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Autore: Abel Wakaam
Titolo: Black Earth
Genere Avventura
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Black Earth
«Le sorgenti dell'Orange si trovano nelle montagne del Drakensberg, il Monte dei Draghi, al confine fra il Sudafrica ed il Lesotho, a oltre tremila metri d'altitudine.» spiegò Harriet, con voce emozionata «La prima parte del fiume prende il nome di Senqu ed arriva a ghiacciare anche parzialmente in inverno. Dopo aver raggiunto il suo principale affluente, il Vaal, attraversa le aride distese del Kalahari e del Namaqualand, formando il confine naturale fra Sudafrica e Namibia.»

«Ed è lì che noi andiamo?» domandò la ragazzina, dando un'occhiata furtiva fuori dal finestrino dell'aereo.

«No,» rispose la madre, sistemandole dolcemente i capelli «noi atterreremo all'Aerodrome di Bethulie e poi risaliremo il fiume in barca fino a Badsfontein, dove viveva il nonno.»

Affossato nel sedile di fronte Raphael, l'altro figlio, sembrava completamente disinteressato a tutto ciò che accadeva fuori dall'aereo.

«Guarda,» lo scosse Elicia, strappandogli il telefono di mano «c'è un lago.»

«È un invaso artificiale,» la corresse la madre «è formato dalla diga di Gariep, una delle più grandi del Sudafrica.»

Il ragazzo sbuffò ripetutamente, manifestando tutta la sua inquietudine: «Che ci andiamo a fare in quel posto dove non c'è niente?» sbottò «Non potevamo raggiungere papà al mare?»

«Ci andremo dopo, tra qualche giorno,» lo rassicurò «ho già formulato l'atto di vendita della proprietà prima della partenza e devo soltanto firmarlo davanti ad un notaio.»

«Ma tu sei un avvocato, non potevi far tutto da casa e mandarci qualcuno a prendere i soldi?»

Harriet sorrise: «Un avvocato fa l'avvocato e basta,» spiegò «per vendere la casa del nonno bisogna incontrarsi di persona, firmare un po' di carte, discutere qualche dettaglio. Serviranno soltanto alcune ore e così potremo andare al mulino per recuperare tutti i ricordi di quando avevo qualche anno meno di voi. Potrete finalmente conoscere quel posto magico.»

«Io nemmeno ci credo che sei stata bambina,» affermò Raphael, riprendendosi di scatto il telefono, tenuto in ostaggio dalla sorella «ti ho sempre vista grande.»

«Sciocco,» lo redarguì «tutti sono stati bambini, anche io.»

«Papà dice che certe persone sono cresciute troppo in fretta» commentò Elicia «e hanno perso la parte più bella della loro vita. È stato così anche per te?»

«Papà dice tante cose...» rispose con voce cama «ma non significa che abbia sempre ragione.»

«Per questo vi siete lasciati!» sentenziò il ragazzo «E adesso lui è al mare con tutti i nostri amici e noi siamo infognati in questo posto in culo al mondo!»

«Ah bene, anche questo l'ha detto papà?»

«È vero,» ribadì con la durezza dei suoi diciotto anni «vuoi forse farci credere il contrario? Non potevi venirci da sola a vendere quel vecchio mulino diroccato?»

«Evidentemente no,» ribadì Harriet, cercando di evitare qualsiasi discussione «e non l'ho fatto certo per punirvi, bensì per farvi conoscere un pezzetto di storia della nostra famiglia. In quel vecchio mulino diroccato ci sono nata e da lì sono partita per diventare uno degli avvocati più stimati di Pretoria.»

«Potevi fare soltanto la mamma,» sussurrò Elicia «così forse non litigavi sempre con papà.»

«Forse sì... avete ragione,» si lasciò prendere da uno scatto di sconforto «probabilmente non sono stata capace di essere entrambe le cose, ma questo non significa che non vi voglia bene.»

La ragazzina allungò entrambe le braccia, mimando un abbraccio reso impossibile dalla cintura di sicurezza.

«Forza dai,» la rincuorò «preparatevi all'atterraggio che ormai siamo arrivati.»

Non ci volle molto per capire che non sarebbe stata una passeggiata e il primo segnale venne dall'urlo di Raphael quando si accorse che non c'era segnale sul suo nuovissimo smartphone. Harriet invece controllò il telefono e tirò un sospiro di sollievo. «Un po' di pace finalmente!» sussurrò.

Di Bethulie, vista dall'alto, resta impresso il grande ponte che attraversa il fiume e poi i tetti disordinati delle case, sparse senza un ordine preciso. L'atterraggio avvenne in ritardo sull'orario previsto e questo la costrinse ad infondere una certa fretta ai ragazzi per non perdere il battello che partiva giornalmente per la cittadina a Badsfontein. Quando ormai sperava di avercela fatta, Elicia ebbe bisogno del bagno, rendendo così impossibile arrivare al molo per tempo. Raphael continuò invece a trafficare con lo smartphone, alzandolo in tutte le direzioni alla ricerca di quel poco di segnale aggiuntivo che gli serviva per ripristinare il collegamento. Quando finalmente riuscì a a riprendere la comunicazione dati, si bloccò su quei quattro gradini e si rifiutò di muovere un solo passo, mentre la madre cercava una soluzione per continuare il viaggio.

«Prenderemo un idrovolante,» spiegò, da lì a qualche minuto «e così facendo arriveremo anche prima della barca.»

Questa nuova soluzione trovò tutti d'accordo e si avviarono verso il molo secondario a cui era attraccato un vecchio Beriev Be-12, di produzione russa. «Wow, dobbiamo volare su quello?» urlò Raphael, correndo verso l'aereo con entusiasmo.

«Spero di no,» rispose preoccupata la madre, aiutando Elicia a sistemarsi il vestito «non ha l'aria di essere un mezzo molto sicuro.»

«Sì... sì... continuò il ragazzo, c'è il pilota che sta facendo rifornimento con le taniche.»

