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Suites di fine anno
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Dal Primo Movimento: Allemanda (Andante) Un disco suona. Un'etichetta gira, canterina e buffa, 33 volte al minuto. Diresti che è la roteante, caricaturale faccia del cappellaio matto a cantare lungo i solchi scavati, a emettere quelle parole amare, quella melodia disperata, a dispetto della danza in sabbia e mare scandita da tempi vivaci. Lost. Lunga cavalcata sonora che tante volte ha fatto da sottofondo a momenti di solitario abbandono. Stati sottilmente tristi da sentire in struggente sintonia con la musica, da consumare in malinconica armonia, fin nelle pieghe più diminuite, al limite di orli sonori -affacci imperscrutabili sugli abissi dell'essere- che vedo pennellati in copertine gloriose, come i mondi di estetizzante desolazione di Tales from topographic oceans. Strofe degne di un trattato di psicologia intima, quando scrivere “canzoni” significava qualcosa. Mi siedo a tavola con un piccolo tonfo, il corpo sprofonda sulla sedia. È il 30 sera e l'anno sta per finire nel peggiore dei modi. La mia ragazza è passata per Roma, una visita lampo, un caffè in un bar spoglio e malandato, attraversato da derelitti dallo sguardo svuotato, per dirmi che non mi ama più. Così. È passata e se n'è andata. Dopo dieci anni in cui ci siamo meravigliosamente amati. Dopo dieci anni di andirivieni per colmare la distanza che ci separava. Adiòs. --- I looked around and I found I was truly lost: without your hand in mine I am dead... Un quartino di vino aiuta a mandar giù il cibo mal triturato, a deglutire l'ennesimo boccone amaro della mia vita. Non più sul morbido sofà t'attendono cremose dolcezze, non più sensuali sorprese ti colgono alle spalle. La felicità vestita da sposa ha fatto la sua breve, insostanziale visita, come una rockstar in vacanza. E chissà che non fossero solo inventati fuochi di paglia, trucchi da illusionista di strada; che non esista. --- Le note di Silver Moon accompagnano le mie operazioni inconcludenti, ne canticchio le strofe evanescenti, modulate da bagliori di voce lunare, da poetici scenari d'amore. Quelle che per me hanno perso la strada maestra, in ponti interiori che si sono interrotti. I will build a shelter if you call Just take my hand and walk Over mountains high and wide Bridging rivers deep inside With a will to guide you on Your heart will need no one Those days are gone... Nella connessione empatica con la musica il dolore si acutizza, si espande oltremisura, enfatizzato dalla comunione emotiva con un universo rispondente, eppure tradisce un turbamento che lo rende eccessivo, falsato. La nostalgica evanescenza di quell'amore ti opprime, portandoti a scartare, immemore, i suoi lati oscuri, i momenti inappaganti, le storture di una storia che manifestava una felicità menomata. È solo la sua assenza a renderlo speciale, unico, insostituibile, portandoci a idealizzarlo come l'amore più grande, imprescindibile, e facendoci logorare dentro la nostra stessa caparbia finzione. Potresti allora risalire, più facilmente di quanto immagini, il baratro della sofferenza per affacciarti a scenari di opportunità nuove, dischiudere altri varchi di conoscenza, aprire spioncini sulla tua natura nascosta, in altre parole ribaltare il dramma in risoluzioni catartiche, trovare un significato positivo, renderti migliore, crescere, si dice, crescere. Ma queste sono solo parole, stai lì inerte, manca una concreta via d'azione. Tanto, a che servirebbe? Tutto è inutile, anche la più grandiosa delle idee, anche la più profonda erudizione, anche la più sconfinata delle bellezze; anche la stessa consapevolezza dell'inutilità. Tutto si perde (anche il cielo stellato finirà).
