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L'ombra della piramide
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I. Oxford, febbraio 2022.
Nuovi tesori in Egitto non ne sarebbero stati scoperti, non tanto presto, almeno. Howard Carter aveva aperto la tomba di Tutankhamon nel 1922. Dopo di allora, le più importanti scoperte erano state fatte nei depositi dei musei, ed era impossibile che l'inesperta ricercatrice Martha Farrell, nonostante il tono nervoso della telefonata, avesse messo le mani su qualcosa di importante lavorando a Oxford. Il professor George Grayson a questo punto sorrise. Era sicuro che la giovane si agitasse inutilmente, ma la curiosità era forte e non esitò: salvò sul computer la traduzione su cui da giorni stava lavorando e scese al piano di sotto, quasi nel seminterrato, nell'ala in cui i ricercatori disponevano di microscopici uffici. Scese le scale a passo veloce, riflettendo che se Howard Carter nei primi decenni del '900 non avesse indagato a fondo su ogni sospetto, voce o indizio, anche quelli più trascurabili, non sarebbe mai arrivato alla tomba che lo aveva reso celebre. Certo, lui era Carter ed era nella Valle dei Re, non nella facoltà di lettere classiche all'Università di Oxford. Quando Martha lo vide entrare, gli porse un foglio a colori ancora caldo della stampante laser. «È questo il papiro di cui volevi parlarmi?» «Sì, è questo, la scansione non è di grande qualità.» «Mostrami a video l'originale.» Martha, una brunetta trentenne bassa di statura a cui gli occhiali con la montatura di tartaruga conferivano l'aspetto da topo di biblioteca, caricò l'immagine a pieno schermo e affermò: «Eccolo qui. È leggibile, ha qualche foro prodotto dagli insetti. Ti ingrandisco un dettaglio». «Sì, è leggibile, ed è completo fino ai bordi. Non c'è nemmeno bisogno di contrastarlo. Sembrerebbe greco del primo secolo, il solito greco della koinè. Prova a scendere più in basso.» «Non posso, non c'è altro! La mia amica mi ha mandato solo questo.» «Nient'altro? Nemmeno una traduzione di accompagnamento?» «No, nell'e-mail mi chiede se conosciamo questo papiro o se sappiamo da quale fondo proviene.» «Visto così, non mi dice nulla. Perché questa professoressa dovrebbe chiedere a noi se sappiamo da dove proviene?» «Non ne ho idea» rispose Martha scuotendo il capo. «È un elenco di beni?» «No, di sicuro no. Ho provato a tradurre qualche riga, sembra del primo secolo, o forse del secondo. Viene dall'Egitto, non c'è dubbio: è papiro dell'Egitto romano, si vede bene dalla trama delle fibre.» «Che cosa dice?» «Non sono riuscita a capire bene di cosa stia parlando, abbiamo solo cinque righe e ciascuna reca un numero all'inizio.» «Potrebbe essere un bando liturgico.» «No, niente del genere. Ti ho chiamato subito perché potrebbe trattarsi di qualcosa di importante. Leggi questa riga.» Martha indicò la terza riga che compariva sull'immagine ingrandita a tutto schermo; il professore prese una seggiola e si sedette accanto a lei. Rientrava nelle sue mansioni dare tutta l'assistenza necessaria ai ricercatori che avevano ottenuto il contratto annuale con l'istituto. George Grayson era un conosciuto papirologo, per quanto dopo nove anni di servizio fosse ancora fermo al ruolo di professore aggiunto. Se non si fosse scatenata qualche moria tra coloro che lo precedevano nella lista, forse sarebbe rimasto “aggiunto” per tutta la vita. Era già avviato alla cinquantina, ma non sembrava dar peso alla questione poiché aveva scelto di astrarsi dalla realtà quotidiana per vivere con la mente nell'antico Egitto, leggendo e traducendo documenti fondiari, polverose eredità, chiamate alle armi e tutto ciò che gli capitava sottomano, purché fosse antico e scritto in greco su un papiro