Writer Officina
Autore: Luigi Arcari
Titolo: Un'arte sottile
Genere Romanzo
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Un'arte sottile
Gli innesti variano a seconda del tipo di pianta, purché sia legnosa, che si tratti di piante da giardino, fiori o alberi da frutta. Variano poi con le stagioni. Era marzo, il periodo migliore per gli innesti sugli alberi di melo, quando il clima è ancora freddo ma le rigidità dell'inverno pieno stanno cedendo il passo alla primavera in arrivo. Salvatore Capuano era indaffarato attorno uno dei meli poco distante da casa, in uno dei suoi esperimenti di innesto che tanto lo appassionavano, sempre alla ricerca di qualche nuova varietà che lo sorprendesse per qualche sua caratteristica di resistenza, sapore, odore o magari soltanto forma e colore. Era un maestro negli innesti. La tecnica è naturalmente frutto di esperienze antiche, tramandate da generazioni, condivise a fatica tra gelosi depositari, affinate con la pratica. Non bisogna però disdegnare i consigli della scienza, le innovazioni, le esperienze di altri popoli e su altre terre. Stava facendo un classico innesto a marza, del tipo a spacco comune, ma con variante inglese a doppio spacco, per la verità più comune nelle viti, ma che lui aveva spesso utilizzato con buoni risultati anche su piante di tipo diverso. Aveva scelto e potato il bionte inferiore, il portinnesto, un ramo della pianta di circa un anno. Aveva selezionato il bionte superiore da innestare, una marza all'incirca della stessa dimensione, con due gemme già presenti e lunga poco più di dieci centimetri. La lama della mozzetta si muoveva agile tra le sue mani, abili e decise. Penetrò nel portinnesto operando un taglio netto diametrale a quarantacinque gradi rispetto all'asse, perfettamente liscio. Non fu come tagliare il pane, con la lama trascinata orizzontalmente, ma piuttosto come affondare nel burro, di taglio, dosando accuratamente la pressione per arrivare all'altra estremità senza lacerare la struttura del ramo. Fu poi ben ripulita con un panno, con cautela. Quindi entrò ancora, dalla parte alta, eseguendo un secondo taglio meno di un centimetro sotto il primo, a scendere quasi in maniera parallela, fermandosi però all'incirca alla metà del ramo. Fu estratta e nuovamente ripulita, per infilarsi di nuovo quasi verticalmente, lungo l'asse, all'altezza della fine del secondo taglio, in modo da arrivare ad esso e staccare così il pezzo di legno tra i due tagli. Sul portinnesto erano così comparse due specie di linguette. La lama, ancora ripulita, effettuò sulla marza le stesse incisioni prima praticate sul portinnesto, accuratamente, con i tagli esattamente della stessa inclinazione, le linguette complementari a quelle sul portinnesto. A questo punto Salvatore Capuano risciacquò più volte la mozzetta in un secchio d'acqua, l'asciugò bene col panno, la chiuse e se la mise in una tasca.
La mozzetta è un amico fidato. È solo un caso di omonimia che lo stesso nome sia condiviso con la mantellina corta a bottoni portata da papi, cardinali, vescovi e via dicendo, di colore rosso scarlatto, viola o nera, con varianti più o meno accese, a seconda del grado. Solo una coincidenza terminologica banale. La mozzetta vera si tiene in tasca, al sicuro, tranquilla e pronta all'uso, all'occorrenza. È efficiente, senza costituire pericolo per il proprietario né violare leggi. È sufficientemente letale contro eventuali rivali, per offesa o difesa, a saperla bene usare. La mozzetta è un coltello il cui uso più frequente è proprio quello di incidere con la sua lama affilata come un rasoio i rami sui quali praticare l'innesto, senza sbavature e strappi del tessuto vegetale, nettamente, per un innesto ben fatto