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Le ceneri di una stella
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Un anno e mezzo dopo gli sconvolgenti avvenimenti narrati nel romanzo "Il fuoco di una stella"...
L'onda
Libero aveva tenuto in mano quella lettera per più di un anno. L'aveva tirata fuori dalla busta, l'aveva accartocciata per gettarla via e poi, in un frangente di ripensamento, la risistemava con cura. Riconoscendo, tutte le volte, in quella scrittura disordinata e nervosa ma così carica d'intensità, la donna dalla cui penna quelle parole erano fluite fuori, tanto da poterla immaginare intenta nell'atto di scrivere, rannicchiata sulla sedia con le ginocchia al petto. Forse si era convinto che non leggendola, la sua Stella potesse ancora riservargli qualche sorpresa, illudendosi che avesse ancora qualcosa da dirgli. Perché da quando lei non c'era più, niente lo aveva più stupito. Perché era lei a dare scintilla a ogni cosa, a ogni piccolo gesto, a ogni luogo. “Ti va di venire in un posto?” Gli domandò all'improvviso, con un paio d'occhi languidi ai quali nessuno avrebbe mai potuto dire di no. E così percorsero il viale alberato dai sampietrini sconnessi, fino ad arrivare in cima a una lunga e ripida scalinata che da lì sovrastava tutto il quartiere; si sedettero su quel gradino e aspettarono il sole tramontare. Libero si voltò per guardarla e per godere appieno del suo viso proteso alla luce del sole che lentamente moriva dietro i tetti dei palazzi e che allora assomigliava tanto a una palla di fuoco: in quel momento, dopo molto tempo, la ascoltò respirare quieta e in pace. Perfino la pelle bianca e i capelli biondissimi sembrarono colorarsi di quell'arancio, del rosa e del rosso che li investivano, diventando tutt'uno con il prisma stupendo che si irradiava sui loro volti e che scaldava le loro anime. E quindi si immersero, in un tardo pomeriggio d'autunno, seduti sulla vetta di una sudicia scalinata, in uno dei paesaggi di quei quadri che Stella tanto adorava. Perché con lei era così. Qualsiasi ora trascorsa insieme poteva trasformarsi in uno scenario di pura magia, sospeso nel tempo e nello spazio, che li avrebbe catapultati fuori dal grigiore cittadino; ogni sguardo, ogni bacio, ogni contatto potevano diventare vortici inebrianti d'eccitazione e di piacere che avrebbero consumato tra le lenzuola del loro letto. Libero strinse a sé l'urna cineraria, come un tempo faceva col corpo di lei. Ma stavolta nessun calore gli tornò indietro. La appoggiò in terra e si sedette su una panca in legno che aveva fatto mettere lì fuori, sulla cima di quel faro che più di un anno prima era stato teatro del suo incontro con Thomas e che poi, nei mesi seguenti, era diventato il suo posto di lavoro. Ricordava bene che era stato solo grazie a lui se ora era lassù, a salutare per l'ultima volta la donna che aveva amato. La donna che entrambi avevano amato e, forse, lo avrebbero fatto per sempre. Thomas si era fatto sentire pochissime volte da allora: talvolta mandava un messaggio per avvertire che stava bene, in chissà quale angolo del mondo. Libero gli aveva fatto sapere che quel pomeriggio avrebbe sparso le ceneri di Stella e che lo avrebbe trovato lì nel caso volesse esserci: tuttavia l'uomo non aveva neanche risposto e Libero non ne fu sorpreso. D'altronde, Thomas aveva già avuto modo di salutarla, quel giorno al cimitero, quando l'aveva sotterrata. Ed era andato avanti, o almeno questo provava a fare. Trovando, ora che non aveva più lei, una nuova ragione di vita: non s'era arreso allora, quando aveva scoperto la verità dietro il suo omicidio, e non lo stava facendo adesso. Adesso che stava setacciando qualsiasi angolo della terra per trovare l'assassino di sua moglie. Adesso che il suo scopo era renderle giustizia. Niente di tutto questo gliel'avrebbe riportata indietro, ma Libero non poteva fare a meno di ammirarlo; a volte, perfino, sorrideva al pensiero del mite professore inglese diventato improvvisamente un investigatore dalla vita avventurosa.
