|
La leggenda di Mezzafaccia
|

Mezzafaccia. Oggi la giornata nasce umida, senza vento. Degli uccelli si alzano in volo, disturbati da qualcosa, e mi confermano che qualcuno, proveniente dalla costa, sta ancora inoltrandosi nel mio territorio. La consapevolezza che qualcuno fosse vicino, ha spezzato giorni fa la quiete di questa coda d'estate. Ne ho avuto il primo sentore il giorno stesso in cui stavo concludendo la preparazione della marmara, mentre ero intenta a verificare il grado d'essiccazione dell'erba. Per raccogliere la marmara io affronto ogni anno le mie peggiori paure: lascio l'entroterra e mi avvicino al mare, lungo le cui scogliere cresce e fiorisce rigogliosa. Ogni volta, nel rumore delle onde mi sembra di risentire i suoni e le voci familiari del nostro gruppo di capanne. I ricordi mi assalgono e l'ansia mi soffoca, per cui cerco di concludere il più in fretta possibile per rituffarmi nell'interno. Tanto amavo questi luoghi, prima che fossero devastati, tanto ora non reggo la quiete che è tornata. Una quiete viva di richiami di uccelli e di vegetazione fiorita, sì, ma le voci umane, quelle tacciono per sempre. Il solo respirare l'aria salmastra ha il potere di rammentarmi le passate raccolte, dolorose e solitarie, e i colori della foresta, che ogni estate torna a splendere di innumerevoli verdi cangianti, mi feriscono per la loro indifferenza alle sorti degli uomini. Questa ultima è stata l'ottava raccolta, da quell'estate maledetta. L'ottava! Otto volte le conifere, libere dal cappuccio bianco di neve, hanno respirato imponenti nella foresta, mentre ogni zolla ai loro piedi diventava un groviglio di erbe e funghi. Otto volte i roditori hanno preso, instancabili, a riempire le loro tane di scorte, mentre alci e cervi hanno pascolato in branchi, stretti e insidiati da presso dai predatori, intenti ad approfittare dell'abbondanza della stagione. E quindi sono ormai due volte dieci le stagioni calde che mi gravano sul cuore; stagioni tinte di verde, in cui sciami voraci di zanzare mi costringono a indossare, mio malgrado, casacche per proteggere la pelle delle braccia quando gradirei, visto il tepore, indumenti più leggeri. Stagioni in cui, come nella presente, ho preso costantemente nota dell'altezza del sole sull'orizzonte, osservandone il ridursi col passare dei giorni, fino al giungere di tempi più freschi, preludio dell'autunno. È sempre necessario avere consapevolezza degli eventi che la natura sta apparecchiando; è necessario per prepararsi, come ogni altra creatura, a ciò che incombe, alle temperature che verranno a cambiare la terra, la vegetazione, la caccia, ogni cosa. Ed è stato appunto in questo momento di passaggio al tempo più freddo che alcuni segnali mi hanno messa in allarme. Di sera, un fumo subito disperso dal vento mi ha raggiunta. Un odore debole, che mi ha indotta ad arrampicarmi tra i rami di un'alta conifera. Un guizzo di fiamme, un piccolo, rapido fuoco, laggiù qualcuno scalda in fretta poco cibo. Chi percorre questa terra che conosco palmo a palmo? Nei giorni che vengono, accorta a non rivelarmi mai e quindi a tenere una distanza di sicurezza, seguo il suo procedere dalla costa verso l'interno: senza sforzo, basta vedere gli uccelli lacustri alzarsi, annusare il fumo, ascoltare anche i più deboli fruscii e so quali acque guada e quali radure attraversa. Arretro. La prudenza, frutto amarissimo di terribili esperienze, consiglierebbe di rifugiarmi sui monti. Ma il cuore, invece, mi tormenta: ha un presentimento, vorrebbe