di provenienza egizia. A Martha dava volentieri una mano: la giovane ricercatrice non nascondeva una certa aria impertinente, ma per quanto si chiamassero familiarmente per nome, come si usa tra colleghi, il professore non avrebbe mai potuto permettersi delle confidenze con lei, o magari invitarla a cena; la sua posizione non glielo permetteva. Si calcò gli occhiali sul naso e si concentrò sulla riga indicata dalla donna, vergata in distinte lettere greche con inchiostro marrone chiaro; sull'originale i caratteri dovevano essere piccolissimi, alti non più di cinque millimetri. Si vedevano le sbavature dell'inchiostro dovute al movimento della mano dello scrivente, e minuscole infiltrazioni scure si erano propagate lungo le fibre del papiro. «Anche l'inchiostro è egizio... Menfi o El Fayyum, direi, se dovessi tirare a indovinare. El Fayyum, quasi di sicuro. La qualità del papiro è molto simile a quelli della collezione Grenfell e Hunt di Tebtynis» affermò Grayson. Rimase in silenzio per alcuni istanti concentrandosi sulla lettura della riga indicata dalla ricercatrice e tradusse a bassa voce: «“Coraggio, Diomede, combatti contro i troiani”. Che cosa vuol dire? Diomede e i troiani? Questa è Iliade». «Ben per quello ti ho chiamato subito!» sorrise Martha. «Potrebbe trattarsi di un manoscritto del primo secolo dell'Iliade... o forse di qualcos'altro di Omero!» Ma subito la delusione gli scavò una ruga sul viso. «Di sicuro si tratta solo di una citazione. Le altre righe... hanno a che fare con Omero anche quelle?» «Forse no... non lo so. Stavo giusto iniziando ora la ricerca. Sto scaricando l'Opera omnia di Omero in digitale, in greco, per fare una ricerca sull'ipertesto con le parole chiave.» «Questa ricerca, se non ti spiace, potremmo farla insieme», disse il professore. «Chi te l'ha mandato non sa se sia un testo catalogato, e se ci capitasse tra le mani un originale sconosciuto del primo secolo... non voglio nemmeno pensarci, sarebbe un colpo fin troppo fortunato. Ha anche il resto? È un rotolo o fogli sparsi?». «Non lo so. La collega che me l'ha mandato è una papirologa italiana con cui ogni tanto ci scambiamo delle note su delle traduzioni incerte.» «La conosci di persona?» «No, le parlo via e-mail. Una dozzina di volte ci siamo scambiate delle ipotesi di integrazione su papiri mutili a cui mancano parti importanti necessarie per ricostruire il contesto generale. Si pensava di pubblicare i risultati a nome di tutte e due. Questa è l'e-mail di accompagnamento dell'immagine.» Il professor Grayson lesse distrattamente una riga dello scarno messaggio, ma la sua mente stava lavorando a qualcosa d'altro. «Dimmi cosa sai di questa tua amica. Potrebbe avere tra le mani un frammento importante.» «Insegna in Sudafrica, ma è italiana.» «Pensa di trovare dei papiri in Sudafrica? Sta facendo qualche campagna di scavo?» domandò Grayson senza nascondere lo stupore. «Non credo, deve avere una cattedra in un'università locale, una città dal nome impossibile, dovrebbe essere vicino a Pretoria. Questa è l'e-mail che mi ha mandato stanotte, è scritto nell'intestazione.» «“Giovanna Corsini, Lecturer, Faculty of Theology and Religion, University of the Free State, Bloemfontein, 9300 South Africa”. Mai sentito nominare questo luogo, nemmeno sapevo che esistesse. Come ha fatto questa Corsini a finire là?» «Non ne ho idea, te l'ho detto, la conosco solo attraverso le e-mail.» «Potrebbe avere in mano un papiro inedito! Io sono qui da più di trent'anni e non ho mai visto una riga di Omero che non fosse già stata pubblicata. Prova a cercare sul web, magari riusciamo a sapere cosa sta facendo laggiù la tua amica Corsini. Sai come potrebbe essere finito là questo papiro? In Sudafrica non hanno nulla