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Nelle spire del passato
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Seduta sul sedile passeggero della vettura, la donna picchiettò ripetutamente la sigaretta con le dita affusolate per far cadere la cenere fuori dal finestrino aperto. Tirò una lunga boccata e girò la testa pensierosa, fissando il panorama circostante. Il luogo era deserto, fatta eccezione per le loro due auto. Faceva già buio e tutto ciò che riusciva a distinguere era la sagoma nera degli alberi che delimitavano il parcheggio. Una lieve brezza estiva faceva danzare i rami dolcemente, creando un'atmosfera leggermente inquietante. La voce dell'uomo seduto di fianco a lei la distolse dai suoi pensieri. - La ringrazio comunque di aver accettato di incontrarmi e di avermi ascoltato fino alla fine - le disse. - Nessun problema. Mi spiace piuttosto averla fatta venire fin qui. Ero in zona e non ce l'avrei davvero fatta a raggiungerla a Bruxelles - si scusò. - So che sua figlia non abita lontano e mi sono detta che poteva essere comodo anche per lei. E poi mi è sempre piaciuto questo posto. È talmente suggestivo! - L'uomo alzò lo sguardo verso la roccia che si innalzava vertiginosa ai lati del parcheggio e guardò la rocca magistralmente illuminata. - Sì, è un luogo magico... Ogni volta che possiamo ci portiamo mia nipote. C'è tanto spazio per giocare e tanta storia in questo posto... - Lei annuì in silenzio, aprì la portiera e scese dall'auto. Cercò il posacenere da tasca, ci mise il mozzicone spento poi lo rimise in borsetta. - Detesto i fumatori che inquinano - si giustificò con un flebile sorriso. Lui scese a sua volta e la raggiunse. La fissò. Nonostante fossero passati tanti anni, restava sempre affascinante. Esile. Curata. “Di classe”. Del resto, bella lo era sempre stata. Ma soprattutto estremamente dolce e gentile. Forse troppo. Così elegante da fingere di non sentire i commenti maschilisti e spesso volgari di cui a volte era oggetto, né di dare peso alle voci che qualcuno metteva in giro sul suo conto. Nonostante l'afa estiva, la donna fu percorsa da un brivido: mise le braccia intorno al corpo come a difendersi dal freddo. Si appoggiò al cofano della propria auto e finalmente ruppe il silenzio pesante che si era creato. - È grave quello che mi ha detto stasera - disse infine. - Sono sospetti molto forti. Non le nascondo che non le credo. - - Lo so - annuì - ma le ho spiegato perché ho deciso di parlargliene. Per tutti questi anni ho cercato di non pensarci ma adesso basta, non posso più tacere! - fece una pausa cercando le parole. - Magari mi sbaglio, ma ho bisogno di sapere la verità! E se ho ragione, anche lei ne ha diritto! Non vuole sapere se qualcuno della sua famiglia ha commesso un crimine? - Si passò una mano tra i capelli con un gesto nervoso. - Al telefono mi aveva parlato di prove - lo rimproverò lei. - Lo so - ripeté l'uomo. - In effetti sono sicuro di avere ancora quel documento ma non so esattamente dove. Sono passati talmente tanti anni... E con tutto quello che è successo ultimamente non ho potuto cercare con calma. Ma le giuro che nei prossimi giorni gliene fornirò una copia. - Smise di parlare, rosso in viso per l'agitazione, e la guardò attendendo una reazione. Nonostante il buio, vide gli occhi di lei brillare mentre con le mani riparava la fiamma e accendeva l'ennesima sigaretta. Un lieve soffio di vento gli riempì le narici del suo profumo. Poi, all'improvviso, una zaffata di sudore acre e alcool impregnò l'aria. Un odore che non si accordava in alcun modo a quella scena, né a quei protagonisti. Ebbe appena il tempo di percepire una presenza alle proprie spalle. Girò la testa nell'attimo preciso in cui qualcosa di duro colpiva la parte destra del suo viso. Sorpreso, sentì le gambe cedere. Mentre un altro fendente si abbatteva su di lui, alzò istintivamente una mano per difendersi. Il secondo colpo fu ancora più violento. Il cranio dell'uomo emise un suono secco, come quello di un ramo che si stacca dall'albero. L'ultima immagine indistinta fu quella di una figura che si avvicinava alla donna. Sentì un peso sul cuore, un misto di senso di colpa e dispiacere. Alzò a fatica un braccio, come se così facendo potesse fermare il misterioso aggressore e proteggerla. Poi il buio lo avvolse. 