sapere di più, sapere chi arriva. Mi ritrovo a ringhiare come una belva, a denti stretti. Forse potrei attendere, ben nascosta, e lasciar avvicinare chi avanza. Non è un solitario, a giudicare da come gli animali, disturbati, gli scappano davanti. Un solo uomo, un cacciatore, non potrebbe vivere di caccia, se fosse così poco prudente. Ma neppure si tratta di un gruppo numeroso, perché avanza comunque rapido e silenzioso. E io sento lo stomaco chiudersi per il timore che siano cacciatori particolari, alla ricerca di tracce diverse dalle orme di cervo. Combatto con me stessa. Alla fine, zittisco la prudenza e assecondo la necessità di capire: mi apposto su un acero, un vero gigante, a ridosso di uno slargo sassoso. I visitatori si sono mossi fin qui con regolarità, mantenendo una direzione precisa, il che mi consente di anticiparli e di scegliere il luogo più adatto. Infatti li vedo passare tranquilli, allo scoperto, bene in vista. Per un attimo, un velo rosso mi si abbassa sugli occhi. Ogni goccia del mio sangue urla contro di loro. Fatico a respirare di nuovo, e a snebbiare la vista. Lo sapevo, ho sentito fin dall'inizio che si trattava loro. Bestie. Mi assale il desiderio di liberare il mondo della loro sporca presenza. Nessuna creatura vivente si comporta come loro. La crudeltà assurda di questi predoni è intollerabile. Soffoco a stento un urlo, lo strozzo in gola, stringo le mani contro gli appigli dei rami fino a ficcarmi schegge di corteccia nei palmi. Il fogliame tra cui mi nascondo, e quello degli alberi che mi circondano, rosseggia come se i miei sentimenti, più che la stagione, tingessero le foglie di sangue. Dall'alto dell'acero, li osservo attraversare rapidi lo slargo, così riconoscibili! In nessun modo potrebbero confondersi con la gente delle mie terre: il fisico robusto da soldato, la pelle più scura, i capelli bruni, la barba lunga, e le casacche di foggia e tinte così diverse dalle nostre. Sono differenti in ogni cosa, comprese le armi, di un metallo sconosciuto, molto più resistente e anzi micidiale, se paragonato alle nostre. Ricordo il filo di quelle lame contro la carne. Sono solo tre. Fremente d'odio, mentre scendo accarezzo l'idea di precederli, di attenderli a un buon tiro d'arco. A uno potrei spaccare il cuore senza difficoltà, ma gli altri due sarebbero già nel folto prima che io abbia il tempo di incoccare nuovamente. A meno che... Ferma ai piedi dell'acero, raccolgo le idee. A meno che non fossero fermi, magari intenti a mangiare. Mi incammino con le mascelle che dolgono, tanto sono serrate, è così viscerale il desiderio, il bisogno, di vederli divorati dai vermi, che viene spontaneo cercare un modo. Mentre mangiano. Così forse ne abbatterei due, la reazione sarebbe più lenta. Ma almeno uno sfuggirebbe. Saremmo uno contro uno, poi. Potrei permettermelo, sul mio territorio. Non ho più l'inesperienza che mi perse allora. Ma devo pensare. Devo pensare, devo pensare! Accelero il passo al ritmo delle idee che vorticano. Se questi tre non tornassero, altri li cercherebbero? La stagione avanza, e questi uomini che cercano tracce presto torneranno indietro, lo so, perché la nave che li sbarca come un vomito acido riprende sempre il mare prima dell'inverno. Questi demoni non amano il gelo, pare, né il mare invernale in burrasca. Quindi, potrei liberarmi di loro! Nessun loro compagno verrebbe a cercarli, per non rischiare di restare a terra. Ma forse tornerebbero la prossima stagione. Magari penserebbero che i tre esploratori non sono tornati