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I quattro cavalieri
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Alcuni clienti erano usciti da pochi minuti, dopo aver fatto i loro acquisti, ed io ero rimasta completamente sola all'interno del mio negozio. Vedendo che nessun altro cliente si stava avvicinando alla porta e vedendo l'ora ormai prossima a quella di chiusura, pensai che avrei potuto chiudere in anticipo per tornarmene a casa. Mi avvicinai quindi alla porta in vetro e voltai il cartello per indicare che il negozio era chiuso. Mentre mi trovavo lì, di fronte a quella vetrata, volsi lo sguardo verso la città che si estendeva oltre gli edifici posti sull'altro lato della strada. Osservai quei grattacieli, che venivano colorati di rosa dal Sole prossimo al tramonto, mentre alcuni elicotteri volavano tra quelle cime portando al loro interno persone potenti e dannatamente ricche. Mentre quegli edifici in lontananza risplendevano grazie alla luce del Sole, ed ospitavano persone ricche e potenti, intorno ad essi cresceva la città di Megalopolis dove criminalità e povertà regnavano sovrane. Abbassai lo sguardo per rivolgerlo verso gli edifici che si trovavano di fronte al mio negozio dove trovai, sui marciapiedi, alcune persone che se ne andavano per i fatti loro. Spostai lo sguardo leggermente sulla sinistra dove trovai un'automobile nera parcheggiata di fianco al marciapiede con intorno alcuni tizi appartenenti ad una delle tante bande di delinquenti che circolavano in quel quartiere. Osservai quella gente con disprezzo e con rabbia, mentre la mente, senza il mio controllo, si rivolgeva verso il quartiere dove ero nata e cresciuta. Quello era uno dei quartieri più poveri e malfamati della città. Si trovava nella periferia ovest di una delle città più popolose del pianeta. La città, infatti, contava una popolazione di circa trenta milioni di abitanti, almeno in base al conteggio fatto sui cittadini che venivano denunciati all'anagrafe, ma probabilmente erano molti di più. Di quei trenta milioni, un buon cinquanta percento viveva in povertà, molti dei quali in povertà assoluta. Alcune di quelle persone più povere, senza un lavoro e senza un pasto quotidiano, erano costrette a vivere in strada o negli edifici abbandonati. Ma alcuni di loro, quelli più disperati e senza alcuna intenzione di arrendersi, entravano a far parte di bande criminali. Quest'ultimo era l'unico modo per quella gente per poter riempire la pancia tutti i giorni e avere qualche soldo in tasca. Un cinque percento della popolazione della città faceva parte delle forze dell'ordine, le quali difficilmente si avventuravano in periferia, dove non venivano visti di buon occhio, e rimanevano nelle zone centrali a proteggere le persone più “fortunate” di noi. Un quaranta percento erano persone che vivevano nelle zone limitrofe al centro della città, dove si elevavano possenti quei grattacieli, e lavoravano per quel cinque percento di persone che controllavano l'intera città. Mentre la gente viveva come meglio poteva, politici corrotti, imprenditori senza scrupoli e mafiosi dominavano l'intera città e vivevano nel lusso più sfrenato. Quella gente dedicava la loro intera esistenza solamente ad accrescere il proprio potere, e aumentare le proprie ricchezze, mentre il resto della città veniva abbandonato al degrado più assoluto. In mezzo a quel mondo dominato dalla corruzione, dalla criminalità e dalla violenza, la mia famiglia cercava di sopravvivere meglio che poteva senza lasciarsi mettere i piedi sopra la testa e senza abbandonarsi a quel degrado che la circondava. Quando ero una bambina, e vivevamo in quella periferia, mio padre gestiva un piccolo negozio di giocattoli, dove lavorava insieme a mia madre, prima che lei si ammalasse. Grazie a quel negozio, i miei genitori riuscivano a guadagnare lo stretto necessario che ci permetteva di vivere meglio di quelle famiglie che si erano lasciate sottomettere dalle bande criminali che abbondavano nel quartiere in cui vivevamo. Mio padre si teneva lontano da quella criminalità e, chiaramente, incolpava i politici per quella situazione dicendo che non si preoccupavano a sufficienza della città e che dipendevano troppo da quelle famiglie di mafiosi che