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L'ultima donna
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Mi trovavo in Nuova Zelanda da circa una settimana, in quei primi giorni di quel marzo duemila venti, che nessuno nel mondo osò mai dimenticare, e mi impegnavo nel lavoro come facevo ogni volta. Ero così impegnato nello svolgere le attività riguardanti l'installazione che stavo affrontando che avevo dimenticato quanto stava accadendo nel mondo. Quella dimenticanza venne avvantaggiata anche dal fatto che in quel paese non se ne parlava molto di contagi o di epidemie e che avevo smesso di seguire i notiziari del mio paese poco dopo il mio arrivo. Per farla breve, tutto procedeva nella completa normalità a cui ero abituato. Quel giorno, mi trovavo seduto al tavolo di lavoro, con le mani appoggiate alla tastiera del computer, e stavo scrivendo un'e-mail che avrei inviato in Italia per informare i miei responsabili riguardo agli sviluppi dei lavori. Me ne stavo tranquillo a compilare quella e-mail quando Robert, un collega neozelandese, si presentò davanti a me con il telefono all'orecchio. Quando entrò nella stanza in cui mi trovavo, lo sentivo parlare al telefono mentre camminava avanti e indietro di fronte ai miei occhi, accennando ad alcuni sorrisi, come era solito fare quando parlava con qualcuno. - Ero al telefono con Gareth e mi stava informando che, proprio ieri mattina, è arrivata una donna dall'Italia che presentava sintomi influenzali ed è stata messa subito in quarantena - mi fa Robert dopo aver chiuso la telefonata - Tu come stai? Ti senti bene? - - Sto bene, non ti preoccupare, anzi grazie per averlo chiesto - risposi dopo aver sollevato lo sguardo su di lui. Ricevuta la mia risposta, sorrise e, dopo aver ripreso il telefono per informare Gareth sulle mie condizioni, se ne andò dalla stanza per tornare al suo lavoro lasciandomi al mio. Finita quella breve conversazione e dopo aver visto Robert scomparire oltre la porta, tornai al mio lavoro. Completai l'e-mail e la inviai ai vari destinatari, per poi tornare a svolgere le normali attività previste per quel giorno. La domenica seguente, con un paio di colleghi, decidemmo di recarci in una città portuale posta a diversi chilometri da dove ci trovavamo, chiamata Oamaru. Il motivo che ci spinse a scegliere quella destinazione, per trascorrere una giornata lontana dal lavoro e per avere un'occasione di visitare qualcosa di quel paese, fu il fatto che in una spiaggia di quel posto, si presentava ogni giorno una colonia di pinguini che avremmo tanto voluto vedere. Il problema, però, era che quella colonia di pinguini si sarebbe presentata poco dopo il tramonto. Quello rappresentava un problema, poiché quel posto era distante quasi un paio d'ore di macchina dalla nostra dimora. Oltretutto, il giorno dopo ci avrebbe aspettato una nuova impegnativa giornata di lavoro e non avremmo voluto rientrare troppo tardi. Comunque, decidemmo di andare lo stesso, speranzosi di poter vedere quegli animali che avevamo visto solamente in televisione o in qualche fotografia. Giunti a destinazione, parcheggiammo l'automobile nei pressi del porto in stile vittoriano, dove trovammo della gente vestita in abiti d'epoca poiché era in corso una rievocazione. Ci mescolammo tra la gente che passeggiava tra le vie di quel porto e lo visitammo, mentre scattavamo foto qua e là, nonostante non fosse molto grande, ma che ci permise di trascorrere una giornata spensierata e lontana dai problemi di tutti i giorni. Immedesimandomi nel ruolo del turista che mi assegnai quel giorno, entrai in uno di quei negozi dove vendevano dei souvenir, con l'idea di prendere qualcosa da portare a casa che mi ricordasse nei tempi futuri quella giornata. Dopo aver ispezionato con attenzione qualsiasi oggetto che si trovava sulle scaffalature che mi circondavano, decisi di prendere un piccolo quadro fatto di legno, dove veniva raffigurato un uccello tipico di quel paese e che viveva solamente lì. Passai alcuni istanti a visionare quell'oggetto e quando mi sentii soddisfatto, lo presi per poi recarmi alla cassa di quel negozio. Dietro al bancone trovai una signora sulla cinquantina e dai modi gentili, che accoglieva i clienti che si presentava da lei mostrando il suo sorriso migliore. - Stavo prestando attenzione alla tua pronuncia, nonostante parli un buon inglese. Ma sono una donna curiosa e vorrei chiederlo. Da dove vieni? - mi chiese mentre impacchettava il mio souvenir senza abbandonare quel suo sorriso che l'aveva accompagnata per tutto il tempo. - Nessun problema, si figuri - risposi alla donna ricambiando il suo sorriso - Vengo dall'Italia. Resterò qui per qualche settimana. - Udita la mia risposta, la donna si concesse una pausa e, dopo aver accennato ad una smorfia che fece con la bocca, proseguì ad incartare il mio acquisto come se niente fosse. - Sono venuto qui prima dell'epidemia! Non si preoccupi! - feci cercando di tranquillizzare