Il vento che soffiava dal mare gli scompigliava i capelli ormai troppo lunghi e cercò d'infilarli nel cappuccio della felpa che si tirò sulla testa nel tentativo di ripararsi. Forse era arrivato il momento di trovare il coraggio per ascoltare cosa Stella avrebbe voluto dirgli. Avrebbero litigato? Non ne aveva alcun dubbio. Lo facevano sempre. Aveva perduto il conto di quante volte si erano urlati in faccia, insultati, lasciati - in lacrime - per poi ritrovarsi, solo poche ore dopo, a volte interi giorni, perché non riuscivano a stare lontani. Il magnetismo che li aveva attirati quando si erano conosciuti li cingeva ogni volta, più potente che mai, riportandoli l'uno tra le braccia dell'altro ed entrambi pensavano, ne era certo, che quello doveva essere il loro posto nel mondo. Lui le accarezzava i capelli e le asciugava gli occhi umidi, ripetendole, fino allo stremo, quanto non doveva sentirsi sbagliata né attaccata e che nulla avrebbe mai cambiato l'idea meravigliosa che aveva della sua persona. Ma lei ci ricascava, sempre. Lei, così abituata a essere criticata da sentirsi sempre in difetto, cercando di rimediare facendo contenti tutti e mettendo in secondo piano la sua felicità: ricadeva di nuovo in un buco nero dal quale solo il suo amore riusciva a tirarla fuori. Ma era solo per un breve, illusorio, lasso di tempo. Libero inspirò a fondo la brezza marina e aprì la lettera. «Non so se leggerai mai queste mie parole, forse sto scrivendo più per me che per te. Forse oggi è solo una brutta giornata, come ce ne sono state tante da quando ti ho conosciuto e quindi ancora una volta sono qui a chiedere la tua indulgenza. Ho riflettuto molto in questi mesi, cercando di trovare un modo per comprendere i miei sentimenti: mi ripeti spesso che devo capire cosa voglio, che devo trovare un modo per essere felice, qualsiasi esso sia. E quindi mi sono arrovellata il cervello, passato notti insonni e giorni a struggermi, senza poter mostrare la sofferenza a chi mi è vicino e questo sforzo si aggiunge al dolore che già provo. Per cosa? Per arrivare alla conclusione che ciò che conta non è conoscere me stessa, cosa voglio, come vorrei vivere: non avrà mai importanza tutto questo. Non serve un genio per capire me, per capire noi. Perché l'amore non può confondersi con nient'altro. Ma sappiamo anche che io sono la peggior nemica di me stessa, me lo dici sempre, a volte scherzando, tuttavia sappiamo che hai perfettamente ragione e sappiamo che non riesco ad andare oltre il senso di colpa che provo e forse non lo farò mai. A volte penso che per te sia più facile: non hai nessuno a cui rendere conto, nessuno di cui preoccuparti o che dipende da te. Non hai nessuno da dover abbandonare, da cancellare dalla tua vita, nessuno da dover ferire. Mentre io dovrei accettare di dover guardare mio marito negli occhi e vederlo soffrire, deluderlo, sentirmi ingiusta e ingrata perché in fondo, in tutti questi anni, lui c'è stato, mi ha sposata e mi ha amata, a modo suo. Eravamo felici e poi, all'improvviso, non lo siamo stati più. E io non so come poter sopportare questa cosa, come se questo fallimento sia mio e di nessun altro; come poter andare avanti conscia del fatto che un attimo prima sei certa che la persona che hai scelto sia l'amore della tua vita e, un attimo dopo, lo disprezzi, lo ignori, non sai più chi sia. O meglio, non sai più tu chi sei. E allora forse è vero che mi merito l'infelicità, perché questo destino, come quello di chiunque, non è stato scritto per me: l'unica autrice che ne ha tracciato la rotta e disegnato gli argini sono io. Dovrò allora forse arrendermi e sopire il mio istinto, la mia essenza, imparare a convivere con la normalità e magari un giorno scoprire che tutto sommato non è stata niente male. Diventerò vecchia e un giorno guarderò con malinconia tutte le mie rughe e i capelli bianchi nello specchio pensando che forse non è stato tutto vano; farò i conti con ciò che ho costruito e i miei sforzi non mi sembreranno sprecati. Godrò di quei brevi scampoli di felicità che riesco a trovare nelle cose belle, nei pochi giorni all'anno in cui riesco a vedere posti nuovi, in un film commovente, in una chiacchierata con la mia amica che magari mi farà sentire meno sola. Forse ho sbagliato a considerarmi meglio degli altri, a ritenermi speciale, quando in fondo l'esistenza che sto conducendo denota tutta la mia normalità. Finirò come tutti, come la maggior parte delle persone che tanto compatiamo, che s'arrendono a una vita infelice perché troppo vigliacche per cambiare qualcosa, troppo stanche per reinventarsi o gettarsi in qualcosa di sconosciuto o di socialmente inaccettabile. Mi alzerò, andrò al lavoro, tornerò a casa stanca, mi trascinerò a letto dopo aver mangiato e ricomincerò tutto il giorno seguente. Perché ci hanno convinti che sia giusto così, che la vita sia questa. Guarderò