Writer Officina
Autore: Giorgio Valerio Galli
Titolo: Il Cacciatore di Colori
Genere Thriller Psicologico
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Il Cacciatore di Colori
Quando Julie riaprì gli occhi era buio pesto: era stordita, disorientata e, per quanto provasse, non riusciva a mettere a fuoco. Roteò gli occhi e la testa per guardarsi attorno, ma ovunque era un nero denso e impenetrabile, come sul fondo di una torbida e limacciosa palude. Non aveva riferimenti, eppure aveva l'abitudine radicata di sistemare ogni sera le persiane in modo tale che la notte non fosse mai assoluta: non che ne avesse proprio paura, semplicemente la faceva star meglio il pensiero di una tenue penombra da cui tenere d'occhio l'intero ambiente. Era stato così fin da piccola quando, al riparo di un soffice cuscino, se ne stava per ore a fissare il riverbero dei lampioni sul vetro della finestra, aspettando che il sonno o l'alba le stendessero un dolce velo sugli occhi. Con tutta probabilità era stata fin troppo ubriaca per sistemarle una volta rientrata, tanto da lasciar scorrere l'avvolgibile fino alla fine della sua corsa; d'altronde, in quelle condizioni, non credeva sarebbe rimasta sveglia poi così a lungo.
Doveva aver dormito pesantemente, rannicchiata per troppo tempo nella stessa posizione, almeno a giudicare dal fatto che non sentiva né braccia né gambe, ma solo un formicolio diffuso che le saettava dai piedi alla punta delle dita, rivestendola di una sottile patina di torpore; e freddo, tanto freddo, come nel bel mezzo di una tormenta.
Eppure si sentiva la faccia gonfia come un pallone – dov'è che aveva sbattuto? – e, dato il dolore che pulsava senza sosta appena sopra l'occhio sinistro, doveva avere un bel bozzo. Inoltre, da quando aveva ripreso conoscenza, un odore di ruggine e muffa le si era infilato tra le narici, diventando più acre e insopportabile, fino a rendersi conto, quasi d'un tratto, che qualunque cosa fosse quel tanfo, non era certo l'odore di casa sua.
Non aveva idea di dove si trovasse, né di come ci fosse arrivata: c'era solo una forte nausea dovuta a tutta la tequila che aveva buttato giù nel corso della serata. Quanto aveva bevuto? Sentiva ancora il limone, aspro e acidulo, in fondo al palato e, se faceva attenzione, da qualche parte nella sua bocca riusciva a scovare dei granelli di sale da schiacciare coi denti; solo che ogni volta che ci provava si ritrovava sulla lingua un sapore talmente amaro che le sembrava di star masticando foglie marce e terra di bosco.
«C'è nessuno?» disse, ma non ebbe alcuna risposta, e la sua voce risuonò nell'oscurità, cavernosa e impastata dall'alcol. Rimase in silenzio, ad ascoltare le tenebre richiudersi attorno alle sue parole, mentre un'orribile e forte inquietudine iniziò a montarle da dietro lo stomaco.
Aveva la sensazione di stare seduta su una sedia, ma senza poter vedere, e con la confusione che aveva in testa, non ci avrebbe giurato: sapeva solo di essere nuda – quanto nuda? – a giudicare dal freddo che le pungeva la pelle. Provò a muoversi, ma non ci riuscì: qualcosa le teneva ben strette le braccia e le mani. Anche le gambe erano immobilizzate e, per quanto provasse ad allungarsi, i piedi non arrivavano a toccare terra. Cercò di divincolarsi, ma le cinghie che la tenevano bloccata erano così tese da non darle alcun margine di movimento.
Quando realizzò di essere prigioniera, legata e sperduta nel buio, il panico divampò come una scintilla su una catasta di legna: cominciò ad agitarsi, a spostare con forza il peso da una parte e dall'altra, ma quella maledetta sedia sembrava ancorata al pavimento e non voleva saperne di dondolare. Tentò con ancora più decisione, cercando di liberare le gambe, di spingersi in avanti per quel che poteva, sentendo il formicolio abbandonarla a mano a mano che i sensi tornavano nitidi. Poi, quando finalmente riottenne il controllo del proprio corpo, iniziò a strattonare, in un raptus convulso di rabbia e disperazione, ma dovette presto fermarsi perché a ogni strappo un nuovo dolore sembrava esploderle addosso: qualcosa di acuminato le penetrava le braccia, le cosce e le spalle, lasciandola sanguinare sulle sue nudità. Per un attimo ebbe l'impressione di stare in mezzo a un fitto strato di rovi, una spirale di nodi, rami e punte ricurve che l'avvolgeva completamente. Era impossibile e, col trascorrere dei minuti e la paura che continuava a montarle dentro, quell'idea nella testa divenne ancora più assurda; finché rami e punte lasciarono il posto a un intrico gelido di filo spinato, che la trafiggeva con affilati uncini metallici. Era del tutto sveglia adesso, in un profondo stato di allerta, con l'adrenalina in circolo e un terrore vivo disciolto nel sangue che quasi le impediva di respirare; non riusciva a star ferma e, più provava a ripetersi di calmarsi, più continuava a tremare, con il cuore che tumultuava nel petto e i denti che le battevano in un clak assordante.
Sentiva il sudore bruciarle sui graffi, colare dal collo in rivoli incandescenti di magma; ovunque era un fuoco ardente, rosso e atroce, che danzava spietato su brandelli di pelle. E in totale balia di quei roghi che si accendevano sulla carne, forzandola a rimanere immobile, fece l'unica cosa che le restava per liberare parte del panico che le azzannava le viscere: urlare.
E Julie urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo, scuotendo forte la testa, mentre nuove ferite le si aprivano addosso, schiudendosi come fiori scarlatti sul finire di marzo. Chiamò aiuto, con i capelli incollati al viso, e il suono delle sue grida che rimbalzavano sulle pareti e tornavano a tormentarla era così desolante da accrescere ancora la portata della sua angoscia.
Continuò a urlare, gridando a lungo la sua frustrazione, fino a sentire raspare gola, e la voce incepparsi in estenuanti colpi di tosse; fino a che quel dolore straziante che le mordeva la testa e le lacerava le spalle riuscì a domare ogni traccia della sua furia. Era orribile: non solo il fatto di essere prigioniera, nuda e totalmente indifesa, ma anche dover reprimere ogni gesto, ogni scatto e non poter dare libero sfogo a tutto l'orrore e la pena che le si agitavano dentro.
Quando le fu chiaro di non poter far nulla per migliorare la sua condizione, lasciò cadere indietro la testa e il freddo intenso dello schienale tornò a raggelarla. Era esausta e in trappola: non sapeva dove, né con chi. E, cosa ancora peggiore, non sapeva se sarebbe mai riuscita a tornare a casa. Avvilita, torturata e sconvolta, con un male vivo aggrappato alle membra, Julie rimase in silenzio, a lisciarsi con la punta della lingua la gola lacerata da urla e colpi di tosse. Se ne stette a contare i battiti del suo cuore finché, dopo un tempo che le sembrò interminabile, iniziò lentamente a calmarsi: il respiro si fece più regolare e il pulsare selvaggio del sangue sulle ferite appena più sopportabile.
Infine pianse, e furono lacrime al di là della disperazione, ingoiate dal silenzio feroce e assoluto che invadeva la stanza e che le concedeva solo il crudele riverbero dei suoi singhiozzi.