«Mio Dio...» esclamò la ragazzina «se quello è il pilota aiutaci tu!»

«Non può essere il pilota,» la tranquillizzò la madre «insomma... non è vestito da pilota. Potrebbe essere il meccanico.»

«Piacere, » si fece incontro l'uomo, cercando di togliersi il grasso dalla fronte «mi chiamo James. Vi do ufficialmente il benvenuto a bordo del Red Arrow. Ditemi dove devo portarvi e partiremo immediatamente, cioè appena sono pronto.»

«Allora vola davvero questo coso?» esclamò Raphael, ispezionandolo da cima a fondo.

«Certo che vola,» lo rassicurò ridendo «questo è l'unico idrovolante in grado di risalire l'Orange fino alle sue sorgenti.»

«Fino al Monte dei Draghi?» lo interrogò Elicia.

«Dove sarebbe questo posto?»

«Si trova nel Drakensberg, al confine fra il Sudafrica ed il Lesotho! Come mi ha spiegato la mamma stamattina.»

«Allora devo raccattare qualche altra tanica di carburante,» obiettò «e anche trovare una mappa più grande di quella che ho, dove ci sia segnato anche questo Monte dei Draghi.»

«Non servirà,» lo interruppe Harriet «dobbiamo soltanto raggiungere Badsfontein.»

«Che ci andate a fare a Badsfontein, è un posto in culo al mondo!» si lasciò sfuggire, pentendosi subito di averlo definito a quel modo.

«Si dà il caso che io sia nata proprio lì prima di trasferirmi a Pretoria e prendere la laurea da avvocato.»

«Nessuna donna come lei può essere nata a Badsfontein.» insistette «Quelle che conosco devono rasarsi tutte le mattine da capo a piedi, e devono avere anche un buon rasoio.»

«Sono la figlia di George Hallison. «tagliò corto «e non mi sono mai dovuta radere da capo a piedi.»

«Non è vero,» intervenne Raphael «dici sempre che vai dall'estetista per toglierti i peli dalle gambe.»

«Ok, sbottò la donna» vogliamo porre fine a questa splendida ma inutile conversazione e decollare per Badsfontein?»

«Conoscevo il vecchio George,» spiegò James «il molo di attracco era proprio davanti al suo mulino.»

«Non è ancora lì?»

«Purtroppo no. Dopo che ha avuto quel brutto incidente, tutti gli attracchi sono stati momentaneamente trasferiti dalla parte opposta per la mancanza dei requisiti minimi necessari.»

«Quali requisiti?»

«Prima di tutto l'assenza del personale di terra e poi l'energia elettrica, la manutenzione delle boe e tante altre cazzate che sono necessarie per mantenere l'autorizzazione.»

«Quale personale di terra?»

«Quello che prende la cima di abbordaggio per esempio.»

«E lo faceva mio padre?»

«Certo che lo faceva tuo padre,» continuò James «lui faceva tutto.»

«Allora lo conoscevi bene?»

«Abbiamo preso qualche bella sbronza insieme.» sorrise «Quando gli portavo le casse di rum, festeggiavamo sempre con la prima bottiglia di assaggio.»

«Il nonno era un alcolizzato? » sbottò Elicia.

«No tesoro, il nonno non era un alcolizzato, » si affrettò a spiegarle Harriet «è questo signore che ha la memoria confusa dal rum.»

«Ha ragione tua madre,» si affrettò a cambiare versione «ora che ci penso bevevo solo io e lui mi stava a guardare.»

«E allora perché gli portavi le casse di rum?» insistette Raphael.

«Perché... perché...» balbettò «perché i serpenti odiano l'odore del rum e lui costruiva delle trappole odorose per tenerli alla larga. Sai, non è bello avere un serpente che di notte si intrufola nel tuo letto e ti striscia nelle mutande!»

Elicia si strinse immediatamente alla madre con aria terrorizzata: «Se ci sono i serpenti io non voglio andare a casa del nonno.»

«Ma no,» cercò di rimediare il pilota «ormai sono morti tutti.»

«Come sono morti?» domandò Raphael.

«Beh... i serpenti, quando sono ubriachi, si muovono confusamente e strisciano in modo anomalo, finiscono nel fiume dove ci sono degli enormi pesci gatto che li mangiano coi loro denti mostruosi.»

«Signor James,» sbottò Harriet «credo che le sue spiegazioni siano già state più che sufficienti. Potrebbe mettere in moto questo trabiccolo e portarci a destinazione?»

«Le chiedo scusa, ma cercavo di rimediare a qualche considerazione affrettata.»

«Hai sempre fatto il pilota?» gli chiese Raphael.

«Dio ti prego,» sussurrò la donna «mozzagli la lingua prima che dica qualsiasi altra parola.»
«No,» rispose James «ho imparato a volare per necessità. Sono un meccanico, ma non uno qualunque, sono il miglior meccanico che si possa trovare entro cento miglia nautiche. Poi un cliente non aveva il denaro per pagarmi e gli ho ritirato questo meraviglioso Beriev Be-12. In questo modo posso raggiungere più facilmente i luoghi dove devo lavorare e questo idrovolante è diventata la prima officina viaggiante del Sudafrica.»

«È difficile da pilotare?»

«Vogliamo partire per favore?» insistette Harriet.

«Non è difficile...» continuò come un fiume in piena «si mette in moto, poi si dà gas premendo quella leva lì e, quando va forte, si tira quell'altra leva e si alza. Poi si gira il volantino, si premono i pedali e si va dove si deve andare.»

«Perfetto! Adesso, dopo questa minuziosa spiegazione molto tecnica e senza entrare nei dettagli del suo brevetto di volo, possiamo finalmente partire?»

Appena James udì la parola brevetto si ammutolì di colpo. Sciolse le cime che tenevano l'idrovolante attaccato al molo e i due potenti motori del Beriev Be-12 presero il posto della sua voce. Mise una mano fuori dal finestrino per saggiare l'aria, poi puntò il velivolo contro vento e lo spinse al massimo della potenza.