3 LUGLIO Accucciato dietro un'auto parcheggiata di fronte all'immobile, l'ispettore della polizia giudiziaria di Bruxelles si guardò intorno inquieto. Melanie avrebbe dovuto essere là da parecchio tempo. Non capiva come mai la collega tardasse tanto ad arrivare. Il sole di luglio, implacabile, gli appiccicava i vestiti al corpo. Asciugò velocemente la fronte sudata senza lasciare il telefono ormai rovente che stringeva in mano da ore. Guardò l'orologio e sbuffò nervosamente. La strada era deserta. Un nutrito gruppo di agenti aveva bloccato ogni possibile accesso e un capannello di curiosi iniziava ad assieparsi dietro le auto della polizia cercando di comprendere cosa stesse succedendo. Anche Federico avrebbe tanto voluto qualche informazione in più. Tutto ciò che sapeva era che un individuo armato aveva preso in ostaggio due impiegate del piccolo discount. Qualcuno aveva parlato di una persona in preda ai fumi dell'alcool o di chissà quali altre sostanze. L'uomo era probabilmente entrato nel piccolo negozio per tentare un furto di cassa. Non poteva prevedere che la responsabile del negozio avrebbe suonato l'allarme e che una pattuglia di polizia fosse in servizio proprio a due isolati di distanza. Vistosi bloccato, l'individuo si era barricato all'interno con le due dipendenti. Era sicuramente in stato di panico e questo lo rendeva ancor più imprevedibile e pericoloso. Durante l'unico contatto telefonico, aveva ammesso di aver ferito la titolare e aveva minacciato di “finire il lavoro” se non gli avessero procurato un'auto e molti soldi. Parlava con voce stridula: le sue frasi sembravano più la parodia di un film poliziesco che l'espressione di veri pensieri. Federico aveva deciso di fingersi disposto a trattare ma purtroppo, da allora, i contatti si erano interrotti bruscamente e il telefono del magazzino suonava a vuoto. Nelle ultime due ore l'ispettore era rimasto immobile, fissando la porta del discount sperando di cogliere un qualsiasi movimento all'interno ma non ne aveva percepito alcuno. La situazione era in stallo e l'uomo aveva il coltello dalla parte del manico. Si sedette per terra appoggiando la schiena alla portiera dell'auto e guardò la strada deserta: il calore era asfissiante e l'asfalto sembrava trasudare una nebbiolina tremolante. Bevve un sorso d'acqua, ormai tiepida. Il cellulare emise un suono leggero. Lo impugnò al volo. Finalmente! Un messaggio da parte di Melanie. “Dammi dieci minuti, poi entrate!” Inarcò le sopracciglia. Stava ancora riflettendo sul senso del messaggio quando con la coda dell'occhio colse un movimento dall'altro lato della strada. Si girò di scatto, appena in tempo per vedere una splendida rossa, in minigonna e cuffie alle orecchie, aprire la porta del negozio e precipitarsi all'interno del discount. Si voltò furioso verso i colleghi che avrebbero dovuto bloccare l'accesso al perimetro. Poi comprese. Fissò Paul, nascosto a qualche metro di distanza dietro una vettura banalizzata: il giovane agente, con un cenno del capo, confermò la sua intuizione. Federico si passò una mano sulla fronte, mentre una sensazione di gelo prendeva il posto della rabbia. La giovane si fiondò all'interno come un fulmine facendo suonare il piccolo campanellino all'ingresso, poi chiuse velocemente la porta alle sue spalle nella speranza di lasciare all'esterno la cani cola estiva. L'uomo seduto per terra dietro al bancone, pistola in grembo e sguardo acquoso, balzò in piedi rovesciando la bottiglia di whisky appoggiata ai suoi piedi. - Che diavolo... - imprecò tra i denti. Affannato, si voltò dapprima verso la porta. Poi strabuzzò gli occhi cercando di mettere a fuoco la figura che camminava senza fretta dall'altro lato del piccolo locale. L'alcool ingurgitato durante le ultime ore gli impedì di reagire velocemente davanti a quella circostanza imprevista: restò immobile, con la bocca semi aperta e le sopracciglia