di egizio, ma potrebbe trattarsi di uno scritto acquistato da qualche magnate. C'è un mercato clandestino di enormi proporzioni per i papiri importanti.» «Lo so», annuì la brunetta, «io una piccola ricerca l'ho già fatta, subito dopo aver tradotto quella riga. La mia collega ha le carte in regola e un curriculum di tutto rispetto, con numerose pubblicazioni concentrate su papiri di bandi liturgici. Collaboro volentieri con lei proprio per via del suo curriculum. Dovrebbe avere trentanove anni». «Trentanove anni... se fosse in corso una campagna di scavo in Sudafrica, noi lo sapremmo. Che si possano trovare dei papiri egizi a così grande distanza dal Nilo, la ritengo cosa assai difficile, non si è mai udito nulla da laggiù. Al massimo potrebbe trattarsi di qualche reperto sepolto in un museo o in una collezione privata.» Il professor Grayson tacque per alcuni istanti rimuginando qualcosa: «Sai cos'è che non mi piace di questa storia? Che ci abbia mandato cinque righe leggibili senza dirci di cosa si tratta. Anche le altre volte ti ha mandato dei frammenti senza dirti altro?». «No, te l'ho detto, mi mandava dei papiri mutili dei quali aveva avviato la traduzione, ma era ancora lontana dal senso generale del testo.» «Quindi ti mandava una bozza di traduzione con le note. E stavolta invece ti manda un papiro, forse importante, senza dirti nulla? Fammi rileggere quell'e-mail.» Martha la mise di nuovo a video.
Giovanna Corsini, Lecturer, Faculty of Theology and Religion, University of the Free State, Bloemfontein, 9300 South Africa. Buongiorno Martha, un collega mi sta chiedendo di tradurgli un papiro che contiene alcuni termini che non conosco, e il contesto generale è completamente oscuro. Le cinque righe contenute nell'immagine che ti mando allegata a questa e-mail, sono frasi distinte, sintatticamente corrette ma completamente slegate tra di loro. Potresti controllare se questo testo risulta già registrato all'Oxford Institute, per evitare inutili tentativi di traduzione? Grazie, Giovanna
«Vuoi che non si sia accorta che potrebbe trattarsi di qualcosa che ha a che fare con Omero?» domandò il professor Grayson, dubbioso. «Non lo so, dovrebbe essersene accorta, ma potrebbe trattarsi semplicemente di una citazione... forse è un appunto di uno studente dell'epoca, ce ne sono tantissimi anche tra i papiri di Grenfell e Hunt.» «Non è un appunto di studente», ragionò serio il professore, «sono frasi allineate e numerate... per qualche ragione. So per certo, però, che quando saltano fuori cose sconosciute di questo genere, il direttore vuole essere informato subito». Martha sorrise e replicò: «Ma il papiro non è nemmeno nostro, e nemmeno sappiamo da dove venga. La Corsini mi dice nell'e-mail che non è suo, e l'immagine le è stata mandata da un collega». Il professor Grayson, sforzandosi di ignorare il profumo di lavanda della giovane, scosse il capo e disse: «Sì, ma qui si tratta di qualcosa di diverso. Questa fotografia, intanto, arriva da un luogo in cui di papiri non ce ne dovrebbero essere. Potrebbe trattarsi di una nuova scoperta o del risultato di scavi clandestini in Egitto. A naso direi che si tratta di una cosa che non va sottovalutata! Il direttore è perennemente alla ricerca di idee nuove fuori dagli schemi, per trasformarle in progetti per i quali chiede finanziamenti al consiglio di amministrazione». «Vorresti dirglielo?» «Sì, prima lo chiamo, meglio è. Deciderà lui se è qualcosa di interesse per l'istituto.» «Verrò anch'io a parlargli? Sai che la mia è una posizione un po' particolare...» «Lo faccio venire qui. Voglio che veda esattamente ciò che ho visto io... e l'e-mail della tua amica. È una buona occasione anche per te di presentarti. Non sei qui per farti conoscere?»
