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Acheni al Vento
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La dove dormono gli uccelli. La signora Maddalena con un fiore tra i capelli faceva il mimo alle ragazze andaluse, per quanto il suo pensiero alquanto lo dissimulasse. Quanto a Ninì aveva già i suoi pensieri per i pochi anni che aveva allora. Che gioia! Che terrore! Sempre aveva avuto questa impressione quando spalancate le finestre si tuffava nell'aria aperta del mattino; eppoi sentiva un'indescrivibile arresto, una sospensione, un presagio, un'avvisaglia terribile; e fissava il Tiflis che scorre profondo con l'acqua orlata dai salici verdi e i rami ingombri della piena invernale; e guardava gli alberi così saldi e dritti e le cornacchie che emergono dalla nebbia in volo; e guardava la nebbia che pareva un'onda che s'infrange sugli scogli; e stava lì e guardava, quando Concetta Abbati in meditazione sul terrazzo disse: “Vi state mangiando il nostro sangue?” Disse così? O disse: “Io preferisco i vampiri ai bambini?” Non ricordava bene, perché le sue parole erano così lagnose, ma certe espressioni rimanevano impresse: gli occhi, il sorriso, quel suo modo di fare scontroso, le battute sulle salme, pungenti come il temperino; e tra migliaia di altre cose ormai del tutto svanite, com'era strano, alcune espressioni come questa del sangue e dei vampiri. Da dove cominciare? Ecco. Un giovanotto, dall'aria semplice nel colmo di un giorno fresco e calmo, ricorda le circostanze nelle quali, circa cinquant'anni or sono, i fatti andarono prendendo forma nei luoghi di una città delle solite in Puglia dove così tante erano le botteghe dei barbieri e le imprese di pompe funebri da far pensare che i suoi abitanti venissero al mondo solo con il proposito di farsi la barba e i capelli e quindi, morire. Che senso intenso e sconvolgente di paura e di esultanza! Sempre aveva avuto questa impressione quando col pensiero, lo stesso che sente proprio ora, ripercorre come in un sogno, la strada che dal capoluogo si affida alla ferrovia e con questa s'incammina tra paesi in salita e in discesa sopra abissi che un tempo erano considerati inesplorabili. Dopo una sosta piuttosto lunga in quella zona ventosa e poco attraente, comincia la parte propriamente avventurosa del viaggio; una salita ripida e costante che pare non debba finire mai, mentre tra affanni, interruzioni e intoppi, la locomotiva piccola, ma dotata d'insolita potenza, lo portava dalle rive del “mare adriatico” alla stazione della sua città natale. Ninì (così si chiama il giovane), non aveva voluto attribuire particolare importanza a quel viaggio e neanche svelarlo con tutta l'anima. Era stato invece del parere di raccontarlo in fretta e ritornare tale e quale a riprendere la sua vita, esattamente nel punto in cui per un momento l'aveva lasciata. Dentro i fatti. Lui abitava in cima a un palazzo: da lì spiava sino a perdersi e dove si perdevano gli occhi anche il cuore restava invischiato. Quando andava per i cinque sei anni, i confini erano la casa di sua zia Concetta due porte a sud dalla sua e la casa di zia Elvira una porta a nord e questa storia inizia giusto un mattino, quando uno dei due inquilini (che poi sono le sorelle di sua madre, che è già morta e sepolta tanto per cominciare), supera il proprio confine per fare una iniezione ad un bambino di sei anni circa di nome Ninì.
Ninì Io sono Ninì. Dalla finestra vedo la strada fonda, solenne, dove le ruote e gli zoccoli dei cavalli dei contadini sollevano nuvole di polvere e un vento che asciuga piano il verde. In un attimo il vento si fa particolarmente forte e teso, il cielo si scurisce fino a sfiorare il suolo, e su una grande porta che si affaccia nel vuoto, vedo zia Concetta con una espressione che ancora mi percuote. “Questo è l'inferno!” Pensai. Un grande vuoto e io stanco, in piedi, che mi aspetto qualcosa di terribile, con quella che stava lì cupa come la figura di un boia, in attesa di una esecuzione. Le si leggeva il cuore in volto con i suoi occhi fiammeggiati, e si capiva ch'era inconscia con quel suo cappello, non adatto per la mattina presto. E quando si agitava come ora, togliendosi il cappello con un gesto stravagante, si sentiva come un'educanda neanche diciottenne. Aveva addosso una giacchetta color sangue e un'orchidea che le spirava in petto moscia e ricadente; e quella volta mi chiesi, che sarebbe interessante sapere perché sono così cattivi questi parenti di seconda, è di terza o di quarta classe. Ma quella mi farebbe annegare in una vasca di pesci rossi se solo sospettasse che la definisco di terza o di quarta classe. Lei era ritornata dalla Russia uno dei giorni di gennaio o febbraio, perché era interessata alla politica come un uomo. Ricordo che puzzava di sudore e non si poteva restare in una stanza con lei per più di cinque minuti, senza che non ti facesse perdere ogni pace. Aveva una fissa in testa. Voleva darmi un palliativo perché secondo lei ero turbolento e mia madre col più