«Come mai fa tutto quel fumo?» domandò Elicia.

«Ah... non è niente, non preoccuparti. È l'olio che è un po' troppo denso ma non crea nessun problema, uno di questi mesi lo cambierò.»

Appena lo scafo centrale si staccò definitivamente dall'acqua, ogni vibrazione si assopì di colpo e l'aereo parve scivolare nell'aria, risalendo lentamente il fiume. James si voltò in continuazione per controllare l'espressione dei passeggeri e, una volta raggiunta l'altezza minima di volo, cominciò a cantare una vecchia canzone dei Beatles: «Picture yourself in a boat on a river... with tangerine trees and marmalade skies... somebody calls you, you answer quite slowly a girl with kaleidoscope eyes.»

«È strana questa canzone.» commentò Elicia.

«Perché strana?» le domandò la madre.

«Perché dice di immaginarsi su una barca che risale il fiume con degli alberi di mandarino e i cieli di marmellata. E poi parla di una ragazza con gli occhi di caleidoscopio. Che razza di canzone è?»

«È dei Beatles ragazzina!» rispose il pilota «E se non sai chi sono i Beatles, fattelo dire da tua madre che appartiene alla stessa generazione.»

«Eh no, caro signor James...» sbottò Harriet «io ho quarantatré anni e sono di almeno due generazioni dopo!»

«Non te la prendere,» provò a scusarsi «non volevo dire che sei vecchia. Probabilmente con un abito più allegro... dico probabilmente eh, potresti ancora far girare la testa a qualche maschio di Bethulie.»

«Qualcosa di più allegro? Forse lei non si intende di moda; questo è un abito di Gavin Rajah!»

«Beh puoi sempre riportarglielo indietro. Fidati, nessuno si veste in quel modo a Badsfontein, ti prenderanno per un esattore delle tasse, oppure per un funzionario del governo.»

«Non mi interessa il suo parere sul mio modo di vestire, io ritengo che questa sia la perfetta mise per firmare un atto di vendita... e non sono della stessa generazione dei Beatles! Chiudiamo questo discorso per favore.»

James tirò a sé la cloche e il muso del velivolo si innalzò lentamente nel cielo terso: «Hey ragazzina, guarda fuori dal finestrino e dimmi quello che vedi sotto quelle nuvole laggiù.»

Elicia allungò lo sguardo nella direzione indicata: «Il cielo è marrone!» sussurrò, attirando l'attenzione del fratello.

«Come la marmellata...» esclamò James, sorridendo.

«Ma non siamo su una barca, come dice la canzone, e non vedo nemmeno gli alberi di mandarino e la donna con gli occhi di caleidoscopio.»

James virò lentamente sulla destra, affinché la luce del sole si riflettesse sulla superficie dell'acqua e penetrasse così dal finestrino: «Guarda in faccia tua madre,» gridò, per sovrastare il rumore dei motori in accelerazione «guardali bene e dimmi cosa vedi.»

Elicia si voltò di scatto, subito imitata dal fratello, e sorrise: «È vero,» esclamò «gli occhi di mamma cambiano continuamente di colore.»

Harriet ebbe un tentennamento, come se per un istante avesse perso il suo proverbiale autocontrollo. Trattenne a stento una minuscola lacrima che si arrestò a fatica tra le ciglia.

«Adesso i colori del caleidoscopio sono ancora più belli,» sussurrò la ragazzina «ma per completare la canzone mancano la barca e i mandarini.»

«Questo idrovolante è anche una barca,» spiegò James, rovistando nello zaino che teneva a fianco «e questi sono tre mandarini.»

I due ragazzi li presero con entusiasmo a dispetto della madre che si irrigidì ulteriormente: «Non ne conosciamo neppure la provenienza,» bisbigliò appena, per non farsi sentire dal pilota «teniamoli per dopo, magari li laviamo bene.»

«Dove li hai presi?» chiese Elicia, battendo la mano sulla spalla di James.

«Li ho rubati stamattina dal campo di Machita.» rispose, sotto gli occhi inorriditi della madre che non poteva non notare la polvere che si alzava dalla maglietta sdrucita.

«Mamma dice che non si deve rubare!»

«Tua madre ha ragione, ma quel figlio di... insomma, Machita, non mi ha mai pagato per la riparazione del trattore, quindi io prelevo i mandarini dalle sue piante per poi rivenderli e pareggiare così il conto. Questa è una forma di giustizia no?»

«La giustizia è un'altra cosa signor James. Si fa una denuncia, si prende un buon avvocato e ci si rivolge ad un tribunale. Se ci facessimo sempre giustizia da soli ci ritroveremmo ad uccidere per difenderci.»

«Qui non siamo a Pretoria cocca!» sbottò «Qui ognuno deve sistemare le proprie questioni da solo.»

«Con questo credo che abbia passato il segno. La invito a usare una maggior educazione nei miei confronti.»

«Altrimenti cosa farai?» la affrontò James «Mi dirai che vuoi scendere alla prima ansa sabbiosa del fiume e ti farai il resto della strada a piedi tra i coccodrilli coi due marmocchi? Oppure mi denuncerai per averti offesa?»

«Lei non può permettersi di parlarmi così altrimenti...»

«...altrimenti difenderesti i tuoi figli in ogni modo vero? È questo che volevo farti capire. Non sono bravo con le parole, mi vengono meglio gli esempi.»

Per il resto del viaggio nessuno disse una sola parola. Il vecchio idrovolante continuò a scivolare nell'aria, seguendo il corso tortuoso dell'Orange, finché apparve di colpo la sagoma dell'antico mulino. Harriet ebbe un colpo al cuore e non seppe trattenere le lacrime.

«Perché piangi mamma?» cercò di consolarla la ragazzina «Sei triste ed arrabbiata perché James ha detto che vuol darci tutti in pasto ai coccodrilli?»

