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Cuore fuso
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"La vita reale non è paragonabile a quella delle favole che ci raccontavano da bambini e Hope Moore lo sa bene. Trentacinque anni, capelli rossi come il chicco di un melograno e un cuore malandato che non le permette di vivere con la stessa libertà concessa a chi le sta attorno. Nessuno, compresa la sua famiglia, si accorge della gabbia dorata nella quale Hope è rinchiusa da qualche anno. Lei stessa è la prima a non averne consapevolezza, legata al ricordo di quelli che un tempo erano un matrimonio e un marito perfetto, innamorata di un uomo che esiste ormai solo nel passato: Jaden Collins. L'amore ha tante facce e sembra che Jaden abbia scelto di indossare quella più oscura e malata. In una fresca mattina priva di sole uno sconosciuto bussa alla porta di casa, irrompendo nella sadica routine della ragazza, pronto ad alterare il precario equilibrio di un matrimonio fragile. Liam Reyes, occhi grigi e sorriso gentile, sarà per Hope un nuovo punto di vista sul futuro, un confidente, un amico, forse qualcosa di più, sempre che lei abbia il coraggio di lasciarsi andare e che il suo cuore malato le dia il tempo necessario per farlo. Ma, soprattutto, sempre che Jaden le permetta di scegliere."
Quando accade mi ritrovo con la mente a ripescare negli anfratti della memoria infantile, dove tutto era spensierato e felice. Ogni volta che succede, e ultimamente succede spesso, ripenso a quei “C'era una volta” sussurrati, la luce fioca di un abatjour, il bagliore traballante di una lampadina che sta terminando le ore di vita, la quietudine appagante della mia cameretta, la voce soave di mia madre mentre narra di principesse dai lunghi capelli in attesa di essere liberate. Castelli maestosi e boschi fatati, creature magiche e orridi draghi sputafuoco sconfitti dalla spada dell'amore. Ripenso a lei che con voce bizzarra e coinvolta raccontava di principi e cavalieri dal cuore impavido, pronti a lottare per salvare l'amata fanciulla da un tragico destino. Ogni volta che accade maledico quei lieto fine e quei “E vissero per sempre felici e contenti”, e lancio insulti contro quella felicità cristallina che regna solo nel mondo delle fiabe. Avrei preferito che i miei genitori mi avessero parlato dell'esistenza di mostri che non possono essere sconfitti, di orchi crudeli dalle impronte grandi e pesanti. Avrei preferito sapere che esistono mani serrate a pugno, incapaci di sfiorarti con amabili carezze. Sarei stata preparata ad accogliere ciò che si camuffa con l'aiuto dell'ombra, ciò che, come un serpente, si trascina negli angoli privi di luce. Sono qui distesa a terra senza avere cognizione del tempo trascorso; abbastanza da avvertire il freddo del pavimento attraversarmi la pelle ed entrarmi nelle ossa, troppo poco per riuscire ad alzarmi. Quando urto contro qualcosa mia madre Lorelai mi ripete fino a che non la assecondo di metterci del ghiaccio, così da evitare che sulla pelle affiori una macchia livida. Cerco quindi di trarre beneficio dai suoi consigli materni, sfruttando l'unico aspetto positivo di questo gelido rivestimento di marmo, che, come una cura palliativa, stempra il dolore di un corpo ferito. Resto distesa su un fianco, con le ginocchia raccolte e le braccia piegate, come se cercassi sollievo in una posizione che richiama l'innocenza di un neonato protetto dal grembo materno. Ascolto i rumori al di là di una porta chiusa senza chiave, con la pelle increspata da brividi. Mi concentro sull'eco dei suoi passi ubriachi che percorrono avanti e indietro, con cadenza malferma, il corridoio davanti alla camera da letto, e prego qualsiasi essere di puro spirito creato da Dio affinché questa porta resti chiusa, affinché lui non si decida a concludere quello che ha iniziato. Allo stesso tempo però una voce interiore lontana prega per la soluzione inversa, così da porre fine una volta per tutte a questo supplizio infinito. In questi attimi tra sconforto e speranza mi domando che fine ha fatto il mio principe azzurro, quel cavaliere che avrebbe dovuto proteggermi e amarmi oltre il tempo e lo spazio. Penso al “finché morti non ci separi” e le labbra si piegano in un sorriso raccapricciante, mentre la logica deride l'interpretazione perversa che il mio sposo ha attribuito a tale solenne promessa. Percepisco il suo respiro affannoso e perfino da lontano rabbrividisco al rumore strascicato dell'aria che entra ed esce dalla sua bocca in mugugni deliranti. È pentito, è in collera con se stesso, è ubriaco. Non mi ha colpito perché sopraffatto dall'abuso di alcol, sarebbe troppo facile da giustificare, ma si è ubriacato perché intossicato dalle azioni commesse. Ogni volta che accade cerca di mettere a tacere l'esaltazione della sua violenza scolandosi la prima bottiglia di qualsiasi bevanda con un grado alcolico superiore a venti. Cerca di nascondere la sua anima sbagliata, cerca di rinnegare quelle voci che alimentano la sua pazzia e lo rendono succube dei suoi gesti. E mentre lui prova a far pace con la sua coscienza, io resto qui ferma, immobile, a origliare i suoi movimenti scomposti e rumorosi, in attesa che il demone dentro lui si metta a dormire. - Amore mio, perdonami! - grida avvicinandosi alla porta, probabilmente con la testa fra le mani. - Scusa, scusa! Scusa, non succederà più. Te lo giuro - La voce avvinazzata biascica difese, ma sono troppo lontana per accoglierle. La mente si è rifugiata in quel mondo di magia e colori che mi è stato promesso da bambina. Sono in quell'universo chimerico costruito per illudere la realtà. Sono nel mio asilo mentale di pace.
