loro una visione caratteriale che va oltre le mie capacità narrative. In fondo io sono soltanto un “mezzo” per cui possono esistere e quindi svincolano dal “dio supremo” di cui prendo le parti per decidere in ogni istante delle loro vite. È impossibile scegliere a chi di loro sono più affezionato perché dovrei rispondere che si tratta dell'ultimo in ordine cronologico.
Cenzie Loparco: Hai pubblicato diversi romanzi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Come mai hai preso questa decisione? C'è un filo conduttore tra le diverse storie che hai raccontato?
Abel Wakaam: Questo accade perché nel mezzo di una storia mi assale un'idea nuova che non può coesistere con la trama che sto già architettando. E allora parto con un progetto diverso e lo conduco fino al punto in cui mi affascina. In questo modo, mi trovo spesso a portare alla fine diverse storie in contemporanea, che viaggiano parallele tra loro senza mai sfiorarsi. Mi viene quindi naturale pubblicarle entrambe a pochi giorni di distanza.
Cenzie Loparco: La trama di Timeline, i viaggiatori del tempo, è molto intrigante. Da dove ti è venuta l'idea dell'enigmatica fotografia di un uomo seduto su una panchina in una cittadina di Lopar praticamente identica a un'altra immagine scattata a New York oltre un secolo prima?
Abel Wakaam: La storia di Timeline si svolge quasi interamente a Rab, in Croazia, l'antica Felix Arbe dei Romani. È un'isola che conosco come le mie tasche perché vi ho passato molto tempo della mia vita. Uno dei luoghi in cui ho scritto diversi romanzi è il parco Komrcar che si trova oltre le mura della città vecchia e la sovrasta. Lì è normale incontrare gli abitanti che leggono all'ombra dei pini secolari e più di una volta li ho immortalati con un potente teleobiettivo. L'idea della somiglianza con un'identica fotografia scattata a New York mi è servita per coinvolgere gli Americani in una vicenda molto intricata che risale a tanti anni prima. Ma di più non posso raccontare per timore di svelare l'arcano.
Franco Filiberto: Viaggiare, conoscere posti nuovi e nuove persone arricchisce senza dubbio ognuno di noi, ma per uno scrittore sono anche una fonte preziosa di spunti per trame e personaggi. C'è qualcuno o qualcosa che è passato, anche se solo in parte, da un tuo viaggio a un tuo libro?
Abel Wakaam: Per semplicità, dovrei rispondere che ogni cosa che ha nutrito i miei occhi si è fatta parola attraverso le mie dita. Viaggiare è una ghiotta esca per la mente, perché è in grado di trascinarla con una lunga lenza oltre i confini della logica, per plasmare le idee che poi si tramutano in trama. Di ogni luogo che ho visitato mi resta almeno un ricordo più potente degli altri e lo rinnovo periodicamente riguardando le fotografie che hanno immortalato ogni istante di quei giorni. Senza di esse, molti frammenti sarebbero andati perduti e per questo credo che scrittura, viaggio e fotografia siano tre elementi inscindibili nella società moderna.
Franco Filiberto: Cosa pensi dell'editoria italiana e delle piattaforme di self publishing?
Abel Wakaam: A mio parere, l'Editoria italiana è morta e sepolta. Con tutto il rispetto che posso avere per i professionisti del settore, non vedo un futuro plausibile che possa contrastare la spinta liberista che è emersa in questi ultimi anni. Per farti un esempio, se oggi scrivo la parola fine su un romanzo, domani posso effettuare l'upload su Amazon KDP e due giorni dopo mi arriva a casa stampato e rilegato, pronto per essere letto. Con un click può essere acquistato e consegnato in tutto il mondo a tempo di record. Quale CE può fare altrettanto?
Chiara Cipolla: Il mondo del self publishing sta esplodendo; secondo te le Case Editrici si stanno adeguando al cambiamento di stile, di genere, di marketing, di lettori ecc. oppure sono come cattedrali nel deserto, immobili e attaccate ai vecchi schemi?
