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L'ultima battaglia del maggiore Smith
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Pistola puntata alla tempia e dito pronto sul grilletto. Colpo in canna, sguardo assente e rivolto nel nulla. Una gelida goccia di sudore che scendeva dalla tempia. Mente sgombra, corpo in attesa di compiere l'atroce gesto di porre fine alla mia vita. Sapevo fin troppo bene che quella soluzione che stavo adottando non fosse la più idonea per affrontare la situazione che stavo vivendo. Ma, dopo un'attenta analisi, ero giunto alla conclusione che non avevo altre vie di uscita. Come uno scorpione messo in trappola avrebbe considerato la morte l'unica via di fuga, anche io mi trovavo nella stessa condizione. In quel dannato istante e in quella assurda situazione, io ero lo scorpione. Avevo già considerato ogni possibile soluzione prima di sedermi su quella sedia, prima di puntarmi quella stupida pistola alla tempia. Ma ognuna di loro aveva una bassa probabilità di successo e un'altissima probabilità di fallimento. Qualsiasi cosa avessi tentato mi avrebbe condotto alla morte o alla cattura, e non potevo sapere quale delle due soluzioni fosse stata la peggiore. Una cosa era certa: non era la prima volta che mi trovavo in una situazione simile. Durante una battaglia, potevano capitare situazioni che non erano state previste durante la pianificazione di un attacco e che, in seguito, sarebbero sfuggite di mano. Ma una situazione come quella che stavo affrontando non mi era mai capitata. In quel momento pensai che né la mia lunga esperienza militare né la mia conoscenza strategica potevano aiutarmi. Mi asciugai la fronte con la mano, mentre con l'altra stringevo quella dannata pistola che rimaneva puntata sulla mia tempia sudata. Chiusi gli occhi ed iniziai a muovere il dito per tirare il grilletto in modo da sferrare il colpo decisivo che avrebbe posto fine alla mia esistenza. «Fanculo!» esclamai sospirando mentre abbassavo la pistola verso il pavimento. «Trova una soluzione invece di arrenderti! Trova una soluzione! Non arrenderti! Trova una soluzione! Dannato bastardo! pensa!» borbottai, prima di sollevarmi dalla sedia su cui avrei dovuto morire. Mi avvicinai quindi alla finestra barricata che si trovava di fronte a me e lanciai un'occhiata verso l'esterno per controllare la situazione, attraverso un fessura. Quelle macchine infernali erano ancora là fuori, come erano ancora là i loro formidabili inventori. Vedevo bene che non avevano intenzione di abbandonare la posizione; anzi, davano l'impressione che ci godessero a tenermi in trappola nella mia baracca. Poche ore prima, avevo tentato di contattare la seconda colonia che si trovava dall'altra parte di quel dannato pianeta perso nell'immensità del cosmo. Ma, purtroppo, nessuno rispose alla mia richiesta di soccorso. Non avevo modo di sapere se quella gente fosse ancora viva o se avesse subito un attacco simile al nostro. Comunque, non potevo chiedere in alcun modo il loro aiuto. Non riuscendo a contattare quella colonia, pensai che, con molta probabilità, i nostri nemici avessero distrutto le comunicazioni. D'altro canto, lo avrei fatto anche io. Era la prima regola di una buona strategia militare: prima di attaccare un nemico, assicurarsi di distruggere ogni mezzo di comunicazione, in modo da eliminare ogni possibilità di chiedere soccorso o rinforzi. Dalla tasca laterale dei pantaloni, presi il pacchetto di sigarette, ne tirai fuori una e la portai alla bocca. Una volta accesa, tirai una profonda boccata, lasciando cadere leggermente all'indietro la testa, per poi lasciare scivolare fuori dalla bocca una densa nuvola di fumo. Tornai a sedere sulla sedia dove sarei dovuto morire. Continuai a fumare quella sigaretta con tutta calma, senza pensare a niente di specifico, nonostante sapessi che dovevo trovare un modo per salvare la pelle. Sapevo che non fosse semplice uscire da quella situazione, ma sapevo che dovevo inventarmi qualcosa per farlo. Dovevo riflettere, pensare ad un piano e passare all'azione. Finita la sigaretta, mi alzai dalla sedia ed iniziai a camminare avanti e indietro, con le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo rivolto verso il pavimento. La stanza in cui mi trovavo era immersa nel silenzio più assoluto, interrotto solamente dal rumore dei miei passi e dai miei sospiri. «E pensare... che la chiamavano seconda opportunità» bisbigliai a denti stretti. «Inizia una nuova vita su Trappist Terzo... dicevano!» continuai a blaterare mentre mi muovevo per la stanza. «Un pianeta disabitato... interamente da esplorare... ovunque tu andrai... sarai il primo ad esserci stato! Fanculo! Tu e il tuo dannato pianeta