ed efficace. Un coltello da specialisti del settore, da contadini veri, che deve il suo nome alla sua estremità con la lama priva di punta, tronca, mozza appunto. Un coltello adatto al solo uso di taglio, tale da soddisfare pienamente la legge del 1908 emanata dal governo Giolitti. In un periodo di intemperanze sociali e politiche nella neonata Italia, un periodo di disinvolto uso dei coltelli, la norma limitava a soli quattro centimetri la lunghezza della lama dei coltelli a punta liberamente permessi senza un motivo più che giustificato, ma aumentava tale limite a dieci centimetri per la lunghezza delle lame dei coltelli a punta mozza. Salvatore Capuano aveva usato per l'innesto una delle tante mozzette che possedeva, naturalmente a serramanico, con la lama in acciaio inossidabile da sei centimetri e mezzo di lunghezza, per un totale di quindici centimetri a lama aperta. Era una semplice mozzetta da lavoro nei campi. In giro per affari o nel tempo libero, portava sempre con sé una mozzetta speciale, con il manico in corno bovino, una lunghezza totale di diciannove centimetri, con una lama in acciaio inossidabile da otto centimetri e mezzo. Un gioiellino artigianale. Sulla lama era incisa la scritta, su due righe e in carattere maiuscolo, PERMESSO DALLA LEGGE REGOL.P./S. N° 62/8.
Le estremità lavorate della marza e del portinnesto erano perfettamente lisce, ma vive entrambe, pronte a vivere insieme, della stessa linfa e della stessa terra. Salvatore Capuano prese la marza e l'innestò come una baionetta sul portinnesto, incastrando le rispettive linguette. L'incastro era perfetto, sembrava che i tagli fossero stati fatti a metà di un unico ramo. Prese poi un legaccio e cominciò ad avvolgerlo intorno all'incastro per circa cinque centimetri al disotto e al disopra dei tagli, saldamente, ma avendo cura di non stringere troppo per non strozzare il ramo. Questo avrebbe impedito il riformarsi della continuità dei condotti linfatici e il flusso regolare della linfa. I legacci vanno sostituiti ogni settimana fino a saldatura avvenuta delle due parti. Raccolse dalla scatola degli attrezzi un barattolo di mastice per innesti e lo spalmò lungo i tagli, sopra e sotto, su ogni superficie scoperta. Il mastice contiene una miscela di resine elastiche, oli vegetali, ammorbidenti, cicatrizzanti e antibatterici per aiutare l'ottimale unione e cicatrizzazione dei tagli, quasi delle ferite, impedendo anche l'attacco di batteri delle piante. Il lavoro era completato.
Salvatore Capuano diene un'occhiata al suo orologio. Tra meno di un'ora ci sarebbe stato un matrimonio, quello tra Gaetano Rizzuto e Angela Cassetta. Era stato invitato anche lui, ovviamente, gli sposi avevano insistito, ma sua moglie aveva avuto proprio qualche giorno prima un intervento per dei calcoli biliari, quindi lui aveva fatto sapere che preferiva non partecipare da solo. Si chiese se fosse il caso di cominciare qualche altro lavoretto, nei campi c'è sempre qualcosa da fare, oppure fosse meglio smettere e tornarsene a casa. Scelse la seconda opzione. Sistemò gli attrezzi nella loro scatola, accuratamente, ognuno al suo posto preciso, perché l'ordine nelle cose è importante nel lavoro, quasi quanto l'abilità stessa. Si tastò le tasche, per assicurarsi che la mozzetta fosse al suo posto, che non l'avesse lasciata da qualche parte. La mozzetta è un oggetto delicato, da trattare con cura, da utilizzare al momento giusto. Proprio a Gaetano Rizzuto aveva regalato una mozzetta identica a quella che aveva appena utilizzato, cinque o sei mesi prima. Mentre camminava verso casa rimuginò sul quel ricordo, insieme alle circostanze che avevano portato al matrimonio.