Abel Wakaam: La Case Editrici tradizionali hanno reagito all'esplosione del self publishing nello stesso modo in cui gli antichi Romani hanno provato a contrastare il cristianesimo. Prima l'hanno deriso e poi trascinato al macero, in nome di una qualità e di un'appartenenza alla Casta degli Scrittori Professionisti. Poi, senza rendersene conto, si sono ritrovate nella stessa Arena e hanno utilizzato le medesime piattaforme online per vendere i propri libri. Con questo grave errore, hanno posto sullo stesso piano entrambi i prodotti, esponendoli uno accanto all'altro in un'unica grande vetrina. È stata l'apoteosi della loro sconfitta.
Barbara Repetto: Cosa pensi delle tecniche di scrittura? Le utilizzi?
Abel Wakaam: Una tecnica riconosciuta, applicata a ogni elemento strutturale, permette di replicare all'infinito un progetto corretto, basandosi sull'esperienza già acquisita. Ma l'arte è un'esplosione di creatività, non è una trave portante su cui far leva per sollevare il mondo. È un velo impalpabile che lo avvolge e che prende forme diverse a seconda della prospettiva con cui lo si guarda. Per evitare di produrre dei cloni, non ci resta allora che evolvere questa tecnica, tralasciando le basi sicure per sperimentare l'impossibile. Io credo che la creatività di un autore debba prendere in considerazione il rischio di abbandonare le strade già conosciute per inerpicarsi laddove nessuno è già arrivato prima.
Barbara Repetto: Cosa ne pensi delle EAP?
Abel Wakaam: Pagare per essere pubblicati è una forma di prostituzione intellettuale a cui ci si rivolge esclusivamente per appagare il proprio ego. Allo stesso modo considero l'assoggettarsi allo sfruttamento di quelle piccole case editrici che, pur non essendo a pagamento, non ripagheranno mai l'autore per il frutto del suo lavoro.
Barbara Repetto: A un autore emergente che spera di realizzare il suo sogno nel cassetto consiglieresti le piccole/medie CE, oppure il mondo del self?
Abel Wakaam: Non amo dare consigli a nessuno perché ogni individuo deve sperimentare sulla propria pelle il risultato dei mille errori che lo porteranno a crescere ed evolversi in continuazione. Personalmente considero principalmente solo due figure legate alla letteratura: l'autore e il lettore. Tutto ciò che si intrufola tra loro deve soltanto essere considerato un mezzo e, come tale, essere al servizio dei protagonisti basilari. Barbara Repetto: Quale ingrediente fondamentale non deve mai mancare in un buon romanzo?
Abel Wakaam: Per rispondere a questa domanda servirebbero decine di discussioni e ci ritroveremmo alla fine senza riuscire a ricordarci il capo del groviglio da cui siamo partiti. Siccome odio evitare le domande, ti rispondo con l'unica parola che davvero mi appare insostituibile: l'originalità.
Marialuisa Moro: Da dove trai ispirazione per le tue storie e per i tuoi personaggi?
Abel Wakaam: Ho provato a riflettere molte volte su questo enigma e sinceramente non ho trovato una risposta. Di certo l'ispirazione non mi si presenta come un'apparizione divina e nemmeno come una missione da compiere per esaudire i miei sogni. L'ispirazione non concede preavvisi perché altro non è che un impulso riconducibile a fattori irrazionali e fortuiti, spesso privilegiati da una forma di intuizione geniale. Come già detto, i miei personaggi non sono burattini obbedienti che assecondano ogni trama precostituita. Potrei risponderti che tutto avviene per caso... nel caos che precede un ordine precostituito. Ma credo che anche il caos sia frutto di un ordine pregresso, dove ogni concetto si aggrega ai propri simili per poi abbandonarli senza una ragione plausibile. Credo quindi che l'ispirazione possa essere equiparata a uno sguardo furtivo tra due sconosciuti... una mera questione di feeling che non concede scampo a entrambi.
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