quella donna. - Non sono preoccupata. In fondo, se fossi stato malato, non ti avrebbero permesso nemmeno di entrare in questo paese - fece lei mentre mi porgeva il pacco e tornava a sorridere. Lasciato quel negozio, andammo alla macchina per lasciare le buste con i nostri regali, in modo da poter camminare liberamente e senza pesi. Poco dopo, andammo a pranzo in un pub posto sulla riva del mare dove ordinammo una pizza e della birra prodotta in quel posto stesso. Finito di mangiare, ci recammo alla spiaggia dove avremmo potuto trovare i nostri pinguini, dove sorgeva una struttura che studiava e accoglieva quegli animali. Arrivati sul posto chiedemmo informazioni riguardo alla colonia dei pinguini, nella speranza di poterli vedere, ad una donna che si trovava dietro ad una scrivania all'interno di quella struttura. Purtroppo per noi, quella donna ci confermò gli orari in cui era possibile assistere all'arrivo della colonia di pinguini, dicendo che avremmo dovuto aspettare un paio d'ore dopo il tramonto, cosa che sarebbe avvenuta intorno alle otto e trenta di sera. Ringraziammo quella signora per le informazioni ricevute e uscimmo all'aperto lasciandola al suo lavoro. Dispiaciuti che non avremmo potuto vedere quegli animali, perché altrimenti avremmo fatto troppo tardi, ci incamminammo lungo un vialetto che girava intorno a quella struttura, dove trovammo quella donna, per recarci nell'area in cui si sarebbero presentati i pinguini. Giunti sulla piccola spiaggia, si presentò davanti ai nostri occhi uno spettacolo della natura che non ci saremmo mai aspettati di assistere, di cui nessuno, neanche quella donna, ci aveva avvisati. Decine di leoni di mare si trovavano in quel posto e se ne stavano in tutta tranquillità a dormire sull'erba o sulle rocce degli scogli. Per niente intimorito, ma molto affascinato da quegli animali che avevo potuto vedere solamente in televisione o in qualche fotografia, mi avvicinai il più possibile e rimasi ad ammirarli mentre scattavo loro delle foto. Quella fu l'ultima domenica spensierata che trascorsi in quel periodo e nei tempi a seguire. Ritornato nel motel in cui alloggiavo dopo la solita giornata di lavoro, tolsi gli abiti che indossavo per andare in bagno con l'intenzione di farmi una doccia. Prima di andare a darmi quella rinfrescata, pensai di prendere dal frigo quella bistecca di manzo che avrei cucinato per la cena. Dopo essermi asciugato e rivestito, andai a cuocere quella bistecca che aspettava vicino al fornello solamente di finire dentro la padella e poi nel mio stomaco. Apparecchiata la tavola, mi accomodai e presi il telefono per avviare l'applicazione con cui seguivo le notizie provenienti dall'Italia. Negli ultimi giorni, ero tornato a seguire quelle notizie durante i pasti, in modo da tenermi aggiornato riguardo a quella pandemia di cui tutti stavano parlando sui vari social network. Al notiziario parlarono dell'aumento dei contagi, spiegando che stava avvenendo in gran parte del mondo, dicendo anche i numeri dei morti e delle persone tenute in reparti dedicati, realizzati all'interno dei vari ospedali. Dicevano anche che sarebbero dovute servire delle misure restrittive per evitare l'aumento esponenziale dei contagi, prima che avvenisse l'irreparabile. Seguivo quelle notizie con espressione allucinata, soprattutto perché dove mi trovavo non c'era ancora alcuna emergenza sanitaria e, quando ero partito, se ne parlava con superficialità. Eppure, la situazione stava divenendo sempre più drammatica, al punto tale che intere nazioni vennero completamente sigillate, non permettendo a nessuno di entrare o di uscire. Quelle nazioni obbligarono i propri cittadini di rimanere chiusi in casa. Dissero loro di uscire solo per poco tempo ed esclusivamente per validi motivi. Nel frattempo, pensavo al paese in cui mi trovavo, dove la vita scorreva normalmente, nonostante avessero limitato i voli provenienti dall'estero, e pensavo a quanto fossi stato fortunato a trovarmi in quel posto in quel periodo così tragico.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato nel 1974 a Jesi, nella provincia di Ancona, dove vivo tutt'ora. Ho conseguito gli studi presso una scuola di formazione professionale ed ho lavorato per molti anni nel settore dell'automazione industriale come tecnico programmatore, svolgendo l'attività sia all'estero che su territorio nazionale. Un anno fa ho lasciato il lavoro per dedicarmi interamente alla scrittura e per investire su me stesso. Amo la lettura, anche se ultimamente ho poco tempo da dedicarle. Sono cresciuto coi classici come “Papillon”, “L'isola del tesoro”, il mitico personaggio “Conan” tanto per citarne alcuni. In seguito mi sono dedicato a letture più specifiche riguardanti la mitologia, la storia antica e la geopolitica. Sono appassionato di film e serie televisive di fantascienza e provo un'innata curiosità rivolta verso scenari post-apocalittici, i quali hanno ispirati alcuni miei romanzi.