Salvatore Capuano coltivava la sua terra e allevava i suoi animali, terra che poca non era, frutto dell'unione di quella da lui ereditata, quella ereditata dalla moglie e quella nel tempo acquistata, con pazienza, grande oculatezza e lungimiranza. Era andato a scuola e poteva considerarsi un uomo istruito, ma alla istruzione associava un'antica sapienza contadina e la conoscenza dell'animo umano, dei suoi difetti e dei suoi pregi, dei suoi punti deboli e dei punti di forza. Era inoltre dotato di una innata abilità relazionale e di una forte empatia. Queste sue qualità ne avevano fatto fin da giovane un punto di riferimento sicuro ed apprezzato per tutta la comunità locale e per molta di quella dei dintorni. Si era progressivamente affermato, dapprima informalmente poi in maniera sempre più formale, come mediatore d'affari, intermediario tra interessi di vario tipo e di varie persone, spesso addirittura garante degli affari stessi. Aveva la capacità innata di saper capire e interpretare i desideri espressi dalle controparti, ma intuiva anche quelli più reconditi e inespressi. Sapeva soppesarli, evidenziarli, limarli ed esplicitarli nella maniera più adeguata, facendoli reciprocamente convergere, incastrare ed amalgamarsi, in modo tale da renderli di mutua soddisfazione. E non c'era quasi mai bisogno di scritture, private e pubbliche, a certificare l'accordo raggiunto. Il suo stesso avvallo, frutto di credibilità e rispetto, era garanzia della soddisfazione dei reciproci interessi e dell'osservanza dei reciproci impegni. Potrebbe essere argomento di riflessione individuare le ragioni per le quali certe qualità di gran pregio alberghino in qualcuno e non in altri, addirittura spesso emergano da contesti all'apparenza forse meno fecondi di altri per il loro sviluppo. Non sono mancate nella storia, in ogni campo, persone di umili origini che si sono rivelate eccelse in qualità per le quali avevano in potenza molte più possibilità di primeggiare altre persone, grazie alla loro florida condizione familiare e a favorevoli condizioni al contorno. Non era forse il grande Giustiniano di umili e oscure origini? E che dire delle prospettive che potevano avere alla nascita persone geniali come Faraday e Gauss? Come pure, qualità notevoli in senso positivo possono essere presenti in qualcuno accanto a qualità spregevoli e vizi innominabili. Al Salieri di Forman non appare inconcepibile che un uomo, a suo giudizio volgare e lascivo, come Mozart sia dotato della divina qualità della più alta ispirazione musicale? Questo per dire che l'arte della mediazione, nella quale Salvatore Capuano eccelleva, solitamente trova terreno più fertile in consolidate tradizioni familiari nell'ambito della giurisprudenza, della politica o della diplomazia. Tra gli affari curati, in maniera a volte centrale e più spesso accessoria, rientravano anche quelli sentimentali, unioni matrimoniali in special modo.
Luigi Arcari
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Luigi Arcari
Sono nato nel 1958 in Molise, ma vivo a Roma fin dai tempi dell'università. Laureato in ingegneria nucleare, ho lavorato per quasi 30 anni nel settore informatica e telecomunicazioni, ricoprendo incarichi manageriali in aziende internazionali. Dal 2015 al 2021 sono stato docente liceale di Fisica. Da settembre 2021 sono in pensione. Ho sempre coniugato la formazione scientifica con interessi umanistici, convinto assertore di una visione interdisciplinare del sapere. Nel 2018, ho scritto il mio primo libro, “Un diverso punto di vista” BookSprint Edizioni, una serie di racconti. Ho successivamente pubblicato su Amazon KDP altre due raccolte di racconti, “Ibridizzazioni” (2019) e “Il labirinto e altri racconti” (2020), e il romanzo “Un'ombra che cammina” (2021).

Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?

Luigi Arcari: Sono sempre stato un buon lettore e ho spesso nel passato provato a scrivere qualcosa, ma non sono mai riuscito ad andare oltre un buon incipit. Nel 2018, forse per il maggior tempo a disposizione o per una improvvisa vena creativa, i racconti raccolti nel mio primo libro sono scaturiti in maniera quasi naturale.

Writer Officina: Hai degli autori di riferimento?

Luigi Arcari: Troppi sarebbero gli autori, classici e moderni, da citare come parte della formazione di una vita. Dovendo dare dei nomi, citerei almeno Kafka, Dostoevskij, Bulgakov, Salinger, Sciascia e Calvino, ma anche Eco, Camilleri, Carofiglio, Ammaniti e Baricco, e poi Le Goff, Braudel e Pais.

Writer Officina: Molti racconti e un romanzo. Come vedi il rapporto tra i due generi?

Luigi Arcari: Scrivere racconti ha una sua peculiarità. Che credo il racconto consenta di focalizzare con efficacia un tema, un problema, un frammento di mondo, quindi più racconti permettano di scrutare un ampio spettro di situazioni e di emozioni. Il romanzo è invece più diluito, dilaga a macchia d'olio su un tema, lo sviscera magari nelle sue molteplici sfaccettature, ma limita la molteplicità della narrazione. Vedo il racconto come un lago piccolo e molto profondo, il romanzo come un mare esteso.

Writer Officina: Hai pubblicato i tuoi libri soprattutto su Amazon KDP. Ritieni che possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Luigi Arcari: Ormai probabilmente la pubblicazione del libro è la parte più difficile della scrittura. Dopo aver proposto i miei libri a case editrici piccole e grandi, col risultato di essere ignorato o ricevere proposte di pubblicazione a pagamento, ho deciso per una auto-pubblicazione su piattaforma Amazon KDP. Credo che l'auto-pubblicazione sia una soluzione importante per uno scrittore emergente.

Writer Officina: Hai detto che la tua formazione scientifica è molto integrata con i tuoi interessi umanistici. Sei riuscito a trasmettere nei tuoi libri tale connubio?

Luigi Arcari: Sono contaminazioni che fanno parte della mia cultura e della mia visione del sapere. Più esplicitamente, per esempio, il mio primo libro “Un diverso punto di vista” è nato proprio dall'idea di fare scienza e letteratura insieme, realizzare un percorso letterario e un gioco narrativo che esplorasse un universo fatto di microcosmi matematici e fisici, affrontati in maniera entusiastica ed accattivante. Dentro il libro c'è un po' di fisica, di matematica, di letteratura, di storia, di filosofia, arte, religione e anche musica. Ma anche nel romanzo “Un'ombra che cammina”, incentrato sull'organizzazione e la messa in scena di una rappresentazione teatrale in una classe liceale, come esperienza di stimolo per abilità relazionali e comunicative, c'è spazio per una riflessione sul metodo scientifico.

Writer Officina: Il tuo romanzo è ambientato in una scuola. È solo un'opera di fantasia oppure ha a che fare con la tua esperienza di docente liceale?

Luigi Arcari: Naturalmente l'esperienza quotidiana a scuola per circa sei anni ha contribuito all'ideazione del contesto narrativo. E accanto alla scuola, i protagonisti del romanzo sono i giovani, gli studenti. In fondo è un romanzo di formazione, di crescita e di maturazione.

Writer Officina: Puoi dire qualcosa della tua tecnica di scrittura? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Luigi Arcari: Direi che spesso c'è un'idea iniziale di partenza, ma a volte è anche il piacere di un incipit particolare o di una struttura narrativa specifica. Poi quasi sempre è una scrittura d'istinto, in cui le storie crescono per stratificazioni successive di idee e di percorsi, dove è raro che sia noto a priori dove si andrà a finire, quale sarà l'epilogo.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo qualcosa di nuovo?

Luigi Arcari: Ho un mio sito web www.luigiarcari.com dove presento periodicamente racconti e riflessioni, che confluiscono poi nei libri di racconti. Sto anche lavorando ad un nuovo romanzo, la storia di un inganno, di un'amicizia e di una caccia all'uomo, più esattamente ad una donna.
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