Ricordava di essere stata una bambina allegra e spensierata, come in quella foto sul mobile della sala da pranzo in casa dei suoi genitori, dove aveva i capelli lunghi, lo sguardo vispo e il sorriso furbetto. Doveva avere non più di sei anni e, se qualcuno le avesse chiesto che tipo di bambina era stata in passato, era proprio a quella foto che avrebbe pensato. Aveva un'intelligenza pronta, reattiva ed era molto socievole; almeno fino a quando il mondo non le si era rivoltato contro, continuando a ripeterle la sua invadente lezione in un modo tanto sgradevole quanto ostinato.
Con il passare del tempo i genitori avevano scoperto di non volersi bene più di tanto e che la vita insieme non era esattamente ciò che credevano quando si erano innamorati: fin troppo presto avevano iniziato a darsi le colpe delle proprie mancanze e a rinfacciarsi tutto ciò che potevano per scansare, se pur di poco, la scomoda sensazione di sentirsi in trappola e ormai senza speranza.
E Julie, da un certo momento in poi, ricordava la sua infanzia come un lungo e accorato tentativo di concentrarsi sui libri di scuola per estromettere dalla testa l'eco delle urla che provenivano dalla sala da pranzo; almeno finché, terminate le scuole medie, aveva capito che la lontananza riusciva di gran lunga a farla star meglio. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Terminate le lezioni, dopo l'inevitabile piatto di pasta scotta e ormai fredda trangugiato di fretta perché nessuno a casa aveva la pazienza di aspettarla per pranzare con lei, si cambiava d'abito e usciva di nuovo: non aveva nessuna meta, andava soltanto a zonzo per l'intera giornata, lasciando che i pensieri le volassero via dalla testa, su oltre le cime degli alberi, fino a perdersi in volo con gli uccelli e non tornare mai più. E se capitava, rientrando in casa, di sentire ancora quei due rinfacciarsi l'un l'altro i propri insuccessi, girava i tacchi e tornava a spasso, tirandosi dietro la porta d'ingresso con il sole che spariva lento oltre l'orizzonte. Presto però questo suo modo di fare ebbe importanti ripercussioni sul suo rendimento scolastico, tanto che dovette ripetere due volte il terzo liceo e una volta il quarto: giusto per imparare bene la lezione. L'orgoglio di mamma e papà. Ma non era stato per negligenza, né per disinteresse: era semplicemente stata sfortunata.
Sopravviveva, ma, sopravvivendo, si era di fatto preclusa ogni possibilità di interazione sociale, di avere degli amici e di sviluppare quella sana curiosità verso il mondo, tipica di un'adolescente della sua età con una vita considerata normale. Aveva iniziato a isolarsi da tutto e tutti e, quando erano arrivate, inevitabili, la prima, la seconda e infine la terza bocciatura, i genitori avevano fatto a gara per consolarla. Inutile dire che Julie non voleva essere consolata, né assecondata o compatita: aveva solo bisogno che qualcuno provasse a capirla sul serio, che riuscisse ad andare oltre lo spesso strato di ansia, tormento e senso di colpa che tutti – lei in primis – avevano contribuito a crearle intorno. Qualcuno che la aiutasse a essere ciò che era e non l'incarnazione di come gli altri l'avevano sempre fatta sentire; ma era difficile che questo qualcuno potesse bussare alla sua porta. D'altronde se non erano riusciti a capirlo neanche i suoi genitori...
A un certo punto, non avrebbe saputo dir bene quando, aveva iniziato a sentire una voce nella sua testa che le ripeteva di andarsene, di fuggire altrove: in qualunque altro posto, bastava che fosse lontano da casa. Una volta c'era perfino andata vicina: era andata fino alla stazione dei pullman e lì aveva comprato un biglietto di sola andata. Non ricordava nemmeno più per dove, l'unica cosa che contava era che la corriera partisse in fretta. Poi però, al momento di salire a bordo aveva indugiato: era rimasta immobile, con lo sguardo fisso sulla portiera di vetro e il cervello che di colpo si era rimesso in moto.
E l'autista non le era stato di nessun aiuto, continuandole a chiedere, se pur in modo gentile: «Cosa fa, signorina? Parte o resta?»