compravano il loro silenzio. Mio padre incolpava quei politici di tutto. Molto spesso lo sentivo dire che quei politici avrebbero dovuto ripulire la città in modo da permettere a tutti di vivere onestamente senza uccidersi, o derubarsi, a vicenda. A volte diceva che il mondo doveva essere per i giusti e non per i malvagi. Lui soffriva molto per quel degrado in cui era caduta la città in cui era nato e in cui aveva vissuto per tutta la vita. Ma, purtroppo per lui, i suoi pensieri, per quanto giusti, erano fin troppo utopistici. Giusto pensare che un politico avrebbe dovuto compiere azioni positive nei confronti dei suoi elettori, ma i soldi che gli arrivavano nelle tasche contavano più di quelle persone che credevano ai loro slogan elettorali. Quando sentivo quell'uomo parlare di quei politici, e affrontare quei discorsi, nonostante fossi solo una ragazzina, gli rispondevo dicendo che prima o poi qualcuno si sarebbe vendicato per tutto quel male che stavano vivendo le persone come noi. - No, figlia mia, non devi mai commettere l'errore di confondere il bisogno di giustizia con la seta di vendetta - era solito dirmi in quei momenti dopo aver appoggiato la sua mano sulla mia spalla. Naturalmente, quelle parole erano sufficienti per zittirmi, poiché quello che diceva mio padre era giusto anche se lo compresi a pieno solo dopo esser cresciuta. Quella città non aveva bisogno di qualcuno che vendicasse i tanti torti subiti, ma aveva un gran bisogno di giustizia, cosa che era venuta a mancare negli ultimi decenni. Mio padre morì quando avevo compiuto da poco dodici anni. Accadde una sera, mentre stava rincasando. Dopo aver chiuso il negozio, mentre stava tornando a casa con un sacchetto di carta in mano, il quale conteneva la cena che aveva acquistato per me e mia madre. Sulla strada incontrò dei delinquenti che tentarono di rapinarlo. Lui cercò di resistere a quei delinquenti come meglio poté ignorandoli completamente e cercando di proseguire per la sua strada. Ma purtroppo per lui uno di quegli uomini, spazientito dal suo comportamento e intenzionato a metter mano al suo portafogli, gli infilzò un coltello nel cuore uccidendolo. Mio padre, povero uomo, venne ucciso in un vicolo mal odorante e sporco, e quella gente prese con sé i pochi soldi che aveva, ovvero poco meno di quindici dollari. E quella era una delle tante realtà che esistevano nel quartiere in cui ero cresciuta. La vita di un padre di famiglia, il quale si guadagnava da vivere con il suo onesto lavoro, valeva circa quindici dollari! Comunque, al suo funerale mi avvicinai alla bara chiusa e la guardai cercando di trattenere le lacrime. - Mi dispiace papà... ma ti sbagliavi... purtroppo non serve giustizia... serve vendetta - borbottai con voce tremolante prima di tornare da mia madre. Visto il degrado in cui era caduto il quartiere dove ero nata, e a seguito della morte di mio padre, mia madre non ci pensò troppo e ci trasferimmo in un altro quartiere che, in apparenza, sembrava meno malfamato di quello abbandonato. Ma come avremmo dovuto aspettarci, mia madre venne ingannata dalle apparenze. In effetti, anche quel quartiere si rivelò essere in mano a delinquenti e a bande di criminali. Rassegnate all'idea di vivere in quell'eterno incubo, restammo in quel quartiere prestando attenzione nell'evitare strade poco trafficate e nell'uscire di notte, quando i malviventi si impossessavano di tutto. Abbandonai quei ricordi per tornare dietro al bancone e avvicinarmi al registratore di cassa in modo da prendere l'incasso della giornata. - Appena venti sette dollari... pazienza... andrà meglio domani - borbottai dopo aver contato le banconote presenti nel cassetto del registratore di cassa cercando di non abbandonare quel minimo di positività che mi aiutava a non arrendermi. Infilai quelle poche banconote in una tasca che avevo cucito all'interno del mio stivaletto destro e, dopo aver preso la borsa, lasciai il negozio per dirigermi verso casa. Lungo il marciapiede trovai svariate persone che andavano per la loro strada e i soliti malviventi che si aggiravano per il quartiere in cerca di guai. Cercando di non curarmi troppo di quella gente, camminai sul marciapiede mantenendo lo sguardo rivolto verso il terreno sottostante.
