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Il poeta degli scavi
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Storia di un anonimo artista pompeiano.
L'arrivo a Pompei e gli scavi.
Nel 2049, grazie all'introduzione di nuovi strumenti tecnologici che avrebbero reso gli scavi archeologici più agevoli e precisi, Francis Esposito, un americano di origini napoletane, laureato in archeologia in una delle università più prestigiose di Boston, vince un concorso per compiere importanti scavi nella zona est di Pompei, un sito archeologico di grande interesse internazionale che già aveva richiamato in loco vari e famosi esperti alla ricerca di prestigiosi reperti storici. Gli scavi erano iniziati da diversi mesi, ma avevano portato alla luce solo pochi resti, pur se gli esperti avevano avuto il sentore che in quell'area davvero doveva giacere un tesoro archeologico di interesse mondiale. Tuttavia, fino al giorno in cui Francis Esposito non ebbe messo piede sul suolo italiano, nessuna buona notizia era giunta dagli scavi. Un po' per il suolo franoso, un po' per imperizia degli operai, un po' per la mancanza di strategie adeguate, gli scavi procedevano con lentezza e con pochi ritrovamenti. Già, da alcuni giorni, però, le più importanti riviste scientifiche del settore avevano fatto trapelare la notizia che sotto la zona che era stata transennata per gli scavi ci dovesse essere una villa. Con queste notizie, l'archeologo italo americano, scese dall'aereo che lo portava a Napoli, patria dei suoi avi. Con l'entusiasmo che solo un giovane di 30 anni poteva avere, con l'emozione di chi rivede la patria d'origine, con l'ambizione di chi vuole affermarsi, Francis Esposito raggiunse Pompei come un argonauta alla ricerca del vello d'oro. Il giovane archeologo, in effetti, nonostante la giovane età, già sapeva il fatto suo... Aveva studiato ed operato sul campo in varie circostanze con esperti della materia di fama internazionale. Già molto quotato e apprezzato nell'università, di Boston, Francis Esposito, era nato proprio col pallino dell'archeologia. Flavio Biondo e Winckelmann erano i nomi che più ricorrevano nella sua mente. Forse perché i suoi avi gli avevano parlato sempre, e con toni entusiastici, delle bellezze italiche, della ricchezza dei monumenti, delle strutture architettoniche, dell'inestimabile patrimonio artistico della terra degli avi! Egli era cresciuto nel mito di Pompei, ed aveva sempre sognato di arrivare, un giorno, a scoprire qualcosa di importante nella cittadina campana distrutta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Tutta la sua infanzia l'aveva trascorsa a fantasticare su quelle rovine archeologiche, ad immaginare scene e imprese, le più gloriose ed epiche della sua vita. Ora, finalmente, i sogni stavano per diventare realtà. Aveva vinto quel concorso, con una certa facilità. Già accedere a quella gara richiedeva presentazioni e lavori che pochi potevano permettersi. Francis Esposito, essendo stato assistente del professor Charles, emerito dell'università di Boston, aveva trovato tutte le porte aperte per poter conseguire quella prima vittoria. Ma questo successo facile non significava assolutamente raccomandazione o protezione. Egli aveva meritato di andare a Pompei per quella spedizione archeologica prestigiosa perché possedeva tutti i titoli e i mezzi per accedere ad essa. Erano anni che egli studiava le rovine di Pompei. Erano anni che egli aveva partecipato a master importanti e stage prestigiosi sulla cittadina campana, ed aveva studiato le tecniche e i procedimenti più sofisticati dell'archeologia per poter affrontare un lavoro capillare e proficuo sì da individuare i reperti più difficili e nascosti con metodologie all'avanguardia. Nella storia mondiale dell'archeologia egli aveva appreso di molti insuccessi e di tanti drammi, comprese, a volte, vere e proprie tragedie che erano costate la vita ad esperti famosi. La vicenda, tra le altre, che più lo aveva affascinato era stata sempre quella dello Schliemann, del ritrovamento di Troia e della maschera di Agamennone. Quella fantastica storia aveva rappresentato per lui il suo ideale di battaglia, lo stimolo primo che lo aveva messo sui sentieri dell'archeologia, in quel campo affascinante e misterioso che tanti contributi aveva portato alla storia dell'umanità, apporti che a detta di tutti avevano arricchito la cultura e la civiltà dell'uomo. Egli aveva, in effetti, nella sua manica un asso, come a volta diceva al suo professore: insieme a lui aveva contribuito a una realizzazione tecnica che prometteva grossi vantaggi scientifici, sia negli scavi che nei rilievi topografici. I due, professore ed assistente, avevano messo a punto una specie di nuovo radar, una sonda che poteva