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I baci ritrovati
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Una canzone. Un arpeggio di chitarra sta solleticando le mie orecchie ormai da qualche minuto. È soffice e richiama tutti i miei sensi a sé. È come una carezza delicata che mi sfiora la mascella, un alito rasente sui capelli, un bisbiglio che si attanaglia alle mie spalle. “Da dove proviene?” si chiede la mente. Le labbra, ancora serrate e secche, mormorano a tratti, un po' scocciate. Allungo un braccio, ma è così pesante che riesco a sfiorare il bordo del comodino soltanto con le unghie. Allora lo lascio cadere poco distante dal viso. Odori confusi punzecchiano le mie narici, scorrono intorno alle sopracciglia e, assorbiti dalle pupille, mi tormentano le palpebre che tremano sbattendo al ritmo delle ali di una farfalla. Mi concentro dunque su un respiro più profondo e lungo, ed è il profumo di caffè a risaltare, distinguendosi con forza da tutti gli altri. “Ah...” penso, “ma... è la sveglia del cellulare!” D'un tratto la mia flebile attenzione è pizzicata dal rumore di una chiave che con cautela viene sfilata dalla toppa. La corrente è talmente aggressiva che schiaffeggia la porta d'ingresso, mentre la canzone riparte dal principio. “Chi è che canta?” mi domando. È una voce maschile, intensa, che raggiunge note mai udite prima e piacevoli da ascoltare. “Ma è francese... bah... quando mai ho ascoltato qualcosa in francese...” rifletto. Il vento adesso scuote le tapparelle della mia camera, smanioso di considerazione. La mantovana della tenda del giardino sembra la vela di una barca che gareggia in mezzo al mare. Vorrei tanto che portasse via questa pigrizia svegliatasi di nuovo al mio fianco. Il letto è caldo, troppo, e questo calore pare azzannarmi la schiena. Mi passo una mano in mezzo al seno dove sono sudaticcia, appiccicosa, e ho un odore che non è il mio. La melodia riprende a suonare di nuovo dall'inizio. Le dita dei piedi solfeggiano quelle note sfiorando il lenzuolo accartocciato in fondo al materasso. Poi il mio corpo nudo si volta su un fianco alla ricerca di un angolo più freddo. La testa mi gira terribilmente. Ritiro con fatica le gambe portandomi le ginocchia al petto. Recupero il guanciale scivolato sul pavimento e lo abbraccio godendo della freschezza della federa. «Mi devo alzare» mormoro. Provo ad aprire gli occhi, ma sono secchi e appiccicati negli angoli. E fanno male. Così mi massaggio le palpebre per qualche secondo, e finalmente si allargano come lenti sipari. La poca luce che penetra attraverso le stecche oblique di una tapparella disegna punti luminosi sul muro e sulla libreria. “Ho ancora il suo profumo” penso odorandomi le dita. Anch'esse iniziano a muoversi seguendo quell'arpeggio. Le lascio poi sprofondare nel materasso, e con fatica mi tiro su mettendomi seduta. “Che sbornia!” rifletto reggendo la testa con i palmi ben saldi sulla fronte. Nel momento in cui mi ritrovo a fissare il lungo titolo della canzone che scorre annebbiato sul display, il vento inizia a bussare alle tapparelle ancora più forte. E respiro sincronizzandomi con i violini. L'odore del caffè sembra sussurrare: “Alzati, altrimenti mi berrai freddo anche questa mattina!” Sforzandomi, allungo le gambe davanti a me e lascio i piedi a penzolare fuori dal futon. Quando mi do una piccola spinta con le braccia facendo saltare il sedere in avanti, una nausea inaspettata sale violenta fino alla gola. Per fortuna torna da dov'è venuta. “Come ci è finita 'sta canzone nel cellulare?” Il mio mini abito di jeans è afflosciato sopra il borsone della palestra, ai piedi dell'armadio. Ispiro ancora, aprendo bene le narici e buttando fuori dalla bocca l'aria appena trattenuta. «Il caffè!» borbotto. Con i piedi che beneficiano