l'uomo che ho scelto e lo odierò, mi odierò. Passerà così, ogni mia giornata, ogni mese e ogni anno. Mi convincerò della bontà delle mie scelte fino a che sarà troppo tardi e forse il ricordo di te mi accompagnerà per tutta la vita, rammentandomi quanto la mancanza di una scelta coraggiosa abbia decretato la mia fine. Non ho mai dubitato del mio sentimento per te, questo tu lo sai bene. Senza bisogno di dirtelo, senza bisogno di ricordarti che io sono e sarò sempre la tua tempesta. Ma non sempre finiamo con la persona che amiamo.» Teneva il foglio stretto con entrambe le mani, per non rischiare che il vento glielo strappasse via. Per una volta Libero non era sorpreso: sapeva già tutte queste cose di lei, aveva intuito da molto tempo che non aveva la forza per combattere il mondo, neanche in nome di una causa più grande. Neanche per lui. Aveva sempre sperato che accadesse qualcosa, prima o poi, ma in fondo, non ci aveva mai creduto davvero. Eppure in quel momento, più che a questo, non poté fare a meno di pensare che Stella non sarebbe mai invecchiata perché qualcuno le aveva strappato via la vita, il futuro, non solo a lei ma anche a chi l'amava. Non le sarebbe stato più concesso di diventare una donna matura, poi anziana, che si sarebbe spenta nel caldo del suo letto, circondata dagli affetti. Non avrebbe più potuto sbagliare, gioire, inciampare. Non avrebbe mai avuto il lusso di provare rimpianti. Non avrebbe più potuto rimediare a nessun errore e quindi, almeno ora Libero voleva farlo. Per lei, ma in fondo anche per se stesso. Che da quando era morta non aveva potuto fare nulla, neanche piangerla il giorno del suo funerale. Perché in fondo è così che funziona quando non sei altro che l'amante. Ripensò a quel pomeriggio di febbraio in cui si erano salutati, a casa sua, senza sapere che fosse l'ultima volta che si vedevano. Non l'aveva più sentita per due giorni e gli era sembrato strano: nonostante tutte le difficoltà, gli orari, il lavoro, la famiglia, Stella trovava sempre il modo di mandargli un pensiero, un messaggio, una mail, un biglietto. Libero aveva cominciato a preoccuparsi e figurarsi nella mente tutta una serie di scenari, di ipotesi, che potessero spiegare questa sua improvvisa scomparsa; si chiese se forse non fossero dovuti partire improvvisamente per l'Inghilterra, a causa di un problema con la famiglia di suo marito, o se per caso non fosse successo qualcosa proprio a Thomas e lei non aveva avuto tempo o modo di scrivergli. Valutò diverse volte di chiamarla ma, temendo che non fosse sola, non voleva rischiare di metterla in difficoltà. Passò in rassegna tutte queste ipotesi e mille altre, finché non mostrarono la foto di Stella al telegiornale. Gli si piegarono le ginocchia e cadde sul pavimento afflosciandosi come un palloncino sgonfio. Perché non era stato avvertito, perché non lo avevano chiamato per dirgli della sua scomparsa e poi della sua morte? Se lo chiese in un improvviso e inaspettato moto irrazionale di rabbia. Aveva da molto tempo la consapevolezza che, se mai fosse accaduto qualcosa, lui sarebbe stato l'ultimo a saperlo, forse addirittura non lo avrebbe scoperto mai. E invece, Libero dovette affrontare l'evidenza che non solo lui non contava nulla, nell'economia della vita della donna, ma addirittura che lui non esisteva. Nessuno sapeva di loro, della loro relazione, del loro amore. Lui non esisteva se non per loro due. E a volte, il dolore provato in tutti quei mesi che sovente gli sembrava attenuarsi, solo per poi affondare la sua lama ancora più in profondità, gli aveva annebbiato la mente, obnubilato i sensi, tanto da farlo dubitare davvero della sua esistenza su questa terra. Si alzò dalla panchina e si sporse dal parapetto, fissando per un po' il mare che s'infrangeva sugli scogli, proprio sotto i suoi piedi. Era già da un po' che aveva deciso, forse in maniera un po' infantile e ingenua, che ogni volta il vento sarebbe spirato dal mare colpendolo in volto... Ecco, quello... Quello sarebbe stato un bacio di Stella. Sarebbe stata la sua mano che gli accarezzava la guancia, che gli scompigliava i ciuffi di capelli sulla fronte; sarebbe stato l'abbraccio in cui lo avvolgeva quando si rincontravano e lo sguardo malizioso che gli lanciava mentre era tra le coperte. Allentò la presa e lasciò che il foglio volasse via. Poi s'inchinò e afferrò l'urna, un piccolo contenitore di ceramica bianco perlato che Libero si domandò come potesse contenere la grandezza di quella donna. Aprì il coperchio e lasciò lentamente scivolare fuori la cenere, la quale venne immediatamente portata via dal vento prima di dissiparsi, inghiottita dalle nuvole, dai gabbiani, dalle acque del mare. Quella polvere cinerea, che si allontanò da lui disegnando un'onda nel cielo scuro, era tutto ciò che gli restava di lei e ora, anch'essa se n'era andata. Finalmente Stella era libera.