«No,» rispose, stringendola a sé «sono felice di essere tornata in questo posto con voi.»

Quando il velivolo toccò di nuovo la superficie dell'acqua, si interruppe bruscamente quel magico idillio. Sobbalzò più volte sul fiume finché smise di sembrare un aereo e tornò a essere una barca, col suo carico di mandarini sotto un cielo di marmellata. James canticchiò ancora una volta quella canzone: «Picture yourself in a boat on a river... with tangerine trees and marmalade skies... somebody calls you, you answer quite slowly a girl with kaleidoscope eyes.»

Davanti agli occhi si stagliò la sagoma un po' triste dell'antico molo. «Attracchiamo lì anche se è scaduta l'autorizzazione?» domandò Harriet.

«E perché no? Il cliente ha sempre ragione.» rispose il pilota, aggiustando ripetutamente la direzione d'approccio.

«C'è un poliziotto dall'altra parte che ci sta guardando,» continuò la donna, preoccupata «non c'è pericolo che le tolgano la licenza?»

«Non l'ho mai avuta la licenza... la mia vita è senza regole e tu non fare commenti da avvocato perché la vita è mia e mi sta bene così.»

«Nella vita ci vogliono delle regole, se tutti facessero a modo proprio il mondo andrebbe a rotoli. Siamo una società civile fondata su principi morali.»

«No,» la interruppe bruscamente «siamo una società di merda dove il denaro viene prima di qualsiasi regola e quello che a te sembra un poliziotto è soltanto uno dei tanti stronzi che popolano questo mondo e complicano la vita a quelli che vorrebbero semplicemente farsi i cazzi propri!»

«Le ricordo che qui ci sono dei bambini!» sbottò Harriet «Non è il modo migliore per esprimersi e nemmeno quello per impartirgli una lezione di vita. Quindi adesso le ordino di attraccare al molo ufficiale.»

«Non posso farlo per almeno due motivi. Il primo è che non prendo ordini da una qualsiasi damerina venuta dalla città con la sua puzza sotto il naso e tutte le soluzioni chiuse dentro la sua borsa di pelle in tema col vestito di marca.» Ne seguì un lungo silenzio che nessuno volle interrompere per non disturbare la delicata operazione di attracco.

«E la seconda?» domandò Raphael, nonostante lo sguardo furioso della madre.

«La seconda te la spiego mentre alzi il culo dal tuo seggiolino, appoggi un piede sul supporto e salti sul molo trascinandoti dietro la cima.»

Prima che Harriet potesse impedirglielo, il ragazzo obbedì all'ordine senza fiatare.

«Te lo dico io quando saltare,» gli urlò James «e devi farlo nell'esatto momento in cui ti do il via, né un secondo prima e neppure un secondo dopo. Sai nuotare?»

«Certo che sa nuotare,» intervenne immediatamente Elicia «va tre volte alla settimana in piscina per trasformare la massa grassa in muscoli.»

«Perfetto allora... ma evita di cadere in acqua perché faresti una pessima figura e poi ci sono i pesci gatto da venti chili l'uno che non sanno distinguere la massa grassa dai muscoli. Sei pronto? Allora tre, due... uno... vai!»

Raphael si voltò indietro solo un istante, poi spiccò il salto con tutte le sue forze, come se in quel metro di vuoto si nascondesse il passaggio necessario per diventare uomo. Quando fu sul molo, alzò le braccia come un vincitore sotto lo sguardo ammirato della sorella.

«Hey eroe... non perdere tempo a festeggiare!» gli urlò James «Non puoi reggere da solo la deriva della corrente, devi fissare la corda alla bitta.»

Lui non sapeva nemmeno cosa fosse una bitta, ma capì al volo che se non avesse legato quella corda entro dieci secondi, l'idrovolante sarebbe sceso lungo il fiume, portandosi tutto con sé. Si fiondò verso uno dei pali che sporgevano verticalmente e ci girò intorno più volte. Il molo parve spostarsi per intero, seguendo la forza inesauribile della corrente, ondeggiò come i giunchi che il vento caldo accarezzava sulle rive e poi tornò al proprio posto, come se nulla fosse mai accaduto.

Dopo aver arrestato i motori, il pilota sorrise: «Sei grande ragazzo, ma puoi anche fare di meglio. Adesso, mentre io perfeziono l'attracco, tu dai una mano ai passeggeri. Fatti passare i bagagli e poi aiutali a scendere. Fai attenzione all'avvocato di Pretoria... anche se è nata qui, ha l'aria di essere maledettamente imbranata con quelle scarpette col tacco.»

«Ora che non ho fatto una pessima figura, posso sapere qual è la seconda cosa.» domandò il ragazzo.

«Pensi di essere abbastanza grande per capirla?»

Raphael annuì.

«Vedi... io e la moglie di quel poliziotto siamo stati, diciamo... molto intimi.»

Harriet tappò immediatamente le orecchie ad Elicia.

«Cosa significa molto intimi?»

«Beh insomma, non so come si dice dalle vostre parti.»

«Ti sei scopato la moglie del poliziotto?»

«Raphael!» gli urlò la madre «modera quel dannato linguaggio, stai diventando ogni giorno sempre di più come tuo padre!»

«Che c'è di male a somigliare al proprio padre?» la affrontò James «Tu forse non somigli al tuo?»

«Adesso basta! Non sono venuta qui per farmi impartire una lezione di vita da un selvaggio! Ci dia una mano a portare i bagagli sino al mulino, poi mi prepari il conto e se ne vada.

«Adesso che ci penso» esclamò il pilota, stringendo la mano a Raphael «c'è una terza ragione per scegliere questo molo: la sua robustezza.»

«Quello è più forte!» rispose il ragazzo, indicando i pali in cemento armato della struttura sull'altra riva.»