Non aveva saputo cosa rispondere e, in quegli istanti che scorrevano lenti, si era sentita attanagliare da una paura gelida e irrazionale che la inchiodava a terra e le serrava le labbra.
Dove sarebbe mai potuta andare? Senza un soldo e con solo il suo zaino, cosa mai avrebbe fatto per il mondo che dava già segno di non accettare la sua presenza?
Alla fine il pullman era partito senza di lei e Julie era rimasta a fissare le frecce arancioni sulla fiancata verde pisello che si allontanavano sempre di più, fino a sparire del tutto dietro i palazzi della città. Era restata, fingendo che fosse una sua decisione, ripetendo a sé stessa che avrebbe solo dovuto continuare a sopravvivere un altro po'.
Ma la sua vita non era migliorata affatto, neanche quando mamma e papà si erano ritrovati totalmente immersi in quella fase in cui, per apparire migliori agli occhi della figlia, avevano in tutti i modi cercato di comprarne l'affetto distribuendo beni, permessi e regali di ogni sorta; fino a revocare di nascosto ogni divieto imposto dal buon senso della controparte. Così Julie era cresciuta come una ragazza troppo libera: di fare ciò che le andava, di avere ciò che voleva e di scontrarsi con una solitudine indescrivibile che le si era annidata dietro lo stomaco e da cui si sentiva consumare ogni giorno di più. Poteva fare tutto ciò che desiderava, ma non aveva nessun amico, né tantomeno alleati: non sapeva che farsene della sua libertà, né dei suoi oggetti se tanto non poteva condividerli con nessuno. Inoltre non era il tipo da approfittarsi della situazione che regnava in casa, né dell'improvviso permissivismo dei suoi genitori: l'unica cosa che faceva era uscire per salvarsi dall'ennesimo pomeriggio di rabbia e litigi.
Giorgio Valerio Galli
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Giorgio Valerio Galli
Sono nato e vivo tutt'ora a Roma, sposato e senza figli. Laureato in Lettere e con una formazione classica, di base sono violinista e insegnante, ma la scrittura ha sempre fatto parte della mia vita. Da bambino, alla famosa domanda “Cosa vuoi fare da grande?” rispondevo: “Lo scrittore”, anche se, per amor del vero, non saprei dire che posizione occupasse nella mia classifica mentale. C'erano sempre l'astronauta, il violinista e la rock star con cui gareggiare. Comunque fosse, nella mia adolescenza ho inventato tante storie e scritto tante cose – “esperimenti”, è così che chiamo le mie creazioni fino a un certo periodo – molte delle quali resteranno nel cassetto e non vedranno mai la luce. Alcune di esse, però, sono state premiate in concorsi letterari (per lo più racconti, poesie e riflessioni) e forse, da qualche parte nella rete, potrebbero ancora essere reperibili. Crescendo, ho scelto la via del romanzo e, dopo qualche nuovo esperimento accantonato – che è finito a far compagnia alle altre carte nel solito cassetto – ho pubblicato i miei primi due libri: “Il Cacciatore di Colori” (vincitore di una menzione d'onore al concorso Set Art 2023, primo classificato al premio letterario Edizione italiane per la categoria Thriller e presentato a UmbriaLibri 2024) e “Nella Morte e nell'Amore” (finalista al “Premio Bukowski 2023”, primo premio al “Concorso Letterario Argentario 2023”, vincitore assoluto del “Concorso letterario nazionale SetArt 2024” e presentato alla Fiera del Libro “Più Libri Più Liberi” al Centro Congressi La Nuvola di Roma nello stesso anno). Insieme a un altro mio inedito, “I Confetti di Charlie”, “Nella Morte e nell'Amore” figura tra i 200 libri più belli d'Italia – almeno secondo la classifica stilata dai giudici del sesto concorso letterario “Tre Colori” 2024.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Giorgio Valerio Galli: Al liceo scrivevo storie per il giornalino della scuola; a 19 anni, con uno dei miei racconti ho anche ottenuto il 2° posto a un concorso letterario nazionale. Andando ancora a ritroso, però, non saprei definire il momento esatto in cui ho sviluppato questa passione; come dicevo, lo scrittore era una cosa che pensavo di voler fare da grande, anche se non potevo sapere cosa avrebbe davvero comportato. Credo che, essendo da sempre un tipo molto riflessivo, tutte quelle riflessioni, ad un certo punto, abbiano preso la loro strada.

Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Giorgio Valerio Galli: Ce ne è stato più di uno. Sicuramente, l'imprinting l'ho avuto grazie alla grande libreria che i miei genitori avevano in casa; è da lì che ho preso in mano i primi libri, con la curiosità tipica di un bambino che si perde tra le immagini presenti nei tomi di Mitologia Classica. Passavo ore a sfogliare i miti dell'antichità, soprattutto a guardare le immagini di idre, minotauri, mostri ed eroi. Uno dei libri che ricordo con particolare interesse è stata una versione illustrata dell'Inferno di Dante. Crescendo, quando la curiosità per le immagini è diventato interesse per i contenuti, sono passato ai classici della letteratura italiana e straniera: ho amato “I Fiori del Male” di Baudelaire, Dostoevskij, Foscolo, Moravia e i poeti maledetti di fine Ottocento. Ho adorato Dante (mai del tutto abbandonato grazie alla scuola e al percorso universitario) Leopardi e Schopenhauer, ma anche i romanzi del ciclo arturiano (probabilmente il “Roman de Tristan” di Thomas è quello a cui sono più legato), fino ad arrivare ai più recenti Stoker, Poe, Lovecraft, Tolkien, Anne Rice e Stephen King. Ognuno di essi, insieme a tanti altri, ha lasciato una traccia dentro di me per rendermi oggi quello che sono.