***
La fragranza del caffè appena fatto mi ristora le narici con l'aroma fumante e risveglia l'appetito dello stomaco capovolto che brontola. La parte restante di me si sveglia con maggior pigrizia, mentre la mente disorientata rilascia l'influsso negativo del non riposo. Mi siedo sul bordo del letto, giusto il tempo di riequilibrare corpo e pensieri e riportarli al presente. Mi tiro su controvoglia e mi dirigo in bagno in punta di piedi per cercare di attutire il rumore dei passi scalzi sul pavimento. Con acqua gelida e sapone lavo via le righe salate sul volto, giusto per far spazio a lacrime future. Sono così stanca, così vuota dentro che mi sento scomparsa, come fossi acqua dentro acqua. Immagino che scomparire sia peggio di morire, perché non sei altro che una nuvola di fumo fluttuante verso l'ignoto. La morte invece è qualcosa di certo e definito, dona riposo alla tristezza e cancella i segni delle ferite, dona sollievo a un'anima sfinita, intenta a soffrire per le reminiscenze di quello che è stato e che ora non è più. I ventuno grammi di spirito si elevano per la pace eterna e, anche se priva di volto, l'anima torna a sorridere serena. Mi guardo allo specchio senza scorgere segni nonostante un dolore bruciante alle costole. Controllo ancora, ma niente, almeno all'esterno. Con movimenti meccanici ricompongo i pezzi di me andati in frantumi, all'oscuro di ciò che mi attende in cucina, ma forse non del tutto inconsapevole. Il tempo mi ha insegnato a riconoscere i segnali del prima e la routine del dopo, anche se questa volta è stato diverso, e per questo mi spaventa di più. Jaden non si era mai spinto oltre quel limite. È sempre riuscito a controllare la gelosia furiosa che lo abita, incanalandola in abbracci troppo violenti per essere considerati tali. Forse l'abitudine acquisita con il tempo ha fatto evolvere la violenza di quelle strette, e forse, se continua così, il mio cuore potrà finalmente interrompere la lotta eterna tra il palpitare e lo smettere di pompare. Leggera come un fantasma faccio capolino dalla porta del corridoio e sbircio i movimenti felpati del mio sposo, intento a prepararmi una colazione adeguata a mostrarsi come un biglietto di scuse. Jaden, anche se di spalle, avverte la mia presenza e si volta di scatto. Quando i nostri occhi si incrociano, una scia gelida come ghiaccio nelle vene mi percorre la schiena. - Ben alzata, amore! - mi accoglie con un sorriso sereno come se nulla fosse accaduto. Poi, vedendo che non riesco né a rispondere al saluto né a muovermi, paralizzata, narcolettica, si avvicina a me remissivo. Con innocenza tenta di prendermi il viso tra le mani, ma il solo movimento mi obbliga a ritrarmi, e al contempo l'istinto di sopravvivenza mi fa ingobbire tra le spalle. Il suo sguardo si incupisce, percependo l'alone tossico che avverto nei suoi confronti. - Ti prego, amore mio. Scusami! - Ripete le stesse parole di ieri sera. Alza le mani in segno di resa, come per cercare di cancellare qualsiasi impronta di minaccia dal gesto. - Lo sai! Non voglio farti del male. Non potrei mai fartene - mente convinto senza pudore. Inizio a credere che sia posseduto da un demone senza averne coscienza, perché la leggerezza con la quale affronta la situazione è disarmante. - Ieri sera ho perso il controllo. - Scuote la testa come se volesse scacciare via le immagini dei recenti ricordi. - Io... - prova a dire. - Io ti amo troppo e... - si interrompe ancora. Serra le mani a pugno fino a farsi sbiancare le nocche. - Questo a volte mi fa perdere il controllo. Ma è solo perché ti amo. Troppo - conclude con enfasi tutto d'un fiato. Una lacrima solitaria abbandona i suoi occhi color smeraldo, che brillano di emozioni inespresse. - Vorrei tanto che tu potessi capirmi. Vorrei ci fosse un modo per spiegartelo. Io mi preoccupo per te. Ho paura che tu possa stare male - mugugna a denti stretti. “Ma non hai paura di essere tu a farmene” vorrei avere il coraggio di dirgli. - Ti prego, parlami. Di' qualcosa - supplica con voce grave e sofferta. Fisso l'antagonista dell'uomo che solo poche ore fa aveva sembianze diverse e meno concilianti e, per quanto mi senta triste nel vedere il suo sconforto, la bocca si rifiuta di conversare. Cosa dovrei rispondergli? Cosa sarebbe giusto dire? Vivo la scena come se non mi riguardasse, come