del ghiaccio delle mattonelle cerco le ciabatte. Una la recupero subito. L'altra mi costringe ad accucciarmi per cercarla, e la trovo incastrata nell'angolo sotto al futon. Non appena mi alzo da terra il ginocchio destro cede con uno schiocco facendomi quasi perdere l'equilibrio. Il fastidio scende rapido sui polpacci. I muscoli affaticati si stirano e resto immobile, per una manciata di secondi, stringendo denti e labbra. “Però... questo brano non è male!” Allungo un braccio verso la sedia. Agguanto la saetta di Bowie stampata su una maglietta usurata per i troppi lavaggi e la indosso. Raccatto l'abito di jeans e lo appoggio sulla spalliera. Insonnolita, striscio fuori dalla stanza trascinandomi dietro il borsone. I dolori muscolari si sciolgono e le smorfie sul viso si distendono. La soglia di camera di mia nonna è spalancata. La luce inattesa mi abbaglia costringendomi a coprire il volto con una mano. Lo sguardo, però, attraversa lo spiraglio che ho lasciato tra le dita, e le sagome delle sue bambole di porcellana, sedute sulla poltrona, mi inducono a strizzare gli occhi per metterle a fuoco. Sembrano sorridermi e sbattere addirittura le palpebre. «Che sbornia!» sussurro all'unisono con il tremore del vetro della porta del salone. Svolto leggermente, e le ciabatte si ritrovano a strascicare sul celeste del pavimento del bagno. Le tempie si rilassano grazie alla tendina blu della finestra. È completamente tirata e lo spesso tessuto cattura i raggi di luce che la trapassano rendendoli più scuri. Dal borsone prendo canottiera, pantaloni, accappatoio, intimo, e getto il tutto dentro la cesta dei panni sporchi. Le scarpette le lancio verso la soglia del bagno. Poi apro il rubinetto dell'acqua e la tocco con un dito. È tiepida. «Che cosa è?» bisbiglio. Ho una macchia all'interno della coscia sinistra e mi ci avvicino con gli occhi. «Cazzo! Un succhiotto?!» Nel frattempo l'acqua si è raffreddata. Dapprima decido di farla scorrere tra i palmi e sui polsi. Dopo di che ne prendo un po', lanciandomela sul viso più volte fino a che le guance si intorpidiscono. «Cosa ho fatto!» sibilo a denti stretti. Mi appoggio con le braccia al lavandino e allungo il collo. Le spalle schioccano. Quando butto indietro la testa qualche goccia inizia a sfilare lungo la gola. “Il caffè!”. Con le scarpette appese alle dita della mano entro in cucina e mi avvicino ai fornelli. Tutta la stanza odora di caffè, biscotti inzuppati e alcol. Le sedie sono capovolte sopra il tavolo da pranzo. Un secchio pieno d'acqua grigiastra, con uno straccio che ci galleggia dentro, sfiora una delle sue gambe. La scatola del latte d'avena, il vasetto del miele e una tazza che non riconosco sono posti in maniera ordinata sul mobile. C'è anche il barattolo del caffè d'orzo sul bordo del lavello, vuoto. «Per fortuna la moka è ancora calda!» Spalanco il finestrone e butto le scarpette fuori. Una busta gialla, dalla quale spuntano dei nuovi ferri da maglia, è appesa sul bracciolo della poltrona reclinabile della nonna. L'aria è davvero opprimente e mi soffoca lo stomaco, costringendomi a richiudere subito. Di nuovo di fronte al mobile, afferro l'estranea tazza e me la passo tra le mani più volte, contemplando i piccoli papaveri sparsi sulla porcellana. Di seguito apro il pensile di fronte a me e lo sguardo si perde tra il vetro di tanti bicchieri colorati. «Ah, eccoti!» sbotto trovando la tazza nera dei The Doors all'interno del lavello. Ha un residuo di polvere di caffè sul fondo, ma non ho voglia di lavarla. “Per oggi uso ‘sta tazza nuova”. Accostandomi alla finestra, il riflesso del vaso posto al centro della tavola emerge dal vetro. Trabocca di campanule rosa, avorio e viola avvolte in una carta stropicciata, biancastra e sottile. D'istinto mi giro e mi avvicino ai