Writer Officina
Autore: Abel Wakaam
Titolo: Timeline
Genere Thriller Giallo
Lettori 8004 226 144 recensione
Timeline
I viaggiatori del tempo.

La notorietà di Jozo Mikic scoppiò all'improvviso, dopo che un ragazzino di Lopar lo aveva immortalato con una vecchia Leica, seduto su di una panchina del parco Komrcar. Pareva intento a leggere il giornale, ma lo sguardo era indirizzato altrove in un'espressione di totale assenza. Per onor di cronaca non era lui il soggetto previsto, ma una coppia di gabbiani appollaiati sullo schienale, intenti nei loro giochi d'amore. Nell'inquadratura se ne poteva intravedere soltanto la coda perché lo scatto ritardato non era riuscito ad immortalare la loro fuga, cogliendo soltanto quella figura pensierosa di uomo, assorto nei propri lontani ricordi. Per quanto non fosse previsto, quello scatto possedeva tutti i canoni tecnici necessari per attirare l'attenzione della giuria fotografica che gli assegnò il primo premio del concorso cittadino. Ma non fu questo il motivo di tanta notorietà, bensì il milione di condivisioni che quel ritratto ottenne sui maggiori social network mondiali.

Il momentaneo ed effimero successo del giovane fotografo Marko Surian andò presto a scolorirsi come le foglie del successivo autunno, che spogliò lentamente gli alberi del parco dai loro fantasmagorici colori. In quegli anni però, il mondo aveva bisogno di miti e la diffusione planetaria di quella fotografia portò uno stimato ricercatore americano ad accostare il fotogramma ad un'altra più famosa immagine, scattata a New York nei primi anni del novecento. Per uno strano effetto di somiglianza, pareva proprio che l'uomo immortalato in quel contesto storico fosse l'esatta copia di Jozo Mikic. La stessa posa sì, ma anche lo sguardo assorto e, fatto strabiliante, quello che pareva proprio il medesimo abbigliamento.

La fotografia, digitalizzata, ingrandita e ripulita dalla polvere degli anni, fu inviata insieme allo scatto del ragazzo croato al New York Times, all'attenzione di Linda Moore. Era accompagnata da una lunga relazione in cui si faceva riferimento ad un tema pseudoscientifico già in voga da qualche anno e che ipotizzava l'esistenza dei viaggiatori del tempo. La giornalista rifilò la busta ad una sua giovane collaboratrice che, invece di archiviarla come mille altre, decise di leggerla attentamente. Qualche giorno dopo, l'appoggiò sulla scrivania di Linda, tra i documenti che meritavano una maggior attenzione.

In altri tempi ed in altri momenti, quelle due curiose fotografie sarebbero finite nel dimenticatoio, ma in assenza di scandali, di guerre e di quant'altro potesse far vendere i quotidiani, riuscì invece a ritagliarsi un piccolo spazio nelle ultime pagine del quotidiano. Il caso volle che, per questioni inerenti all'impaginatura, finisse accanto alla pubblicità di un famoso profumo, dove troneggiava un'attrice in una posa sensuale. Questo bastò a far sì che non passasse inosservato ed arrivarono centinaia di email che chiedevano ulteriori informazioni sui questi fantomatici "viaggiatori del tempo". Nel giro di un mese, la notizia incuriosì il pubblico americano a tal punto che le vendite del giornale subirono una brusca impennata.

Quando Linda Moore fu chiamata nell'ufficio del direttore, era già a corto di idee sull'argomento, nonostante avesse provato ad intervistare per telefono il mittente della missiva. L'unica risposta che aveva ottenuto era un'esplicita richiesta di non essere coinvolto ulteriormente in quella stupida storia.

- Mi dispiace, ma non saprei più cosa scrivere, - provò a far fronte alle insistenze con cui veniva invitata ad approfondire ulteriormente l'argomento - l'unico elemento che ho potuto controllare è l'autenticità dei due scatti.

Dean non era un uomo a cui si poteva dire di no e la sua reazione fu veemente: - Mi stai dicendo che non hai la minima idea di come cavalcare il cavallo di battaglia che ha aumentato la nostra tiratura del sette per cento? Se non hai qualcosa di intelligente da scrivere, inventalo!

Ma non poteva inventare una storia che sarebbe pesata per sempre come un macigno sulla propria professionalità e così, dopo qualche istante di imbarazzante silenzio, gli espose l'idea più folle che le potesse venire in mente, ben sapendo quanto il suo odiato direttore fosse parsimonioso e poco incline a ogni tipo di spese aggiuntive: - Possiamo invitare questo Jozo a New York, - esclamò - e sentire cosa ci racconta al proposito.

- Cosa vuoi che ci possa raccontare? - la incalzò - Che è stato a spasso con Abraham Lincoln perché era stufo di pescare sul molo del porto e quindi ha pensato di fargli visita attraverso uno varco nello spazio temporale?

- La foto originale è dei primi anni del novecento, - replicò - Abraham Lincoln è deceduto nell'aprile del 1865. Comunque Jozo Mikic non ha la minima idea che in America lo credono un viaggiatore del tempo.

Fu allora che Dean armeggiò sul computer con aria misteriosa: - Prendi il primo volo e vai ad incontrare quell'uomo. - le ordinò - Ho già autorizzato la tua trasferta in Croazia. Fagli gli occhi dolci ed anche un regalo se dovesse servire, ma fallo parlare... portalo su questo argomento e cerca di fargli dire qualcosa insomma, qualsiasi cosa che riguardi la storia americana. Allo stesso tempo, intervista anche l'autore della foto, offrigli un po' di popolarità e trova il modo per attribuirgli qualche frase ad effetto.

- Frasi ad effetto? - obiettò, sgranando gli occhi.

- Sì... qualcosa del tipo "mi sono voltato e di colpo non era più lì".

- Siamo davvero ridotti a questo punto? Inventarci delle colossali menzogne per vendere qualche copia in più?