amabile dei sorrisi le disse: - Ma che sciocchezze dici vuoi rovinarmi il bambino? - Spesso quella zia mi saettava davanti con un grido da strega tanto che alla fine era diventata uno di quei fantasmi con cui si combatte la notte, che si attaccano addosso e ci succhiano il sangue, sempre più dominatori e tiranni. Fu così che entrai in un mondo così pauroso che iniziai a tremare, specialmente quando pioveva tanto e i fulmini squarciavano il cielo. Quando la pioggia si faceva più intensa, la mia consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto che il momento che la sentivo salire era per me un momento doloroso. Infatti era la nonna che entrava in silenzio e piazzava sul pavimento la bacinella e un secchio, nei due punti dove il tetto perde. Non riuscivo a dormire e fissavo lo sguardo su un quadro appeso al muro. Un dipinto che rappresentava un bambino seduto su una nuvola, intento a guardare qualcosa in lontananza. Era la solita notte pre-primaverile il freddo s'infilava gelido nelle stanze. E così quella buonanotte che amavo tanto mi spingeva ad augurarmi che arrivasse il più tardi possibile, perché prolungasse il tempo di tregua, poiché sapevo che la mamma non sarebbe mai venuta. Ancora oggi sono perseguitato dalla mancanza del bacio della buonanotte. Poi cominciavo a sognare... Registratore di un sogno. All'ultimo raggio di luce che vide avanzare le tenebre mi investì un fetore di muffa con due donne vicino. Mastica e sputa la prima, mastica e sputa l'altra, e io con una penna a fare un inventario su fogli di cristallo che si frantumano. Mamma avanzò leggera, alta, eretta, per essere subito salutata dalle facce foruncolose delle sorelle, che avevano sempre le mani rosse come se le avessero tenute a bagno nell'acqua fredda. |
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Sono nato e vivo in Puglia, a Bitonto in prov. Di Bari. Nella vita sono stato tenente del Nucleo Operativo Tutela Ambientale (Nota) della Polizia Provinciale di Bari. Sono stato anche calciatore, cioè mi sono divertito a giocare al calcio. Amo la musica. Suono la chitarra discretamente e mi diverte strimpellare al pianoforte. La mia grande passione è la scrittura. Alla mia ricerca affianco sempre e comunque... la scrittura. Una scrittura istintiva, libera, non legata a schemi metrici, ma supportata da una sonorità che vuole dare voce alla gioia di vivere, di lottare, di ricordare eventi belli e tristi della vita e se qualche volta enfatizzo il dolore, lo faccio non per esaltarlo, ma per pura e semplice riflessione. Molto tardi mi sono affacciato nel campo dell'editoria con il primo romanzo, “Acheni al vento”. Un romanzo di “formazione” introspettivo, introspezione che aspira a condurre il lettore gradualmente a una riflessione profonda nel corso della lettura.”
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Michele Caiati: Ho sempre pensato alla letteratura come strumento per capire i fatti della vita, la natura umana, e interpretare la nostra storia collettiva. La letteratura come estensione della vita. Così si è sviluppata in me anche la voglia di scrivere, cioè la febbrile voglia di raccontare e scavare nell'animo dei personaggi che via via inventavo e che in linea di massima, corrispondono al vero, alla vita reale, con qualche riferimento al mondo della fantasia.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Michele Caiati: Sì mi ha impressionato tanto un libro di James Augustine Aloisius Joyce, noto come James Joyce. Uno scrittore irlandese anticonformista per eccellenza. Il suo romanzo più noto, “Ulisse”, è stato una vera e propria rivoluzione, a sentire i critici del tempo, rispetto alla letteratura dell'ottocento. In relazione alla sperimentazione linguistica presente nella sua opera, è ritenuto uno dei migliori scrittori del XX secolo. Il suo “monologo interiore” o “flusso di coscienza”, ovvero, pensieri scritti così come si presentano nella mente, portano messaggi di volta in volta detti con determinate parole e con immediatezza, difficili da decifrare in prima analisi. Questo stile di scrittura lo sento particolarmente vicino, tanto da diventare fonte di ispirazione e sperimentazione nel libro “Acheni al vento”. Infatti in alcuni capitoli del romanzo, sono presenti, frasi scomposte prive di punteggiatura, che esprimono il massimo del furore (di quel momento) del protagonista. Il romanzo si conclude poi, con un'altra caratteristica “joyciana”, il monologo interiore, che esprime il senso dell'indignazione, per quello che ha subito negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Michele Caiati: Beh, il primo libro è sempre un'incognita, lo si scrive inconsciamente senza farsi condizionare tanto dal desiderio della pubblicazione. All'inizio le difficoltà sono tante, come tanti, come tutti. Nessuno ti conosce. Poi con un poco di fortuna, puoi trovare qualcuno che la bontà di leggerlo il tuo manoscritto e lo ritiene pubblicabile. Il giudizio? “L'opera, si presta a incontrare il favore di una fetta di pubblico abbastanza ampia e trasversale per età, sesso e gusti”. Così è passato.