«Non è più forte, è soltanto più rigido. È fatto come tutte le cose che costruiscono adesso, apparentemente indistruttibili, ma che non si piegano al volere della natura. Tuo nonno invece ha fabbricato questo molo come si faceva una volta, usando un albero che si chiama ontano. Una volta che i pali vengono impiantati nel sottofondo melmoso, sdiventano duri come l'acciaio ma restano elastici. Per questo si sono piegati quando la corrente stava trascinando via con sé l'idrovolante e hanno addolcito lo strappo, impedendo che la cima potesse spezzarsi.»

«Un legno che non marcisce nell'acqua?» domandò, rivolgendosi alla madre.

«Sì, ha ragione,» lo accarezzò dolcemente, quasi volesse riportarlo a un attimo prima di quel salto, quando aveva ancora un'espressione da bambino «ti ricordi quel compito di geografia che parlava di una città costruita sull'acqua?»

«Venezia... quella con le strade che sembrano fiumi nella laguna?»

«Esatto, è stata edificata su migliaia di pali come questi ed è ancora lì dopo tanti anni.»

«Ma allora potrebbero costruire anche i grattacieli in questo modo.» insistette Raphael.

«In effetti lo fanno. Usano travi d'acciaio che li mantengono flessibili.»

Dopo aver perfezionato l'ormeggio, James tagliò un pezzo della corda, intrecciò una serie infinita di minuscoli nodi e la mostrò al ragazzo: «Questo è il tuo brevetto da marinaio, » gli sussurrò «non darlo a tua madre perché lo butterebbe nell'immondizia. Ora però, prima di consegnartelo, dimmi cosa hai imparato oggi.»

«A legare un aereo o una barca a una bitta!»

«No, tu hai imparato molto di più.»

«E allora cosa?» intervenne Elicia, abbracciando il fratello.

«Ha imparato che, per affrontare le difficoltà della vita, a volte bisogna piegarsi al suo volere. Se si rimane troppo rigidi, le avversità ci spezzano. Bisogna adattarsi, come ha fatto tuo nonno, come ha fatto mio padre... qui non siamo in città e non c'è sempre qualcuno che ci possa dare una mano. Non si passa il tempo a premere i tasti su uno di quei dannati scatolini elettronici, qui bisogna trovare la forza che ci serve dentro di noi, ogni giorno.»

Harriet volse lo sguardo verso l'Orange per nascondere quelle due grosse lacrime che presero a scendere come fossero anch'esse parte del fiume. Poi alzò gli occhi al cielo e scosse ripetutamente il capo.

Mentre James rovistava dentro l'idrovolante, una figura di donna prese corpo davanti al mulino e si incamminò lentamente in direzione del molo, tirandosi dietro uno sgangherato carrello con le ruote cigolanti. Aveva i capelli spettinati e un abito sgualcito, le rughe profonde di chi conosce il dolore e la pelle scura come una notte senza luna. Abbozzò un sorriso e poi abbassò gli occhi, quasi inchinandosi al cospetto di Harriet.

Solo James la salutò come si saluta un'amica che non si incontra da tanto tempo, la abbracciò, sollevandola quasi da terra e le rifilò una sonora sculacciata.

«Chi è questa signora?» domandò Elicia.

«Non è una signora,» rispose la madre, facendosi più dura di quanto lo fosse mai stata «è la... cameriera del nonno.»

Fu allora che il pilota si voltò di scatto e si avvicinò ad Harriet come se volesse buttarla nel fiume: «Forza su...» inveì contro di lei «prenditela con me se sei incazzata col mondo e non con questa povera donna che ha passato la vita a prendersi cura del tuo vecchio.» Poi, rivolgendosi verso i ragazzi, «Questa signora si chiama Tatu e non era la cameriera di vostro nonno.»

«E cos'era allora? Un'amica?» domandò Raphael.

«Era la sua... fidanzata!»

«Wow, il nonno aveva una fidanzata?» esclamò Elicia, sgranando gli occhi.

«Sì,» continuò James «vostro nonno aveva una fidanzata e qualche volta si ubriacava di rum insieme ai pochi amici che aveva quaggiù, si ubriacava e raccontava di voi e di quanto gli mancavate.»

«Come fai a sapere tutte queste cose?»

«Fatevelo raccontare da Tatu.»

Harriet si passò più volte la mano sulla fronte, cercando di spostare i capelli che si erano impigliati nella montatura degli occhiali scuri. «Forza ragazzi, andate in casa,» disse, con voce determinata «così almeno lì nessuno si sentirà in diritto di intrufolarsi nella nostra vita privata.»

Sistemati i bagagli sul carrello, James prese dalla carlinga una grossa batteria da trattore e la appoggiò nello spazio che aveva lasciato libero tra le valigie. «Questa vi servirà per guardarvi in faccia,» sentenziò «perché io credo che ne avrete davvero bisogno.»

Prima di preparare il conto, lasciò che i ragazzi e la donna di colore si allontanassero verso il mulino, poi scrisse la cifra sulla parte chiara di una bustina di zucchero vuota e la consegnò ad Harriet.

«Questa sarebbe una fattura?»

«Se vuoi una fattura vai a cercarti una strega,» la affrontò «una di quelle che ingannano i bambini e li richiudono in una gabbia per tenerli lontani dalle verità scomode. Sono duemila Rand per il viaggio e duecento per l'accumulatore, ma quello resta di mia proprietà. Mi devi pagare soltanto il noleggio e la ricarica. Passerò di qui ogni due giorni.»

«Tra due giorni ce ne andremo definitivamente. Domani venderò la proprietà al signor Perkins e chiuderemo questo triste capitolo una volta per sempre.»

«Vedi dove sbagli... tu chiami signore un emerito figlio di puttana e invece definisci una serva la donna che ha reso meno dura la vita di tuo padre. Eppure sei nata qui e adesso vuoi rinnegare questo posto per quattro soldi.»

«Quasi un milione di Rand non sono propriamente quattro soldi ed il mulino diventerà un museo.»

