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L'uomo con il mantello nero
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Quando si fece buio, non essendomi ancora procurato una cuoca o una domestica, cenai nella solita osteria e mi preparai per andare a dormire. Con indosso solo la camicia, mi sedetti sul letto stando attento a non muovermi troppo perché cigolava e, appoggiando il quaderno su una tavoletta, scrissi i ricordi della giornata tracciando una piccola mappa del paese. D'un tratto mi colpì un rumore di grida proveniente dalla via, che mi parve insolito a quell'ora. Drizzai gli orecchi e sentii che diverse persone parlavano a voce alta, e mi parve di sentire le parole “malefizio” e “omicidio”. Poco dopo, la campana della chiesa cominciò a suonare a martello. Nonostante la stanchezza, indossai in fretta la tunica e scesi di corsa in strada, con la candela in mano, scontrando la guardia con una torcia che, come capii, mi stava venendo a chiamare. - Messere! Messere! È successa una tragedia - gridò, avvicinandosi a me. - Che tragedia, Viano? - Altre persone parlavano con concitazione e forse volevano spiegarmi l'accaduto, ma in quel modo non si capiva niente. La guardia alzò la voce e impose il silenzio, poi raccontò i fatti. - Messere, è avvenuto un omicidio. Bortolo, il falegname, rientrando poco fa, ha trovato la moglie uccisa. Ora è lì che si dispera. Che disgrazia! Mai successa una cosa simile, a memoria d'uomo. - Sgranai gli occhi e il respiro mi si fece più affannato. - Andiamo, allora. Andiamo alla casa, dov'è? - - Cento passi per la via di San Martino, messere, venite! - Lo seguii. Una gran quantità di gente, perlopiù vestita in modo sommario e con lumi in mano, ci venne dietro, alcuni anzi cercavano di precederci, per indicarci per primi la casa. Era un bel palazzetto in pietra, uno dei più belli di Cornuda, vicino alla porta maggiore, certo segno dei buoni affari del falegname. Il portoncino era aperto. Dentro c'era già gente e chiarore, si sentivano voci di donne. Entrato in casa, non vidi particolare disordine al piano terreno. Guardandomi intorno, alla ricerca di qualche possibile indizio, notai un portacandela rotto vicino al focolare. La candela ne era fuoriuscita ed era anch'essa spezzata. Mi chinai e sentii tra due dita lo stoppino, non era caldo. Viano mi precedette sulla scala. Nella prima stanza del piano superiore c'era invece una gran confusione ed era presente molta gente. Era illuminata a giorno da lanterne e fiaccole. Il cadavere stava sul letto, un bel letto grande con un baldacchino alto e cortine di tessuto prezioso spalancate, ma forse il corpo era stato spostato, perché a terra c'era una striscia di sangue. Il falegname singhiozzava battendosi il petto, e mormorava “Berta mia, moglie mia”. Erano presenti diverse donne, una delle quali reggeva un neonato urlante, che evidentemente si era svegliato con il clamore mentre altre due cercavano di tenere lontani dei bambini grandicelli, immaginai figli del falegname, una bambina sui cinque anni e due maschi sotto i dieci, tutti a piedi nudi. Svegliati all'improvviso, ancora si sfregavano gli occhi e forse non capivano quello che era successo. Mi stupii che non ci fosse il figlio più grande, quello di cui mi aveva parlato il capo della comunità. Mandai fuori tutti, dicendo che volevo esaminare il cadavere e feci chiudere la porta. Fuori si sentiva sempre una ridda di voci. Il falegname volle rimanere e si mise da una parte. La donna era mezza svestita, con indosso la sola camicia. Aveva capelli lunghi e mammelle piuttosto grosse, forse dovute all'allattamento dell'ultimo nato. Giaceva sulla schiena, ma sul davanti, a parte poco sangue, e forse qualche contusione sul capo, non vedevo particolari ferite. Così, facendomi aiutare da Viano, la girai e vidi: c'era una lunga ferita sulla schiena, dalla metà verso il basso. La lama aveva trapassato l'indumento, i cui lembi tagliati erano inzuppati di sangue. Dietro la testa doveva aver ricevuto un forte colpo, tastando le ossa queste sembravano rotte e c'erano molti grumi di sangue tra i capelli. Guardai intorno tra gli oggetti sparsi per la camera, in cerca di qualcosa d'insanguinato, usato come arma del delitto, ma non ne vidi. Chiesi