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La via del ferro
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Lungo la Via Cassia.
Fu nell'estate dell'anno del IV consolato di Cesare che insieme al legionario Quadrato fuggii nella terra dei Norici, oltre le Alpi. ‘Quadrato' era proprio il suo vero nome, non era un soprannome, che tra l'altro gli poteva calzare a pennello perché era davvero di aspetto squadrato: tracagnotto con il viso quadrangolare, le spalle diritte che sembravano formare un rettangolo con la sagoma della persona. Si presentava scuro di pelle, come un mediterraneo delle province africane, e invece era romano dell'Urbe. Eravamo in viaggio da due giorni. Mentre il cavallo seguiva da solo il tracciato ghiaiato della Via Cassia io avevo dato libero corso ai miei pensieri e rimuginavo i gravi avvenimenti degli ultimi giorni. Ero dolorante in tutto il corpo per le percosse ricevute. Un uomo mi aveva malmenato con un bastone da pastore, un'arma fatta per produrre molto dolore piuttosto che per uccidere. Il corpo mi doleva da tutte le parti, un orecchio era diventato enorme e temporaneamente inutile perché pieno di sangue rappreso che mi impediva di udire da quel lato. Era successo due giorni prima. Una zuffa in mezzo alla strada, proprio di fronte al portone della villa dove abitavo, nella Via del Pittore. Io l'avevo ucciso. Ora dovevo allontanarmi il più possibile dall'Urbe, perché forse qualcuno sarebbe venuto a cercarmi. Qualcuno in divisa, con intenzioni per nulla amichevoli. L'unico testimone della morte di quell'uomo era stato il suo servo che si era messo di traverso sulla strada con un bastone per impedirmi la fuga mentre il suo padrone me le suonava di buona lena. Quando aveva visto che il padrone era finito a terra si era dato a una codarda e velocissima fuga scomparendo in fondo alla via in pochi istanti. Non avevo nemmeno tentato di inseguirlo, ero troppo frastornato e dolorante dalle botte prese. Sicuramente quel servo aveva dato l'allarme ed era in grado di riconoscermi.
Quadrato aveva capito che ero immerso in neri pensieri e se ne stava zitto una decina di passi dietro di me. A lui bastava essersene andato dalla caserma perché non ne poteva più degli insulsi turni di guardia quotidiani e delle ronde in città a raccattare legionari ubriachi. Non che sapesse dove stavamo andando, semplicemente si fidava di me. Ma nemmeno io sapevo di preciso dove stavamo andando. Il tribuno Elpidio, il mio superiore, quando mi ero presentato male in arnese e sanguinante, aveva immaginato che fossi nei guai e mi aveva autorizzato ad andarmene da Roma; mi aveva chiesto di fare qualcosa per lui anticipandomi del denaro. Della destinazione non si era parlato, mi avrebbero spiegato tutto a Bononia. E poi quella sera avevo il capo che mi ronzava per le botte ricevute, e da un orecchio non udivo assolutamente nulla. Dovevo rimanere lontano dall'Urbe per un po'. Forse i Vigili si sarebbero presentati nella casa della Via del Pittore per arrestarmi, e non trovandomi sarebbero andati a cercarmi in Caserma. Avevo lasciato al mio fraterno amico, il liberto Hicesius, il greco col quale dividevo l'abitazione, il compito di tenermi informato su come si muovevano le indagini sulla morte di quell'uomo. Mi avrebbe mandato una lettera alla caserma del Genio di Bononia, dove eravamo diretti. Quando quella lettera fosse arrivata avrei deciso cosa fare. Se fossi stato ricercato avrei potuto darmi subito alla macchia, dimenticandomi della missione e magari tenendomi il denaro che il tribuno mi aveva affidato. Una fuga vergognosa e vile, ma che mi avrebbe permesso di salvare la vita. Cosa potesse avvenire durante l'indagine non mi era per nulla chiaro. I Vigili non avrebbero mai trovato il morto perché se tutto era andato liscio il cadavere era finito nel Tevere. Avevano provveduto a quel servizio certi miei amici della Suburra con i quali avevo saldi legami dai giorni trascorsi insieme nel Carcere Mamertino. Forse avrebbero addossato qualche colpa al servo dell'uomo, quello che era fuggito; avrebbe potuto essere sospettato di parecchie cose: anzitutto di non avere difeso il suo padrone, com'era suo dovere, e di avere disertato senza fare nessun tentativo di soccorrerlo. E poi i Vigili avrebbero voluto sicuramente vedere il ferito, o il morto, e invece il servo che si era data alla fuga non era nemmeno in grado di dire dove fosse finito il padrone. Per quanto rivoltassi nella mia mente la questione, alla fine non avevo altra possibilità che lasciare passare un po' di tempo e stare a vedere cosa succedesse. Solo a Bononia con l'arrivo della lettera del liberto Hicesius avrei potuto avere notizie sicure sul procedere dell'indagini con cui prendere una decisione definitiva.