James scoppiò a ridere: «Guardalo bene allora,» glielo indicò col dito proteso «fissati bene in mente questa immagine perché quando te ne andrai da qui, sarà l'ultima volta che lo vedrai in piedi.»

«Abbiamo fatto un accordo.»

«Con Perkins non esistono accordi, l'hai messo per iscritto sul contratto?»

«È un accordo sulla parola.»

«Considerato che non sei certo una buona madre, pensavo che almeno fossi un ottimo avvocato. Perkins è interessato soltanto alla concessione centennale di questo molo. Appena gli avrai ceduto la proprietà, farà venire le ruspe e butterà giù tutto. Costruirà un obbrobrio di cemento come quello che vedi qui di fronte e magari una casa di appuntamenti dove adesso c'è il mulino.»

«Perché mai dovrebbe farlo? Non ha già ottenuto la concessione per un nuovo ormeggio?»

«È un permesso provvisorio che scade a breve. Gli è stato dato dal giudice di Goedemoed perché questo è momentaneamente impraticabile per mancanza di energia elettrica.»

«Non capisco che senso avrebbe comprare la proprietà soltanto per avere questa concessione. Non può richiederne una nuova?»

«Qui... dove poggiamo i piedi, non è Badsfontein. Fa parte del distretto di Goedemoed e il vecchio molo è stato costruito nell'unico posto sicuro, dove le piene dell'Orange non possono travolgerlo perché è protetto da una falda rocciosa sotterranea che impedisce l'erosione di quest'ansa. Gli anziani conoscevano bene queste cose, ed è il motivo per cui è resistito così tanti anni coi suoi quattro pali di legno infilati nella melma del fondale.»

«Sì, ma dove sta il guadagno di Perkins?»

«Tutto a Badsfontein porta il nome dei Perkins. Si chiama così il giudice, il capo della Polizia, il proprietario della banca. Non c'è un solo negozio, un bar o un piccolo hotel che non porti quello stramaledetto nome. Se questa assurda città in culo al mondo si chiamasse Perkinsfontein, non si scandalizzerebbe nessuno.»

«Continuo a non vedere la misteriosa fonte di guadagno.» insistette Harriet.

«In tutto il territorio circostante si produce grano... tonnellate di grano della miglior qualità, e nel periodo successivo alla mietitura, da questo molo partono migliaia di sacchi di farina. »

«Quindi il mulino...»

«Il mulino aveva ragione di essere un tempo, quando non c'erano le macchine, quando non esisteva l'elettricità. Adesso è una specie di scheletro del passato, un vecchio inutile come appariva tuo padre agli occhi di questi sciacalli... una carcassa svuotata, un rudere da rimuovere, un pezzo di storia da cancellare. L'attracco invece no. Rappresenta il punto ufficiale di raccolta. Anche i contadini di Goedemoed portano qui la loro farina, ed ogni sacco paga la simbolica tassa di un Rand. Si chiama diritto di imbarco.»

«Una cifra irrisoria...»

«Moltiplicala per milioni di sacchi ed avrai il motivo di tanto interesse per questo pezzetto di terra.»
Abel Wakaam
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Abel Wakaam
Sono un raccontastorie. Gli scrittori veri sono diversi perché seguono le regole e i dogmi prefissati dalla casta. Un ribelle tutto questo non lo può accettare, se non a un prezzo troppo alto per riuscire a sopravvivere oltre le convenzioni. Mi piace pensare di non aver mai dovuto chinare la testa, se non di fronte alla bellezza interiore. Sorrido all'idea di non aver mai dovuto “chiedere” e mi cullo nella convinzione che non esistano confini, se non quelli che alziamo noi stessi per difenderci dagli altri. Sono impudente, a volte sfacciato, pragmatico, combattivo e mai domo. Amo la libertà, ma questo è il sogno di chiunque. Io però l'adoro al punto da andarla a cercare nei luoghi dove il nulla è sinonimo di meraviglia. Ma sono anche un “solitario pentito” che non disdegna la buona compagnia. La passione per la fotografia completa il quadro terreno della mia mancata spiritualità e mi conduce da sempre sul sentiero impervio che ha costellato la mia vita.

Nunzia Alemanno: Come ti è venuta l'idea di realizzare una piattaforma web come Writer Officina? È un progetto a cui stavi già lavorando da tempo oppure è stata una lampadina che si è accesa di recente?

Abel Wakaam: È un'idea che covavo da tempo e che ha preso corpo frequentando diversi Gruppi di letteratura su Facebook. Mi è parso di capire che gli Autori volessero insistentemente far conoscere i propri testi, ma che al tempo stesso fossero intimiditi da certe critiche che mi erano sembrate immotivate. Inoltre, mi sono reso conto di come la formattazione di Facebook non fosse adatta alla lettura di un testo abbastanza corposo da incuriosire i lettori, e quindi si rendeva necessaria una pagina WEB strutturata in modo da facilitare questo compito. Riguardo alle recensioni pubbliche, spesso tendono a incensare più chi le fa, ponendo lo scrittore in una sorta di colpevolezza immotivata. Questo è il motivo per cui ho preferito renderle strettamente private su Writer Officina. E poi sono arrivate le interviste a completare un processo di visibilità degli autori stessi. Ma non ci fermeremo qui.

Nunzia Alemanno: Si legge nella tua biografia che hai una grande passione per l'Africa, “un luogo dove ognuno percepisce la netta sensazione di esserci già stato”, da una tua citazione. Quanto, questa terra, ha contribuito alla tua scrittura? Ci sono dei testi in particolare che ricalcano le tue esperienze vissute in quei bellissimi luoghi?