- I tempi sono difficili per tutti, anche per noi. Con questa storia dei viaggiatori del tempo abbiamo riguadagnato posizioni su posizioni. Sfruttiamola finché siamo in grado di farlo... e facciamolo prima che ci pensi qualcun altro. Domani ti voglio sul primo aereo disponibile e non importa se non si tratta di un volo economico. Vai laggiù e portami a casa qualcosa che possa riempire una pagina intera, le richieste di inserti pubblicitari è aumentata sensibilmente!

Isola di Krk - Aeroporto di Rijeka - Croazia - Tre giorni dopo.

L'impatto con quella terra sconosciuta fu rustico quanto le sue rocce, scarnite dalla bora che d'inverno soffia feroce lungo il Velebitski Kanal. Visto dall'alto, il ponte che collega l'isola di Krk alla terraferma sembra una sfida all'ingegneria, eppure è li dal 1980 a sfidare venti che fanno paura. Linda chiese informazioni sull'autobus che l'avrebbe condotta fino all'isola di Rab, posta più a sud in quel mare dall'azzurro intenso, e si sentì consigliare di attendere il traghetto che avrebbe percorso il medesimo tragitto in minor tempo. Raggiunta con un taxi la cittadina di Valbiska si trovò davanti ad un vecchia nave, con gli uomini intenti a perfezionare un complicato attracco. Tutto le apparve così diverso dall'ostentata tecnologia di New York e non poteva credere ai propri occhi nel vedere quegli improvvisati marinai che armeggiavano con enormi cime di canapa e grosse catene arrugginite.

La traversata subì qualche ritardo per via del vento che soffiava di traverso. Un'ora e mezza di sballottamenti in quella che pareva un ammasso di ferraglia, recuperata da chissà dove. La vista del molo d'attracco, situato sulla costa nord dell'isola di Rab, riuscì appena a tranquillizzarla. Una volta sbarcata, si trovò in mezzo al nulla. Chiese qualche informazione nel piccolo bar deserto e si sentì rispondere che forse sarebbe stato meglio prendere l'autobus che dall'aeroporto di Krk l'avrebbe portata a Rijeka e da lì direttamente a Rab. Alla richiesta di un taxi, uno dei ragazzi vestito da cameriere si offrì di accompagnarla in città, dov'era diretto per rientrare a casa, ma avrebbe dovuto attendere almeno mezz'ora.

Dopo una cinquantina di minuti le fece cenno di seguirlo e, caricata la valigia nel baule della sua vecchia auto, le aprì la portiera con un inaspettato gesto di gentilezza. Si accorse poi che era dovuto alla difficoltà di sbloccare la maniglia, visibilmente diversa da quella originale.

L'arrivo a Rab, l'antica Felix Arbe fondata dai Romani, le offrì invece un impatto gradevole: - In quale hotel ti devo accompagnare? - chiese il suo improvvisato autista, arrestandosi all'imboccatura del porto.

- Ho una camera all'Arbiana, - rispose, controllando i documenti di prenotazione - è una buona sistemazione?

- La migliore, - sorrise, imboccando la strada che conduceva alla città vecchia - solo i ricchi turisti possono permetterselo.

- Non sono ricca, - affermò - e nemmeno una turista, ma soltanto una giornalista e sono qui per lavoro. Devo incontrare il signor Mikic.

- Jozo... - esclamò il ragazzo, guardandosi ripetutamente attorno - lo puoi trovare sul molo vecchio. Quella è la sua barca, ma adesso non c'è. Al pomeriggio gioca a carte coi suoi amici dei tempi della guerra e non vuole essere disturbato.

- Ho appuntamento con lui domani, all'ingresso del parco.

- Quale ingresso?

- Non lo so, - tentennò Linda - ce n'è più di uno?

- Jozo abita su a Gornja, quindi credo che dovrai cercarlo vicino alle mura della città vecchia. In hotel sapranno spiegarti bene come fare.

- Grazie, - gli sorrise, lasciandogli una grossa mancia appena si fermò davanti all'Arbiana, - senza di te, chissà dove sarei finita.

- Mi chiamo Ivan, - rispose - se hai bisogno, chiedi di me alla reception e arriverò il prima possibile.

- Ma non lavori a Lopar?

- Lavoro da molte parti, - sorrise - e tu sei stata molto gentile!

Evidentemente cento Kune rappresentavano una buona mancia per un passaggio e, in ogni caso, qualcuno che conoscesse l'isola le avrebbe fatto comodo.

Come descritto da Ivan, l'Arbiana era davvero un posto magico, affacciato direttamente sul porto coi suoi terrazzini in antico stile veneziano. Non si sarebbe mai aspettata un simile trattamento in un paese che, dall'altra parte dell'oceano, era visto come se fosse una nazione del terzo mondo. Bella camera, molto caratteristica, e splendido servizio ristorante. Quella sera avrebbe voluto far quattro passi lungo i vicoli millenari di Rab, ma la stanchezza la trascinò frettolosamente tra le braccia di Morfeo.

La mattina seguente fu svegliata dalla sirena di una grossa barca a vela che cercava di farsi largo tra i pescherecci che uscivano dal porto. Una colazione veloce nel piccolo parco privato dell'hotel e subito quattro passi in città per cambiare il denaro nell'unica banca disponibile. Fu lì che domandò dove fosse l'ingresso del parco in direzione delle mura e le fu spiegato a gesti la direzione da seguire.

La viabilità di Rab non è difficile da imparare perché la città è stata costruita su una punta di roccia che si allunga verso il mare. Tre sole vie su diverse altezze ne occupano l'intera estensione e la più in alto conduce direttamente al parco. - Gornja! - lesse sull'angolo della piazzetta, proprio come le aveva spiegato Ivan.

La percorse fino a raggiungere le mura e, attraverso un portale di pietra, intravide inaspettatamente l'azzurro del mare tra il verde brillante della vegetazione. Qualche passo per allungare lo sguardo tra quegli incantevoli scorci e, preoccupata di perdere l'incontro con Jozo, si sistemò sulla panchina più vicina alle mura.

Lo riconobbe dalla fotografia e da quello strano modo di portare le bretelle sopra la camicia per reggere i calzoni. Lo chiamò per nome e subito gli andò incontro, sperando di poter fare a meno di un interprete.