Il quinto giorno dalla partenza da Roma superammo Faesulae, e attraverso le colline toscane giungemmo alla base dei monti dell'Appennino. Ci fermammo a una mansio a mangiare e a dare un po' di riposo ai cavalli, a poco più di cento passi dal miliario che indicava l'imbocco della Via Flaminia Minore. Quadrato, che aveva ormai esaurito la novità dell'improvvisa partenza, si fece sotto: «Quintilio, vedo che oggi va meglio! E anche stanotte ti ho sentito russare di gusto.» «Sì, va meglio. Mi fa male il costato, credo di avere una costola rotta. Ma sto migliorando lentamente. Sono un po' preoccupato per questo orecchio.» L'orecchio in effetti era sempre enorme, e da quel lato non udivo nulla. «Sarà questione ancora di qualche giorno, ma vedrai che ti riprenderai completamente.» Mentre si dava da fare attorno a un tegame con della carne, approfittando del fatto che in missione eravamo spesati di tutto, mi chiese: «E per quell'altra questione... hai qualche idea di dove andremo?» «No, Quadrato, non ho nessuna idea. Il tribuno mi ha detto che è un posto un po' lontano, ma non ho nessuna idea di che luogo si tratti, e lui non voleva parlarmene in fretta e furia... Hai visto che siamo partiti un po' in fretta...» «Ah, quello non c'è dubbio, sembrava che avessimo dietro i Cadurci! Non ci sarà mica da andare fino in Britannia, no?» «Fino là spero di no. Se le cose si mettono a posto torneremo a Roma fra qualche settimana.» «Speriamo! In Caserma ci sono un paio di legionari che sono stati con Cesare in Britannia una decina d'anni fa. Raccontano spesso che quel posto è proprio lontano, più lontano di quello che ti immagini... e tutti quelli che ci sono stati parlano con ammirazione di Cesare, ma se chiedi loro di tornare in Britannia non ne trovi nemmeno uno che ci tornerebbe.» Interruppi le sue considerazioni: «Penso che arriveremo a Bononia domani sera, e poi sapremo dove ci vogliono mandare. Ma dal tono del discorso che mi ha fatto il tribuno sospetto che sia un posto fuori dai confini della repubblica.» «Quello è sicuro Quintilio, cosa volevi, che ci mandassero a cercare informazioni nelle terre della repubblica? Abbiamo caserme dappertutto, mica era necessario mandare due male in arnese come noi. Io ho già capito che faremo del lavoro da spie, perché altrimenti avrebbero mandato un drappello con degli ufficiali, non ti pare?» «Può darsi. Dovremo comprare delle informazioni.» «Ecco, vedi, non mi sbagliavo!» «Mi ha dato un migliaio di denari in un sacchetto di cuoio.» «Una bella somma! Sono più di quattro anni di paga di un legionario!» Finalmente Quadrato finì di lucidare il tegame col pane, e verso l'ora sesta ci avviammo ad affrontare le prime salite dei monti. La Via Flaminia Minore la conoscevo assai bene per averci lavorato col reparto del Genio del prefetto Festio. Il campo si trovava a metà strada tra il passo più alto e Bononia, su un falsopiano appena all'inizio delle colline dove erano state acquartierate una cinquantina di pesanti tende da contubernium in pelle bovina. Anche Quadrato conosceva l'accampamento, una volta vi avevamo fatto base per organizzare una spedizione sulle Alpi. Alla prima salita ci affiancammo e spiegai a Quadrato: «Guarda che non ci fermeremo all'accampamento.» «Ah no? Speravo di rivedere un po' di gente. Mi ricordo che avevate un bravo fornaio, sfornava quel pane con dentro i chicchi d'uva secca... pensa, sento l'odore solo a nominarlo!» «No, Quadrato, non possiamo. È troppo il rischio che mi facciano domande nello stato in cui sono.» Sapeva che c'erano stati dei guai gravi dietro la mia partenza frettolosa ma meno se ne parlava e meglio sarebbe stato. |
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Buongiorno a tutti e grazie a Writer Officina per avermi dato la possibilità di questa intervista. Sono originario della pianura del Po. Ho completato gli studi classici prima di intraprendere una professione che mi ha portato a conoscere nel dettaglio come i romani hanno modificato il territorio italiano. A parte l'attività in Italia, ho lavorato per molti anni in tutto il mondo in zone disabitate o desertiche, facendo rilievi con strumenti spesso rimediati sul posto e non troppo diversi da quelli degli agrimensori romani. Erano gli anni '70 e '80, i GPS e i satelliti non erano a disposizione dei civili. In quegli anni ho vissuto spesso al fuoco dei bivacchi, mangiando cibi su cui non conveniva indagare a fondo. Nel 2013 ho finalmente avuto l'opportunità, e il tempo, di approdare al romanzo storico, in cui racconto il mondo dell'antica Roma attraverso gli occhi di persone comuni che cercano di sopravvivere tra corruzione, congiure e tradimenti.