se stessi osservando la vita di qualcun altro. Jaden prende coraggio e ritenta, con lentezza si fa più vicino e prova con cautela a racchiudere il mio viso tra le sue mani grandi. Ma stavolta, senza alcuna logica, glielo lascio fare. Non è un uomo cattivo, si è sempre preso cura di me, accudisce i miei genitori come fossero suoi. Forse questo mette a tacere le angosce e mi permette di ignorare il suo amore a volte malato. Assecondo in silenzio le sue carezze, mi sorride delicato e provo a fare lo stesso, seppur meno convinta di lui. - Ho fame - mormoro con le labbra premute sul suo petto. La voce esce simile a una supplica, volta più a farlo allontanare da me che a saziare l'appetito, e a quanto pare la mossa funziona. Prima di lasciarmi andare mi bacia la fronte, mi prende per mano, poi scosta la sedia dal tavolo con fare cavalleresco e mi invita a sedermi. La colazione è un pot-pourri di leccornie dolci e salate, che subito svegliano una piacevole quanto dolorosa sensazione di acquolina ai lati del viso. Impossibile non notare l'enorme mazzo di rose dai petali scarlatti, o il loro profumo fresco e frizzante che mi riempie il naso. - Ti piacciono - Mi domanda elettrizzato intercettando il mio sguardo, mentre posa una mano sulla mia. Annuisco e sospiro con eguale intensità. Con un sorriso soddisfatto Jaden inizia a mangiare, sorseggiando con avidità un succo all'ananas, quasi fosse un anestetico dopo la nottata alcolica. Come vorrei fosse sempre così tranquillo. Come vorrei esistesse una sorta di auto-tune in grado di bilanciare il suo carattere imprevedibile e mascherare le imperfezioni del suo modo di essere e di amare. La sua doppia identità ogni volta mi allontana da lui un pezzetto di più e non posso fare a meno di chieder mi: perché sono ancora qua? Perché non riesco a fuggire e resto seduta allo stesso tavolo di colui che è causa del mio male? I brutti ricordi e le orribili sensazioni stanno iniziando a offuscare i momenti belli, e appoggiarsi a ciò che è stato diventa inutile. Comunque, anche se trovassi la forza e il coraggio di fuggire, che cosa farei dopo? Lentamente la mia vita è diventata subordinata alla presenza di Jaden, il quale, in modo continuo e regolare, ha iniziato a muovere i fili della mia esistenza come fossi la sua marionetta. Un crescendo di limitazioni all'apparenza insignificanti che con il tempo hanno contribuito a ridurre la mia autonomia e la mia indipendenza. Complice una patologia cardiaca congenita diagnosticatami durante l'adolescenza. Mi sono affidata a lui in tutto, diventandone succube. È stato facile lasciarmi sopraffare, affidarmi a lui, al suo amore. Perché non è sempre stato così. Lui non era quello che è oggi. Viviamo in una piccola città fatta di chiacchiere e tradizioni. Gli adulti trascorrono il tempo libero insieme, mentre i fi gli crescono giocando nello stesso parco. Ci conosciamo sin da piccoli, ma la prima volta che abbiamo parlato è stata alla festa di compleanno di un compagno di classe, quando mi ha tirato una pallonata in testa, neanche fosse un segnale premonitore di quello che sarebbe stato il futuro. Jaden è bello adesso come lo era allora. I lunghi riccioli biondi incorniciavano la freschezza dei suoi occhi sorridenti velati di birbanteria, verdi come la natura brillante della vegetazione estiva del nostro villaggio. Scambiai subito per affetto quell'infantile batticuore, mi innamorai della sua eccentrica vivacità. Lui al contrario si prendeva gioco di me, insultando il rutilismo dei miei capelli, rossi come il chicco di un melograno, e le piccole macule brune che contrastavano con il colorito roseo del viso. Solo con il passare dei giorni, dei mesi e degli anni, crescendo, ho capito che era un modo immaturo di attirare la mia attenzione. Al ballo di fine anno del liceo, dopo la nostra incoronazione a re e reginetta, un bacio innocente ha aperto le danze a un sentimento più forte, maturato poi nell'amore. La coppia perfetta della scuola e successivamente della città. Per la maggior parte degli abitanti della contea di Lamoille siamo stati fonte d'ispirazione: lui il rampollo d'oro del villaggio, io la bella fanciulla dai capelli rossi e dal cuore malandato. Per i pochi rimasti, alimentati dall'invidia di un'apparente storia d'amore impeccabile, siamo stati invece fonte di livore.