La telefonata fu brevissima: il professor Allsman-Pennington, il direttore di Facoltà, probabilmente in quel momento non aveva nulla di urgente da fare e, incuriosito dalla notizia che “c'era qualcosa di nuovo che era meglio vedesse di persona”, non si fece attendere che pochi minuti. Era un uomo corpulento, con la barba ordinata che si addice a un rispettabile direttore d'istituto; spesso compariva su qualche giornale o sui media ed era attentissimo a non avere mai nemmeno un capello fuori posto. «Lei è Martha Farrell, la nostra ricercatrice più giovane» la presentò Grayson indicandola con l'indice. Il direttore Allsman-Pennington la salutò con un burbero cenno del capo. «Il dottor Grayson mi dice che si è data da fare. Cos'è che vuole mostrarmi?» «Questo papiro...» rispose timidamente Martha, che per la prima volta aveva la possibilità di parlare del suo lavoro al direttore in persona. Il solido dottor Allsman-Pennington, aggiustati gli occhiali di tartaruga sul naso, esaminò a video lo scritto in un batter d'occhio e disse: «Questa riga non si capisce, nemmeno questa. La terza riga... “i troiani”... è Omero. È per questo, George, che mi hai chiamato?». «Sì, è per questo. Il papiro è saltato fuori in Sudafrica, dove non dovrebbe essere.» «In Sudafrica?» Martha caricò a video l'e-mail della collega sudafricana, e il direttore Allsman-Pennington lesse riga per riga. «A Bloemfontein non hanno mai avuto papiri, George. Tu temi che si tratti di un papiro rubato? Magari di un inedito della collezione di Grenfell e Hunt? Potrebbe trattarsi di qualcosa che ha a che fare con la nostra collezione?» e rivolse uno sguardo sinistro al professore. «Non lo so, ma potrebbe essere utile indagare. Martha è in corrispondenza con questa italiana, Giovanna Corsini. Potrebbe chiederle se ha qualche altra immagine da mostrarci, e se può dirci qualcosa sulla provenienza. Se si trattasse di un papiro in rotolo, potrebbe essere qualcosa di importante.» «No», scattò secco Allsman-Pennington, che doveva già essersi fatto un'idea, «la signorina Farrell risponderà alla sua amica dopo che avremo capito di cosa si tratta. La fotografia di questo papiro ha qualcosa che non mi convince. Fai venire qui Marcus, il nostro fotografo. Lui è in grado di dirci qualcosa di più di questa scansione. Mi sembra poco convincente, come se fosse fatta ad arte per nascondere qualcosa». Marcus, un quarantenne lentigginoso dai capelli rossi, si trovava in istituto e dopo pochi minuti si presentò alla postazione del computer. «Cosa mi sai dire di questa scansione?» gli domandò il direttore senza tanti complimenti. «Non è una delle mie, direttore», sorrise l'uomo, «sembra una maldestra scansione fatta con qualche vecchio scanner a bassa risoluzione. No... non è nemmeno una scansione. È una fotografia! Deve essere stata fatta con un cellulare. Posso mettermi io al computer?». In un istante l'esperto Marcus, preso il posto di Martha, ingrandì al massimo i dettagli dei bordi del papiro e affermò: «La foto è stata presa con un cellulare, un apparecchio che non ha né buona ottica né buona risoluzione. I bordi sono parecchio deformati dall'obiettivo». «Cos'è quella macchia sul lato destro?» lo interruppe il direttore indicando un segno scuro indistinto, visibile tra le frange del bordo del papiro. «È qualcosa presente sul ripiano su cui è stata scattata la foto.» Marcus armeggiò qualche istante ingrandendo e riducendo, e persino provando a ruotare le scritte. Infine, col testo rovesciato di 180 gradi, segnò col dito il bordo più chiaro della macchia sospetta e concluse: «Ho capito cos'è! È la “fuga” delle piastrelle di un pavimento! Qualche millimetro di cemento che sta tra una piastrella e l'altra. È stato fotografato per terra! Quello che vediamo su questo lato, dietro il papiro, è un pavimento». Il professor Grayson era rimasto a bocca aperta, e il direttore trasse le conclusioni: «Quindi chi ha fatto questa foto non è un professionista, ma una persona che ha avuto tra le mani il papiro, magari per caso, e ha pensato di fargli una fotografia con il cellulare, appoggiandolo a terra! E non è nemmeno un papirologo, se ha chiesto aiuto all'amica di Martha. Marcus, puoi dirci qualcosa di più sulla tecnica di ripresa?». Marcus scosse il capo pigiando