Solo quando si rese conto che il freddo e l'umidità iniziavano a penetrargli nelle ossa capì che era tempo di rientrare. Tornò nella sua piccola camera da letto, ricordandosi di aver lasciato il cellulare spento per evitare di essere disturbato in quel suo ultimo momento con Stella: lo accese distrattamente e lo lasciò sullo scrittoio, sentendolo vibrare pochi secondi dopo. Trovò quindi la notifica di due chiamate che aveva provato a fargli Thomas e la stranezza della cosa bastò a metterlo in allerta. Scorse velocemente i messaggi ricevuti... E ne trovò uno. Era proprio di Thomas. Un messaggio breve. Ma lapidario. Che bastò a fermare il cuore di Libero. «Le morti sono ricominciate.»
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Io sono, prima di tutto, una ragazza che ha sempre avuto un sogno... E finalmente lo sto realizzando: dare vita alla storia che avrei sempre voluto leggere. Sono cresciuta con la passione per la scrittura e ho voluto supportare questo amore con i migliori strumenti possibili: a Roma, la città in cui sono nata e ho sempre vissuto, mi sono infatti laureata in Lettere con specializzazione in Linguistica italiana. Storie di mistero, gialli, thriller, enigmi da risolvere, eventi apparentemente inspiegabili... Per tutta una vita ho immaginato una trama che abbracciasse l'intero orizzonte dei temi che mi hanno sempre incuriosita e conquistata; dopo anni di ricerche, approfondimenti, analisi, stesura piena di fervore, riletture e rifiniture, ho dato alla luce un romanzo che per fatale contrasto parla di ombre: quelle che muovono le efferate azioni di un assassino ma anche quelle che si agitano negli animi dei protagonisti e di noi tutti.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Martina Menghi: Qual è il momento in cui per la prima volta, da piccoli, ci rendiamo conto di quanto sia bello il cielo notturno punteggiato di stelle? Quando abbiamo capito quanto possa essere meraviglioso immergersi nel sole al tramonto? Credo sia stato così anche per la scrittura e prima ancora per la narrazione. Forse un giorno qualcuno mi raccontò una storia, con calore e trasporto, e qualcosa si accese in me: ancora oggi sono convinta che una delle cose più belle che si possa fare per gli altri sia narrare e condividere con qualcuno una storia indimenticabile. Tutto comincia da qui.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Martina Menghi: Sicuramente Ribelli di S.E. Hinton (dal quale Francis Ford Coppola ha tratto uno dei suoi film iconici, “I ragazzi della 56ª strada”) è stato il romanzo che ha segnato la mia preadolescenza.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Martina Menghi: Per ora ho scelto la via dell'autopubblicazione su Amazon KDP, in modo da raggiungere rapidamente col mio romanzo più lettori possibile che possono così scegliere in un colpo di click se sfogliare qualche pagina nel formato digitale oppure ordinare una copia cartacea. I pareri positivi che sto ricevendo mi stanno facendo valutare sempre più concretamente la possibilità di proporlo ad alcuni Editori nei prossimi mesi.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Martina Menghi: Certamente. Tra i tanti vantaggi mi sento di evidenziare la possibilità di confrontarsi direttamente con una platea vasta ed eterogenea, fattore utilissimo per raccogliere reazioni e comprendere l'apprezzamento dei lettori.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Martina Menghi: “Il fuoco di una stella”. E' un romanzo sospeso tra i generi thriller, giallo e storia di mistero. Amo parlarne partendo dal suo sottotitolo: “tre quadri, tre enigmi e un serial killer da fermare a ogni costo”. Roma, giorni nostri. “Il fuoco di una stella” alza il suo sipario al crepuscolo di un efferato delitto e da quel momento la macabra ruota di un piano diabolico comincia a girare, tra opere d'arte usate come messaggi di morte e citazioni letterarie che sussurrano di vendetta e di un rancore mai sopito. Quadri, delitti e misteri fanno tutti parte di un unico enigma e l'assassino potrà essere fermato solo a patto di accettare, quadro dopo quadro, morte dopo morte, che in realtà non conosciamo mai fino in fondo chi ci è vicino.