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Xenovision
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La mattina seguente, l'intero villaggio sembrava avvolto in un velo di cenere. L'aria era immobile, carica di tensione e paura. La notizia si era sparsa in fretta, come succede in ogni piccolo centro: prima sottovoce, poi a mezza bocca, infine apertamente, tra sguardi smarriti e frasi sospese. Alla locanda Wood Bay, dove i paesani si erano ritrovati quasi in modo naturale, si parlava sottovoce, seduti ai tavoli o in piedi vicino al bancone. Peter, Harry e Temper sedevano in disparte, con le tazze del caffè ormai fredde davanti. Nessuno toccava il cibo. «La moglie ha detto che non ha sentito nulla. Nemmeno un cigolio del pavimento, una finestra, niente.» Harry ruppe il silenzio, fissando un punto indefinito sul tavolo. Peter annuì lentamente. «Nemmeno un cane ha abbaiato. Nemmeno il mio. Nemmeno Bug. Ed è strano, perché Bug abbaia anche se cade una forchetta in cucina.» Temper tamburellava con le dita sul manico della tazza. «Nessuno ha visto nulla, nessuno ha udito nulla... ma qualcosa è entrato in quella casa. E ha ucciso un uomo nel suo letto. In silenzio.» Un vecchio seduto a un tavolo vicino si voltò, la voce roca: «Dicono che forse è un animale. Un predatore notturno. Uno nuovo, venuto giù dal bosco con questo cambio di stagione.» «No,» ribatté una donna più giovane, visibilmente scossa. «Se fosse un animale, i cani l'avrebbero sentito. Avrebbero reagito. Invece sono tornati feriti, terrorizzati e... muti. È come se qualcosa li comandasse.» Un altro, un uomo di mezza età con lo sguardo scavato e le mani tremanti, sussurrò: «Mia nonna parlava di spiriti dei boschi. Diceva che non bisogna costruire case vicino al confine degli alberi. Che certe presenze non vogliono essere disturbate.» Qualcuno rise nervosamente, ma nessuno lo seguì. Peter si sentiva vuoto. Era come se tutto ciò che aveva costruito, la sua logica, la razionalità da uomo di tecnologia e codici, stesse cominciando a sfaldarsi. Il video, il sangue, le coordinate GPS... tutto portava a qualcosa che non riusciva a spiegare. E per un uomo come lui, abituato a trovare sempre soluzioni, quel vuoto era peggiore della paura. «Forse...» disse lentamente, «non è tanto importante cosa sia. Ma perché. Perché colpisce i cani. E ora gli uomini. Perché sempre al volto.» Temper lo guardò fisso. «Magari per togliergli l'identità. O l'anima. Se qualcosa ha bisogno di cancellare chi sei... allora non è solo un predatore. È un messaggio.» Le voci si abbassarono ulteriormente. Nessuno sapeva davvero cosa pensare. Ma una cosa era certa: quella notte aveva cambiato tutto. Ora non si trattava più di cani, o coincidenze strane. Ora la morte era entrata nelle case. E tutti, nel villaggio, lo sentivano. Peter si passò una mano sul viso, ancora scosso dalla scena della notte precedente. Il caffè non gli andava giù, lo stomaco era un nodo. Ma fu in quel momento, come un lampo improvviso nel buio, che un pensiero gli attraversò la mente. La webcam. Quella che aveva fissato al collare di Bug. Non era una semplice videocamera. Era lo stesso dispositivo sperimentale che aveva usato durante lo sviluppo di Apotheosis, un prototipo militare in grado di catturare non solo immagini, ma anche dati topografici ambientali in tempo reale, per generare mappe tridimensionali dinamiche. «Dannazione...» sussurrò tra sé, alzandosi di scatto. Forse... forse, anche se il video era sfocato, forse tra i metadati del file c'erano tracce più chiare. Dati di profondità, rilievi termici, curve altimetriche. Qualcosa che, a occhio nudo, non si vedeva. Sembrava un'idea folle. Ma ormai tutto lo era. E in quell'assurdità, forse si celava una risposta. Nello sbigottimento generale, Peter si alzò di scatto, scaraventando la sedia a terra, e corse fuori dalla locanda, verso casa.
...