sulla tastiera e provando a cambiare inquadratura. Alla fine, disse: «Forse c'è qualche informazione nei metadati dell'immagine». Premendo alcuni tasti, aprì la lista in cui si trovavano le caratteristiche tecniche dell'immagine: formato, risoluzione, rete di provenienza e altro. «Puoi sapere dove è stata scattata?» domandò il direttore. «No, non è possibile, almeno non con i mezzi che abbiamo qui. Ma qui c'è qualcosa: riguarda l'ultima modifica effettuata sull'immagine prima del salvataggio, vede?» e indicò una riga della lista. «La fotografia era talmente brutta che qualcuno ha cercato di migliorarla prima di spedirla, e ha usato il computer di un hotel!» aggiunse. Sulla riga indicata stava scritto: F:UsersAdministratorDocumentsserver 000022 Executive Lounge - Fairmont Nile City - Nile City Towers - 2005 B, Corniche El Nil Ramlet Beaulac, Cairo 2466 Egypt. «Tre giorni fa, alle 22.35 ora locale, questa fotografia è stata modificata per migliorarne il contrasto in questo hotel, al Cairo» concluse Marcus segnando lo schermo con l'indice. «Chi ha fatto questa fotografia», sussurrò il direttore, «aveva in mano il papiro originale, non sapeva cos'era e soggiornava in un hotel al Cairo! Si tratta quasi di sicuro di un papiro sconosciuto alla letteratura. È un papiro nuovo e non credo abbia nulla a che fare con la nostra collezione. Sarebbe interessante sapere chi è la persona che ha fatto la foto, e se si tratta di un papiro in rotolo o del brandello di un foglio. Se si trattasse solo di mezzo foglio, nonostante la citazione di Omero, sarebbe di ben poco interesse. Citazioni di Omero ce ne sono ovunque. Se, invece, si trattasse di un papiro lungo parecchi metri, magari integro, potrebbe essere una scoperta importante». Rifletté qualche istante, infine concluse: «Signorina Farrell, mi prepari una scheda di questa sua amica, con un curriculum e qualche notizia». «Volentieri, direttore.» «Dobbiamo riflettere prima di fare domande. Se fosse un papiro scoperto da poco, potrebbe trattarsi di un rotolo integro. Al Cairo a volte circolano reperti importanti provenienti da scavi abusivi o dalle cantine dei bazar della città vecchia. Tu, George, traduci il testo del papiro e insieme alla signorina Farrell accertati se le frasi ricorrono in qualche testo già conosciuto. Dobbiamo capire se si tratta di un falso. Non sarebbe la prima volta.» Fece l'atto di andarsene, ma quand'era già sulla porta, si rivolse di nuovo a Martha e ribadì: «Quel curriculum della sua amica... lo mandi alla mia e-mail insieme alla fotografia del papiro». |
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Autori di Writer Officina
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Buongiorno a tutti e grazie a Writer Officina per avermi dato la possibilità di questa intervista. Sono originario della pianura del Po. Ho completato gli studi classici prima di intraprendere una professione che mi ha portato a conoscere nel dettaglio come i romani hanno modificato il territorio italiano. A parte l'attività in Italia, ho lavorato per molti anni in tutto il mondo in zone disabitate o desertiche, facendo rilievi con strumenti spesso rimediati sul posto e non troppo diversi da quelli degli agrimensori romani. Erano gli anni '70 e '80, i GPS e i satelliti non erano a disposizione dei civili. In quegli anni ho vissuto spesso al fuoco dei bivacchi, mangiando cibi su cui non conveniva indagare a fondo. Nel 2013 ho finalmente avuto l'opportunità, e il tempo, di approdare al romanzo storico, in cui racconto il mondo dell'antica Roma attraverso gli occhi di persone comuni che cercano di sopravvivere tra corruzione, congiure e tradimenti.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Claudio Rossi: Fin da bambino leggevo classici dell'avventura come Verne e Salgari, ma qualcosa è cambiato quando mi è capitò tra le mani una copia da macero di Smoke Bellew, uno dei primi romanzi di Jack London. Fu quello a smuovere una passione travolgente per la letteratura d'avventura. Con il liceo approfondii lo studio dei classici, da Omero a Dante, e della letteratura italiana. Subito dopo l'università dovetti iniziare a lavorare in giro per il mondo.