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Martina Menghi: Il mio è un tipo di scrittura che definirei immersiva, pertanto, sebbene parta da una solida struttura della trama e da una serie di appunti, solo ed esclusivamente nel momento in cui mi siedo di fronte alla pagina bianca riesco a far fluire la mia narrazione.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Martina Menghi: Sì, ho quasi ultimato un nuovo romanzo sempre di genere sospeso tra thriller, giallo e storia di mistero, proprio come “Il fuoco di una stella”. Quest'ultimo, pubblicato diviso in due parti, concludeva completamente le vicende narrate, rispondendo a ogni quesito. Il libro che sto scrivendo ne costituisce il seguito, ovvero ne riprende personaggi e spirito ma racconta una storia completamente nuova, ambientata a circa un anno di distanza dall'adrenalinico e drammatico finale del romanzo precedente. Conto di terminarne la stesura nelle prossime settimane ma, prima di proporlo, intendo completare con tutta la cura e la calma necessarie anche la fase di rifinitura e revisione. Se “Il fuoco di una stella” vi è piaciuto o vi piacerà, sono certa che apprezzerete anche il mio nuovo scritto. Enigmi misteriosi, delitti agghiaccianti e un assassino micidiale, ma anche una storia in cui tutto alla fine torna e che presenta al lettore gli indizi chiave ben prima dei colpi di scena conclusivi: questo è ciò che prometto e chi ha la scrittura nel cuore tali patti li deve saper mantenere.
Writer Officina: Raccontaci quale è stata la scintilla che ha dato vita all'idea.
Martina Menghi: Una notte di cinque anni fa mi chiesero di dare vita a una storia per un modulo per un gioco di ruolo. Unici due elementi imprescindibili: un serial killer e degli enigmi da risolvere. Il resto è la storia che tutti oggi possono leggere.
Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Martina Menghi: Credo che in ogni personaggio uno scrittore metta qualcosa di sé e delle persone che conosce o che ha incrociato nel corso della sua vita. Questo perché penso che in parte riusciamo a scrivere davvero bene solo di ciò che conosciamo profondamente; in secondo luogo perché a volte, anzi spesso, un narratore è pervaso dall'urgenza di scrivere in quanto terapia. Non può farne a meno, quindi. Devo anche dire, però, che è anche parte della bravura dell'autore saper creare qualcosa di verosimile, anche se non l'ha esperito in prima persona.
Writer Officina: Ti sei documentato, p.e. sui luoghi, sulle professioni di cui parli, sulle industrie farmaceutiche?
Martina Menghi: Tra i protagonisti del mio romanzo non ci sono solo i personaggi, ma anche dei luoghi, delle opere d'arte, delle opere letterarie: documentarsi è stato non solo imprescindibile – ed è il lavoro che forse mi ha richiesto più tempo – ma anche piacevole in quanto, come ogni attività di studio e ricerca, mi ha permesso di ampliare il mio bagaglio culturale.
Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?
Martina Menghi: Mi piacerebbe che apprezzassero lo spessore e la tridimensionalità dei personaggi, anzitutto, il loro essere veri e abitanti di quella zona grigia che non conosce buoni e cattivi di cui tutti noi siamo parte, senza generalizzazioni né stereotipizzazioni: questo perché è uno dei difetti che soffro maggiormente nella lettura dei romanzi. In secondo luogo, vorrei che si dicesse che questo è un thriller sui generis, perché c'è tanto: non una banale sequenza di eventi, di morti, di misteri, ma è anche e soprattutto il racconto della fragilità umana, in tutte le sue sfaccettature. Il racconto della potenza dei sentimenti e delle emozioni più crude passando per la discesa nelle sofferenze e negli angoli bui dell'animo umano.
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