- Devi essere davvero folle se hai fatto questo lungo viaggio per venire a parlare con me, - esordì l'uomo, in un buon inglese - prima d'ora non avevo mai incontrato una donna americana oltre la Cortina di ferro.

- Era l'unico modo per vederci di persona, - gli sorrise - ed i lunghi viaggi a volte servono per confrontarci con altre culture.

- Potevi scrivermi direttamente, - obiettò - non capisco perché mi hai contattato attraverso il municipio.

- Mi devi scusare, ma in America abbiamo un concetto abbastanza approssimativo sul resto del mondo e non usiamo più scrivere lettere da molto tempo.

- Intendevo un'email, - si mostrò sorpreso - anche nei paesi comunisti sappiamo usare un computer. Lo facciamo mentre mangiamo i bambini, naturalmente!

- La Croazia è ancora un paese comunista?

- Lasciamo perdere la politica, - scosse le spalle - qui ci governano le stesse persone di prima, ma sventolando una diversa bandiera. Io sono un uomo che ama le cose semplice e preferisco star fuori da queste beghe!

- Però parli un buon inglese...

- Se vuoi conoscere il nemico, - sorrise - devi almeno comprendere la sua lingua. Mia sorella era una traduttrice e sin da piccolo mi obbligava a fare lezione con lei. Diceva che prima o poi mi sarebbe servito, ma mi sono reso conto che i pesci capiscono soltanto il linguaggio della rete da pesca.

- Ed hai anche un'email...

- Mi serve per chiacchierare con qualche amico sparso per il mondo, specialmente con quelli che sono scappati da questo Paese perché non andavano d'accordo col Maresciallo. Sto parlando di Tito, ovviamente. Nemmeno io ci andavo troppo d'accordo, ma sono rimasto qui.

- Perché?

- Perché questo è sempre stato il mio Paese... e poi non avevo un posto migliore dove andare.

- E' buffo, - esclamò Linda - non sei mai uscito da questi confini e la tua fotografia nel parco ha fatto il giro del mondo.

- Già... - annuì - l'hanno chiamata "Il pensiero dell'uomo" ma avrebbero dovuto intitolarla "I gabbiani volati via"! - scoppiò a ridere - Quando il ragazzo è venuto a chiedermi di firmare il documento di liberatoria, mi ha raccontato che a volte il caso diventa una rivelazione. E' per quella foto che sei volata sino a qui?

- Per quella e per un'altra! - gli spiegò, evitando di nascondergli la verità.

- Quale altra foto?

Per tutta risposta, Linda aprì la borsa e gliela mostrò.

- Dov'è stata scattata?

- A New York, nei primi anni del novecento.

Jozo non parve affatto stupito, la girò su se stessa, cercando di guardarla con una luce migliore. La osservò attentamente in ogni particolare e poi gliela riconsegnò con un'espressione enigmatica.

- Niente da dire? - lo interrogò.

- Qualunque cosa ti dicessi, sarebbe fuori luogo. - rispose.

- Beh mi aspettavo che ne mettessi in dubbio l'autenticità o la strana somiglianza, l'anomalia della foggia degli abiti oppure chissà che altro.

- Mio padre mi ha insegnato che, quando non si trova una risposta abbastanza intelligente, è meglio tacere. Ora però devo andare, oggi il tempo è perfetto per la pesca.

- Ho fatto migliaia di chilometri per venire a conoscerti...

- ...e ne farai altrettanti per tornare a New York e raccontare che mi hai conosciuto. - obiettò - Non capisco tutto questo interesse di uno dei maggiori giornali d'America per me!

- Non ho mai detto che sono qui per un giornale.

- Allora me lo hanno detto in municipio, - esclamò - quando mi hanno avvertito che una signora del New York Times aveva chiamato più volte perché voleva incontrarmi.

- Non ho nemmeno mai detto a nessuno che lavoro per il New York Times, - affermò - ho evitato appositamente questa informazione per non appesantire il nostro incontro.

- Eppure qualcuno me lo ha detto, - allargò le braccia Jozo - ora però si è fatto tardi, devo lasciarti. - Così dicendo, imboccò il viottolo che scendeva verso il porto e sparì.

Appena Linda tornò all'Arbiana, cominciò nervosamente a scrivere i particolari di quell'incontro, giocando molto sia sulle capacità linguistiche di Jozo che sulla sua intuizione riguardo al giornale per cui stava scrivendo. Riscrisse più volte le frasi salienti, lasciando trasparire un'aura di mistero, così da avvalorare l'ipotesi che ne sapesse molto di più sull'argomento. Appena la differenza d'orario fu propizia, chiamò al telefono Dean Anderson e gli anticipò il contenuto della email che gli stava inviando.

- E' un buon inizio, - rispose l'arcigno direttore - ed anche il reale motivo per cui è consigliabile una tua permanenza sull'isola. Incontra anche il ragazzo e fagli sputare ciò che ci torna comodo per continuare a scrivere su questo argomento.

- Dean... - lo affrontò - io ho una vita mia a New York. Non sono un essere solitario come te!

- Ascoltami bene, - la mise con le spalle al muro - se torni adesso dovrò mandare qualcun altro a finire il lavoro... e onestamente non saprei che incarico affidarti nel frattempo. E' assolutamente necessario che resti lì.

- Per quanto tempo? - gli domandò, cercando di non contrariarlo.

- Finché i lettori saranno interessati a questa storia! - affermò - Fino ad allora non voglio perdere il nostro vantaggio nei confronti di Jozo Mikic e Marko Surian.

- Quindi?

- Quindi starai lì finché non sarò io a richiamarti in redazione. Abbronzati, divertiti, fai quello che ti pare a spese del giornale, ma resta attaccata al culo di quell'uomo e descrivi ogni particolare della sua vita.

- Ma come? Dopo aver scambiato quattro parole, mi ha mollata lì sui due piedi ed è andato a pescare! Non credo che abbia alcuna intenzione di rivedermi.

- Occupati del ragazzo, fatti raccontare le abitudini del vecchio... e cos'altro vuoi che ti dica, trova il modo di andare a pesca con lui.

