Writer Officina
Autore: Irma Kurti e Hasan Kurti
Titolo: I ricordi di un medico
Genere Diari e memorie
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I ricordi di un medico
Come le ombre.

Il ritorno nella casa di via Bardhyl a Tirana fu arduo. Quella dimora non era concepibile senza la presenza di mia moglie. Lei si sentiva così bene dentro quelle mura: puliva, ordinava, creava, dandole l'aspetto di una casa per le bambole. Di pomeriggio stava con Irma nella stanza da letto, parlava al telefono con le sorelle o guardava le sue soap opera preferite in TV. Gli istanti più felici erano quando comunicava con le figlie in Italia e contava i giorni fino al loro viaggio per Capodanno o durante le vacanze estive.
In un giorno soleggiato ci sedevamo in un bar, oppure lei andava dai parenti. Quando iniziò ad avere problemi di salute, non perse mai l'entusiasmo: pregava Dio di lasciarla “così com'era”. Perché lei era felice, le bastava una famiglia che la adorava; nonostante le limitazioni non avrebbe voluto cambiare una virgola alla sua vita. Ma Dio non ascoltò le sue preghiere.
Era strano non vederla passare nel corridoio, non sentire il fruscio caratteristico del vestito, il tocco leggero delle pantofole sul pavimento, il suo ritorno dalle visite e il vento dell'allegria che portava, sentirla parlare delle nostre figlie e del desiderio di vederle felici.
A volte mi sembrava che fosse andata al negozio vicino a casa o semplicemente a buttare la spazzatura e da un momento all'altro sarebbe rientrata sorridente. Ma il tempo passava e lei non arrivava. Quando tardava a venire, noi le chiedevamo scherzosamente se la strada si era allungata o se il negozio aveva cambiato sede. Lei, con una risata ci spiegava che aveva incontrato una vicina o un'amica e si era fermata a chiacchierare. Non avevamo dubbi che fosse così.
L'armadio con i suoi vestiti, che preservavano ancora il suo profumo, i cassetti del comò, dove tutto era messo in ordine, parlavano di lei, della sua presenza, della sua storia. Era impossibile immaginare che non sarebbe tornata a indossarli, a provarli o a sistemarli secondo il cambio delle stagioni.
Nei giorni che seguirono, i parenti vennero a farci le condoglianze. Accanto alla tazza di caffè, secondo l'usanza, mettevano una banconota. Ci chiesero dettagli, come a voler colmare la distanza insormontabile dei giorni in cui Sharon non era stata bene, quando le telefonate non avevano potuto trasmettere il dolore e le lacrime. Fu una vera sofferenza parlare di quegli episodi del passato, come viverli per la seconda volta.
I negozi, il parrucchiere, le strade affollate e polverose della capitale, dove mia moglie aveva camminato, fatto degli acquisti, incontrato delle persone, riempito l'aria con le sue risate, non tenevano più le sue tracce. Le vie sembravano deserte e svuotate. Ma i ricordi dentro di noi, quelli, nessuno poteva cancellarli.
Mentre io e Irma ci muovevamo come ombre per la casa, cercando il senso di questa nostra esistenza o semplicemente noi stessi, un giorno squillò il telefono: mia figlia doveva presentarsi all'Ambasciata d'Italia per ritirare il passaporto.

Il cuore più leggero.

Chissà quando torneremo di nuovo in questo appartamento!
Lo pensavo sempre, con la preoccupazione che fosse vuoto, che nessuno aprisse la porta e che potesse crollare nella nostra assenza. In effetti, lo trovammo così: rimpicciolito, con i mobili che sembravano vecchi, il muro del balcone che cadeva a pezzi.
Aprii i cassetti e fissai i vestiti di mia moglie. Mi doleva il cuore. Quando partimmo per l'Italia, nel marzo 2006, lei non poteva immaginare che non sarebbe mai più tornata a casa, nel suo amato Paese. Ma la vita è imprevedibile.
Iniziammo a preparare le valigie. Presi degli album fotografici che riassumevano i frammenti dalla nostra vita, della prima giovinezza, della famiglia. Quelle immagini mi avvicinavano al tempo in cui eravamo tutti insieme e condividevamo viaggi e gioie. Quanto lontano quel periodo, quanto irraggiungibile!
Mia figlia prese le magliette e alcuni vestiti di sua madre. Li guardò con attenzione, li piegò con cura e li mise in valigia. Avevano la stessa taglia ed ero convinto che le stessero bene. Ma forse voleva solo averli come ricordo. Decisi di non chiederglielo, bastava poco per rompere l'equilibro fragile di cui facevamo parte.
Il viaggio di ritorno andò bene. Le ragazze ci aspettavano all'aeroporto con tanta nostalgia. Nei nostri abbracci si sentiva l'affetto e il bisogno di essere vicini gli uni agli altri.
In quell'inizio di giugno il crepuscolo era pieno di luce e i colori, rosso e grigio, si disperdevano ovunque nel cielo. Sentivo l'Italia più vicina. Forse perché il corpo di mia moglie giaceva lì, o forse perché anche in quei luoghi avevamo le nostre memorie.
Appena arrivati nel nostro appartamento cominciammo a svuotare le valigie. Avevamo il cuore un po' più leggero. Adesso possedevamo un documento e speravo di ottenere anch'io il permesso di soggiorno. Ciò significava che non avremmo più camminato per le strade con un senso di paura e insicurezza, non ci saremmo più sentiti come persone senza nome, ma soprattutto, se avessimo avuto nostalgia per la patria, saremmo sempre potuti tornare.
A tarda notte, quando mi sdraiai, sentii su di me tutto il fardello degli ultimi tempi. Abbassai le palpebre e le conversazioni degli amici e conoscenti, le visite dei parenti, i viottoli del quartiere, il parco e il centro di Tirana con il viavai rumoroso delle macchine improvvisamente si trasformarono in ricordi.