al falegname se aveva spostato qualcosa. Mi rispose in maniera confusa, ma pensai che non ci fosse da fidarsi delle sue risposte, poiché appariva completamente frastornato. Dissi alla guardia di chinarsi a guardare sotto il letto e trovò un ferro, che poteva essere un alare di camino. Era sporco di sangue e capii che era servito per il colpo alla testa, ma non si trovava il coltello o altro strumento usato per pugnalare la donna. Volevo cercare nelle stanze accanto, ma fuori dalla porta c'era una gran ressa di gente. Allora dissi a Viano di gridare che tutti uscissero dalla casa. Era arrivato frattanto il parroco e lo facemmo entrare a benedire la salma e a dare un'assoluzione che doveva essere fuori tempo. Secondo me era passata quasi un'ora dall'uccisione. Intanto passavo in rassegna le altre stanze. Tutto sembrava a posto. Solo nella seconda c'era un po' di confusione, con indumenti e zoccoli sparsi qua e là, ma era quella del grande letto dei figli, e quindi era plausibile che essi fossero usciti di corsa sentendo le grida del padre e il trambusto. Nella stanza del piano terreno, dove vi era il camino – da cui mancava un alare – e nell'attigua cucina, cercai se vi fosse un coltello insanguinato ma non trovai niente. Non vidi nemmeno macchie di sangue sul pavimento. L'assassino aveva forse ripulito l'arma e se l'era portata via. Nella cucina, dotata di un grande braciere, c'era una cesta ricolma di pezzi di carbone e una piccola catasta di legna ben tagliata, pronta per accendere il fuoco. Frugando in una madia rinvenni un coltello, ma la lama era lucida e il manico non presentava tracce sospette, sembrava che non venisse usato da diverso tempo. Nel camino della stanza grande c'erano comunque delle braci che covavano ancora. Viano, scuotendo la testa, disse: - Che ne pensate, messere? Sarà un bel guaio scoprire l'omicida, e proprio nei vostri primi giorni di uffizio... siete stato sfortunato. - - Hai ragione, sarà un bel guaio... - convenni, senza guardarlo e continuando a osservare la casa. - Ma Bortolo non ha anche un altro figlio più grande? - - Sì, messere - rimase un po' come perplesso, poi continuò: - Ecco, messer Lamberto, ora mi viene in mente una cosa, sapete, con tutta questa confusione... Dunque, all'inizio della notte io faccio il giro delle vie per vedere se tutto è a posto, e stasera, diciamo un poco prima delle grida del falegname, ho trovato Michele di Bortolo, suo figlio, per la strada vicino alla chiesa, cioè piuttosto lontano da qui, con altri giovani e gli ho detto che dovevano ritirarsi subito se non volevano incorrere nelle ire del giusdicente, cioè di voi messer Lamberto. Mi hanno assicurato che sarebbero tornati a casa. Però, come vedete, lui non c'è. - Lo guardai perplesso, reputando la cosa molto sospetta. - Non è cosa di poca importanza, Viano. Bisognerà trovarlo... - - Sì, messere, lo troveremo - mi assicurò. - Però non potrà certo essere implicato nell'uccisione di sua madre! È un po' scioperato, ma è un bravo giovane... - - No, no, Viano, non lo sospetto, però mi piacerebbe sapere dov'è, per interrogarlo. Con lui chi c'era? - Mi disse i nomi di alcuni ragazzi. - Erano Maso figlio del fabbro, Bepi di Gobbo, che ha il padre contadino, poi Berto del fu Toni, orfano, vive con la madre e fratelli e sorelle, aiuta un falegname, ma non Bortolo, Ganassa, che è figlio non ricordo di chi, e un altro che mi pare figlio di un coltivatore che non ha terra sua e lavora per Anselmo il feudatario e vive su al castello ma ogni tanto viene in paese. - Annuii, cercando di ricordare quelle informazioni. - Bene, li terremo presenti, se erano in giro potrebbero aver visto qualcuno. A tempo debito li sentiremo, tu non sai di altri che fossero fuori prima che Bortolo rientrasse? - - No, messere. - - Ma le porte erano chiuse? - - No, messere. Io chiudo tardi l'ultima porta perché il falegname rincasa spesso a notte fonda. - |
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Autori di Writer Officina