Per rintracciare il giovane fotografo dovette contattare Ivan attraverso la reception dell'hotel. Alle tre del pomeriggio arrivò con la sua vecchia auto ed un gran sorriso stampato sulla faccia: - Devi tornare a Lopar per prendere il traghetto?

- No, devo rintracciare un ragazzo, si chiama Marko Surian. Lo conosci?

- Qui sull'isola ci si conosce tutti, - sorrise - abita a Barbat. Non è lontano da qui.

- Mi ci puoi portare?

- Certo! - si mostrò subito entusiasta - Possiamo andarci anche subito se ti va bene.

Nel breve tragitto che separava Rab da Barbat, Linda cercò di carpirgli qualche informazione su Jozo, ed il ragazzo si mostrò molto collaborativo: - E' arrivato qui dopo la guerra. - raccontò - Prima abitava vicino al confine con la Bosnia e la sua casa è stata distrutta. E' stato ferito in battaglia e portato qui sull'isola che, in quel periodo, era stata trasformata in un immenso ospedale.

- Non aveva una famiglia? Una moglie e dei figli?

- Non ne ha mai parlato, - spiegò - è sempre stato molto restio a raccontare quel periodo triste della sua vita.

- Quindi non si sa niente di lui e del suo passato?

- E' un pescatore, del resto cosa importa? Qui si giudicano le persone da come si comportano e Jozo è un brav'uomo.

- Lo ha imparato qui? - insistette Linda – Mi riferisco alla pesca.

- Non lo so, l'ho sempre visto uscire in barca e la manovra come se lo avesse sempre fatto.

- In Bosnia non c'è il mare. Come te lo spieghi?

- Jozo sa fare molte cose. E' molto ricercato sull'isola, sia per le sue capacità tecniche che per le storie che racconta.

- Le storie? Quali storie?

- Sa tutto di come va il mondo, - affermò, indicando la casa di Marko - prende le notizie su Internet e poi le spiega alle persone del posto.

Ascoltando quelle parole, Linda percepì un brivido lungo la schiena. Seguì con lo sguardo Ivan che si inoltrava nel vialetto di quella casetta dall'aspetto curato ed attese pazientemente che ritornasse in compagnia del giovane fotografo. Per sua fortuna, Marko Surian fu decisamente più accondiscendente di Jozo, ed appena si fu presentata, lo trovò molto collaborativo.

Salutato Ivan che doveva tornare in città, chiese al ragazzo dove avrebbero potuto chiacchierare senza nessuno intorno e venne invitata a seguirlo lungo un sentiero che scendeva verso il mare. Poco più avanti, nascosta da un falesia, si ritrovarono su una piccola spiaggia che si affacciava sul canale che separa l'isola di Rab da una lunga striscia di roccia. - Quella è Dolin, - spiegò Marko - non è abitata.

- Qui è magnifico, il mare è liscio come l'olio.

- Un tempo il traghetto attraccava laggiù, - indicò un vecchio molo che sporgeva dalla riva - poi l'hanno spostato a Misnjak per accorciare la tratta.

Linda si sedette sulla sabbia color ocra e fece segno al ragazzo di accomodarsi accanto a lei: - Prima di tutto devo farti i complimenti per la foto. - esordì - E poi anche per la tua capacità di averla fatta conoscere al mondo. Per qualche mese, i Social Network non parlavano d'altro.

- E' stata soltanto fortuna, - sorrise - la mia intenzione era quella di fotografare due gabbiani che giocavano sullo schienale della panchina.

Senza aggiungere alcun commento, Linda gli consegnò le due foto, così come aveva fatto con Jozo.

Marko le confrontò con molta calma, poi le domandò se fosse una ricostruzione al computer.

- No, - gli rispose - la vecchia foto è una copia autentica di uno scatto dei primi anni del novecento. E' stata realizzata a New York da un fotografo dell'epoca.

- Non può essere, - abbozzò un'espressione stupita - quello sulla panchina è Jozo! A parte la posizione e l'espressione leggermente diverse, è vestito con gli stessi abiti. C'è un trucco vero?

- Nessun trucco. Si tratta di una curiosa somiglianza oppure...

- ...oppure? - la incalzò con gli occhi sgranati.

- Oppure hai avuto la fortuna di fotografare un "viaggiatore del tempo".

- Mi stai prendendo in giro?

- No, sono venuta da New York proprio per intervistarti.

- Per sapere cosa?

- Per conoscere il tuo punto di vista su questo curioso argomento, ma anche per farmi raccontare come hai scattato quella foto e tutto ciò che riguarda l'analogia con l'originale.

- Quello che ti dico finirà sul giornale?

- L'intervista, corredata con una tua foto personale, sarà pubblicata sul New York Times. Diventerai il fotografo più famoso della Croazia. Di questo puoi starne certo.

- Di cosa dobbiamo parlare? - domandò con entusiasmo.

- Di tutto quello che riguarda quel momento, ma anche di Jozo e della sua capacità di apparire dal nulla. - provò a condizionarlo, accendendo il minuscolo registratore digitale che usava solitamente per prendere appunti durante le interviste.

- A volte è davvero così, - sorrise il ragazzo, rapido nell'intuire che fosse quello il motivo per cui sarebbe tornato ad essere famoso - Jozo non resta mai fermo a lungo in un posto, tranne quando legge o gioca a carte coi sui compagni di guerra, su al Komrcar Park. Quando lo incontro per le vie della città vecchia, a volte mi volto è non c'è più.

- Dove va a pescare? C'è un punto particolare?

- Di solito va lungo le coste di Goli, l'isola calva. Un tempo era una prigione militare, ma adesso è tutta distrutta e disabitata. E' un posto molto triste e misterioso dove la gente ha sofferto. Di notte non ci andrei mai. Poi porta il pesce fresco ad un ristorante che si trova su Frkanj. E' la penisola che chiude il golfo di Sant'Eufemia e si trova dalla parte opposta di dove siamo adesso.

- Come si chiama il ristorante?

- Ristorante Frkanj, - sorrise - ma è facile da trovare. Ci si arriva in barca.