più facilmente rintracciare e riproporre immagini e segnali di reperti, anche a profondità notevoli con chiarezza e precisione. Questa macchina era stata realizzata sotto l'indicazione dei due studiosi, anche se la costruzione pratica era stata affidata ad alcuni ingegneri elettronici. Sui particolari di quell'attrezzo i due non si erano mai voluti esplicitamente dichiarare; comunque, quel viaggio doveva rappresentare anche l'occasione per provare sul campo gli effetti del sofisticato strumento. Anche per questo motivo Francis Esposito aveva vinto quel concorso ed era stato mandato lì a Pompei. Negli scavi doveva verificare l'utilità e la bontà di quell'apparecchio elettronico. Solo dopo un chiaro successo a riguardo, i due, professore e assistente, avrebbero richiesto il brevetto per quell'attrezzatura e avrebbero rivelato al mondo la loro invenzione. Quindi si può immaginare con quale spirito Francis Esposito era giunto sul suolo campano! Insieme a lui era partita una squadra di 20 persone, tutte qualificate ed esperte del settore. Oltre a Esposito, vi erano due ingegneri che avrebbero dovuto effettuare l'applicazione nello scavo predisposto. Alcuni giorni dopo, di lunedì, Francis Esposito con tutta la sua equipe si recò sulla zona in cui dovevano incominciare i lavori di ricerca. Quella zona ad est di Pompei si estendeva verso le falde del Vesuvio, in quella parte del sito individuato che ancora non era stata preparata per gli scavi. Era arrivato lì di buon mattino Esposito, e il risentire l'aria fresca e profumata che aleggiava intorno, lo mise di buon umore. Era il mese di maggio, un tempo dunque favorevole ad ogni tipo di escursione e ad ogni sondaggio. Il contatto con quegli odori primaverili gli fece affiorare antichi ricordi, immagini ormai perdute nel passato. In effetti, mancava dal napoletano dalla sua infanzia, da quell'ultimo viaggio che aveva compiuto da quelle parti quando il nonno, che aveva avuto i genitori napoletani, lo aveva voluto portare a visitare i luoghi dell'infanzia della sua famiglia. Erano passati tanti anni, ma quell'aria, quel profumo vesuviano lo ricordava ancora, era ancora nelle sue narici. Tutto ciò era di buon auspicio per un fruttuoso e redditizio lavoro. Mentre si attardava in quei pensieri, la squadra di operai, sotto le indicazioni degli ingegneri e del sovraintendente agli scavi, stava già approntando i primi interventi sul suolo per scoperchiare in maniera dosata e progressiva la parte della terra che sovrastava le zone più dure e delicate dell'intero scavo. Mentre ciò avveniva, l'archeologo Esposito era stato avvicinato dagli altri esperti che avevano studiato quell'area prima del suo arrivo. «Il bacino stratigrafico da sondare è ampio e scabroso» - principiò un uomo dall'aria distinta, rivolgendosi a lui - «Questa parte del territorio non consente né ruspe, né muletti, poiché ogni zolla potrebbe nascondere reperti molto importanti. Purtroppo vi sono rocce che nascondono robe delicate ed hanno una sottostruttura che potrebbe crollare da un momento all'altro. Già due mesi fa abbiamo dovuto rassegnarci a perdere una zona ben setacciata, per un cedimento profondo che ha reso vani tutti gli sforzi impiegati per creare gli scaloni adatti a repertare i ritrovamenti. Siamo rimasti con un pugno di mosche in mano. Qualcosa è stata ritrovata, ma non siamo riusciti ad avvicinarci a quel sito che aveva lasciato ad intendere dell'esistenza di una costruzione, forse di una villa. Il vostro arrivo ci riempie di speranza!» Esposito abbozzò un mezzo sorriso. «Anche io sono arrivato qui pieno di speranza. Ho studiato già tutta la topografia e gli scavi effettuati fin qui. Spero che con le tecniche innovative che portiamo riusciamo a fare qualcosa di buono!» «Sì, sì. Proprio di queste vorrei sapere» - esclamò il tecnico di prima, pieno di curiosità. - L'archeologo Esposito, pur essendo giovane, aveva imparato a non fidarsi di nessuno, anche se la persona che gli era davanti ispirava davvero sincerità e competenza. Il buon archeologo, abbondantemente istruito dal suo professore, sapeva bene che anche nel suo campo esistevano invidie, gelosie, lotte di prestigio, e tanti brutti inganni che contrastavano apertamente con lo spirito della scienza e della cultura. L'archeologia, che per sua natura appariva come una disciplina volta tutta allo svelamento dei segreti del passato, alla trasparenza e alla solidarietà culturale, nascondeva in sé, purtroppo invidie e gelosie di mestiere che sovente ne impedivano progressi e successi. Andare alla scoperta di reperti archeologici, di ritrovamenti preziosi, era un compito, un servizio alla scienza e al progresso dell'uomo, ma coloro che erano protagonisti di queste scoperte, ricevevano anche vanti e onori