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Claudio Rossi: Fin da bambino leggevo classici dell'avventura come Verne e Salgari, ma qualcosa è cambiato quando mi è capitò tra le mani una copia da macero di Smoke Bellew, uno dei primi romanzi di Jack London. Fu quello a smuovere una passione travolgente per la letteratura d'avventura. Con il liceo approfondii lo studio dei classici, da Omero a Dante, e della letteratura italiana. Subito dopo l'università dovetti iniziare a lavorare in giro per il mondo.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Claudio Rossi: Sì, c'è stato. Non ricordo quante volte lessi quel romanzo di Jack London di cui ho fatto cenno prima, anche se negli anni dovetti scendere a patti con il lavoro e la famiglia. Ma a volte quando quel libro, magari dopo essere stato dimenticato per una decina d'anni, mi capitava di nuovo tra le mani, lo rileggevo con la mente arricchita di nuove esperienze di vita, e più lo rileggevo e più mi incendiava la curiosità di vedere quei luoghi. Il tarlo di Jack London mi ha perseguitato per molti anni, decenni addirittura, finché il caso ha voluto che, ormai cinquantenne, mi capitasse tra le mani una ricognizione fotogrammetrica di una regione dello Yukon canadese. Durante l'esame delle foto aeree e il confronto con alcune mappe di aeronavigazione ho scoperto che i luoghi citati da Jack London esistevano per davvero, tutti quanti! Persino i villaggi indiani. Approfondendo la ricerca un dubbio che mi era sorto si trasformò lentamente in certezza: London aveva descritto cose che aveva visto, e avventure che aveva vissuto per davvero. Quel romanzo puzzolente di muffa che avevo salvato dal macero era il diario del viaggio che aveva fatto nel 1897, e che aveva pubblicato in chiave di romanzo. A quel punto non ho più avuto pace finché sono riuscito a organizzare un viaggio per andare a vedere di persona quei luoghi, e ho ripercorso anch'io tutto il suo itinerario, da Skagway fino a Dawson City, lungo il corso del fiume Yukon. Ciò che avevo letto nel romanzo era tutto vero, e le persone che Jack aveva descritto erano i suoi compagni nella corsa all'oro. Negli anni feci altri due viaggi in Yukon, portando sempre con me quella copia di Smoke Bellew sfuggita al macero. E' stato da quel romanzo che è nata la mia passione per la letteratura d'avventura.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Claudio Rossi: Il primo romanzo non l'ho proposto a editori, e nel frattempo ho raccolto molte informazioni assai negative sui rapporti tra uno scrittore e la casa editrice. Solo in tempi recenti, con una ventina di romanzi alle spalle, ho ceduto alle insistenze di amici e collaboratori e ho provato a mandare un paio di romanzi a due CE. Non ci sono stati risultati e al momento mi trovo bene nel self publishing dove ho il controllo totale di ogni passaggio e tempi certi.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Claudio Rossi: Sicuramente è un'ottima opportunità, ma solo se si dispone di uno scritto impacchettato come un vero prodotto editoriale, e se si possiede una buona conoscenza delle regole della piattaforma e del segmento in cui inserire il romanzo. Senza spendere molte ore in formazione il fallimento è quasi sicuro.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Claudio Rossi: Ho scritto tre serie di romanzi con protagonisti differenti tra loro per educazione, cultura ed età. Si muovono nel mondo romano tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C. La serie più fortunata è quella che vede insieme l'agrimensore Quintilio e il liberto greco Hicesius. I protagonisti e le ambientazioni di questa serie fanno parte di un mondo che ha punti in comune con chi esegue attività tecniche con mezzi rudimentali in paesi arretrati, fidandosi della capacità di risolvere il problema quando si presenterà. Un po' come ho sempre fatto io. Sono quindi molto affezionato a questi personaggi, ed è inevitabile che uno scrittore travasi una parte di se stesso nei protagonisti che popolano le sue storie. Eppure il romanzo a cui sono più affezionato in assoluto è “Il Buio tra le Colline”, che fa parte di una trilogia che ha per protagonisti un giovanissimo architetto e un tribuno che ha abbandonato l'esercito. Questo romanzo ha percorso chilometri sulle scrivanie durante gli anni in cui non mi decidevo a pubblicarlo, ma poi il risultato è stato molto buono. La maggior parte dei personaggi che compaiono in questo romanzo ricalcano, accentuandone pregi e difetti, persone che ho realmente conosciuto, spesso in circostanze fuori dall'ordinario, come durante lavori pericolosi in foresta o nel deserto, o in mare. Mi sono persino servito di vecchie fotografie e di altrettanto vecchi rapporti di lavoro per fare mente locale e rendere più viva la descrizione di situazioni difficili o di guide o colleghi. E' un romanzo che fa un po' parte della mia vita.