perché si sono imbattuti in una preda forte, quindi interessante. Tornerebbero, sì, con ben altre forze. E forse sarebbe meglio lasciarli andare, allora. Sono scesa dall'albero furiosa, ho cominciato a camminare indecisa, mi sto tenendo comunque di fianco al loro percorso, incapace di lasciar perdere, e mi imbatto in una singolare pista: ancora tracce, nuovamente ospiti inattesi! Vivo in una regione ben poco battuta, di solito, ed è una combinazione triste che nello stesso tempo vi si muovano più uomini. Quest'ultimo si direbbe un vero cacciatore. Non sarebbe arrivato inosservato fin qui, altrimenti, nonostante la mia attenzione fosse concentrata altrove. I contorni delle sue orme sono meno definiti, le calzature di morbida pelle che indossa ben diverse da quelle di duro cuoio degli stranieri. Spiccano inoltre le impronte di una creatura che lo accompagna, un grosso cane, grosso quasi quanto un lupo. Affiancate, le loro orme puntano in una direzione pericolosa. Come io ho intercettato la pista, che intersecava la mia strada, così faranno i tre miserabili bestioni che procedono di fianco a me, a una distanza che mi sforzo di mantenere costante. Chiunque sia il cacciatore, compiango la sua sorte, se lo prendono. Mi chiedo se posso e devo fare qualcosa. È passato di qui al mattino, quando il terreno assai umido cedeva molto al peso, segnandosi, e ora è il sole è quasi nel suo punto più alto. Forse potrei continuare a fare un giro largo e tentare di raggiungerlo prima di loro, ammesso che abbia mantenuto passo e direzione. Respiro piano e cerco di sentire la foresta. Mi è amica, spesso mi lascio guidare dal suo mormorio. Oggi però continua a essere molle, grigia, a testa china, l'aria inumidita da lacrime d'alberi. Decido di provare e mi muovo veloce quanto è possibile esserlo, senza rinunciare a essere silenziosa come un'ombra. Ma, quando cerco nuovamente la pista, non la trovo. Il cacciatore potrebbe aver deviato, oppure l'hanno trovato e preso. Avanzo cauta nella direzione da cui credevo sarebbe sbucato e ritrovo le sue tracce. Pare che sia solo tornato indietro. Mi colpisce l'idea che abbia un campo a cui voglia tornare prima di notte. A metà giornata, allora, potrebbe essersi fermato per tornare sui suoi passi. Se è così, e se quelli hanno incrociato come me la sua pista, lo hanno già catturato. Non hanno dovuto neppure inseguirlo, è finito loro dritto in bocca. Accelero, ma non trovo segni di lotta e scopro di non aver ragionato come i predoni. Eppure avrei dovuto immaginare che quelli, trovando le tracce di un uomo, non avrebbero puntato a lui, sarebbe stata una preda minima. Piuttosto, sarebbero stati interessati a trovare il suo villaggio. Che siano maledetti, non lascerò che succeda. Le belve hanno seguito le tracce del cacciatore all'indietro, sperando di essere guidati verso una comunità. Quello, ignaro, ha camminato a poca distanza da loro diretto al proprio campo, mentre io, con l'idea che forse avrei potuto ancora raggiungerlo e fermarlo, mi sono precipitata appresso a lui, a riguadagnare tempo. A ridosso di un costone roccioso, le belve hanno trovato infine solo una tenda: il cacciatore è lontano dalla sua gente. Mentre ancora stanno frugando, l'uomo sopraggiunge. Io, correndo alle sue spalle, sono ormai vicinissima, tanto da vederli, lui e loro.
|
|
Votazione per
|
|
WriterGoldOfficina
|
|
Biblioteca

|
Acquista

|
Preferenze
|
Recensione
|
Contatto
|
|
|
|
|
|
Conc. Letterario
|
|
Magazine
|
|
Blog Autori
|
|
Biblioteca New
|
|
Biblioteca Gen.