- Solo in barca? Non hai detto che si tratta di una penisola?

- In effetti ci si può arrivare anche in auto, ma solo fino ad un certo punto. Poi occorre camminare per qualche centinaio di metri.

- Jozo ci va tutti i giorni?

- Tutte le volte che esce a pesca, - spiegò - è un altro dei suoi luoghi preferiti.

- E Goli? - insistette - Come mai va proprio lì a pescare?

- Questo lo devi chiedere a lui. Non porta mai nessuno sulla sua barca. Quando esce in mare, è sempre solo.

- E nessuno può dire davvero dove vada?

- E' un uomo molto misterioso, - aggiunse il ragazzo - nessuno sa niente della sua vita e del suo passato, eppure è come se fosse qui da sempre. Conosce tutto e tutti. Potrebbe essere davvero un "viaggiatore del tempo".

Il resto dell'intervista fu molto meno interessante, ma le dichiarazioni del giovane fotografo erano esattamente quello che Dean voleva. Linda tornò in città sulla barca di un pescatore della zona a cui Marko si rivolse per chiedergli un passaggio. Per sua sfortuna, l'uomo non parlava una sola parola di inglese e non poté carpirgli alcuna informazione.

La sera stessa, inviò al giornale l'intervista al giovane Marko Surian, aggiungendo che aveva appuntamento con lui all'indomani, per scattargli una foto accanto alla stessa panchina in cui aveva immortalato Jozo.

Dopo cena, andò a passeggiare tra gli antichi vicoli della città vecchia e si fermò per una tazza di caffè alla loggia, una tipica costruzione risalente alla dominazione di Venezia, padrona in passato di molte isole del Guarnaro. Fu in quel locale che conobbe Andrej, un affascinante pittore che gestiva la galleria lì a fianco. Fu la sua aria mistica e l'aspetto da filosofo che la conquistò in un attimo ed a lui si affidò per una passeggiata tra i segreti di Arbe. Giunti nella Piazza della Libertà, al cospetto dell'albero millenario che si affaccia verso il mare, lui si sedette a gambe incrociate sul muretto di sasso ad ammirare la luce pallida della luna che si insinuava nel golfo di Sant'Eufemia. - Cosa ci fa una bella giornalista americana su questa piccola isola del mar Adriatico? - le domandò.

- Quando sono partita, - rispose - era la domanda che mi ponevo anch'io. Ora invece comincio a credere nella storia che devo raccontare per il New York Times.

- Di cosa parla? - le domandò - Di spiagge per nudisti e della libertà sessuale di chi le frequenta?

- Non sapevo neppure che ce ne fossero.

- Tutto ha avuto inizio nel 1936 nella baia di Kandalora. - recitò a memoria - In una calda giornata di sole Edoardo VIII, re d'Inghilterra, entrò in mare completamente nudo; lo seguì la sua compagna e futura sposa Wallis Simpson, anche lei svestita. Il bagno della coppia reale ufficializzò la pratica del naturismo, che da quel momento in poi si diffuse in tutta la Croazia, dall'Istria fino alle coste dalmate.

- E ancora oggi c'è questa usanza?

- Sull'isola di Rab le spiagge naturiste ufficiali sono la Ciganka, Sahara e Stolac, che si trovano a nord nella penisola di Lopar. Oltre naturalmente alla più famosa di tutte, Kandalora, situata sulla penisola di Kalifront nei pressi di Suha Punta.

- Sono molto frequentate?

- Qui è un classico. I turisti nordici sono affamati di sole e quest'isola non è popolata da gente bigotta come il tuo Paese.

- Io non sono bigotta, - replicò prontamente - ma mi vergognerei a mettermi nuda davanti a degli sconosciuti. Comunque non sono qui per scrivere delle spiagge naturiste. Il direttore del mio giornale mi ha spedita a Rab per raccontare la storia di Jozo Mikic. La sua fotografia ha fatto il giro del mondo perché somiglia ad un personaggio ritratto su di una panchina in un ritratto di un secolo fa.

- Potrebbe anche essere, - sorrise Andrej - quel vecchio è comparso dal nulla e nessuno sa niente di lui.

- Ho saputo che è arrivato qui durante la guerra per essere curato in ospedale.

- L'intera isola era stata trasformata in un ospedale. Gli aerei serbi non potevano volare perché i cieli erano controllati dalla coalizione americana, quindi era il posto più sicuro per accogliere i profughi ed i feriti. A guerra finita, tutti sono tornati alle proprie case, tranne Jozo.

- Vuoi dire che è davvero l'unico estraneo ad essere rimasto?

- Aggiustava di tutto, era idraulico ed elettricista, muratore e falegname. Ha fatto in fretta a farsi voler bene dalla gente del posto, notoriamente sospettosa verso chi viene da fuori.

- Io sono stata accolta senza alcun pregiudizio.

- Non intendevo i turisti, ma gli slavi in generale. Dopo la guerra abbiamo cominciato a guardare in cagnesco i serbi e i bosniaci; gli sloveni hanno fatto lo stesso con noi. Jozo invece ha superato agevolmente questa barriera, nonostante non sapessimo nulla del suo passato.

- Quindi potrebbe essere chiunque?

- Cosa intendi esattamente con questa affermazione? Hai dubbi che sia davvero un croato?

Fu allora che Linda gli mostrò le due fotografie: - Hai mai sentito parlare dei "viaggiatori del tempo"?

Andrej voltò le due immagini verso la luna, scosse il capo e gliele restituì: - Sono molto scettico al proposito, - esclamò - e per quanto credo di possedere un'anima molto spirituale, faccio fatica a credere che un corpo possa muoversi nel tempo e nello spazio.

- Quindi?

- Quindi credo che sia una grande cazzata! - sorrise, scuotendo il capo - Stai perdendo il tuo tempo.

- In ogni caso sono intrigata all'idea di raccontare la sua storia, - affermò - al di là di questa cazzata dei viaggiatori del tempo. - abbozzò una risata, istantaneamente controllata.

- Jozo è un uomo molto riservato, non ti dirà mai niente.