Peter era tornato a casa trafelato, con ancora negli occhi l'immagine del cadavere sventrato dell'uomo. Non perse tempo: si sedette alla scrivania, collegò la webcam di Bug al PC e iniziò il trasferimento dei dati. La barra di caricamento avanzava lentamente, mentre sullo schermo comparivano i primi file. Il sistema aveva registrato tutto: ore di riprese, ma soprattutto i metadati ambientali — i dati topografici a cui lui era più interessato in quel momento. Avviò il software di analisi 3D. Lo stesso che usava per il videogioco Apotheosis. Il motore grafico iniziò a ricostruire, in tempo reale, una mappa tridimensionale dell'ambiente percorso da Bug. Curve, depressioni, rilievi, tronchi d'albero, piccoli avvallamenti nel terreno. Il bosco appariva davanti ai suoi occhi in una grafica spettrale, come fatta di nebbia digitale. Peter avanzava lentamente lungo la timeline, osservando il percorso del cane nel cuore della notte. Poi si fermò. Nel punto in cui i cani si erano riuniti, qualcosa era apparso. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Davanti a sé, nelle coordinate esatte già registrate il giorno prima, si stagliavano delle forme... che non corrispondevano a nulla di conosciuto. Figure alte e sottili, come colonne deformi. Non alberi. Non rocce. Non animali. «Cos'è questo...?» mormorò Peter, zoomando sull'area. Le sagome non avevano contorni regolari. Sembravano ondeggiare. Alcune si piegavano, come fossero vive. Il sensore di profondità ne confermava la presenza fisica, ma al tempo stesso, nessun altro dato le identificava: né temperatura, né massa, né movimento rilevabile. Peter si ritrovò col fiato corto. Quelle presenze non erano state visibili a occhio nudo. Nemmeno nel video. Ma nel mondo digitale della mappa, c'erano. «C'erano davvero...» Apparvero per quasi un'ora, poi scomparvero del tutto, come se non fossero mai esistite. Eppure il TerrainScanner non poteva inventarsi nulla. Peter si accasciò sulla sedia, mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Quel bosco, pensò. Quel luogo nasconde qualcosa che non appartiene al mondo reale. Peter fece avanzare lentamente la sequenza, spostando il cursore del software fino al momento in cui i cani si erano raccolti nel punto ormai tristemente noto al centro del bosco. Aveva già visto le sagome strane, ma qualcosa gli diceva che non era tutto. Ingrandì ulteriormente la vista tridimensionale, focalizzandosi sul centro preciso di quel cerchio formato dai cani. Fu allora che notò una distorsione anomala nei dati. Un'area ellittica, di pochi metri, dove i dati topografici sembravano impazzire: le altimetrie si invertivano, i livelli del terreno si piegavano su se stessi, come se una forza invisibile avesse curvato lo spazio. La visualizzazione si deformava lì, come se fosse presente una sorta di... assenza di realtà. Un buco nella normalità. Il cuore del cerchio era contaminato da qualcosa che il software non riusciva a rappresentare correttamente. Ogni tanto apparivano flash di geometrie impossibili—poligoni impazziti, triangoli che si rincorrevano, linee che si intrecciavano per poi dissolversi nel nulla. Una sorta di "rumore visivo", come un'ombra digitale senza consistenza. Poi arrivò il momento dell'attacco. Peter trattenne il fiato mentre faceva partire la riproduzione a velocità normale. Nel giro di pochi istanti, i cani iniziarono ad agitarsi. Alcuni scattarono in avanti, altri indietreggiarono. L'atmosfera si fece frenetica. Ed è lì che Peter li vide: entità distorte, impossibili da definire. Non erano figure umane. Non erano animali. Erano simili a... glitch. Errori informatici. Apparivano e scomparivano, come errori nella matrice del mondo. I loro corpi non avevano una forma coerente. In un frame sembravano arti segmentati, nel successivo un turbine nero pieno di staticità. Il software non riusciva nemmeno a tracciare i contorni. Ogni cane fu attaccato in pochi secondi. Le entità sembravano colpire senza toccare, come se la sola presenza bastasse a causare tagli profondi, lacerazioni, urla canine disperate. Peter si allontanò dallo schermo, inorridito. Non era solo paura quella che sentiva. Era qualcosa di più profondo. Di più antico. Era la sensazione che quel bosco fosse connesso a un'altra dimensione. Una realtà fatta di distorsione e terrore. Una realtà che aveva appena cominciato a manifestarsi. Peter restò immobile per alcuni minuti, fissando le immagini che continuavano a oscillare sullo schermo come se fossero vive. Il silenzio nella stanza era assordante, rotto solo dal ronzio sottile del computer. Cercò di razionalizzare. Di