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Sono nato a Vicenza e risiedo dall'infanzia a Firenze. A parte lavoretti da studente, sono stato per tre anni addetto a una biblioteca e per altri 37 funzionario archivista, pubblicando diversi articoli o libri professionali e insegnando la mia materia in molti corsi. Sulla mia attività ho scritto una autobiografia professionale, Archivi d'impresa un archivista militante. Ora che sono in pensione ho conservato l'incarico di Ispettore onorario ed eseguo alcune attività di controllo sul patrimonio archivistico di enti o privati. In passato ho frequentato un istituto di formazione psicoterapeutica, senza però passare oltre. Passo il mio tempo libero dalle incombenze familiari leggendo, scrivendo, vedendo amici. Amo molto coltivare la terra in un piccolo appezzamento, cosa che farò finché potrò. Mi interessano la storia, ma anche la scienza e gli argomenti di attualità, soprattutto la lotta delle donne per acquisire quella parità che è ancora assai negata.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Renato Delfiol: Ho sempre amato scrivere, fin da ragazzo. Leggere mi sollecitava la fantasia. Per molti anni ho scritto poco, racconti parzialmente autobiografici, poesie, cose perse o rimaste nei cassetti. Da quando ho lasciato il lavoro, e soprattutto durante il Lockdown, ho cominciato a scrivere creativamente con un certo impegno Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Renato Delfiol: Non direi, o non lo ricordo.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Renato Delfiol: No, inizialmente ho pensato di pubblicare con Il Mio Libro, dove pubblicava negli ultimi tempi lo psicoanalista Giordano Fossi (in un lontano passato mio analista) che mi aveva chiamato a collaborare nella creazione di una nuova scuola di psicanalisi evoluzionista.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Renato Delfiol: Ritengo di sì, anche se non l'ho mai praticato e ci sto solo pensando. Ho due tipi di perplessità: che l'ISBN fornito non sia quello riconosciuto in Italia e che è necessario avere competenze informatiche (che ho minimamente) ai fini della promozione. So che molti editori ne fanno poca, ma qualcosa sì.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Renato Delfiol: Sono molto affezionato ad un romanzo non ancora pubblicato, che deriva da un mio progetto antico. Si svolge nel XII secolo e vede il passaggio di una famiglia dallo status di vassalli a quello di cittadini dopo le lotte tra il comune di Milano e Federico Barbarossa. Tra gli editi il mio ultimo L'uomo con il mantello nero.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Renato Delfiol: No, scrivo d'istinto, seguendo una falsariga che ho in mente e che cambio, o perfeziono, nel corso della stesura. Magari all'inizio mi faccio un breve schema dei principali personaggi.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Renato Delfiol: Sto rivedendo un altro giallo, come Il Mantello, però di epoca attuale. Però non sono un giallista, mi interessa di più l'ambientazione che la storia. Poi ho cominciato un'altra cosa, ispirata ad una vicenda vera.
Writer Officina: Hai in corso di pubblicazione qualche altro libro?
Renato Delfiol Sì, l'editore Transeuropa sta pubblicando il romanzo storico Aldruda Frangipane una donna contro il Barbarossa.
Writer Officina: Come hai trovato i tuoi editori?
Renato Delfiol De Il Mio libro ho già parlato; ho pubblicato anche con Youcanprint che mi è sembrato un po' più economico. Il libro però l'ho tolto dal commercio per ragioni lunghe da spiegare. Per Il Mantello nero, ho partecipato al concorso Un giallox1000 di 0111 Edizioni, risultando finalista. Di Transeuropa ho sentito parlare in un gruppo Facebook. Ci sono diversi gruppi Facebook che possono interessare un autore esordiente, alcuni anche simpatici.
Writer Officina: Scrivendo di periodi passati, ti sei documentato, p.e. sui luoghi?
Renato Delfiol Sì, scrivendo un romanzo storico occorre essere molto accurati nelle ricerche. Quello che è difficile non è il singolo fatto o data, ma l'ambientazione: vestiti, cibi, modi di vivere, misure del tempo e dello spazio, tutte cose che sono naturali per i personaggi che vivono in un certo momento del passato. Questo riguarda anche il presente: sto scrivendo un racconto ambientato parzialmente durante il Lockdown e la memoria su quei momenti che tanto ci hanno angustiato è rimasta flebile e lacunosa, anche sul web. |
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