Stralci di sogni.

I viaggi in Albania sono diventati meno frequenti, anche perché i problemi di salute aumentano. Vado per ritirare quella piccola pensione, ma di più per la nostra casa, che ogni volta mi incute un po' di tristezza, perché la vedo sempre più fatiscente e in piena solitudine. Non c'è nessuno che vive lì, tranne i ricordi. Loro sono vividi come allora, durante la notte mi attaccano e non riesco a dormire.
Le piastrelle del pavimento tengono i nostri passi, così nello spazio gironzolano le parole che abbiamo scambiato negli anni.
C'è un grande quadro appeso sul muro del soggiorno dove si vede una casa su un'isola. Raffigurava il nostro sogno di vivere tutti insieme da qualche parte, lontano dalla realtà e dalla politica, in un mondo migliore. Infatti, noi ci siamo riuniti in un altro Paese, anche se questo sogno era effimero, non è durato a lungo.
Nel novembre del 2012 tornai a Tirana con Leda. Il tempo era brutto e piovoso. Durante il volo ci fu una turbolenza abbastanza forte e lei, un po' impaurita, si appoggiò alla mia spalla.
Desideravo tanto andare nel paese natale, passeggiare nei sentieri dove ero cresciuto, nella foresta dove correvo, circondato dagli alberi che mi avevano fatto compagnia negli anni difficili dell'infanzia, vedere il rubinetto, o quel che ne restava, ma non ci riuscii. Non so se fu per la mancanza di tempo o semplicemente perché non me la sentii di affrontare una marea di emozioni.
Andai a Durazzo per incontrare mia sorella maggiore, Xhemile, che viveva lì con il figlio sposato e i nipoti. La vita l'ha messa di fronte a prove difficili, ma mi ha sempre voluto tanto bene.
Non ci vedevamo da molti anni. Ci abbracciamo con grande emozione. Per sfortuna, ultimamente era diventata cieca. Si se- dette vicino a me, mi teneva la mano tra le sue e mi accarezzava, pronunciando parole di affetto. Mi disse che era contenta di avermi incontrato prima di morire.
Mi commossi, sentendomi ancora quel bambino povero, orfano, ma sicuro vicino a lei che cercava di darmi tutto l'affetto e l'amore che mi mancava.
I suoi occhi, che una volta mi guardavano con tenerezza, ora fissavano il vuoto, un punto nello spazio. Il suo cuore sentiva la mia presenza e l'affetto. Presi con me quel ritratto, pieno di rughe e bontà. Fu il nostro ultimo incontro.
Camminai per le strade della città di Elbasan e rammentai il tempo in cui lavoravo come radiologo, il boulevard dove passeggiavo con Sharon e le nostre figlie, la via che percorrevo per andare all'ambulatorio centrale, l'appuntamento con i pazienti, le soddisfazioni di quella professione nobile.
Andammo nella zona dello stadio, dove si trovava il palazzo a forma di L, dove io e mia moglie avevamo vissuto per anni e avevamo creato la nostra famiglia, dove le ragazze sono cresciute e si sono istruite.
L'edificio numero 45 era sempre imponente e silenzioso, come allora, ma adesso sulle finestre si vedevano i condizionatori, cavi e fili elettrici che cercavano di spezzare la sua armonia. Di fronte resisteva appena un piccolo palazzo di due piani, che mostrava chiaramente le tracce del tempo. In quel cortile giocavano le nostre figlie e lì, sul parapetto del terzo piano, Sharon le chiamava o le scrutava senza distoglierle lo sguardo.
Quanta nostalgia! Improvvisamente mi sembrarono stralci di sogni e non di una vita vissuta.
Facevo i passi uno a uno come se sentissi il peso degli anni. Allora mi salutavano, mi chiamavano “dottore”, mentre in quei momenti non mi riconobbe nessuno; c'ero solo io, con mia figlia che mi seguiva dappertutto e cercava di ripescarmi dal flusso delle emozioni.
Fotografai nella memoria ogni passeggiata, ogni impressione, perché non potevo sapere quando sarei tornato di nuovo o se quella fosse l'ultima volta.
In questi anni, mentre ho preso appunti su questo taccuino, mi sono chiesto spesso: Riuscirò a finire questo diario?
Adesso capisco che non sarò io a scrivere l'ultima parola, ma gli eventi, le circostanze, la vita stessa. Posso solo dire che tutte le memorie, le immagini, i genitori, la mia infanzia, l'amore per mia moglie e per le nostre figlie, per tutte le persone che mi hanno voluto bene, rimarranno vivi e respireranno insieme a me, finché chiuderò gli occhi.
Irma Kurti e Hasan Kurti
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Autori di Writer Officina