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Sono nato nel 1974 a Jesi, nella provincia di Ancona, dove vivo tutt'ora. Ho conseguito gli studi presso una scuola di formazione professionale ed ho lavorato per molti anni nel settore dell'automazione industriale come tecnico programmatore, svolgendo l'attività sia all'estero che su territorio nazionale. Un anno fa ho lasciato il lavoro per dedicarmi interamente alla scrittura e per investire su me stesso. Amo la lettura, anche se ultimamente ho poco tempo da dedicarle. Sono cresciuto coi classici come “Papillon”, “L'isola del tesoro”, il mitico personaggio “Conan” tanto per citarne alcuni. In seguito mi sono dedicato a letture più specifiche riguardanti la mitologia, la storia antica e la geopolitica. Sono appassionato di film e serie televisive di fantascienza e provo un'innata curiosità rivolta verso scenari post-apocalittici, i quali hanno ispirati alcuni miei romanzi.
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Michele Scalini: La mia passione per la scrittura è nata per caso, onestamente neanche sapevo che sarei stato in grado di scrivere un libro di fantasia. Accadde circa otto anni fa, mentre stavo affrontando un periodo difficile a causa della perdita del lavoro. Una mattina mi sveglio e vado al computer con l'idea di cercare qualcosa che mi avrebbe permesso di distrarmi da quel periodo difficile e che mi avesse aiutato a trovare nuovi stimoli, a reinventarmi per farla breve. Dopo una ricerca, mi sono imbattuto in un blog dove trovai una lista di attività da valutare. Consultai con attenzione quella lista cercando di capire quale attività fosse stata più adatta a me, fino a quando trovo scritto “scrivi un libro”. Leggo quel testo diverse volte, fino a quando esulto dicendo “ok, scriviamo un libro”. Da quel giorno non mi sono più fermato. Al momento ho scritto circa venticinque libri e la produzione maggiore l'ho avuta negli ultimi tre anni.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Michele Scalini: Inizialmente tentai con il self publishing, poi pensai di inviare il manoscritto ad alcune case editrici. La prima che rispose mi chiese quasi due mila euro per la pubblicazione, offerta che rifiutai naturalmente. In seguito rispose una piccola casa editrice dicendo che era interessata al libro. Così, le affidai il libro e lo trovai pubblicato su diversi store online. Fu una vera soddisfazione per me, poiché mi fece pensare che il mio lavoro aveva del potenziale.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Michele Scalini: Onestamente gli ultimi libri li ho pubblicati con kdp e così farò con i prossimi. Intanto kdp permette di pubblicare un libro in pochi e semplici passaggi, le royalty sono più alte rispetto a quelle pagate dalle case editrici e poi hai la possibilità di organizzare delle promozioni gratuite per l'e-book per alcuni giorni, questa cosa aiuta per avere maggiore visibilità. Ritengo che distribuire il libro con kdp sia un'ottima opportunità per uno scrittore emergente, visto che può gestire il tutto in completa autonomia e indipendenza.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Michele Scalini: Direi che sia “L'uomo che visse nello spazio”. Parla di un uomo che, durante una normale giornata di lavoro, si ritrova catapultato a bordo di un'astronave persa nella galassia abitata da alcune creature aliene. Inizialmente il personaggio è intimorito da quelle creature e dalla situazione che sta vivendo. Non riesce a trovare una spiegazione a quanto gli è accaduto e vuole tornare a casa al più presto. Ma dopo che viene accolto come un amico, vince le sue paure e si ritrova a viaggiare insieme a quegli alieni attraverso la galassia in cerca di un modo per tornare sulla Terra tra difficoltà varie e mondi sconosciuti che si presentano ai suoi occhi.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Michele Scalini: Premetto che tutti i miei libri sono scritti in prima persona; quindi, è il personaggio che racconta quanto avviene e il lettore può vivere quell'avventura con i propri occhi. Comunque, parto da una piccola idea iniziale e il resto viene d'istinto, appoggio le mani alla tastiera e il testo viene da sé. Ad essere onesti, in alcune occasioni mi sorpreso da quanto scritto mentre rileggevo il testo per correggerlo.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Michele Scalini: Rispondo dicendo che ho sempre un libro in “cantiere”, difficilmente mi prendo periodi di riposo. Ormai mi definisco una specie di catena di montaggio del libro. Comunque, sì, sto scrivendo un nuovo libro dal titolo “Le urla del silenzio”. Generalmente scrivo avventure di fantascienza, ma con questo libro voglio tentare il genere thriller horror per mettermi alla prova e per provare qualcosa di diverso. Il personaggio è una donna e, ironia della sorte, è anche una scrittrice. Durante un viaggio di lavoro, in cui presenta al pubblico il suo ultimo libro, si imbatte in fenomeni inquietanti che la turbano. Così inizia ed è ancora in fase di scrittura.
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