sollevate. Il sudore gli impregnava la T-shirt come se avessero acceso il riscaldamento. Intenta ad ascoltare la musica, la giovane cliente non lo degnò di uno sguardo. Canticchiando sottovoce si diresse velocemente agli scaffali del le bibite fredde, abbassandosi per prendere una cola. Con gli occhi lucidi e il viso imperlato di sudore, l'uomo chinò la testa di lato e si leccò le labbra lascivamente osservando la gonna della giovane sollevarsi un po'. Si avvicinò alla donna di mezza età che da ore stava in piedi, terrorizzata, dietro la cassa e le picchiettò la canna della pistola sulle costole. - Ecco come dovresti vestirti - le sussurrò all'orecchio. - Mica con quei gonnelloni da vecchia che indossi. Sembri mia nonna - la guardò da capo a piedi con disgusto, ridendo sguaiatamente. Poi con la pistola indicò più lontano: - Guarda là! Quella sì che è una donna! - Ignara di tutto, la rossa si levò il cappellino con la visiera e appoggiò la lattina fresca sulla fronte. Indecisa, sostò davanti al display delle patatine. Scelse un pacchetto di chips al pepe e si avviò finalmente alla cassa. Solo in quel momento parve accorgersi delle due persone dietro al banco che la fissavano immobili, talmente vicine da sembrare abbracciate. L'uomo doveva avere sui quarant'anni, capelli radi e il viso coperto in parte da una voglia violacea. Di fianco a lui una bella donna sui cinquanta, tanto pallida da sembrare prossima a perdere i sensi. Ignara della pistola puntata al fianco della dipendente, la giovane in minigonna si avvicinò sorridendo. Lo sguardo dell'uomo cadde d'istinto sulle sue lunghe gambe e la sua bocca accennò un sorriso sdentato. La ragazza parve gradire tanto interesse e gli sorrise seducente. - Buongiorno - trillò masticando un chewing gum. - Che caldo, eh? - Appoggiò i prodotti sul nastro trasportatore. - Beati voi che avete l'aria condizionata! - indicò la bocchetta che soffiava aria fredda. - Il mio datore di lavoro, quel bastardo, economizza su tutto e ci ha fornito un misero ventilatore da tavolo. - Si rivolse all'uomo inclinando la testa con aria da bambina maliziosa. - Non trova che sia disumano? - Preso alla sprovvista, lui si guardò intorno con gli occhi sbarrati e rispose balbettando: - Sì, sì... in effetti... - - È lei il padrone, qua? - lo fissò con ammirazione poi guardò la cassiera. - Certo che siete fortunate, non solo avete un responsabile che è un bell'uomo ma che è anche gentile. Come mi piacerebbe lavorare qui invece che in quel maledetto ufficio dove sono finita! - Prese il portafoglio dalla borsa, lo aprì e ne estrasse una foto. La piazzò con veemenza sotto gli occhi della donna. - Guardi, guardi qua se non scherzo! Questo è il mio ufficio. Non ho ragione a dire che è un buco? - Lei sbarrò gli occhi e aprì la bocca senza emettere un suono. L'uomo fece il gesto di avvicinarsi per guardare a sua volta ma in un attimo la ragazza aveva già fatto il giro del bancone e gli si era avvicinata, fino a sfiorarlo lievemente. Gli mise la foto sotto il naso. Preso alla sprovvista, cercò di nascondere alla bell'e meglio la grossa arma dietro alla schiena. La prima cosa che percepì fu il suo profumo fresco e femminile e il lieve contatto con il suo corpo caldo. Poi, mentre i suoi occhi sgranati fissavano la foto della ragazza dai capelli rossi che sorrideva fiera in divisa blu e giubbotto antiproiettile, sentì qualcosa di duro premergli il fianco e una voce fredda come il ghiaccio sibilargli all'orecchio: - Ispettrice Melanie Brochard della polizia giudiziaria di Bruxelles! Non muovere un solo muscolo, bastardo, o ti faccio un buco in quel ventre flaccido che ti ritrovi! -