trovare una spiegazione. Una glitch del software? Un'interferenza nei dati? Ma nessuna teoria bastava. Quei dati non erano corruzione casuale. Quelle figure, quelle distorsioni, avevano un'intenzionalità. Una logica sconosciuta. Come se qualcosa avesse deliberatamente lasciato un'impronta non nel mondo reale, ma nei dati stessi. Era una visione, sì. Ma non una visione dell'occhio umano. Era qualcosa che si rivelava solo a chi sapeva leggere i codici, le profondità numeriche nascoste sotto la superficie del reale. Un livello percettivo alieno. Altro. Peter si sfregò le tempie con forza, quasi a voler scacciare il senso di vertigine che gli cresceva dentro. Una parte di lui voleva chiudere tutto, dimenticare. Lasciare Boogerville per sempre. Ma l'altra sapeva che aveva appena varcato una soglia. Che ormai era dentro. E che doveva andare fino in fondo. Aprì la finestra di salvataggio del file. Il cursore lampeggiava accanto alla scritta “Untitled_3DScan”. Lo fissò per un lungo momento, poi iniziò a digitare lentamente, quasi con rispetto. Ogni lettera sembrava pesare. X-E-N-O-V-I-S-I-O-N Un nome nato dall'intuizione e dal terrore. La parola che definiva ciò che aveva visto: una visione estranea, aliena, impossibile da spiegare. Ma assolutamente reale. Premette “Invio”. Il file si salvò, ma Peter capì che nulla sarebbe stato più come prima. Quella visione estranea aveva aperto una porta verso l'ignoto. E ora toccava a lui scoprire come chiuderla. |
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Non sono assolutamente nato come scrittore, ma come scienziato. Sono di origini calabresi e sono un Dottore di Ricerca in Geologia Planetaria. Sono uno Scrittore Emergente solamente nel tempo libero. Mi piace alla follia esplorare luoghi estremi e, grazie al cielo, ciò si combina anche col mio lavoro da ricercatore in geologia. Ho infatti girato più di trenta nazioni in sei continenti, non solo per puro piacere ma anche per trovare campioni geologici utili per le mie ricerche. Per quanto riguarda la scrittura, scrivo piccole storie dall'età di sei anni, mentre al giorno d'oggi scrivo non solamente romanzi thriller ma anche sceneggiature per piccoli film amatoriali e videogiochi. Mi posso definire infatti Screenwriter, Game Writer e Game Designer per progetti indipendenti. Collaboro spesso con aziende di sviluppo di videogiochi, che mi contattano per offrirmi un contratto di lavoro come Narrative Designer, ovvero sviluppare sia la trama che i dialoghi tra i vari personaggi del gioco. Solo in seguito mi sono avvicinato alla scrittura di veri e propri romanzi thriller, con componenti scientifiche e d'avventura/azione.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?
Nicola Mari: Non credo sia stato un momento vero e proprio, ma più che altro ho avuto la passione di voler raccontare avvenimenti in modo emozionante fin da quando ho ricordo. Inizialmente ho cercato di farlo tramite videoclip o piccoli film amatoriali. Tuttavia, la mia carenza di esperienza sul lato tecnico dell'arte del filmmaking mi ha velocemente portato a pensare che fosse assai più logico utilizzare le ‘parole' più che la ‘videocamera' per raccontare una storia.
Writer OfficinaWriter Officina: Di cosa tratta la tua saga di libri thriller? E perché hai scelto il thriller piuttosto che un altro genere?
Nicola Mari: Ho scelto il thriller avventuroso perché è uno di quei generi che ti tiene sempre in suspense, che non vedi l'ora di finire per capire qual è il succo di tutti gli avvenimenti. Odio far annoiare il lettore. Credo che chiunque, spendendoci del tempo, può essere bravo a descrivere nel dettaglio maniacale una scena di un romanzo. Tuttavia, sono del parere che la vera bravura si vede quando riesci a tralasciare tutto ciò che non è utile alla storia ed a lasciarlo all'immaginazione del lettore. Nei miei thriller non c'è un attimo di stanca: tra sequenze d'azione, suspense, colpi di scena e spiegazioni vicine all'impossibile, il lettore, alimentato dalla curiosità, non è mai stanco di voler continuare a leggere. La mia serie di romanzi thriller si chiama “Serie FAPI”, che è l'acronimo di ‘Forensic and Anomalous Physics Investigations'. Kane Huss, il protagonista, è un ricercatore in astrofisica ed un ex-marine. Esso, appunto, fa parte del team FAPI, uno speciale gruppo di ricerca segreto anti-criminalità, situato al California Institute of Technology. Insieme, il team si troverà ad affrontare casi estremi che si intrecciano tra storia e scienza, tra fede e tecnologia, tra reale e apparente sovrannaturale.
Writer Officina: Quanti ne hai scritti al momento?