|
|
Biblioteca Top
|
|
Autori
|
|
Recensioni
|
|
Inser. Estratti
|
|
@ contatti
|
|
Policy Privacy
|
|
Autori di Writer Officina
|
|
|
Mi chiamo Cinzia, Cinzia Fabretti, ho infranto la fatidica soglia dei sessant'anni e per l'occasione mi sono fatta un regalo: ho pubblicato un libro. Pubblicare era un mio sogno antico, sulle radici più profonde del quale ancora mi interrogo, sento che non ne ho sviscerato del tutto i motivi. Comunque, per riuscire a portare un mio scritto fino allo scaffale delle librerie ho lavorato molto, anche se nulla mi garantisce che sia stato abbastanza. Spero che il lettore che dovesse trovarsi tra le mani il mio 'La leggenda di Mezzafaccia', giudichi di sì. Mi si chiede di presentarmi come persona, e mi riassumerò con tre parole: figlia, moglie e madre. Questo mi sento. Poi anche amica, per mia fortuna, di molte persone. E essere umano. Che non è poco, perché non basta nascere con il DNA della nostra specie: esseri umani si deve scegliere ogni giorno di restare, io credo. Amo la vita, la gente, ma anche la solitudine. E i colori. Amo tutto ciò che si può disegnare, dipingere, scolpire, intrecciare, incollare, fotografare, in un continuo stupore per la bellezza, che sia nel minuscolo o nell'infinito.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Cinzia Fabretti: Direi molto, molto prima di conoscere il significato di questa parola. Ho imparato a considerare i libri oggetti di grande valore da mio padre, osservando come li apriva, come li riponeva e li custodiva con cura. Prima di saper leggere già li amavo, e stupivo della loro magia, oggetti piccoli che ad aprirli contenevano mondi. E crescendo non ho fatto che amarli sempre più profondamente. Oggi, che buona parte della mia vita è trascorsa, il mio rammarico è di non averne fatto specifico oggetto di studio, di essere rimasta tanto a lungo solo una lettrice per diletto. Diversamente avrei forse imparato a mia volta a scrivere in modo migliore, e la fantasia che amo sbrigliare nelle mie storie saprebbe raggiungere i lettori con più forza, e saprei donare più emozione. Questo è il mio impegno, oggi: studiare e migliorare, perché la scrittura cui tanto mi piace dedicarmi, che tanta emozione mi regala, comunichi altrettanto ai lettori, legittimandomi a pubblicare ancora.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Cinzia Fabretti: Se è vero che già a sei anni regalavo favole da me inventate alla maestra, scritte a mano e illustrate (Almeno così ritenevo, di illustrarle elegantemente!) immagino che dovrei nominare le favole di Esopo che mi leggeva mio padre, come primo input. Ma davvero ne ho un ricordo confuso. Subito dopo, ci sono stati tutti i libri classici che un tempo si regalavano ai ragazzi, che esaurii entro i nove anni: tutto Verne, tutto Salgari, Dumas padre e figlio... dopo, ancora un salto e fui a Hemingway, Steinbeck, tutti i libri sulla seconda guerra mondiale possibili e immaginabili. E in un vortice di generi, dallo storico all'umoristico, da Eco a Woodehouse, dalla fantascienza ai libri sugli animali, da Asimov a Herriot. Un libro che mi diede la spinta? Tutti! Di tutti pensavo: vorrei averlo scritto io.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Cinzia Fabretti: Allora... per definizione un testo diventa libro quando è stato revisionato, editato, impaginato... e una sola delle mie storie ha ottenuto tutto questo ed è stata proposta a un editore: La leggenda di Mezzafaccia. Non era la prima storia che avessi scritto, ma ho ritenuto che avesse una qualche possibilità di essere pubblicata, soprattutto per la sua lunghezza: gli altri miei testi erano tutti o troppo brevi o troppo lunghi. Ho scelto la cosa che ritenevo più adatta, benché non fosse, lo confesso, la cosa che amavo di più. Comunque ebbi due risposte, una da Bookabook, il cui meccanismo, il crowdfunding, mi lasciava incerta, e una da una piccola CE non EAP, la Brè edizioni. Ho accettato la seconda ed eccomi qui.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Cinzia Fabretti: Dipende. Non è stata la mia scelta, ma se uno scrittore è pronto, se è consapevole di possedere una penna matura, se non si sta buttando impreparato in una avventura, allora sì, credo che pubblicare in self possa essere una grande opportunità. Ma non deve essere un modo per improvvisare, per eludere una professionalità che si traduce in accuratezza. Un editing lo credo quasi sempre opportuno e né impaginazione né copertina possono essere arrangiate. Inoltre qualsiasi autore, self e non, deve essere psicologicamente pronto a lavorare molto sulla promozione, perché oggi un libro ha tanta formidabile concorrenza da scomparire in un lampo dalla scena, se l'autore non si occupa di lui con abnegazione.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Cinzia Fabretti: Come accennavo prima, ho un lavoro cui tengo davvero tanto. È stato quello in cui ho investito più passione, più entusiasmo, e in cui ho commesso più errori. Sto cercando di staccarmi da lui, di dimenticarlo, perché andrebbe riscritto ed è una storia così lunga da distribuirsi su più volumi... una mole di lavoro esagerata! Ma benché cerchi di andare avanti, finisco per tornare su quelle pagine goffe e tanto care. Non credo riuscirò mai a pubblicarlo, ma tant'è... è lui il mio preferito, una saga caratterizzata da una commistione di generi, anche questa caratteristica indigesta per molti editori.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Cinzia Fabretti: Tento di crearmi una scaletta di massima, ma è davvero poca cosa. Ho visto gli schemi di altri autori, così dettagliati, con gli archi narrativi scadenzati con cura, con una programmazione sui capitoli, persino sulla quantità di parole approssimativa da rispettare nelle tappe intermedie... e questo mi ha fatto sentire piccolissima. Io scrivo molto di getto, persino le poche linee guida su cui mi baso all'inizio si stravolgono spesso nel prosieguo. Sono consapevole che questo mi espone a molto lavoro in più, spesso perdo il filo e mi areno, ho più manoscritti iniziati e rimasti a metà. Ma non riesco a fare altrimenti, quando cerco di organizzare un lavoro in modo più disciplinato il risultato è... non riuscire neppure a partire!