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Mi chiamo Angela Cavazzuti e sono nata a Modena il 13 novembre 1962. Diploma da maestra elementare, ho frequentato l'Università di Scienze Politiche con un indirizzo incentrato principalmente sulla devianza sociale. In Italia ho lavorato diversi anni come addetta alle attività culturali nella Biblioteca di Novate Milanese e, in seguito, come impiegata di Pubblica Amministrazione. Dal 2013 vivo e lavoro in Belgio, in un piccolo villaggio noto per la sua magnifica abbazia cistercense. Causa una conoscenza non perfetta della lingua francese ho dovuto “reinventarmi” e attualmente sono dunque commessa in un negozio di accessori alla persona: un ruolo che amo perché mi permette di essere a contatto diretto con la gente. Ma soprattutto un lavoro dove l'accento italiano e gli strafalcioni linguistici sono ben accetti perché “fanno vacanze”! Per il resto... che dire? Sono appassionata di ogni genere di lettura, ma la mia libreria deborda soprattutto di romanzi gialli e di saggi di criminologia. Ho una forte predilezione per tutto ciò che concerne i serial killer. Mi dico sempre che, se un giorno fossi accusata di qualche crimine, tutti questi libri, a volte con passaggi sottolineati, non giocherebbero a mio favore! Ma vi giuro che in realtà, nella vita vera, detesto ogni forma di violenza e sono una persona estremamente gentile!
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Angela Cavazzuti: Credo di non essere molto originale affermando, come molti altri miei “colleghi” scrittori, che la passione per la scrittura è nata insieme a me. Fin da piccolissima amavo utilizzare le immagini dei fumetti cambiando l'ordine e le parole, per inventare storie diverse. Crescendo, non ho mai smesso di scrivere racconti – da sola o a quattro mani con la mia migliore amica – senza purtroppo mai finalizzarli. Forse è anche grazie alla serenità della campagna belga che ho deciso infine, alla soglia dei sessant'anni, di prendere il mio tempo e realizzare il sogno di una vita: pubblicare un romanzo! È così che sono nati “Ricordati di uccidere” e "Nelle spire del passato", thrillers in lingua italiana, ambientati a Bruxelles. Presentati alla Fiera del libro di Torino e a diversi altri Saloni del libro sul territorio belga, entrambi i thriller stanno ricevendo un ritorno estremamente positivo sia in termini di recensioni che di consenso da parte dei lettori. Sono molto fiera di me, anche se rimpiango di non averci provato prima... Writer Officina: Perché hai scelto il thriller piuttosto che un altro genere?
Angela Cavazzuti: Bhe, come vi ho detto, sono da sempre appassionata di criminologia e di tutto ciò che è devianza: romanzi, saggi, film, documentari, cronaca. Tutto! Il mio sogno, da studentessa, era di diventare direttrice di carcere o poter lavorare, un giorno, a fianco di Massimo Picozzi. Dunque, per rispondere alla vostra domanda, non avrei davvero potuto scrivere altro che thriller. Ho l'indagine nel sangue!
Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Angela Cavazzuti: In effetti, per la maggior parte dei personaggi, ho fatto riferimento a me stessa e a persone che conosco: penso del resto che ogni autore, consciamente o no, metta una parte di sé e del proprio mondo nei personaggi che descrive. I miei protagonisti hanno tutti qualcosa che mi rispecchia: c'è chi guida la mia auto, ascolta i cantanti che amo, indossa tenute da notte come la mia, ecc. Ma soprattutto c'è un personaggio che ha vissuto, come me, buona parte della propria vita in Italia. Non ho spinto l'acceleratore su questo dettaglio ma di tanto in tanto, tramite l'ispettore Federico De Falco, mi permetto di descrivere sentimenti ed emozioni che vivo in prima persona e che spesso, nella vita reale, cerco di nascondere. Quando sono venuta a vivere in Belgio mi sono ripromessa di non cadere nel cliché della straniera nostalgica della propria terra (anche se ovviamente lo sono). Scrivere mi permette di esprimere alcuni pensieri nascosti, alcune ferite non guarite. Fosse anche solo il desiderio costante di pizza e caffè.... Per quanto riguarda i personaggi secondari, invece, il fatto di ispirarmi ad amici e conoscenti è spesso “strumentale”: non solo questa tattica mi permette di visualizzarli perfettamente e di descriverli senza passi falsi. Ma quando anche il carattere combacia, diventa molto facile prevedere le reazioni di ogni ognuno davanti alle varie situazioni. Writer Officina: Ti sei documentato, p.e. sui luoghi, sulle professioni di cui parli, sulle industrie farmaceutiche?