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Che dire... è sempre difficile parlare di sé stessi, o almeno lo è per me, anche perché, in definitiva, non siamo mai come ci vedono gli altri. Mi chiamo Vanessa, ma gli amici mi chiamano Vanish. Nata e cresciuta a Firenze, abito a Campi Bisenzio con il mio compagno di vita. Sono cresciuta nell'amore di una famiglia numerosa, coccolata gelosamente. Essendo l'ultima di quattro figli, arrivata a distanza di quattordici anni, mio fratello e le mie sorelle si sono comportati come dei genitori aggiuntivi. Diciamo che le attenzioni non mi sono mancate. Sono la mia forza e il mio coraggio, e devo ringraziare loro per la donna che sono oggi. Mi reputo una persona forte, ma anche estremamente sensibile. Presto attenzione a tutto, cerco di non farmi sfuggire nessun dettaglio, nessuna sfumatura che la vita mi regala, bella o brutta che sia. Mi piace osservare, farmi domande e focalizzarmi sull'emozioni. Sono una romantica cronica seriale, ammaliata dall'amore e innamorata dell'uomo che da oltre ventidue anni, fa battere il mio cuore come fosse il primo giorno.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Vanessa Mannucci: Se devo essere sincera, quando ero piccola, odiavo leggere perché mi veniva imposto. Al contrario, adoravo scrivere. Dovevo avere sempre con me un foglio e una penna, per scarabocchiare qualsiasi frase mi passasse per la mente. Non sono una che ha peli sulla lingua se devo dire qualcosa, ma scrivendo riesco a esprimermi al meglio. E' come se la penna fosse lo strumento per dare voce alla mia anima, o a quell'intima parte di me più laconica. Ho sempre pensato che le parole nascondano un mondo infinito. Dietro ogni parola si può celare la segretezza di un sentimento d'amore, di odio, di speranza oppure di follia. Possono essere l'arma o lo scudo migliore. Crescendo e leggendo, mi sono persa in quel mondo infinito di caratteri, cercando di assimilarne ogni significato; per rispondere alla tua domanda, è questo che mi ha portato a realizzare che questa passione è nata con me.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Vanessa Mannucci: La saga di Twilight di Stephenie Meyer, scoperta dopo l'uscita del primo film al cinema. Come ti ho raccontato prima, scrivo da quando ne sono in grado. Simboli dell'alfabeto, aforismi, letterine per i miei genitori, lettere d'amore, diari segreti pieni di pensieri e congetture, persino numerosi testi di canzoni. Il libro della Meyer ha acceso in me la scintilla che mi serviva per iniziare a raccontare una mia storia. Lessi i romanzi della saga in una settimana e, subito dopo, iniziai a scrivere un racconto mio che, Ahimè!, è andato perso con il mio computer. Gli anni sono passati in una routine di poco tempo libero e, solo a Dicembre 2020, ho iniziato a dar voce a quella storia rimasta chiusa nel cassetto.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Vanessa Mannucci: Mi sono affacciata nel mondo dell'editoria in punta di piedi. Ho pubblicato il mio primo romanzo, “Ice”, a Luglio 2020 in self-publishing con Youcanprint, senza passare attraverso l'intermediazione di un editore. A Settembre 2020, ho comunque inviato il mio manoscritto ad alcune CE, consapevole di essere un goccia in un vasto oceano, ma con la speranza di essere quella goccia che può fare la differenza. Le persone che al momento hanno letto il mio libro, un numero decisamente superiore alle mie aspettative, mi hanno sorpreso con parole emozionanti, esprimendo approvazione per la mia scrittura, ed esortandomi a continuare. Direi che al momento è ancora presto per rispondere con precisione... magari sarò più esaustiva nella prossima intervista. Ha ha!