Dal Secondo Movimento: Capriccio (Allegro) Fa un certo effetto aprire questo portone, entrare all'interno di questo ascensore d'epoca, cabina in legno, vetrate lungo il perimetro, un sedile ribaltabile di velluto lilla. Ti ci puoi comodamente sedere lungo l'ascesa, veder sfilare pianerottoli adorni di quadri antichi, o meglio, di loro moderne riproduzioni, sette verticali clip quattrocenteschi. Dita tamburellano accenti rockblues sulle cosce, obbediscono al ritornello srotolato nella mente, una nervosa impazienza indecifrabile You know the day destroys the night Night divides the day Tried to run Tried to hide Break on through to the other side. Dall'altra parte. Il varco oltre cui alberga l'ignoto. Partono fantasticherie oltre la porta di legno oscuro. Ancora non hai suonato, ancora ci potresti ripensare. Ma il dito corre al campanello. Due gatti si mescolano alle calzature umane che si muovono per i corridoi e le stanze, seguendo incuriositi col loro passo felpato il ritmo sonoro dei tacchi che percuotono il pavimento. Non hanno paura, ma non c'è da sorprendersi... ne hanno visti di andirivieni. Le stanze sono ancora come le ricordavo, non è cambiato granché nell'arredo, nonostante che si debbano essere avvicendate parecchie persone nel corso del tempo, oltre quelle che ho conosciuto io... studenti, lavoratori occasionali, avventurieri, presunti artisti presuntuosi, separati cacciati di casa, sfrattati, sfruttati... alcuni stranieri, altri no, quest'ultimi quasi più estranei dei primi, condizione comune degli emarginati, People are strange when you're a stranger/faces look ugly when you're alone, una mescolanza etnica in continuo ricambio, dove le differenze si incontravano, le peculiarità si frammischiavano... che popolo meraviglioso potremmo essere, e a volte siamo, in eccezionali convergenze magiche, quando un'infinità di esperienze, storie, novelle, arricchiscono la varietà di una comune mensa, sapori da godere a suon di bicchieri tinnanti sulle trine ricamate di una enorme tavola imbandita... Un periodo interessante, col senno di poi. Prove di convivenza forzata, prove di sopravvivenza quotidiana. Noi avevamo la stanza più luminosa, più grande, con l'affaccio diretto sulla terrazza... uno dei gatti è ancora in vita. Ti ricordi di me, quadrupede? --- La via tracciata nella notte profonda è quella del faro che squarcia le pareti del buio, un ovale luminoso che viaggia lungo strade desolate, arrancando su pendii via via più impervi, tornanti risalenti la campagna ottenebrata. Risalgo il colle immerso nel solo rumore del motore, fino a uno spiazzo alla sommità del valico. Spengo tutto, in lontananza deboli luci sparse tra terreni indovinati, alberi sagomati, suoni di natura senza distorsioni di civiltà. Una luna ellittica, crivellata di fossi tetri, mi guarda sardonica, annegando tra i crinali. Seduto in sella ammiro senza vedere le valli sottostanti, nel puro assorbimento della fragranza notturna, della sinfonia combinata dei canti di natura, nell'insensibilità del gelo, nel dolore che ha chiuso ogni spiraglio, nell'ondeggiare ipnotico del corpo che ha perso ogni controllo. Due globi felini si stagliano nel fogliame monocromatico, identici a quelli di cui non ho saputo cogliere gli allarmanti annunci premonitori, le tagliole insidiose dell'imponderabile. Adesso mi parlano senza parole, senza il linguaggio del corpo, sfere isolate capaci di seguirmi nello svolgersi di un percorso più astrale che fisico. Tutti gli elementi si fondono per concentrarsi in quello sguardo che viene da lontano, che reca messaggi di sodalizio. Quella fissità oculare imita la staticità universale, in attimi sospesi, poi le iridi si spengono gradualmente, assimilandosi alla cortina nera che addensa sentori di presagi oscuri. Nel tempo che mi ignora, alcune ombre si muovono, in assenza di vento. Sono i primi chiaroscuri della rinascita terrestre, in contrapposizione a un'agghiacciante marcia funebre interiore. I contorni prendono forma, assumono tonalità sfrangiate, colorano il paesaggio come una tela di sostanza impalpabile. Uno stormo si leva, nella frusciante sonorità di un congiunto battito d'ali. È l'alba.
Dal Terzo Movimento: Sarabanda (Scherzo) Nel corso di un pomeriggio volubile, residui di nubi cariche di pioggia si sono a poco a poco allontanati, cedendo il passo a drappi azzurrati via via più tersi, limpidi e brillanti, grazie alla tramontana gelida che va raffinando l'aria. Affacciato alla finestra, vedi lo scuotersi dei rami e delle foglie che si scarmigliano nel vento, come vele sottilissime, pellicole di verde che ondeggiano in contrasto con il cielo azzurrognolo. È un esercizio ipnotico, una inquadratura fissa che fa perdere la nozione del tempo, al punto che i contorni della scena si vanno progressivamente confondendo con il fondo sempre più omogeneo e grigio. Il crepuscolo invernale avanza con rapida manovra, a passi di sorpresa. Le note di Starless drammatizzano la visione del cielo che muta, in anticipo su una notte ancora lontana, che ancora non si indovina se priva o meno di una fronte stellata. Sundown dazzling day Gold through my eyes But my eyes turned within Only see Starless and bible black I passi lirici enfatizzati dalla voce intrisa di poesia smuovono l'anima verso partecipazioni astrali. Sono suoni che ti appartengono per sempre, che tempo addietro scoprivi immerso nell'isolamento del buio e delle cuffie, pervaso di brividi acerbi: ti commuovono anche dopo lustri di non ascolto, come fatti della tua stessa sostanza cellulare. Meravigliose melodie scolpite per sempre nella storia dell'anima rock.