Abel Wakaam: L'Africa è una parte di noi rimasta altrove, una forma arcaica di memoria che è stata marchiata a fuoco nel nostro DNA. Arriviamo da lì, da quella terra sconfinata che ci ha visto scendere dagli alberi per camminare eretti, e non possiamo cancellare le nostri origini semplicemente assumendo le vesti dell'Omo Tecnologicus! Nei mie testi, l'Africa è presente come “parte istintiva di un'azione incondizionata”. In alcuni la si percepisce “sotto pelle” mentre in altri è una “forma ribelle” che si rifiuta di seguire le regole. A volte credo che l'Africa sia la nostra parte più umana che cerca di emergere in questa società che diventa sempre più disumana.

Daniele Missiroli: Sei un esploratore e un bravissimo programmatore. Come fai a conciliare due attività così diverse?

Abel Wakaam: Sono principalmente un uomo curioso e non mi accontento di ammirare “le cose degli altri”. Voglio guardarci dentro, voglio scoprire come sono costruite come quando ero bambino, e poi cercare di farle meglio. Non importa se si tratta di un sito WEB, di un'immagine fotografica, un'escursione in alta montagna o nel mezzo del cratere di Empakai sulla via dei vulcani nell'Africa nera, il mio primo istinto è quello di farlo a “modo mio”. E allora credo sia normale evitare ogni replica perché pretendo che la mia vita, e tutto ciò che faccio, sia prima di tutto originale. E poi sono multitasking e quindi programmo mentre scrivo e nel frattempo preparo le interviste.

Daniele Missiroli : Per scrivere usi un sistema che hai messo a punto con l'esperienza, oppure prendi delle note e poi le rielabori con calma?

Abel Wakaam: Per scrivere uso, prima di tutto, un sistema proprietario. Non utilizzo un editor di testo se non per impaginare il romanzo alla fine. Scrivo online usando un'interfaccia che mi fa accedere direttamente al server. In questo modo posso scrivere ovunque mi trovo senza bisogno di un programma dedicato. Alcuni beta lettori hanno accesso al file nel momento stesso in cui viene aggiornato. Ovviamente non prendo nota di nulla, non memorizzo appunti, non seguo schemi, non utilizzo tracce, se non per quantificare la lunghezza di un capitolo. Tutti i miei libri ne contano dieci di varie lunghezze a seconda del genere.

Daniele Possanzini: Il Ghostwriter è un ruolo importante nello scenario editoriale mondiale. Adeguatamente informato di un tuo sogno letterario, potrebbe accadere che un giorno tu decidessi di utilizzarlo?

Abel Wakaam: Per gli stessi motivi che ho elencato prima, credo sia più facile il contrario. Non accetto neppure che un editor modifichi i miei pensieri scritti, figuriamoci l'idea di affidare ad altri il frutto della mia fantasia!

Daniele Possanzini: È evidente che sei autore di differenti generi letterari. Hai una personalità così composita, oppure riesci a scrivere in “terza persona” e comunque mantenere l'empatia con i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: I personaggi che si vengono a creare sono la parte incondizionata del mio modus operandi. Non li controllo se non per il tempo necessario a essere risucchiati dentro la trama, poi fanno quello che vogliono e mi stupisco di quanto siano indipendenti, pur mantenendo uno stretto rapporto con me stesso. Insomma, sono un burattinaio sconfessato dai fatti, abbandonato nel mezzo del teatrino dell'impossibile dopo averne eretto le parti essenziali. A volte mi accorgo che c'è il mio ego dentro qualche personaggio e quindi l'empatia si tramuta in battaglia per evitare un plagio letterario in cui non voglio cadere.

Rosaria M. Notarsanto: La ricerca e lo studio sono parte fondamentale per realizzare una storia credibile e coerente, ma molti autori dichiarano sempre che a un certo punto della stesura dei loro manoscritti alcuni personaggi prendono il sopravvento, come se fossero entità vive, obbligando l'autore a cambiare le carte in tavola. A te è mai capitato questo? Eventualmente potresti parlarci dei personaggi che hanno rivoluzionato i tuoi progetti iniziali?

Abel Wakaam: Come ho appena spiegato, i miei personaggi sono talmente ribelli che fanno spesso quello che vogliono e mi conducono esattamente dove non avrei mai voluto o saputo andare. Ma in questo modo apprendo da loro una visione caratteriale che va oltre le mie capacità narrative. In fondo io sono soltanto un “mezzo” per cui possono esistere e quindi svincolano dal “dio supremo” di cui prendo le parti per decidere in ogni istante delle loro vite. È impossibile scegliere a chi di loro sono più affezionato perché dovrei rispondere che si tratta dell'ultimo in ordine cronologico.

Cenzie Loparco: Hai pubblicato diversi romanzi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Come mai hai preso questa decisione? C'è un filo conduttore tra le diverse storie che hai raccontato?

Abel Wakaam: Questo accade perché nel mezzo di una storia mi assale un'idea nuova che non può coesistere con la trama che sto già architettando. E allora parto con un progetto diverso e lo conduco fino al punto in cui mi affascina. In questo modo, mi trovo spesso a portare alla fine diverse storie in contemporanea, che viaggiano parallele tra loro senza mai sfiorarsi. Mi viene quindi naturale pubblicarle entrambe a pochi giorni di distanza.

Cenzie Loparco: La trama di Timeline, i viaggiatori del tempo, è molto intrigante. Da dove ti è venuta l'idea dell'enigmatica fotografia di un uomo seduto su una panchina in una cittadina di Lopar praticamente identica a un'altra immagine scattata a New York oltre un secolo prima?

Abel Wakaam: La storia di Timeline si svolge quasi interamente a Rab, in Croazia, l'antica Felix Arbe dei Romani. È un'isola che conosco come le mie tasche perché vi ho passato molto tempo della mia vita. Uno dei luoghi in cui ho scritto diversi romanzi è il parco Komrcar che si trova oltre le mura della città vecchia e la sovrasta. Lì è normale incontrare gli abitanti che leggono all'ombra dei pini secolari e più di una volta li ho immortalati con un potente teleobiettivo. L'idea della somiglianza con un'identica fotografia scattata a New York mi è servita per coinvolgere gli Americani in una vicenda molto intricata che risale a tanti anni prima. Ma di più non posso raccontare per timore di svelare l'arcano.