Writer Officina: Hai pubblicato in self-publishing con Youcanprint. E' stata una scelta vincente? E cosa è accaduto dopo?
Vanessa Mannucci: L'opportunità di Youcanprint mi è stata suggerita. Inizialmente ero scettica, anche perché essendo alle prime armi, volevo qualcuno al mio fianco che mi seguisse e mi consigliasse passo, passo, poi mi sono dovuta ricredere. L'auto pubblicazione è stato solo il primo obbiettivo, perché a Gennaio di quest'anno sono stata contatta da una casa editrice, Calibano Editore, e ho firmato con loro un accordo di due anni. Non posso dire di aver raggiunto il traguardo, ma ti posso dire che “Ice” sarà disponibile in tutte le librerie a livello nazionale, oltre che nei principali store online, compreso Amazon. La data ufficiale di uscita sarà 10 maggio 2021. Un volto nuovo, ma stesse emozioni.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Vanessa Mannucci: Ovviamente al primo e unico... per il momento. “Ice” racconta la storia di Ella e Jay. Due stili di vita e un vissuto mentale completamente diverso. Un incontro forse fortuito, quasi banale, o forse guidato dal destino. Entrambi vittime del loro passato e alla vaga ricerca di quella pace che non riescono a trovare. Rappresentano l'amore per quello che è: improvviso, inconfondibile, fatto di passioni sussurrate con lo sguardo, pieno di dubbi e vaghe certezze, fatto di dolore oltre che di sorrisi. Ho provato a delineare un'impronta riconoscibile, allontanandomi dall'immagine stereotipata delle storie d'amore, e soprattutto ho cercato di rispettare la realtà delle emozioni, descrivendo in modo persuasivo, quello che la mente proiettava ai miei occhi. Saranno messi in gioco amore, amicizia, verità nascoste, odio e inganno, fino all'imprevedibile ed esplosivo finale. Ella non è in grado di sapere se Jay rappresenterà la sua rovina, o sarà la sua salvezza. Dopo averlo incontrato, non distingue più chi era prima di lui, e non comprende più chi è adesso, sa solo che è una cosa che non può più fermare. L'incontro con Jay, cambierà per sempre il suo modo di essere, porterà alla luce una parte di lei di cui non conosceva l'esistenza, e le farà scoprire una realtà diversa, con la quale sarà difficile convivere.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Vanessa Mannucci: “Ice” era scritto nella mia testa, prima ancora di sapere come avrei intitolato il libro. Prendo qualche appunto strada facendo, per non farmi tradire dai piccoli dettagli, ma direi che scrivo d'istinto, rubando direttamente tra le immagini che si muovono nella mia mente che, vaga, viaggia e si perde nel tutto e nel niente.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Vanessa Mannucci: Sono tante le storie che vorrei raccontare, ma due sono già ben delineate. Essendo affetta da un romanticismo cronico, non riesco a rinunciare alla nuance rosa. Ho buttato giù qualche capitolo di un racconto, dal tema molto delicato del mondo femminile, sul quale oggi giorno c'è maggior sensibilizzazione. Rispetto ad “Ice” me la sto prendendo comoda, perché preferisco prendere le distanze dallo scritto precedente, così da non contaminare la scrittura futura e poi, sono ancora sotto l'influenza godereccia della prima pubblicazione.
Writer Officina: Quanto è finzione e quanto è verità?
Vanessa Mannucci: Si tratta di una storia inventata. Come si usa dire, “Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”. Ma ho fatto un'accurata ricerca dei luoghi, degli spazi, e degli eventi ambientati in quel determinato periodo. Nelle storie c'è sempre una parte inventata, così come c'è del vero, in particolar modo per le emozioni. Come si può descrivere un'emozione se non si è provata sulla nostra pelle? Certo, se si è molto bravi, si può riuscire a delinearla, ma non credo sia sufficiente per trasmetterla fino in fondo e coinvolgere emotivamente il lettore.
Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?
Vanessa Mannucci: Esattamente quello che mi stanno dicendo, senza cambiare una virgola. Che sono arrivata a toccargli il cuore. Che sono riuscita a trasportarli all'interno delle pagine del libro, regalandogli emozioni piene. Che hanno letto la mia storia tutta d'un fiato, fino a tarda notte, perché non riuscivano a staccarsi dalla scena e che hanno ascoltato i brani musicali menzionati in alcune scene del racconto, solo per avere un'immagine nitida del momento. |
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