Writer Officina: Raccontaci quale è stata la scintilla che ha dato vita all'idea per i tuoi romanzi

Giorgio Valerio Galli: “Il Cacciatore di Colori” si inserisce nel panorama terribile, purtroppo quotidiano, di persone rapite o semplicemente scomparse. È un argomento tristemente noto nella nostra società cui ormai siamo talmente abituati che i fatti di cronaca non ci sconvolgono più. Ecco, la mia storia nasce da una domanda importante, capace di rinverdire l'orrore e la sensibilità nei confronti di questi avvenimenti: e se accadesse a me? Come vivrei? Cosa sentirei o penserei? Giorni dopo aver fatto queste riflessioni mi è nata una parola dentro, che ha girato in lungo e largo nella mente: cloroformio. Poi è apparso anche il nome della protagonista, Julie. Da lì, ho capito come la storia si sarebbe svolta, quali personaggi sarebbero entrati in gioco e quali sarebbero stati gli ambienti narrati nella vicenda. Soprattutto, quali sarebbero state le sensazioni e le emozioni che avrei voluto far nascere nel lettore; perché quella storia è quasi interamente incentrata sul punto di vista di Julie, protagonista e al tempo stesso vittima della vicenda.
“Nella Morte e nell'Amore”, invece, è stato qualcosa di profondamente diverso: un lungo viaggio, durato più di un ventennio, nelle profondità del mio “io”, scandagliando i timori, le sensazioni, l'emozioni e tutte le distorsioni tipiche dell'inconscio umano. È una storia tragica, apparentemente semplice, ma pregna di una complessità psicologica al limite della contraddittorietà, in cui incubi, deliri e realtà si mescolano in una dimensione quasi onirica, ma che affonda le sue radici nella vita concreta. È un romanzo che tratta le tematiche della dipendenza, della solitudine, della follia e della pura infelicità, ma anche dell'amore e del coraggio di perseguire le proprie scelte, qualunque esse siano, convinti che, anche in fondo al buio più nero, si possa trovare quella scintilla in grado di riaccendere la luce della speranza.

Writer Officina: Perché hai scelto il Thriller, l'Horror o il Dark Fantasy piuttosto che un altro genere?

Giorgio Valerio Galli: In realtà, non mi sento molto uno scrittore Thriller, né Horror o Dark Fantasy. Sicuramente nelle mie storie ci sono elementi Thriller e alcune componenti strizzano l'occhio all'Horror; più di alcune per la verità, ma tendo sempre a non rispettare i classici cliché del genere. Non è una cosa che faccio di proposito, è solo che il mio interesse principale, almeno finora, è stato quello di calarmi interamente nella testa del personaggio, scovare e mettere in luce i suoi desideri, i sogni, le ossessioni e i bisogni. L'Horror o il Thrill, appunto, non è l'obiettivo finale delle mie storie, ma solo un contorno, una cornice dove poter indagare a fondo alcune sfaccettature della mente umana. Il mio ultimo romanzo “Nella Morte e nell'Amore”, per esempio, è una storia d'amore, ma non come ce la si potrebbe aspettare: viene contaminata da elementi più disparati, quali la dipendenza, la depressione, le allucinazioni, il delirio e la follia. Ma non è tutto: c'è anche l'amicizia, la fiducia, l'ottimismo e tanta speranza, elementi che riescono a bilanciare le tinte fosche degli avvenimenti e, perché no, anche a dissiparne le ombre. Anche per “Il Cacciatore di Colori” succede qualcosa di analogo: sulla carta è la storia di un rapimento, ma al suo interno trovano spazio tanti altri sentimenti diversi dall'ansia, la disperazione o il terrore. C'è l'ottimismo, ancora la speranza, il rapporto genitori-figli e la fiducia, quasi fosse un disperato bisogno, che il futuro sia migliore del nostro passato. Sono emozioni che si muovono in direzioni diverse, a volte apparentemente contrastanti, ma che forzano il quadro al di fuori dei limiti di una categoria ben precisa.
Mi piace pensare che ogni storia possa fornire al lettore una pletora di sentimenti diversi, come colori in una tavolozza da cui poter attingere per poter dare forma al proprio disegno. Poi certo, la tela che fornisco non è mai perfettamente bianca; spesso, di partenza, tende più verso al grigio dell'inquietudine – anche io ho le mie tare – ma penso che le riflessioni migliori e i cambiamenti più importanti derivino sempre da situazioni di grandi difficoltà. È lì che si può imparare, migliorare, o tornare a sentirsi, anche solo per un momento, parte di un qualcosa di diverso rispetto alla “normalità” che ci circonda.