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Sono nato a Roma, dove mi sono laureato in scienze biologiche. La mia formazione è quindi prettamente scientifica, in particolare focalizzata nel campo ecologico. Ecco perché tra le credenziali che mi contraddistinguono sinteticamente sui social il termine “biologo” compare per primo. Ancora oggi il mio amore per la Natura e per i valori che essa incarna continua ad essere fondante, e si estrinseca al di là dell'attività lavorativa. Mi piace andare in montagna e vivere un rapporto diretto con le bellezze che il mondo naturale ci offre. Ma come sappiamo i confini tra le sfere umane sono labili e non nettamente separabili, per cui l'altro “io”, quello più votato alle attività artistiche, è sempre stato presente in modo parallelo. Questo per dire che il mio cammino professionale, che si è orientato sui binari della ricerca scientifica, si è inevitabilmente contaminato con le voci più interne e profonde, desiderose di un impulso espressivo più intimo. Ed ecco che accanto al naturalista si è affiancata la figura del poeta e dello scrittore, delineando così una personalità più complessa e completa, comprensiva di tutte le sfaccettature che mi contraddistinguono. Fortunatamente, non siamo mai degli esseri univoci.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Roberto Maggi: Non è facile individuare un momento preciso, ma posso senz'altro dire che l'attrazione per la poesia è comparsa fin dai tempi della scuola, a cui risalgono anche i primissimi componimenti. Certamente ho avuto anche la fortuna di aver incontrato degli insegnati illuminati che mi hanno aperto al mondo dei libri, insinuando in me quella curiosità che è fondamentale per approcciarsi alla grande letteratura: e non smetterò mai di ringraziare chi, fin dalla giovane età, ci ha indotto a leggere i grandi capolavori dell'ottocento, per quanto sembrasse arduo per le nostre menti acerbe. È stato un dono immenso.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Roberto Maggi: Ce ne sono molti. Tornando alla domanda precedente, e a quanto riferivo circa la letteratura dell'ottocento, posso senz'altro affermare che la lettura dei capolavori degli autori russi di quell'epoca mi ha fortemente colpito e influenzato, in particolare la portata immensa dei romanzi di Dostoevskij. Sicuramente all'epoca non li comprendevo appieno, ma hanno avuto il merito di spalancarmi le porte di un mondo incantato. Parallelamente venivo fortemente attratto dalla lettura dei poeti classici; ancora ricordo le emozioni che mi trasmettevano le odi di Catullo, di Ovidio, dei lirici greci, per poi approdare successivamente alla rivoluzione della poesia moderna, in particolare quella apportata dalla lezione dei simbolisti francesi. E da lì si è manifestata l'affinità elettiva con il sentire poetico, da lì sono scaturiti i primi componimenti in versi e, poco dopo, i primi esperimenti in prosa.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Roberto Maggi: Considerando la scelta di indirizzarmi a studi scientifici, sono passati moltissimi anni prima di pensare e poi decidere di pubblicare qualcosa. Continuavo ad accumulare poesie nel cassetto, nell'esigenza di esprimere il mio mondo interiore. Poi un bel giorno, già in età matura, in virtù di vari fattori che sarebbe lungo elencare, ho fatto il gran salto. A quel punto l'unica difficoltà consisteva nel selezionare le poesie e raccoglierle in forma omogenea. Così ho proposto la mia prima silloge a più editori, fin quando è stata finalmente accolta. La gioia che ne è seguita è stata grande, perché non immaginavo che sarebbe mai successo, ma al contempo è emersa anche una sensazione di timore: da quel momento in poi sarebbe stato invitabile per me espormi al giudizio esterno, confrontarmi con un pubblico critico. Non scrivevo più “per me”. Seppur di portata limitata, il confronto genera sempre un po' d'ansia, può indurre insicurezza e sfiducia. Ma, d'altro canto, può essere motivo anche di grande soddisfazione.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Roberto Maggi: Sono sincero, non conosco molto questa modalità, ho una visione ancora classica delle pubblicazioni. Ritengo che proporre un proprio lavoro a un editore che lo valuti in maniera seria, sia ancora la forma più opportuna per credere nella validità di uno scritto. Purtroppo non sempre è così, sappiamo bene che esistono editori che attuano politiche di dubbia eticità. Orientarsi nel modo dell'editoria sempre più affollato e caotico certamente non è impresa facile, e ci fa dubitare dell'affermazione che “se un'opera vale, allora si pubblica”. Per questo penso che chi opta per forme di auto-pubblicazione tra cui quello citato nella domanda, non per questo debba essere stigmatizzato. Può essere sempre una buona opportunità per farsi conoscere.