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Michele Caiati: Di questo argomento non posso dirti gran che. “Acheni al vento” è nel ciclo on line di Amazon. Non so dirti molto in merito. Non sono informato dei vantaggi eventualmente esistenti in termini di guadagno? Di visibilità? Beh, non ti so dire. So che è possibile iscriversi o cancellarsi al programma KDP dopo un determinato numero di mesi, con la possibilità di riproporsi e cancellarsi ancora, e questo potrebbe (uso il condizionale che mi sembra appropriato per chi non conosce le dinamiche) rappresentare un vantaggio, sotto certi aspetti. Ma sinceramente non ho nozioni ulteriori. Non so dirti, qual è la mia idea in proposito. Mi riprometto in futuro di prestare più attenzione a queste problematiche, così da poter formulare con precisione il mio personale punto divista.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Michele Caiati: “Acheni al vento” è il primo libro che pubblico. Devo aggiungere che ho firmato un altro contratto un mese fa con una casa editrice e in marzo uscirà un nuovo romanzo intitolato “Prospettiva Nevskji tra demonio e santità”. Un romanzo del tutto sperimentale, partendo dall'analisi di un momento particolare nella vita di un individuo, che riflette il caos della mente umana. Per il resto, non ho molto altro da preferire, fatto salvo la pubblicazione di tre racconti, pubblicati dalla casa editrice “Sensoinverso” di Ravenna. Tre racconti pubblicati in antologia a seguito di tre concorsi letterari, dove sono risultato particolarmente fortunato e vincitore in tutte e tre le competizioni, a distanza di poco tempo uno dall'altro. Voglio aggiungere che sono a buon punto con la creazione di un terzo romanzo scritto con e la tecnica e lo stile di James Joyce, come già detto prima, autore del celeberrimo “Ulisse”.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Michele Caiati: Devo essere sincero. Scrivo d'impatto, d'istinto. Nel senso che promuovo la mia stessa curiosità nel verificare dopo, quello che ho scritto. Però nel rileggere tutto, ravviso sempre una sonorità continua nelle parole, una musicalità che mi incoraggia a continuare. Naturalmente, la storia che si vuole raccontare, il romanzo che si vuole elaborare, deve avere per forza un momento da cui partire. Nell'insieme deve avere un suo filo conduttore. I pensieri di chi ha voglia di scrivere poi, secondo me, crescono da soli nella mente, anche se c'è il pericolo di perderli, di scordare tutto. Ogni pensiero quindi cerco di annotarlo su un brogliaccio per riprenderlo al momento giusto, perché il cuore della storia deve essere articolato con fatti, descrizioni, personaggi e situazioni connesse tra loro.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Michele Caiati: Sì sono impegnato, come ho già detto, a scrivere il mio terzo libro. Sto scrivendo, lentamente. Non so quando finirò. E' una storia. Una lunga storia. Un'idea completamente diversa. Questo in lavorazione non ha ancora un titolo. Oddio, il titolo l'ho in mente ma va a finire che cambio. Alcune volte viene naturale scrivere, specialmente se parto da cose mie, ma poi si sa, tutto diventa universale tramite la scrittura. Sento l'esigenza di plasmare la forma poiché il contenuto spesso non basta. Anche in questo libro adotto il flusso di coscienza, e cerco di sperimentare con neologismi e con la dissoluzione quasi estrema della trama, magari con il disfacimento, la dispersione, la disgregazione e l'inarrestabile eventuale decadenza, e la ricomposizione del tutto.
Writer Officina: che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Michele Caiati: Sembra strano ma è una domanda a cui non è facile dare una risposta. Nessuno tiene la verità in tasca. Ci provo. Primo. Avere una profonda passione per la scrittura, naturalmente è fondamentale. Secondo, non vorrei essere frainteso, ma sembra importante sostenere che l'autore scrive prima di tutto per se stesso. Le emozioni, recepite dal lettore, chiunque esso sia. E chiaro che l'autore ha la speranza di essere letto, e, per la mia personale esperienza, aggiungo che è importante revisionare subito, “a caldo” gli interi capitoli del manoscritto, per essere sicuro che il messaggio arrivi chiaro e sicuro al lettore, che è sempre intuitivo e agile e intelligente. Si sa di certo poi, che non puoi piacere a tutti, ci sono gusti e propensioni; è un'opera creativa, non è un'operazione di matematica e avere sempre presente i propri obiettivi, aiutano a impegnarsi di più, a imparare l'arte e metterla da parte. Poi, è importante credere in quello che scrivi, con assoluta fermezza e determinazione e, seguire sempre la propria passione.
Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?
Michele Caiati: Michele Caiati: Naturalmente tutto il bene possibile... in particolare? Spero che leggano e vivano la storia con le stesse emozioni che ho provato io a scriverla.
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