Franco Filiberto: Viaggiare, conoscere posti nuovi e nuove persone arricchisce senza dubbio ognuno di noi, ma per uno scrittore sono anche una fonte preziosa di spunti per trame e personaggi. C'è qualcuno o qualcosa che è passato, anche se solo in parte, da un tuo viaggio a un tuo libro?

Abel Wakaam: Per semplicità, dovrei rispondere che ogni cosa che ha nutrito i miei occhi si è fatta parola attraverso le mie dita. Viaggiare è una ghiotta esca per la mente, perché è in grado di trascinarla con una lunga lenza oltre i confini della logica, per plasmare le idee che poi si tramutano in trama. Di ogni luogo che ho visitato mi resta almeno un ricordo più potente degli altri e lo rinnovo periodicamente riguardando le fotografie che hanno immortalato ogni istante di quei giorni. Senza di esse, molti frammenti sarebbero andati perduti e per questo credo che scrittura, viaggio e fotografia siano tre elementi inscindibili nella società moderna.

Franco Filiberto: Cosa pensi dell'editoria italiana e delle piattaforme di self publishing?

Abel Wakaam: A mio parere, l'Editoria italiana è morta e sepolta. Con tutto il rispetto che posso avere per i professionisti del settore, non vedo un futuro plausibile che possa contrastare la spinta liberista che è emersa in questi ultimi anni. Per farti un esempio, se oggi scrivo la parola fine su un romanzo, domani posso effettuare l'upload su Amazon KDP e due giorni dopo mi arriva a casa stampato e rilegato, pronto per essere letto. Con un click può essere acquistato e consegnato in tutto il mondo a tempo di record. Quale CE può fare altrettanto?

Chiara Cipolla: Il mondo del self publishing sta esplodendo; secondo te le Case Editrici si stanno adeguando al cambiamento di stile, di genere, di marketing, di lettori ecc. oppure sono come cattedrali nel deserto, immobili e attaccate ai vecchi schemi?

Abel Wakaam: La Case Editrici tradizionali hanno reagito all'esplosione del self publishing nello stesso modo in cui gli antichi Romani hanno provato a contrastare il cristianesimo. Prima l'hanno deriso e poi trascinato al macero, in nome di una qualità e di un'appartenenza alla Casta degli Scrittori Professionisti. Poi, senza rendersene conto, si sono ritrovate nella stessa Arena e hanno utilizzato le medesime piattaforme online per vendere i propri libri. Con questo grave errore, hanno posto sullo stesso piano entrambi i prodotti, esponendoli uno accanto all'altro in un'unica grande vetrina. È stata l'apoteosi della loro sconfitta.

Barbara Repetto: Cosa pensi delle tecniche di scrittura? Le utilizzi?

Abel Wakaam: Una tecnica riconosciuta, applicata a ogni elemento strutturale, permette di replicare all'infinito un progetto corretto, basandosi sull'esperienza già acquisita. Ma l'arte è un'esplosione di creatività, non è una trave portante su cui far leva per sollevare il mondo. È un velo impalpabile che lo avvolge e che prende forme diverse a seconda della prospettiva con cui lo si guarda. Per evitare di produrre dei cloni, non ci resta allora che evolvere questa tecnica, tralasciando le basi sicure per sperimentare l'impossibile. Io credo che la creatività di un autore debba prendere in considerazione il rischio di abbandonare le strade già conosciute per inerpicarsi laddove nessuno è già arrivato prima.

Barbara Repetto: Cosa ne pensi delle EAP?

Abel Wakaam: Pagare per essere pubblicati è una forma di prostituzione intellettuale a cui ci si rivolge esclusivamente per appagare il proprio ego. Allo stesso modo considero l'assoggettarsi allo sfruttamento di quelle piccole case editrici che, pur non essendo a pagamento, non ripagheranno mai l'autore per il frutto del suo lavoro.

Barbara Repetto: A un autore emergente che spera di realizzare il suo sogno nel cassetto consiglieresti le piccole/medie CE, oppure il mondo del self?

Abel Wakaam: Non amo dare consigli a nessuno perché ogni individuo deve sperimentare sulla propria pelle il risultato dei mille errori che lo porteranno a crescere ed evolversi in continuazione. Personalmente considero principalmente solo due figure legate alla letteratura: l'autore e il lettore. Tutto ciò che si intrufola tra loro deve soltanto essere considerato un mezzo e, come tale, essere al servizio dei protagonisti basilari.

Barbara Repetto: Quale ingrediente fondamentale non deve mai mancare in un buon romanzo?

Abel Wakaam: Per rispondere a questa domanda servirebbero decine di discussioni e ci ritroveremmo alla fine senza riuscire a ricordarci il capo del groviglio da cui siamo partiti. Siccome odio evitare le domande, ti rispondo con l'unica parola che davvero mi appare insostituibile: l'originalità.

Marialuisa Moro: Da dove trai ispirazione per le tue storie e per i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: Ho provato a riflettere molte volte su questo enigma e sinceramente non ho trovato una risposta. Di certo l'ispirazione non mi si presenta come un'apparizione divina e nemmeno come una missione da compiere per esaudire i miei sogni. L'ispirazione non concede preavvisi perché altro non è che un impulso riconducibile a fattori irrazionali e fortuiti, spesso privilegiati da una forma di intuizione geniale. Come già detto, i miei personaggi non sono burattini obbedienti che assecondano ogni trama precostituita. Potrei risponderti che tutto avviene per caso... nel caos che precede un ordine precostituito. Ma credo che anche il caos sia frutto di un ordine pregresso, dove ogni concetto si aggrega ai propri simili per poi abbandonarli senza una ragione plausibile. Credo quindi che l'ispirazione possa essere equiparata a uno sguardo furtivo tra due sconosciuti... una mera questione di feeling che non concede scampo a entrambi.
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