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Cinzia Fabretti: Purtroppo, subito dopo aver pubblicato sono finita in un turbine di necessità. In primo luogo avere dei profili social attivi, io che fino a quel momento usavo Facebook solo per seguire un paio di gruppi di appassionati di scrittura. Improvvisamente, sono piombata in un mondo che non è il mio, in cui mi muovo male e senza una guida sicura. Nel contempo, il mio sforzo di conoscere di più, di migliorare la mia scrittura, sta portando via buona parte del tempo che prima dedicavo solo a scrivere. Anche gli impegni di lettura, sia per apprendere che per curiosità nate dal conoscere ormai di persona certi scrittori, si sono moltiplicati. Quindi di fatto ho smesso di scrivere cose nuove da sei mesi buoni. Ma ho deciso che queste novità vanno padroneggiate in modo diverso, e che è tempo di riprendere la vecchia strada. Sarebbe assurdo che tutto quello che ho fatto, con lo scopo di scrivere meglio, finisse per impedirmi del tutto di farlo!
Writer Officina: Tornando al tuo romanzo, cosa vorresti che le persone dicessero dopo averlo letto?
Cinzia Fabretti: Vorrei dicessero che ha lasciato loro una carica positiva. Ho riflettuto molto su questo, perché non volevo che una cosa per me così bella, lo scrivere, diventasse, pubblicando, solo un atto egoistico, un modo per raccogliere qualche consenso e magari sterili lodi. Con la lettura io ho un grande debito di riconoscenza, le devo buona parte di me, una parte di cui sono soddisfatta. Il piacere di scrivere già è fonte di benessere, per andare oltre e pubblicare è stato necessario ci fosse di più, volevo poter offrire qualcosa, restituire almeno una parte del moltissimo che ho ricevuto. Quindi ho indagato a fondo sui sentimenti che la mia storia poteva suscitare. E quello che oggi più mi rende felice è avere da un lettore la conferma che ha chiuso il mio libro con una sensazione di speranza e di serenità.
Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Cinzia Fabretti: Consiglierei di non farsi autocensure. Di non temere la propria inadeguatezza. Di scrivere, perché è tra gli atti più liberatori che si possano immaginare. Poi, se il desiderio spingesse però oltre e diventasse non solo scrivere ma pubblicare, allora il consiglio diventa di cercare, prima, altri appassionati e di ascoltare, ascoltare tutti, ascoltare il più possibile, avendo la pazienza di conoscere prima, almeno in parte, questo mondo così variegato dell'editoria. Non improvvisarsi, assolutamente. Darsi il tempo di capire che scrittura è la propria, quanto sia acerba, a chi si può e si vuole parlare. Prima di farsi illusioni per poi vivere profondi dispiaceri, prendere coscienza di quello che si ha dentro e di quanto si riesce a esprimerlo. Poi, decidere. Perché qualsiasi sia in seguito il risultato, che si realizzino o meno le nostre speranze, non avremo rimorsi. Se ci saranno stati impegno e passione, pazienza e ricerca, allora avremo fatto il nostro meglio, e già quello sarà un premio, anzi, il vero, il migliore dei premi.
|
|
Tutti i miei Libri

|
Profilo Facebook

|
Contatto
|
|
|
|