Angela Cavazzuti: Scrivere un libro domanda evidentemente un enorme lavoro di ricerca. Nel mio caso ha significato ore e ore passate su internet per approfondire determinate patologie mediche e psicologiche, l'effetto di alcuni farmaci, l'efficacia di terapie ipnotiche, ecc... Ma, soprattutto, essendo le mie indagini ambientate a Bruxelles, ho dovuto visitare i luoghi che descrivevo, studiare l'organizzazione della Polizia Giudiziaria Belga, le tecniche investigative utilizzate dalla stessa e, nel caso dell'ultimo romanzo, alcune leggi specifiche (in particolare sulla prescrizione dei crimini). Davvero tanto lavoro! Ma c'è anche un lato assai ludico in questa fase. Sono una persona abbastanza socievole e non ho difficoltà a fermare un'agente per strada per porgli delle domande, né a presentarmi ad un distretto di polizia o ad un ospedale col blocco notes alla mano. E' così che ho incontrato tante persone interessanti e collaborative, felici di condividere con me le loro competenze. Inoltre, lo ammetto, ho anche la fortuna di avere un amico che lavora nella polizia scientifica belga: la sua consulenza attenta e costante è davvero oro, per me! Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Angela Cavazzuti: In effetti è molto strano, ma quando scrivo non utilizzo un metodo preciso. Quello che non cambia mai è l'entusiasmo: lo svegliarsi di notte per appuntare un dettaglio, portare sempre carta e penna nella borsa per fissare le idee prima che prendano il volo, accettare che la mia mente sia costantemente in preda alla voglia febbrile di rimettersi al computer. Tutto il resto dipende dal momento. La prova è che i miei due romanzi sono nati in maniera totalmente differente! Per quanto riguarda il primo, “Ricordati di uccidere”, una volta elaborata l'idea di base ho fissato chiaramente il punto di inizio e quello finale. Sapendo dove volevo arrivare, ho annotato le parti salienti, irrinunciabili, da elaborare durante la scrittura ed ho seguito abbastanza rigorosamente lo schema: anche quando avrei voluto posticipare la scrittura di alcuni capitoli meno incisivi per passare immediatamente a quelli che contenevano elementi importanti di solito frenavo l'entusiasmo e mi attenevo alla scaletta. Devo dire che scrivere questo thriller è stato facilissimo. Se avessi avuto più tempo libero, l'avrei terminato in un soffio. Avevo talmente interiorizzato la storia che i protagonisti sembravano muoversi in maniera autonoma. A volte avevo l'impressione di limitarmi a descrivere ciò che loro decidevano di fare o dire. Per quanto riguarda invece “Nelle spire del passato”, il mio secondo romanzo, ho seguito un metodo totalmente differente. Sono partita con in testa un'idea di base ed un possibile epilogo. Poi la storia ha virato in una direzione inaspettata: la fine ha rappresentato (quasi) una sorpresa anche per me! Anche la stesura dei capitoli è stata molto più complessa. Saltavo da un punto all'altro, rivedevo le parti già scritte per adattarle al nuovo taglio che stava prendendo la storia, mi dilettavo a scegliere i capitoli da scrivere, spesso senza seguire una sequenza logica. E' stato un po' più complicato, lo ammetto, ma altrettanto esaltante. Scrivere è una passione, è un'esperienza magnifica, quasi una necessità: ma come ogni cosa nella vita, è un'attività che cambia e si adatta in funzione del momento più o meno sereno che stiamo vivendo. Per questo, almeno per quanto mi riguarda, il metodo di scrittura può radicalmente cambiare da un libro all'altro, senza interferire sul risultato. Dopo due mesi di pausa sono ora pronta per iniziare a scrivere un nuovo romanzo: quale tecnica utilizzerò questa volta? Non lo so proprio. Come sempre lascerò decidere all'istinto.....
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