- Cercherò sue notizie in ospedale. Se è davvero stato ferito, ci saranno tracce di lui.

- C'erano decine di migliaia di persone in quel periodo ed anche una gran confusione. Nessuno chiedeva i documenti ai feriti e tanto meno alla povera gente che cercava rifugio qui.

- Ma adesso tutti devono avere dei documenti. - insistette Linda - Non credo che una persona possa recarsi in municipio e dire: - io sono...

- No, non certo adesso, - obiettò Andrej - ma non posso garantirti che accadesse così anche in quei momenti.

- Quindi sarebbe bastato che uno sconosciuto dicesse di essere fuggito dalla guerra e di chiamarsi Jozo Mikic perché gli fornissero dei nuovi documenti?

- Fino a qualche mese prima eravamo in Jugoslavia e poi ci siamo svegliati in Croazia. Secondo te qual era la cosa più importante in quel momento?

- Non lo so, ma allora anche un serbo o un bosniaco poteva...

- ...li conoscevamo di persona, - spiegò - eravamo amici e poi la guerra ha cambiato tutto.

- Quindi nessuno può dire veramente chi sia Jozo? - affermò - Potrebbe anche essere qualcuno che ha combattuto contro di voi oppure un criminale, accusato di crimini di guerra!

- Allora siamo tutti colpevoli. - rispose, facendosi serio - In guerra si fanno cose terribili. I migliori le fanno per sopravvivere, mentre gli altri per vendetta o per il gusto di uccidere.

- Tu hai ucciso qualcuno?

- Quando è stato necessario! - ammise - Ma per fortuna non ho mai visto in faccia da vicino il mio nemico. Tu non puoi capire cosa sia successo su questa terra in quegli anni.

- No, non lo posso capire perché nel mio paese non c'è mai stata una dittatura.

Andrej ebbe un gesto di disappunto: - Forse voi americani vi siete dimenticati della vostra guerra civile, nord contro sud, fratelli contro fratelli... esattamente come è accaduto in Jugoslavia. Il passare degli anni non cancella gli orrori della guerra, ne offusca soltanto il ricordo.

Fu quella discussione ad incrinare quel momento di intimità nascente ed il risultato fu che entrambi restarono in silenzio, affacciati sul mare illuminato dal chiarore della luna crescente. Linda discese i gradini di pietra che conducevano sulla stretta via bassa, che costeggiava la piccola spiaggia rocciosa e, quando si voltò, lui era sparito.

- Un altro viaggiatore del tempo... - pensò, camminando lentamente verso la parte bassa del parco.

Il mattino successivo, di buon'ora, fece chiamare Ivan e gli chiese come avrebbe potuto raggiungere l'isola di Goli.

- Serve una barca, - rispose il ragazzo - ma è meglio prenderla dal porticciolo di Lopar.

- Dove sono arrivata col traghetto?

- No, - le spiegò - le spiagge ed il porto turistico sono dalla parte opposta. Vengo a prenderti in auto e ci andiamo insieme.

- Prima devo fotografare Marko, al parco. Sarò pronta tra un'ora. Devo portare qualcosa di particolare?

- Porta il costume e dell'acqua da bere, l'isola è disabitata.
Abel Wakaam
Votazione per
WriterGoldOfficina
Biblioteca
Acquista
Preferenze
Recensione
Contatto
Home
Admin
Conc. Letterario
Magazine
Blog Autori
Biblioteca New
Biblioteca Gen.
Biblioteca Top
Autori

Recensioni
Inser. Estratti
@ contatti
Policy Privacy
Autori di Writer Officina

Abel Wakaam
Sono un raccontastorie. Gli scrittori veri sono diversi perché seguono le regole e i dogmi prefissati dalla casta. Un ribelle tutto questo non lo può accettare, se non a un prezzo troppo alto per riuscire a sopravvivere oltre le convenzioni. Mi piace pensare di non aver mai dovuto chinare la testa, se non di fronte alla bellezza interiore. Sorrido all'idea di non aver mai dovuto “chiedere” e mi cullo nella convinzione che non esistano confini, se non quelli che alziamo noi stessi per difenderci dagli altri. Sono impudente, a volte sfacciato, pragmatico, combattivo e mai domo. Amo la libertà, ma questo è il sogno di chiunque. Io però l'adoro al punto da andarla a cercare nei luoghi dove il nulla è sinonimo di meraviglia. Ma sono anche un “solitario pentito” che non disdegna la buona compagnia. La passione per la fotografia completa il quadro terreno della mia mancata spiritualità e mi conduce da sempre sul sentiero impervio che ha costellato la mia vita.

Nunzia Alemanno: Come ti è venuta l'idea di realizzare una piattaforma web come Writer Officina? È un progetto a cui stavi già lavorando da tempo oppure è stata una lampadina che si è accesa di recente?

Abel Wakaam: È un'idea che covavo da tempo e che ha preso corpo frequentando diversi Gruppi di letteratura su Facebook. Mi è parso di capire che gli Autori volessero insistentemente far conoscere i propri testi, ma che al tempo stesso fossero intimiditi da certe critiche che mi erano sembrate immotivate. Inoltre, mi sono reso conto di come la formattazione di Facebook non fosse adatta alla lettura di un testo abbastanza corposo da incuriosire i lettori, e quindi si rendeva necessaria una pagina WEB strutturata in modo da facilitare questo compito. Riguardo alle recensioni pubbliche, spesso tendono a incensare più chi le fa, ponendo lo scrittore in una sorta di colpevolezza immotivata. Questo è il motivo per cui ho preferito renderle strettamente private su Writer Officina. E poi sono arrivate le interviste a completare un processo di visibilità degli autori stessi. Ma non ci fermeremo qui.

Nunzia Alemanno: Si legge nella tua biografia che hai una grande passione per l'Africa, “un luogo dove ognuno percepisce la netta sensazione di esserci già stato”, da una tua citazione. Quanto, questa terra, ha contribuito alla tua scrittura? Ci sono dei testi in particolare che ricalcano le tue esperienze vissute in quei bellissimi luoghi?