disabitato!» «Sarà la vostra nuova casa... dannazione! Sarà la nostra tomba... avrebbero dovuto dirci!» Quei dannati slogan pubblicitari, che erano sparsi ovunque per le strade della mia città, mi tornarono in mente proprio in quel momento. Erano gli stessi slogan che mi convinsero ad intraprendere un viaggio di quaranta anni luce attraverso le profondità del cosmo e a lasciarmi dietro le spalle tutto quanto. Quegli scienziati, che per anni avevano studiato questo fottuto sistema solare, furono in grado solo di rilevare le caratteristiche fisiche dei pianeti che ruotavano intorno a quella dannata stella. Dicevano che era possibile la vita umana, dicevano che c'era solo vita vegetale e che non avremmo trovato razze aliene con cui condividere questo posto. E si sbagliavano! Si sbagliavano di brutto! Non solo avevamo incontrato una razza aliena che se ne stava bella nascosta all'interno di alcune grotte scavate nella roccia, ma ne avevamo trovata una che non accettava intrusi nel proprio mondo. Una di quelle razze che non accettava l'idea di condividere la propria casa con dei parassiti. Perché quello eravamo per loro! Parassiti che infestavano il loro fottuto mondo! Scagliai con rabbia la cicca di sigaretta a terra e, con passo nervoso, tornai alla finestra. Rivolsi lo sguardo attraverso le fessure delle barricate per osservare l'ambiente esterno al mio nascondiglio. Le creature, che mi stavano aspettando, si muovevano attraverso le macerie e i relitti della nostra colonia. Osservai con attenzione i loro movimenti, sperando di trovare un punto cieco in cui passare per tentare un'ipotetica e disperata fuga. «Al diavolo tutti!! Non mi arrenderò... me ne andrò di qui... in un modo o nell'altro!» borbottai intanto che visionavo il comportamento di quelle creature. Deciso ad andarmene da quella colonia senza farmi prendere dal nemico, lasciai la finestra e mi catapultai nell'armeria della base. Con nervosismo afferrai un fucile d'assalto che alloggiava sulla rastrelliera appesa alla parete e alcune munizioni che misi all'interno del mio zaino. Mossi lo sguardo attraverso la scaffalatura che si trovava alle mie spalle e vidi i caricatori per la mia pistola, che afferrai per metterli nello zaino. «Magari... qualche granata?» borbottai guardandomi intorno. Finito con le armi, mi diressi nel magazzino, dove si trovavano le provviste d'emergenza. Presi alcune razioni di barrette energetiche, quelle rimaste dal primo sbarco. Per mia fortuna quelle dannate barrette erano a lunga conservazione, visto che erano state progettate per poter sfamare i coloni a lungo tempo, almeno finché non fossero stati in grado di raccogliere i frutti delle coltivazioni. In seguito, preparai una borraccia con dell'acqua che presi dalla piccola cisterna che si trovava nel magazzino. Dopo essermi assicurato di aver preso il necessario per poter sopravvivere là fuori, decisi che era arrivato il momento di tentare la fuga. In un modo o nell'altro, dovevo sopravvivere e andarmene da lì. Preparato il necessario per affrontare il nemico, mi diressi nuovamente con passo deciso verso la finestra. Osservai l'ambiente che mi si presentava fuori dal mio nascondiglio. Una dozzina di macchine da un lato e altrettante sull'altro. Studiai i loro movimenti con estrema attenzione quando notai che non si incontravano mai. Infatti, i due gruppi di macchine si muovevano nelle loro zone senza mai lasciarle. Pensai che, con una buona dose di fortuna, la quale stava scarseggiando nelle ultime ore, e con l'aiuto del buio, la mia impresa disperata avrebbe avuto il successo sperato. Sentendomi pronto per affrontare quelle creature, sollevai lo sguardo verso la stella che illuminava e riscaldava quel dannato mondo, e vidi che avevo meno di un paio d'ore di luce prima del tramonto.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato nel 1974 a Jesi, nella provincia di Ancona, dove vivo tutt'ora. Ho conseguito gli studi presso una scuola di formazione professionale ed ho lavorato per molti anni nel settore dell'automazione industriale come tecnico programmatore, svolgendo l'attività sia all'estero che su territorio nazionale. Un anno fa ho lasciato il lavoro per dedicarmi interamente alla scrittura e per investire su me stesso. Amo la lettura, anche se ultimamente ho poco tempo da dedicarle. Sono cresciuto coi classici come “Papillon”, “L'isola del tesoro”, il mitico personaggio “Conan” tanto per citarne alcuni. In seguito mi sono dedicato a letture più specifiche riguardanti la mitologia, la storia antica e la geopolitica. Sono appassionato di film e serie televisive di fantascienza e provo un'innata curiosità rivolta verso scenari post-apocalittici, i quali hanno ispirati alcuni miei romanzi.