Writer Officina: Come nascono i tuoi romanzi? Da dove trai l'ispirazione?
Claudio Rossi: I romanzi hanno di solito più di una fonte di ispirazione, voglio qui citarne tre: la prima è sicuramente la scoperta che il paesaggio che vediamo oggi nelle aree pianeggianti italiane e in parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo è in buona parte artificiale ed è dovuto a coloro che per primi si posero il problema di valorizzare il territorio. In concreto una fonte eccellente sono le foto aeree, settore in cui ho lavorato alcuni anni. La seconda fonte è la ricerca bibliografica: grazie al web è possibile accedere, con poca fatica, a un patrimonio immenso di opere letterarie digitalizzate. Le fonti a mio avviso più interessanti sono i testi dell'epoca in greco e in latino, di cui esistono eccellenti traduzioni, specialmente in volumi del ‘700 e dell'800. Vorrei citare, per fare un esempio, i testi di Erone su cui mi sono basato per ricostruire una dioptra che a volte compare nei romanzi. La terza fonte di ispirazione sono i musei, in cui si trovano strumenti che risalgono alla tecnologia dell'epoca insieme a oggetti che provengono dalla vita comune e che sono altrettanto necessari, a uno scrittore, per descrivere un contesto realistico.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Claudio Rossi: Alla base c'è la ricerca storica, spesso lunghissima e a volte non esaustiva. Va detto che le fonti classiche ci offrono descrizioni interessantissime di situazioni talmente ingarbugliate che nessuna mente di scrittore riuscirebbe mai a inventare di sana pianta. Purtroppo i tempi della ricerca storica non sono certi: qualche rara volta le informazioni compaiono all'improvviso, come servite su un piatto d'argento, altre volte il mosaico che si cerca di mettere insieme è incompleto e conviene fermare la stesura del romanzo. Questo è il motivo per cui ho alcune storie in stand by che non vanno né avanti né indietro. In ogni caso non mi è mai capitato che la maturazione del quadro storico e ambientale necessario per realizzare un romanzo trovi una buona coerenza in meno di un anno o due. Lavoro con uno schema iniziale partendo da una cronologia, e i fatti descritti nel romanzo vi si innestano in genere sotto forma di appunti che vengono ampliati a mano a mano che procede la descrizione dei personaggi e degli eventi, fino a formare i vari capitoli. Negli appunti preferisco non dettagliare eccessivamente, le foglie e i frutti vengono messi sull'albero durante la stesura. Quanto allo “scrivere d'istinto” non credo che esista, o per lo meno non ho esperienze dirette. Forse può esistere a livello di capitolo, non di romanzo.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Claudio Rossi: Ho più di un romanzo in lavorazione. Alcuni sono nel cassetto da anni, altri hanno trovato una struttura coerente e, capitolo dopo capitolo, li sto completando. Spero di riuscire a terminare nei prossimi mesi il tredicesimo romanzo della serie di Quintilio. Ho poi in lavorazione uno spin-off della serie dell'architetto Marco, e ho terminato da poco un'avventura che rivede insieme gli archeologi George Grayson e Giovanna Corsini (sarà presto pubblicata). Altre idee che sembravano ben avviate sono state fermate per incompletezza del quadro storico o per la presenza di incongruenze, ma di tanto in tanto trovo qualche nuovo tassello. Non mi pongo limiti di tempo, pubblico quando il risultato mi piace e ha un riscontro favorevole da editor e beta readers.
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