Abel Wakaam: L'Africa è una parte di noi rimasta altrove, una forma arcaica di memoria che è stata marchiata a fuoco nel nostro DNA. Arriviamo da lì, da quella terra sconfinata che ci ha visto scendere dagli alberi per camminare eretti, e non possiamo cancellare le nostri origini semplicemente assumendo le vesti dell'Omo Tecnologicus! Nei mie testi, l'Africa è presente come “parte istintiva di un'azione incondizionata”. In alcuni la si percepisce “sotto pelle” mentre in altri è una “forma ribelle” che si rifiuta di seguire le regole. A volte credo che l'Africa sia la nostra parte più umana che cerca di emergere in questa società che diventa sempre più disumana.

Daniele Missiroli: Sei un esploratore e un bravissimo programmatore. Come fai a conciliare due attività così diverse?

Abel Wakaam: Sono principalmente un uomo curioso e non mi accontento di ammirare “le cose degli altri”. Voglio guardarci dentro, voglio scoprire come sono costruite come quando ero bambino, e poi cercare di farle meglio. Non importa se si tratta di un sito WEB, di un'immagine fotografica, un'escursione in alta montagna o nel mezzo del cratere di Empakai sulla via dei vulcani nell'Africa nera, il mio primo istinto è quello di farlo a “modo mio”. E allora credo sia normale evitare ogni replica perché pretendo che la mia vita, e tutto ciò che faccio, sia prima di tutto originale. E poi sono multitasking e quindi programmo mentre scrivo e nel frattempo preparo le interviste.

Daniele Missiroli : Per scrivere usi un sistema che hai messo a punto con l'esperienza, oppure prendi delle note e poi le rielabori con calma?

Abel Wakaam: Per scrivere uso, prima di tutto, un sistema proprietario. Non utilizzo un editor di testo se non per impaginare il romanzo alla fine. Scrivo online usando un'interfaccia che mi fa accedere direttamente al server. In questo modo posso scrivere ovunque mi trovo senza bisogno di un programma dedicato. Alcuni beta lettori hanno accesso al file nel momento stesso in cui viene aggiornato. Ovviamente non prendo nota di nulla, non memorizzo appunti, non seguo schemi, non utilizzo tracce, se non per quantificare la lunghezza di un capitolo. Tutti i miei libri ne contano dieci di varie lunghezze a seconda del genere.

Daniele Possanzini: Il Ghostwriter è un ruolo importante nello scenario editoriale mondiale. Adeguatamente informato di un tuo sogno letterario, potrebbe accadere che un giorno tu decidessi di utilizzarlo?

Abel Wakaam: Per gli stessi motivi che ho elencato prima, credo sia più facile il contrario. Non accetto neppure che un editor modifichi i miei pensieri scritti, figuriamoci l'idea di affidare ad altri il frutto della mia fantasia!

Daniele Possanzini: È evidente che sei autore di differenti generi letterari. Hai una personalità così composita, oppure riesci a scrivere in “terza persona” e comunque mantenere l'empatia con i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: I personaggi che si vengono a creare sono la parte incondizionata del mio modus operandi. Non li controllo se non per il tempo necessario a essere risucchiati dentro la trama, poi fanno quello che vogliono e mi stupisco di quanto siano indipendenti, pur mantenendo uno stretto rapporto con me stesso. Insomma, sono un burattinaio sconfessato dai fatti, abbandonato nel mezzo del teatrino dell'impossibile dopo averne eretto le parti essenziali. A volte mi accorgo che c'è il mio ego dentro qualche personaggio e quindi l'empatia si tramuta in battaglia per evitare un plagio letterario in cui non voglio cadere.

Rosaria M. Notarsanto: La ricerca e lo studio sono parte fondamentale per realizzare una storia credibile e coerente, ma molti autori dichiarano sempre che a un certo punto della stesura dei loro manoscritti alcuni personaggi prendono il sopravvento, come se fossero entità vive, obbligando l'autore a cambiare le carte in tavola. A te è mai capitato questo? Eventualmente potresti parlarci dei personaggi che hanno rivoluzionato i tuoi progetti iniziali?

Abel Wakaam: Come ho appena spiegato, i miei personaggi sono talmente ribelli che fanno spesso quello che vogliono e mi conducono esattamente dove non avrei mai voluto o saputo andare. Ma in questo modo apprendo da loro una visione caratteriale che va oltre le mie capacità narrative. In fondo io sono soltanto un “mezzo” per cui possono esistere e quindi svincolano dal “dio supremo” di cui prendo le parti per decidere in ogni istante delle loro vite. È impossibile scegliere a chi di loro sono più affezionato perché dovrei rispondere che si tratta dell'ultimo in ordine cronologico.

Cenzie Loparco: Hai pubblicato diversi romanzi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Come mai hai preso questa decisione? C'è un filo conduttore tra le diverse storie che hai raccontato?

Abel Wakaam: Questo accade perché nel mezzo di una storia mi assale un'idea nuova che non può coesistere con la trama che sto già architettando. E allora parto con un progetto diverso e lo conduco fino al punto in cui mi affascina. In questo modo, mi trovo spesso a portare alla fine diverse storie in contemporanea, che viaggiano parallele tra loro senza mai sfiorarsi. Mi viene quindi naturale pubblicarle entrambe a pochi giorni di distanza.

Cenzie Loparco: La trama di Timeline, i viaggiatori del tempo, è molto intrigante. Da dove ti è venuta l'idea dell'enigmatica fotografia di un uomo seduto su una panchina in una cittadina di Lopar praticamente identica a un'altra immagine scattata a New York oltre un secolo prima?

Abel Wakaam: La storia di Timeline si svolge quasi interamente a Rab, in Croazia, l'antica Felix Arbe dei Romani. È un'isola che conosco come le mie tasche perché vi ho passato molto tempo della mia vita. Uno dei luoghi in cui ho scritto diversi romanzi è il parco Komrcar che si trova oltre le mura della città vecchia e la sovrasta. Lì è normale incontrare gli abitanti che leggono all'ombra dei pini secolari e più di una volta li ho immortalati con un potente teleobiettivo. L'idea della somiglianza con un'identica fotografia scattata a New York mi è servita per coinvolgere gli Americani in una vicenda molto intricata che risale a tanti anni prima. Ma di più non posso raccontare per timore di svelare l'arcano.