Writer Officina: Nei tuoi libri c'è tanta psicologia. Da dove nasce questo interesse?

Giorgio Valerio Galli: È una cosa che mi affascina fin da bambino. Dopo il liceo, pensavo anche di farne un percorso universitario. Di base sono un carattere piuttosto riflessivo, quindi mi viene piuttosto facile rimuginare sulle cose. Ovviamente, creare un'impalcatura psicologica di un personaggio, soprattutto quando si scende in profondità, verso quella parte inconscia, selvaggia e primordiale che ognuno di noi cela sotto le proprie sovrastrutture, è tutt'altra cosa: richiede attenzione, preparazione, cura e dedizione, ma è una sfida che accetto sempre volentieri. Perché tanta pena? Da lettore non mi accontento del solo intrattenimento, ma cerco sempre qualcosa, un senso generale alle storie in cui scelgo di immergermi o una forma di arricchimento a qualsiasi livello. È ciò che provo a fare anche da narratore: non compiacermi di confezionare solo un prodotto che possa funzionare, ma cercare di rendere quel prodotto un'esperienza a 360 gradi, il più immersiva possibile, da cui chiunque possa ricavare qualcosa, sia esso uno spunto di riflessione, un'emozione, una domanda o, magari, il suggerimento di una risposta. La propria esperienza al servizio degli altri, è così che si dice, no? In fondo, uno scrittore non è altro che un suggeritore di emozioni; è il lettore che, con la sua sensibilità e voglia di scendere in profondità, diventa il vero catalizzatore di questi spunti.

Writer Officina: Cosa c'è di te nei tuoi romanzi?

Giorgio Valerio Galli: A volte tutto, a volte niente. A mio parere, uno scrittore è anche un buon trasformista o un abile mistificatore. Una volta ho letto un romanzo dove al protagonista mancava un braccio, ed è stato talmente credibile che a lungo ho pensato che forse anche all'autore potesse mancarne uno; giusto per dire quanto erano puntuali e attendibili le sue considerazioni. Quando si scrive, occorre dare l'impressione di essere medici, poliziotti, avvocati, efferati assassini, burocrati, giornalisti, psichiatri, ubriaconi e tossicodipendenti; e, almeno per ciò che riguarda i miei libri, bisogna essere vittime. Ovviamente questo non significa che uno scrittore, nella vita reale, sia davvero tutte queste cose; ma penso che poter vestire con disinvoltura i panni di chiunque, ragionare come i personaggi che abbiamo costruito e fare profondamente nostro il loro sentire, conferisca al romanzo un potenziale immenso. Ed è proprio quel potenziale, se colto, a creare un legame forte e duraturo tra la storia e chi legge.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato?