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Roberto Maggi: Da un punto di vista puramente emotivo, il primo libro è quello che non si scorda mai, ed è inevitabile che occupi un posto privilegiato nella nostra scala affettiva. Si tratta, come dicevo in precedenza, di un libro di poesie (“Schegge liquide” – Aletti 2014) che in fondo è la traduzione in versi della storia di una vita, un viaggio volto alla cattura di stati d'animo sottili e sfuggenti, o dove vengono fotografati momenti di natura meditativa. Quello da cui ho tratto le maggiori soddisfazioni è però il mio secondo libro, la raccolta di racconti “Suites di fine anno” (Florestano edizioni, 2019), frutto di un duro lavoro compositivo e di ricerca espressiva, sia a livello stilistico che di contenuto. È un'opera a cui tengo particolarmente, e che è stata molto apprezzata da pubblico e critica, anche al di là delle mie aspettative. Va detto comunque che non mancano aspetti di similitudine tra le due pubblicazioni: le accomuna una medesima vocazione poetica, l'intento di mantenere una finestra sempre aperta sull'anima, dove la parola è alla ricerca costante della musicalità̀.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Roberto Maggi: Naturalmente questo dipende molto dalla natura degli scritti, se si tratta di poesia o di prosa. Nel primo caso la stesura è più istintuale, cerca di afferrare l'immagine emotivo-figurativa trascrivendola subito sulla pagina in un primo abbozzo. Poi segue il lavoro di raffinamento espressivo, a volte anche piuttosto lungo, che si attua tramite uno studio di ricerca strutturale e lessicale che tenta di render più compiuta la composizione, cercando al contempo di non alterare l'impressione primitiva. Per certi versi, l'operazione è simile anche per quanto attiene la prosa, perché quasi sempre la stesura è subordinata all'ispirazione del momento, ma va da sé che in questo caso il tutto rientra in un'idea generale più strutturata, un quadro ove far confluire i singoli elementi, le narrazioni spontanee scaturite dalla propria creatività.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Roberto Maggi: Ho da poco finito di lavorare ad una seconda raccolta di poesie, che racchiude componimenti vecchi e nuovi, raggruppati in modo omogeneo per capitoli tematici e collocati in modo tale da restituire l'idea dell'evoluzione stilistica e di pensiero che inevitabilmente si è prodotta nel tempo. La silloge è già stata accettata da un nuovo editore e la sua pubblicazione è ormai imminente. Sto inoltre lavorando ad altri due progetti in prosa, che dovrebbero tradursi rispettivamente in un romanzo e in una sorta di diario autobiografico, in cui far confluire vari aspetti della mia visione artistica. Ma è ancora prematuro parlarne, non sono prevedibili né i tempi né tantomeno i risultati finali...
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo “Suites di fine anno”?
Roberto Maggi: La componente autobiografica dei miei scritti è innegabile, ma ogni bravo scrittore dovrebbe essere innanzitutto un acuto osservatore della realtà che lo circonda, non solo delle bellezze che la vita offre ma anche delle storture e delle sofferenze che minano l'essere sociale, sebbene filtrate attraverso la propria lente personale. Indubbiamente io proietto molto di me sui miei scritti e la voce narrante di chi vive quelle storie è un “io” che molto si assimila a me, al mio modo di pensare e di agire; e le riflessioni, i dubbi, le incertezze che si annidano nella sua mente sono in fondo quelle che popolano la mia vita. Con questo non intendo dire che coincidano: in parte i protagonisti hanno una loro personalità, una indipendenza che li svincola dal mio essere, che genera un dualismo a più voci. Come nella migliore tradizione letteraria, l'alter ego acquisisce una sua propria natura. Ma resta il fatto nei miei lavori ho l'opportunità di dar voce alle emozioni profonde, di mettermi coraggiosamente a nudo e, perché no, anche di fare salutare autoironia.
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