Franco Filiberto: Viaggiare, conoscere posti nuovi e nuove persone arricchisce senza dubbio ognuno di noi, ma per uno scrittore sono anche una fonte preziosa di spunti per trame e personaggi. C'è qualcuno o qualcosa che è passato, anche se solo in parte, da un tuo viaggio a un tuo libro?

Abel Wakaam: Per semplicità, dovrei rispondere che ogni cosa che ha nutrito i miei occhi si è fatta parola attraverso le mie dita. Viaggiare è una ghiotta esca per la mente, perché è in grado di trascinarla con una lunga lenza oltre i confini della logica, per plasmare le idee che poi si tramutano in trama. Di ogni luogo che ho visitato mi resta almeno un ricordo più potente degli altri e lo rinnovo periodicamente riguardando le fotografie che hanno immortalato ogni istante di quei giorni. Senza di esse, molti frammenti sarebbero andati perduti e per questo credo che scrittura, viaggio e fotografia siano tre elementi inscindibili nella società moderna.

Franco Filiberto: Cosa pensi dell'editoria italiana e delle piattaforme di self publishing?

Abel Wakaam: A mio parere, l'Editoria italiana è morta e sepolta. Con tutto il rispetto che posso avere per i professionisti del settore, non vedo un futuro plausibile che possa contrastare la spinta liberista che è emersa in questi ultimi anni. Per farti un esempio, se oggi scrivo la parola fine su un romanzo, domani posso effettuare l'upload su Amazon KDP e due giorni dopo mi arriva a casa stampato e rilegato, pronto per essere letto. Con un click può essere acquistato e consegnato in tutto il mondo a tempo di record. Quale CE può fare altrettanto?

Chiara Cipolla: Il mondo del self publishing sta esplodendo; secondo te le Case Editrici si stanno adeguando al cambiamento di stile, di genere, di marketing, di lettori ecc. oppure sono come cattedrali nel deserto, immobili e attaccate ai vecchi schemi?

Abel Wakaam: La Case Editrici tradizionali hanno reagito all'esplosione del self publishing nello stesso modo in cui gli antichi Romani hanno provato a contrastare il cristianesimo. Prima l'hanno deriso e poi trascinato al macero, in nome di una qualità e di un'appartenenza alla Casta degli Scrittori Professionisti. Poi, senza rendersene conto, si sono ritrovate nella stessa Arena e hanno utilizzato le medesime piattaforme online per vendere i propri libri. Con questo grave errore, hanno posto sullo stesso piano entrambi i prodotti, esponendoli uno accanto all'altro in un'unica grande vetrina. È stata l'apoteosi della loro sconfitta.

Barbara Repetto: Cosa pensi delle tecniche di scrittura? Le utilizzi?

Abel Wakaam: Una tecnica riconosciuta, applicata a ogni elemento strutturale, permette di replicare all'infinito un progetto corretto, basandosi sull'esperienza già acquisita. Ma l'arte è un'esplosione di creatività, non è una trave portante su cui far leva per sollevare il mondo. È un velo impalpabile che lo avvolge e che prende forme diverse a seconda della prospettiva con cui lo si guarda. Per evitare di produrre dei cloni, non ci resta allora che evolvere questa tecnica, tralasciando le basi sicure per sperimentare l'impossibile. Io credo che la creatività di un autore debba prendere in considerazione il rischio di abbandonare le strade già conosciute per inerpicarsi laddove nessuno è già arrivato prima.

Barbara Repetto: Cosa ne pensi delle EAP?

Abel Wakaam: Pagare per essere pubblicati è una forma di prostituzione intellettuale a cui ci si rivolge esclusivamente per appagare il proprio ego. Allo stesso modo considero l'assoggettarsi allo sfruttamento di quelle piccole case editrici che, pur non essendo a pagamento, non ripagheranno mai l'autore per il frutto del suo lavoro.

Barbara Repetto: A un autore emergente che spera di realizzare il suo sogno nel cassetto consiglieresti le piccole/medie CE, oppure il mondo del self?

Abel Wakaam: Non amo dare consigli a nessuno perché ogni individuo deve sperimentare sulla propria pelle il risultato dei mille errori che lo porteranno a crescere ed evolversi in continuazione. Personalmente considero principalmente solo due figure legate alla letteratura: l'autore e il lettore. Tutto ciò che si intrufola tra loro deve soltanto essere considerato un mezzo e, come tale, essere al servizio dei protagonisti basilari.

Barbara Repetto: Quale ingrediente fondamentale non deve mai mancare in un buon romanzo?

Abel Wakaam: Per rispondere a questa domanda servirebbero decine di discussioni e ci ritroveremmo alla fine senza riuscire a ricordarci il capo del groviglio da cui siamo partiti. Siccome odio evitare le domande, ti rispondo con l'unica parola che davvero mi appare insostituibile: l'originalità.

Marialuisa Moro: Da dove trai ispirazione per le tue storie e per i tuoi personaggi?

Abel Wakaam: Ho provato a riflettere molte volte su questo enigma e sinceramente non ho trovato una risposta. Di certo l'ispirazione non mi si presenta come un'apparizione divina e nemmeno come una missione da compiere per esaudire i miei sogni. L'ispirazione non concede preavvisi perché altro non è che un impulso riconducibile a fattori irrazionali e fortuiti, spesso privilegiati da una forma di intuizione geniale. Come già detto, i miei personaggi non sono burattini obbedienti che assecondano ogni trama precostituita. Potrei risponderti che tutto avviene per caso... nel caos che precede un ordine precostituito. Ma credo che anche il caos sia frutto di un ordine pregresso, dove ogni concetto si aggrega ai propri simili per poi abbandonarli senza una ragione plausibile. Credo quindi che l'ispirazione possa essere equiparata a uno sguardo furtivo tra due sconosciuti... una mera questione di feeling che non concede scampo a entrambi.
Tutti i miei Libri
Profilo Facebook
Contatto
 
6478 visualizzazioni