Irma Kurti e Hasan Kurti
Sono nata in Albania nel 1966 e laureata in lingua inglese all'Università degli studi di Tirana. Dal 2006 vivo a Bergamo. Ho una lunga esperienza di lavoro come insegnante, giornalista e traduttrice. Sono una persona riservata, sensibile, ma altrettanto testarda e determinata. Mi piace viaggiare, adoro il mare, immergermi nel verde e sentire il fruscio delle foglie, ma soprattutto leggere e scrivere. Vado fiera del mio percorso letterario, di questo lungo viaggio, a tratti faticoso, ma anche bello e affascinante.
Ho pubblicato ventuno libri in lingua albanese, quattordici in italiano e quattro in inglese. I miei libri sono stati tradotti in lingua rumena, serba, spagnola. Sono autrice di 150 testi di canzoni, con cui ho partecipato a molteplici festival nazionali nonché di musica leggera in Albania, Kosovo e Macedonia.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Irma Kurti: Avevo dieci anni quando ho iniziato a scrivere e a pubblicare poesie. Sono stati i miei genitori ad accorgersi di questa mia inclinazione, specialmente mio papà, Hasan Kurti che mi ha seguito ad ogni passo, mi ha incoraggiato ed è stato il mio critico migliore fino all'ultimo momento della sua esistenza.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Irma Kurti: Non rammento un libro in particolare che mi ha spinta a proseguire con la scrittura. Penso che sia tutto merito di mio padre; lui era medico di professione ma anche un grande lettore, appassionato di letteratura e ha saputo trasmettere questa passione anche a me.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Irma Kurti: Sì, è stata una raccolta di poesie pubblicata nel 1999 da “Onufri”, una casa editrice nota in Albania, intitolata: “Questa notte con te”. Mi sono rimaste poche copie e quando la sfoglio mi emoziono leggendo versi scritti nella gioventù o nei banchi di scuola. Allora, non pensavo che questa avrebbe aperto la strada a tante altre pubblicazioni.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Irma Kurti: Può darsi. Ma ci vuole sempre un grande lavoro di promozione, senza dimenticare quanto importante è l'editing e la copertina. Ho scelto il self-publishing per alcune delle mie opere, anche perché sono numerose, ma ritengo che pubblicare con una casa editrice sia la scelta migliore.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Irma Kurti: Sono due i libri a cui mi sento più affezionata: il romanzo autobiografico “Tra le due rive” pubblicato nel 2011, un diario di amore e di affetto, di ricordi e impressioni ma anche di sofferenza e tristezza per la perdita di mia mamma. E l'altro è: “In assenza di parole” pubblicato nel 2017, anche questo dalla Casa Editrice Kimerik, basato sul diario che mio papà mi ha regalato prima di ammalarsi gravemente. È un libro che ha ricevuto delle bellissime recensioni e numerosi premi.

Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?

Irma Kurti: Assolutamente sì. Ho iniziato a scrivere il romanzo “Tra le due rive” dopo la morte della mamma, quando il vuoto era immenso come un abisso e guardavo il mondo solo dipinto di grigio. Avevo un rapporto speciale con lei, era la mia migliore amica. Quel libro mi ha aiutato di mantenere l'equilibro, di ritrovare e conoscere meglio me stessa attraverso il dolore. Anche il romanzo: “In assenza di parole” è stato scritto proprio quando mio papà da un giorno all'altro si è trovato inerte in un letto dell'ospedale. Li ho scritti tutti e due versando delle lacrime e sono stati la mia salvezza.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Irma Kurti: Tengo sempre un block notes con me in cui scrivo parole, versi, idee. Le mie poesie nascono così, basandosi su quelle note; poi le elaboro con pazienza finché prendono la forma finale. Riguardo i romanzi, anche se devo dire che nei miei libri c'è tanto di me stessa e del mio vissuto, disegno comunque un semplice schema che mi aiuta a non divagare e a concentrami sui personaggi.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Irma Kurti: Non c'è un singolo giorno in cui non scrivo. Ho appena firmato un contratto di pubblicazione per il mio nuovo romanzo, del genere sentimentale. È pronta la mia nuova raccolta di poesie e un altro romanzo scritto durante il difficile periodo del lockdown.

Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?

Irma Kurti: Leggere tanto, scrivere ogni giorno e non arrendersi mai davanti alle porte chiuse.


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