Giorgio Valerio Galli: Fino ad ora ne ho pubblicati due: “Il Cacciatore di Colori” e “Nella Morte e nell'Amore”. Ma ho altre storie già scritte, alcune inedite, altre iniziate e non finite, altre ancora da dover scrivere. Diciamo che non ne sento nessuna superiore alle altre, forse perché cerco di mettere in ognuna di esse, grande o piccola che sia, ogni goccia del mio sudore. Parafrasando, si potrebbe forse dire che la storia a cui sono più affezionato è quella che mi trovo a scrivere di volta in volta.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Giorgio Valerio Galli: Sì. Oltre i due romanzi già pubblicati e uno ancora inedito, ne ho terminato da poco un altro. Quest'ultimo segue il filone iniziato con “Il Cacciatore di Colori”. Le storie non sono concatenate, i personaggi non si conoscono tra loro e, forse, vivono anche in città molto distanti, ma c'è una cosa che li accomuna, e che rende questi libri parte di un unico progetto: il disagio di vivere immersi in una società che non considera l'individualità dei singoli ingranaggi che la compongono ma che, al contrario, tende a isolarla tacciandola di stranezza. I personaggi di questi romanzi sono tutti ragazzi comuni, fragili e sensibili, spesso con un passato ingombrante alle spalle; ed è proprio a causa della loro sensibilità che si ritrovano emarginati, isolati da un contesto di massa in cui si sentono estranei e di cui non riescono a diventare partecipi. Sono storie cupe, dai risvolti drammatici, a volte horror o spaventevoli, ma che hanno sempre, come loro punto di partenza, un'attinenza più che concreta con la realtà.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Giorgio Valerio Galli: Scrivere d'istinto è una chimera meravigliosa, un po' come vincere a scacchi senza conoscere nessuna regola. È quello cui ogni scrittore ambisce: ottenere il risultato senza troppo doverci sudare sopra. Ma è una situazione tanto idilliaca quanto difficile da raggiungere, come in ogni campo professionale. Nello specifico, trovo che schemi e appunti siano fondamentali nella stesura di una storia, soprattutto quando si ha a che fare con personaggi variegati, luoghi o avvenimenti. Cerco sempre di essere coerente, di far combaciare i particolari, le descrizioni o le sensazioni provate dai vari protagonisti; e di non essere mai ripetitivo o banale. È un procedimento che, almeno nel mio caso, avviene in testa ancora prima di cominciare a scrivere. A volte, per esempio, affiorano nella mente nomi, personaggi, o ancora situazioni e luoghi da dover sviluppare; allora provo a organizzarli, a creare o a spezzare legami tra loro, fino a collegarli in segmenti più grandi, piccole strutture a sé stanti da ricondurre a un'unica impalcatura. Solo allora prendo la penna o, per meglio dire, metto le mani sulla tastiera. Ovviamente ognuno ha i suoi modi di scrivere, i suoi riti da compiere o le sue tabelle di marcia da rispettare: c'è chi scrive tutto e subito, chi scrive solo quando si sente pronto e chi non si alza dal tavolo finché non ha finito le cartelle che si è prefissato di riempire. Ma credo che, a prescindere dalle proprie abitudini, chiunque debba avere un progetto chiaro in testa così da non rischiare di smarrire l'orientamento.

Writer Officina: Ritieni che la verosimiglianza sia importante oppure no visto che si tratta comunque di fiction?

Giorgio Valerio Galli: Assolutamente sì. Pur introducendo elementi dark fantasy, horror o del tutto immaginari, cerco sempre di preservare quegli aspetti della realtà che sono fondamentali per rendere la storia verosimile: innanzitutto il contesto sociale, relazionale e la dimensione emotiva che tratto sono quelli che viviamo quotidianamente e di cui tutti abbiamo esperienza. Di questi mantengo la loro caratteristica di essere concreti e tangibili. L'introduzione, poi, degli elementi sovrannaturali, serve a creare delle increspature nel tessuto della storia e nella psicologia dei personaggi, che reagiscono restituendo azioni, sensazioni, motivazioni e scelte altrettanto reali e credibili per il lettore.

Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?

Giorgio Valerio Galli: Certo. Come la musica, la visione di un quadro o di un'opera d'arte, la scrittura coinvolge tutti i livelli emozionali, da quelli puramente sensoriali a quelli più profondi, come il ragionamento e la riflessione. È un processo creativo che permette di ricreare il mondo dal nulla, dando vita a situazioni, personaggi e avventure di qualsiasi tipo/sempre diverse. Ma non solo: imprimere qualcosa sulla pagina, in qualche modo, equivale a marchiarla con le nostre emozioni, circondarla di sensazioni e riempirla con tutti i punti di vista di cui siamo capaci. Diviene così anche un modo per riflettere, per porsi delle domande e cercare delle risposte, magari addentrandoci su sentieri che, forse, non percorreremmo mai. Considero scrivere terapeutico perché è un momento in cui la frenesia quotidiana magicamente si ferma, svanisce, permettendoci di entrare in una realtà alternativa dove tutto diviene possibile; e anche se le ansie, le paure e le insicurezze dei personaggi sono gli stessi della vita reale, abbiamo a nostra disposizione qualsiasi mezzo riusciamo a immaginare per porvi rimedio. È come se ogni protagonista cui diamo voce riuscisse a espellere una parte delle nostre preoccupazioni, dandoci il tempo di poterci ragionare a mente fredda e col giusto distacco. Credo che, in fin dei conti, scrivere - al pari di leggere - riesca sempre di più a migliorarci, ad affinare la nostra sensibilità e dare una valvola di sfogo per la nostra emotività.

Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero dei tuoi romanzi?

Giorgio Valerio Galli: Più di tutto, mi piacerebbe innescare una riflessione. Certo, spaventare per uno scrittore horror è un bel traguardo, così come far trattenere il fiato per gli autori Thriller o appassionare per uno che scrive storie d'amore; sono senza dubbio gratificazioni importanti. Penetrare a fondo nella coscienza del lettore, invece, sconvolgerlo con la riflessione più che col sangue o coi mostri, è un traguardo molto più succoso. Nei miei romanzi dissemino riflessioni più o meno continuamente, ma non sono tutte evidenti: ce ne sono di nascoste e di velate, e alcune di esse possono essere sbloccate soltanto se vengono colti alcuni segnali in precedenza. Sì, forse la scrittura cela al suo interno una sorta di rebus, ma il bello è che il lettore non deve per forza seguire quelle che l'autore ha suggerito: può benissimo abbandonare il sentiero dato e addentrarsi in luoghi che nemmeno l'autore conosce. Perché per ogni buona storia, ci sono infinite possibilità di riflettere; l'autore è solo il contadino che prepara la terra in attesa che qualcosa germogli. Terminare il libro e volerne parlare, battendo anche strade diverse da quelle preparate per il lettore: è questo il momento in cui si può affermare con certezza che un libro ha avuto successo. Non importa quante copie si vendono o quante persone vengono alle nostre presentazioni. O meglio: conta anche quello, ma la vera fiamma di una storia non è alimentata dalle vendite, né dalle banconote o dalla notorietà. Una storia vive di emozioni, di fuoco e ghiaccio, di euforia e depressione, e se riesce a scatenare anche una sola di queste sensazioni, non limitandosi a un livello epidermico, allora è una storia che ha raggiunto il suo scopo.
“È una storia che fa riflettere”. Questo vorrei si potesse dire dei miei romanzi, al di là della bravura (più o meno meritata) di saper spaventare, ripugnare, commuovere o divertire.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Giorgio Valerio Galli: Personalmente non me ne sono servito, ma non escludo di poterlo fare in futuro. Il problema, purtroppo, è che oggi c'è ancora molta diffidenza sugli autori che pubblicano in self, come se non essere sotto contratto con una casa editrice sia di per sé sinonimo di una storia che non vale la pena di essere letta. Credo, invece, che sia molto più facile essere scartati da un progetto editoriale, piuttosto che riuscire a farne parte, riguardi motivi che spesso esulano dalla storia in sé per sé. È vero anche che oggi, rispetto al passato, il livello di cultura è piuttosto standardizzato, quindi più o meno chiunque è in grado di scrivere una storia (bene o male non sta a me giudicare), ma, per tornare al punto, trovo che Amazon KDP possa essere una buona risorsa per tutti coloro che credono fermamente nei propri progetti e che non hanno avuto ancora la possibilità di essere notati o entrare nel circuito delle case editrici.

Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?

Giorgio Valerio Galli: Fatelo. E quando lo avete fatto, fatelo ancora. Non lasciatevi mai abbattere da una porta chiusa, dal silenzio degli editori o dalle critiche che sicuramente vi pioveranno addosso. Il mio parere è che, per prima cosa, si scrive sempre per sé stessi, per argomentare e sviscerare emozioni che altrimenti rischiano di rimanere inespresse. Si scrive per migliorare, per pensare più a fondo e dare voce a qualcosa che spesso, nella vita di tutti i giorni, una voce non riesce ad avere. Per cui scrivete, scrivete tanto! E leggete ancora di più, perché ogni storia con cui entrerete in contatto, bella o brutta che sia, aiuterà a arricchirvi sia come persone che come scrittori.
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