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Michele Scalini: La mia passione per la scrittura è nata per caso, onestamente neanche sapevo che sarei stato in grado di scrivere un libro di fantasia. Accadde circa otto anni fa, mentre stavo affrontando un periodo difficile a causa della perdita del lavoro. Una mattina mi sveglio e vado al computer con l'idea di cercare qualcosa che mi avrebbe permesso di distrarmi da quel periodo difficile e che mi avesse aiutato a trovare nuovi stimoli, a reinventarmi per farla breve. Dopo una ricerca, mi sono imbattuto in un blog dove trovai una lista di attività da valutare. Consultai con attenzione quella lista cercando di capire quale attività fosse stata più adatta a me, fino a quando trovo scritto “scrivi un libro”. Leggo quel testo diverse volte, fino a quando esulto dicendo “ok, scriviamo un libro”. Da quel giorno non mi sono più fermato. Al momento ho scritto circa venticinque libri e la produzione maggiore l'ho avuta negli ultimi tre anni.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Michele Scalini: Inizialmente tentai con il self publishing, poi pensai di inviare il manoscritto ad alcune case editrici. La prima che rispose mi chiese quasi due mila euro per la pubblicazione, offerta che rifiutai naturalmente. In seguito rispose una piccola casa editrice dicendo che era interessata al libro. Così, le affidai il libro e lo trovai pubblicato su diversi store online. Fu una vera soddisfazione per me, poiché mi fece pensare che il mio lavoro aveva del potenziale.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Michele Scalini: Onestamente gli ultimi libri li ho pubblicati con kdp e così farò con i prossimi. Intanto kdp permette di pubblicare un libro in pochi e semplici passaggi, le royalty sono più alte rispetto a quelle pagate dalle case editrici e poi hai la possibilità di organizzare delle promozioni gratuite per l'e-book per alcuni giorni, questa cosa aiuta per avere maggiore visibilità. Ritengo che distribuire il libro con kdp sia un'ottima opportunità per uno scrittore emergente, visto che può gestire il tutto in completa autonomia e indipendenza.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Michele Scalini: Direi che sia “L'uomo che visse nello spazio”. Parla di un uomo che, durante una normale giornata di lavoro, si ritrova catapultato a bordo di un'astronave persa nella galassia abitata da alcune creature aliene. Inizialmente il personaggio è intimorito da quelle creature e dalla situazione che sta vivendo. Non riesce a trovare una spiegazione a quanto gli è accaduto e vuole tornare a casa al più presto. Ma dopo che viene accolto come un amico, vince le sue paure e si ritrova a viaggiare insieme a quegli alieni attraverso la galassia in cerca di un modo per tornare sulla Terra tra difficoltà varie e mondi sconosciuti che si presentano ai suoi occhi.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Michele Scalini: Premetto che tutti i miei libri sono scritti in prima persona; quindi, è il personaggio che racconta quanto avviene e il lettore può vivere quell'avventura con i propri occhi. Comunque, parto da una piccola idea iniziale e il resto viene d'istinto, appoggio le mani alla tastiera e il testo viene da sé. Ad essere onesti, in alcune occasioni mi sorpreso da quanto scritto mentre rileggevo il testo per correggerlo.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Michele Scalini: Rispondo dicendo che ho sempre un libro in “cantiere”, difficilmente mi prendo periodi di riposo. Ormai mi definisco una specie di catena di montaggio del libro. Comunque, sì, sto scrivendo un nuovo libro dal titolo “Le urla del silenzio”. Generalmente scrivo avventure di fantascienza, ma con questo libro voglio tentare il genere thriller horror per mettermi alla prova e per provare qualcosa di diverso. Il personaggio è una donna e, ironia della sorte, è anche una scrittrice. Durante un viaggio di lavoro, in cui presenta al pubblico il suo ultimo libro, si imbatte in fenomeni inquietanti che la turbano. Così inizia ed è ancora in fase di scrittura.
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