fiori. Li annuso intensamente tentando di rubargli un po' di vitalità. Recuperati i miei occhiali da vista, torno davanti al finestrone e apro uno spiraglio. Due uccellini cinguettano immobili sul davanzale del balcone, tra le mandeville rosse e i gerani portati da Sibilla la settimana scorsa. «In Sicilia li chiamiamo malvarosa» aveva detto a mia nonna. Allungo il braccio verso il portapane dove recupero un cracker. Ne sbriciolo un pezzetto sul palmo e raggiungo i miei amici. Loro, dopo aver stropicciato con le zampine le foglie ruvide dei gerani risvegliando un profumo di limone, saltano sulla mia mano. Divertita, lascio che i loro becchi mi mordicchino la pelle per un po'. Dopo di che rovescio le restanti briciole sul davanzale, ricevendo sonori ringraziamenti. «Prego!» dico rientrando in casa. Intanto le campane della chiesa hanno iniziato a suonare, lontane. I vocii della gente provenienti dal piazzale accanto mi rammentano che è venerdì, giorno di mercato. “Nonna sarà sicuramente andata a passeggiare in mezzo a quelle bancarelle”. I vestiti stesi in giardino ondeggiano mossi dal vento piuttosto insistente, e l'odore di Marsiglia mi morsica guance e occhi, mischiandosi con quello dei bomboloni. Anche i nostri oleandri dondolano, e i loro petali rosei e bianchi solfeggiano nell'aria. Alcuni si posano accanto ai fiori azzurri dell'erba viperina. Altri baciano i convolvoli striati di rosa ben svegli e aperti. D'un tratto mi sfioro le labbra, dove mi sembra di sentire ancora la sua barba solleticarmi. Poi, scorgendo che sul calendario della nonna non spiccano più i garofani ma l'ortensia, mi avvicino a quella pagina. Leggo essere il fiore di questo mese, il fiore dell'amore, scoperto dal naturalista francese Philibert Commerson che la chiamò così ispirandosi al nome della sua amante. «Bah... il fiore dell'amore» sbuffo con apatia, distogliendo lo sguardo. “Questo sentimento è per me ormai andato in malora e non toccherà più il mio cuore” penso, osservando i raggi del sole entrare furtivi nei balconi dei piani più alti del palazzo di fronte. Nel cielo scorre una nuvola solitaria che somiglia a una matassa di zucchero filato. «Devo sbrigarmi» sibilo, mentre quella bellissima ballata sconosciuta riprende a suonare dall'inizio per l'ennesima volta. |
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Autori di Writer Officina
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Sono nata nel 1976 a Grosseto, cresciuta nella meravigliosa Maremma, più precisamente a Follonica, e oggi risiedo in un'altra splendida regione, la Sicilia, in una città con tanto di vista sulle magiche isole Eolie e cioè Capo D'Orlando. Oltre a scrivere amo viaggiare, praticare l'escursionismo, dipingere, la musica e andare a quanti più concerti possibili, la moda, la fotografia, il teatro e il cinema. Attualmente sono contabile presso un'azienda sita in Capo D'Orlando, ma ovviamente nel tempo libero mi dedico alle passioni sopra citate. Essendomi diplomata in Ragioneria ho sempre lavorato in studi contabili ma, in passato, anche nel settore della moda e della ristorazione. Sono stata una giocatrice di palla a volo per più di 13 anni, poi ho lasciato questo sport per studiare danza classica, hip-hop e danza moderna. Quando abitavo in Toscana ho collaborato con alcune associazioni culturali al fine di promuovere iniziative atte a diffondere l'amore per la poesia e la scrittura, curando anche due rubriche per una rivista di Follonica, una dedicata alla musica e una ai racconti. Ho contribuito all'organizzazione di mostre fotografiche ed eventi di moda e ho studiato sceneggiatura. Ho pubblicato tre raccolte di poesie - “Anonime Utopie” (2000), “Arcipelaghi” (2001) e “Paper Face” (2013) - presentandole in alcune città italiane con la collaborazione anche di musicisti, e partecipato a vari concorsi sia con poesie che con brevi racconti ottenendo premi, riconoscimenti e la pubblicazione delle mie opere in riviste letterarie e antologie.