Nicola Mari: I primi due libri, per ora. Il primo si intitola “L'Universo Non Dimentica”, e si focalizza sull'interazione di tematiche riguardanti la materia oscura e il cervello umano, oltre al noto fisico italiano Ettore Majorana, scomparso in circostanze sconosciute, e al Manoscritto di Voynich, considerato il libro più misterioso del mondo. Il secondo si intitola “Antico Futuro”, dove cerco di conciliare un avvenimento storico avvenuto nell'antico Egitto con le tematiche riguardanti nientemeno che la nascita di Internet: i protagonisti si troveranno poi alle prese con quella che sarà un'avventura fuori dagli schemi e che riguarderà qualcosa di antichissimo accaduto sulla Terra. Entrambi i libri sono disponibili sia in cartaceo sia in formato Kindle, su Amazon.
Writer Officina: Hai fatto dei corsi?
Nicola Mari: No, mai seguito dei corsi di scrittura creativa. Tuttavia, ho letto un paio di libri di Narrative Design e Game Writing che mi sono stati davvero utili sul perfezionare le mie tecniche di storytelling.
Writer Officina: Ti sei documentato, p.e. sui luoghi, sui temi di cui parli nei tuoi romanzi?
Nicola Mari: Come ogni buon tecno-thriller, ogni mio romanzo è pieno di spiegazioni sia scientifiche sia storiche. Per forza di cose, ogni volta (nella fase di pre-produzione dell'opera) mi documento sempre tantissimo sui temi che intendo trattare nel racconto. Soprattutto per quanto riguarda gli argomenti scientifici, mi baso sempre su pubblicazioni ufficiali su riviste scientifiche a revisione paritaria per tutto ciò a cui faccio riferimento nella narrazione. Addirittura, a fine romanzo spiego sempre in una sezione apposita tutte le informazioni che sono vere e da dove le ho prese, includendone i riferimento bibliografici. Molte volte ho l'aiuto anche di esperti del settore in varie tematiche che mi aiutano come consulenza sui temi che voglio trattare nel libro.
Writer Officina: Ritieni che la verosimiglianza sia importante oppure no visto che si tratta comunque di fiction?
Nicola Mari: La verosimiglianza ritengo sia molto importante, soprattutto per mantenere la credibilità della storia. Tuttavia, ritengo che ad un certo punto della trama, quando i temi trattati sono ormai ben ‘digeriti' dal lettore, si può fare anche un passo in più e sfociare nella fiction vera e propria. Ed è qui che esplode tutta la mia creatività, e allo stesso tempo queste sono le parti più amate dai miei lettori. Quello che mi piace è partire da un'idea scientifica apparentemente impossibile per poi portare i miei personaggi ad investigarla sempre più in dettaglio fino a comprendere come in realtà essa sia possibile. Così facendo arrivo ad ingrandire questa idea fino a creare dei veri e propri "metamondi" che hanno caratteristiche sicuramente irreali, ma che per il lettore sembreranno del tutto credibili visto che risultano in linea con quanto descritto durante il racconto.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Nicola Mari: Prima di iniziare un nuovo romanzo, una marea di idee bellissime ma sconnesse viaggiano nella mia testa. La cosa più difficile è proprio qui: non tanto nello scrivere il romanzo, ma nell'ordinare ed unire tutte queste idee in modo coerente e logico (e non è per nulla scontato). Per fare ciò passano diversi mesi; anche un anno intero. Durante tutto questo tempo, il lavoro di documentazione sulle tematiche trattate viaggia in parallelo con la caratterizzazione dei personaggi e la struttura della trama vera e propria. Ecco: la caratterizzazione dei personaggi è assai difficile. Ogni personaggio deve mostrare un certo spessore e al contempo risultare interessante al lettore. Ad esempio, il protagonista non deve solamente essere "quello che salva il mondo", ma è altrettanto importante far capire "perché" esso vuole salvarlo, qual è la sua motivazione al livello personale. Più queste due cose sono originali ed intrecciate tra loro, più il romanzo sarà spettacolare. Oltre al protagonista, anche la figura del cattivo è importantissima da sviluppare in un thriller: perché è lui che "getta benzina sulle fiamme" facendo avanzare gli eventi della trama. Senza un buon cattivo non c'è conflitto, e senza conflitto non c'è storia. Solamente alla fine di tutto ciò inizio davvero a scrivere.
Writer Officina: Stai lavorando al nuovo romanzo della tua saga? Ce ne vuoi parlare?
Nicola Mari: Si, attualmente sto lavorando al terzo libro della Serie FAPI. Si intitolerà "Gli Abitanti dell'Inferno". Al momento, però, non voglio rivelare ancora nessun dettaglio sulla trama...
Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Nicola Mari: Fatelo! Impuntatevi a scrivere, ogni giorno, anche poco ma in maniera costante. Col tempo diventerete sempre più bravi. Perché alla fine è estremamente gratificante vedere le proprie idee stampate su carta e apprezzate dal pubblico.
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