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Claudio Rossi: Sì, c'è stato. Non ricordo quante volte lessi quel romanzo di Jack London di cui ho fatto cenno prima, anche se negli anni dovetti scendere a patti con il lavoro e la famiglia. Ma a volte quando quel libro, magari dopo essere stato dimenticato per una decina d'anni, mi capitava di nuovo tra le mani, lo rileggevo con la mente arricchita di nuove esperienze di vita, e più lo rileggevo e più mi incendiava la curiosità di vedere quei luoghi. Il tarlo di Jack London mi ha perseguitato per molti anni, decenni addirittura, finché il caso ha voluto che, ormai cinquantenne, mi capitasse tra le mani una ricognizione fotogrammetrica di una regione dello Yukon canadese. Durante l'esame delle foto aeree e il confronto con alcune mappe di aeronavigazione ho scoperto che i luoghi citati da Jack London esistevano per davvero, tutti quanti! Persino i villaggi indiani. Approfondendo la ricerca un dubbio che mi era sorto si trasformò lentamente in certezza: London aveva descritto cose che aveva visto, e avventure che aveva vissuto per davvero. Quel romanzo puzzolente di muffa che avevo salvato dal macero era il diario del viaggio che aveva fatto nel 1897, e che aveva pubblicato in chiave di romanzo. A quel punto non ho più avuto pace finché sono riuscito a organizzare un viaggio per andare a vedere di persona quei luoghi, e ho ripercorso anch'io tutto il suo itinerario, da Skagway fino a Dawson City, lungo il corso del fiume Yukon. Ciò che avevo letto nel romanzo era tutto vero, e le persone che Jack aveva descritto erano i suoi compagni nella corsa all'oro. Negli anni feci altri due viaggi in Yukon, portando sempre con me quella copia di Smoke Bellew sfuggita al macero. E' stato da quel romanzo che è nata la mia passione per la letteratura d'avventura.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Claudio Rossi: Il primo romanzo non l'ho proposto a editori, e nel frattempo ho raccolto molte informazioni assai negative sui rapporti tra uno scrittore e la casa editrice. Solo in tempi recenti, con una ventina di romanzi alle spalle, ho ceduto alle insistenze di amici e collaboratori e ho provato a mandare un paio di romanzi a due CE. Non ci sono stati risultati e al momento mi trovo bene nel self publishing dove ho il controllo totale di ogni passaggio e tempi certi.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Claudio Rossi: Sicuramente è un'ottima opportunità, ma solo se si dispone di uno scritto impacchettato come un vero prodotto editoriale, e se si possiede una buona conoscenza delle regole della piattaforma e del segmento in cui inserire il romanzo. Senza spendere molte ore in formazione il fallimento è quasi sicuro.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Claudio Rossi: Ho scritto tre serie di romanzi con protagonisti differenti tra loro per educazione, cultura ed età. Si muovono nel mondo romano tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C. La serie più fortunata è quella che vede insieme l'agrimensore Quintilio e il liberto greco Hicesius. I protagonisti e le ambientazioni di questa serie fanno parte di un mondo che ha punti in comune con chi esegue attività tecniche con mezzi rudimentali in paesi arretrati, fidandosi della capacità di risolvere il problema quando si presenterà. Un po' come ho sempre fatto io. Sono quindi molto affezionato a questi personaggi, ed è inevitabile che uno scrittore travasi una parte di se stesso nei protagonisti che popolano le sue storie. Eppure il romanzo a cui sono più affezionato in assoluto è “Il Buio tra le Colline”, che fa parte di una trilogia che ha per protagonisti un giovanissimo architetto e un tribuno che ha abbandonato l'esercito. Questo romanzo ha percorso chilometri sulle scrivanie durante gli anni in cui non mi decidevo a pubblicarlo, ma poi il risultato è stato molto buono. La maggior parte dei personaggi che compaiono in questo romanzo ricalcano, accentuandone pregi e difetti, persone che ho realmente conosciuto, spesso in circostanze fuori dall'ordinario, come durante lavori pericolosi in foresta o nel deserto, o in mare. Mi sono persino servito di vecchie fotografie e di altrettanto vecchi rapporti di lavoro per fare mente locale e rendere più viva la descrizione di situazioni difficili o di guide o colleghi. E' un romanzo che fa un po' parte della mia vita.