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Simona Scorza: Non credo di aver sviluppato questa passione, piuttosto mi si è presentata spontaneamente all'età di circa 7/8 anni quando ho iniziato a leggere il mio primo libro. A quel tempo non sapevo ancora di essere dislessica e ho sempre avuto un rapporto con le parole di amore e odio, ma trascorre quanto più tempo possibile tra i libri e riuscire a “capire” le parole per me era una doppia conquista.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Simona Scorza: Ho sempre amato gli scrittori decadenti. Sono loro che mi hanno messa su questa strada.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Simona Scorza: No, non l'ho proposto. Ho partecipato a un concorso organizzato dalla Casa Editrice e ho vinto la pubblicazione.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Simona Scorza: Non saprei. Non conosco bene questa modalità, ma mi informerò a riguardo.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Simona Scorza: L'ultimo, “I Baci Ritrovati”, e il mio primo romanzo. Posso considerarlo come un viaggio che, mixando le mie passioni per la musica, l'arte in generale e le esperienze personali con tanta fantasia, disidero condividere con chi si sente perso e ha pensato più volte di arrendersi. Si esplorano varie tematiche che lasciano profonde cicatrici come la discriminazione, il tradimento, il lutto, l'abbandono, ma che vengono "baciate" dalla speranza, da incontri che arricchiscono la vita, dal rifiorire di quell'empatia capace di farci accedere al cuore degli altri, e dalla necessità di ritrovare un equilibrio e ricostruirsi partendo proprio dalla consapevolezza che soltanto ascoltando e accettando il dolore questo lo si può, e lo si deve, trasformare in forza. Writer Officina: Raccontaci quale è stata la scintilla che ha dato vita all'idea.
Simona Scorza: L'idea e l'ispirazione è partita da una bellissima canzone francese di un artista che io amo profondamente, Mika. La canzone si intitola “Les Baisers Persus” ovvero “I Baci Perduti”, ma una volta concluso il romanzo, che inizialmente si intitolava appunto “I Baci Perduti”, mi sono resa conto che grazie alla sua stesura i miei “baci” li ho ritrovati quasi tutti, ed ecco che ho cambiato la parola “perduti” in “ritrovati”.
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?
Simona Scorza: Tantissimo. Il romanzo è un mix tra il mio reale vissuto, e quello di persone a me care, con tanta fantasia. Anche i luoghi dove si svolge la storia sono reali ma vestiti di fantasia.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Simona Scorza: Viaggiando tantissimo mi capita spesso di appuntarmi idee, emozioni, pensieri, a volte dialoghi. Poi se nasce l'idea inizio a fare uno schema già diviso più o meno in capitoli. L'istinto predomina in me quando scrivo poesie.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Simona Scorza: Sto scrivendo il sequel dei “I Baci Ritrovati”, quindi sarà di nuovo un romanzo.
Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?
Simona Scorza: Assolutamente sì. E aggiungo che anche leggere fa bene all'anima e alla mente.
Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Simona Scorza: Sicuramente leggere tanto. Anche viaggiare e incontrare persone che ti raccontano un po' di sé serve tantissimo, quindi ascoltare. Poi scrivere partendo sempre dalle proprie esperienze, quindi da ciò che si conosce molto bene. Infine far leggere quello che si è scritto a 2/3 persone fidate e sincere per avere un primo parere e magari apporre delle migliorie.
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