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Michele Scalini: La mia passione per la scrittura è nata per caso, onestamente neanche sapevo che sarei stato in grado di scrivere un libro di fantasia. Accadde circa otto anni fa, mentre stavo affrontando un periodo difficile a causa della perdita del lavoro. Una mattina mi sveglio e vado al computer con l'idea di cercare qualcosa che mi avrebbe permesso di distrarmi da quel periodo difficile e che mi avesse aiutato a trovare nuovi stimoli, a reinventarmi per farla breve. Dopo una ricerca, mi sono imbattuto in un blog dove trovai una lista di attività da valutare. Consultai con attenzione quella lista cercando di capire quale attività fosse stata più adatta a me, fino a quando trovo scritto “scrivi un libro”. Leggo quel testo diverse volte, fino a quando esulto dicendo “ok, scriviamo un libro”. Da quel giorno non mi sono più fermato. Al momento ho scritto circa venticinque libri e la produzione maggiore l'ho avuta negli ultimi tre anni.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Michele Scalini: Inizialmente tentai con il self publishing, poi pensai di inviare il manoscritto ad alcune case editrici. La prima che rispose mi chiese quasi due mila euro per la pubblicazione, offerta che rifiutai naturalmente. In seguito rispose una piccola casa editrice dicendo che era interessata al libro. Così, le affidai il libro e lo trovai pubblicato su diversi store online. Fu una vera soddisfazione per me, poiché mi fece pensare che il mio lavoro aveva del potenziale.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Michele Scalini: Onestamente gli ultimi libri li ho pubblicati con kdp e così farò con i prossimi. Intanto kdp permette di pubblicare un libro in pochi e semplici passaggi, le royalty sono più alte rispetto a quelle pagate dalle case editrici e poi hai la possibilità di organizzare delle promozioni gratuite per l'e-book per alcuni giorni, questa cosa aiuta per avere maggiore visibilità. Ritengo che distribuire il libro con kdp sia un'ottima opportunità per uno scrittore emergente, visto che può gestire il tutto in completa autonomia e indipendenza.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Michele Scalini: Direi che sia “L'uomo che visse nello spazio”. Parla di un uomo che, durante una normale giornata di lavoro, si ritrova catapultato a bordo di un'astronave persa nella galassia abitata da alcune creature aliene. Inizialmente il personaggio è intimorito da quelle creature e dalla situazione che sta vivendo. Non riesce a trovare una spiegazione a quanto gli è accaduto e vuole tornare a casa al più presto. Ma dopo che viene accolto come un amico, vince le sue paure e si ritrova a viaggiare insieme a quegli alieni attraverso la galassia in cerca di un modo per tornare sulla Terra tra difficoltà varie e mondi sconosciuti che si presentano ai suoi occhi.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Michele Scalini: Premetto che tutti i miei libri sono scritti in prima persona; quindi, è il personaggio che racconta quanto avviene e il lettore può vivere quell'avventura con i propri occhi. Comunque, parto da una piccola idea iniziale e il resto viene d'istinto, appoggio le mani alla tastiera e il testo viene da sé. Ad essere onesti, in alcune occasioni mi sorpreso da quanto scritto mentre rileggevo il testo per correggerlo.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Michele Scalini: Rispondo dicendo che ho sempre un libro in “cantiere”, difficilmente mi prendo periodi di riposo. Ormai mi definisco una specie di catena di montaggio del libro. Comunque, sì, sto scrivendo un nuovo libro dal titolo “Le urla del silenzio”. Generalmente scrivo avventure di fantascienza, ma con questo libro voglio tentare il genere thriller horror per mettermi alla prova e per provare qualcosa di diverso. Il personaggio è una donna e, ironia della sorte, è anche una scrittrice. Durante un viaggio di lavoro, in cui presenta al pubblico il suo ultimo libro, si imbatte in fenomeni inquietanti che la turbano. Così inizia ed è ancora in fase di scrittura.
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