Writer Officina: Come nascono i tuoi romanzi? Da dove trai l'ispirazione?
Claudio Rossi: I romanzi hanno di solito più di una fonte di ispirazione, voglio qui citarne tre: la prima è sicuramente la scoperta che il paesaggio che vediamo oggi nelle aree pianeggianti italiane e in parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo è in buona parte artificiale ed è dovuto a coloro che per primi si posero il problema di valorizzare il territorio. In concreto una fonte eccellente sono le foto aeree, settore in cui ho lavorato alcuni anni. La seconda fonte è la ricerca bibliografica: grazie al web è possibile accedere, con poca fatica, a un patrimonio immenso di opere letterarie digitalizzate. Le fonti a mio avviso più interessanti sono i testi dell'epoca in greco e in latino, di cui esistono eccellenti traduzioni, specialmente in volumi del ‘700 e dell'800. Vorrei citare, per fare un esempio, i testi di Erone su cui mi sono basato per ricostruire una dioptra che a volte compare nei romanzi. La terza fonte di ispirazione sono i musei, in cui si trovano strumenti che risalgono alla tecnologia dell'epoca insieme a oggetti che provengono dalla vita comune e che sono altrettanto necessari, a uno scrittore, per descrivere un contesto realistico.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Claudio Rossi: Alla base c'è la ricerca storica, spesso lunghissima e a volte non esaustiva. Va detto che le fonti classiche ci offrono descrizioni interessantissime di situazioni talmente ingarbugliate che nessuna mente di scrittore riuscirebbe mai a inventare di sana pianta. Purtroppo i tempi della ricerca storica non sono certi: qualche rara volta le informazioni compaiono all'improvviso, come servite su un piatto d'argento, altre volte il mosaico che si cerca di mettere insieme è incompleto e conviene fermare la stesura del romanzo. Questo è il motivo per cui ho alcune storie in stand by che non vanno né avanti né indietro. In ogni caso non mi è mai capitato che la maturazione del quadro storico e ambientale necessario per realizzare un romanzo trovi una buona coerenza in meno di un anno o due. Lavoro con uno schema iniziale partendo da una cronologia, e i fatti descritti nel romanzo vi si innestano in genere sotto forma di appunti che vengono ampliati a mano a mano che procede la descrizione dei personaggi e degli eventi, fino a formare i vari capitoli. Negli appunti preferisco non dettagliare eccessivamente, le foglie e i frutti vengono messi sull'albero durante la stesura. Quanto allo “scrivere d'istinto” non credo che esista, o per lo meno non ho esperienze dirette. Forse può esistere a livello di capitolo, non di romanzo.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Claudio Rossi: Ho più di un romanzo in lavorazione. Alcuni sono nel cassetto da anni, altri hanno trovato una struttura coerente e, capitolo dopo capitolo, li sto completando. Spero di riuscire a terminare nei prossimi mesi il tredicesimo romanzo della serie di Quintilio. Ho poi in lavorazione uno spin-off della serie dell'architetto Marco, e ho terminato da poco un'avventura che rivede insieme gli archeologi George Grayson e Giovanna Corsini (sarà presto pubblicata). Altre idee che sembravano ben avviate sono state fermate per incompletezza del quadro storico o per la presenza di incongruenze, ma di tanto in tanto trovo qualche nuovo tassello. Non mi pongo limiti di tempo, pubblico quando il risultato mi piace e ha un riscontro favorevole da editor e beta readers.
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