di cui un po' tutti gli addetti ai lavori volevano fregiarsi. Del resto, il suo professore lo aveva, con una certa amarezza, messo al corrente di molteplici falsità che, purtroppo, erano presenti nel loro mestiere. Anche se a malincuore, gli aveva dovuto istillare diffidenza e prudenza anche in quell'impresa che si presentava tutta a vantaggio dell'umanità. «Quando sarà il momento, vedrete da vicino come lavorerà questa macchina che permette prospezioni geofisiche innovative. Se funzionerà, come dovrebbe, riusciremo a rilevare sequenze stratigrafiche particolari. Ora è un po' presto per scendere in questi particolari. Mi auguro che tra 15 giorni possiamo verificare sul campo il nostro famoso strumento.» «Sì, famoso!» ripeté il tecnico pieno di entusiasmo. «Anche se le notizie che arrivavano dall'America erano un po'misteriose, abbiamo capito che questo macchinario ci avrebbe permesso di procedere ad azioni naturali ed antropiche sul terreno in tutta tranquillità, in maniera sofisticata, supportando con le straordinarie capacità del macchinario l'intervento dei nostri mezzi. Non è così?» - concluse a dire ancora pieno di eccitazione - « Sì, sì. È così» rispose secco Esposito, e non aggiunse altro. Il tecnico, un po' deluso, cercò di stimolare l'archeologo con altre domande, poi vedendo la ritrosia di Esposito si fermò. «Ancora 15 giorni, dunque per visionare questa magnificenza?» «Eh magnificenza...» - si schermì Esposito - «L'applicazione di questa macchina, si può dire che avverrà proprio in questo scavo. Tutte le prove che abbiamo effettuato finora ci hanno dato grosse speranze, ma solo ora, quando la metteremo in azione, potremo davvero dire se ci potrà dare quella mano di cui abbiamo bisogno.» Il tecnico si illuminò di nuovo. Intanto erano stati raggiunti da altri ingegneri e da altri archeologi. Esposito fu salutato con calore e affetto. Almeno, così sembrava apparentemente... In effetti Esposito era il più giovane dei presenti e la sua età un po' di invidia doveva pur suscitare in qualche anziano che aveva trascorso tutta la sua vita alla ricerca di qualche famoso reperto da far passare alla storia... Una certa ambizione, una certa vanità era pur lecita in quell'ambiente. Ora arrivava un giovanotto dall'America con una misteriosa invenzione che prometteva miracoli. Era davvero così? Era arrivato, insieme a quel giovane, davvero la panacea a tutte le loro problematiche?
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Mi chiamo Gianluca Lopresti sono un insegnante delle scuole superiori con tanti hobby tra cui quello della scrittura. Sono stato da sempre una persona molto creativa: da bambino mi piaceva dipingere, scrivere e raccontare brevi storie. Crescendo ho canalizzato questo mio estro creativo nella musica che mi permetteva di esprimere i mie sentimenti e stati d'animo in modo immediato. Per anni ho composto canzoni alcune delle quali sono attualmente depositate alla SIAE. Col passare del tempo e con l'aumentare degli impegni lavorativi, tuttavia, ho trovato maggiore conforto nella scrittura perché mi aiutava di approfondire temi a me cari con una maggiore introspezione e riflessione. Di qui una serie di miei contributi scientifici pubblicati su differenti riviste universitarie in materia di diritto, storia, teologia e spiritualità. Ho infatti compiuto un percorso di studi molto eterogeneo che riflette alcune mie scelte e cambiamenti di vita. Dopo essermi laureato in Giurisprudenza all'Università di Napoli Federico II, ho approfondito le mie conoscenze in ambito teologico, religioso e spirituale laureandomi in Scienze religiose ritenendo il diritto e le leggi, materia troppo arida e capace di soddisfare poco la mia sete di trovare risposte a domande sul senso della vita. Dopo aver collaborato presso la cattedra di Storia del Cristianesimo antico dell'Università di Napoli l'Orientale ho insegnato in alcuni istituti universitari la materia della legislazione dei Beni culturali ecclesiastici. Fanno parte di questo periodo alcuni scritti sull'arte religiosa e sui beni culturali. Ho poi scritto testi più spirituali che volevano essere una sorta di reportage/testimonianza su quanto avevo vissuto in alcuni luoghi che sono comunemente meta di pellegrinaggi mondiali. Lavorando infine a scuola, a contatto con i giovani, ho avvertito l'esigenza di far conoscere alcuni valori che ritengo importanti nella vita odierna ai miei studenti. La scrittura è divenuta dunque un mezzo per comunicare con le nuove generazioni e trasmettere attraverso storie, personaggi, avventure, ideali che oggi sono andati persi.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Gianluca Lopresti: E' una passione da sempre avuta, ma che ha trovato maggiore espressione quando, dopo gli studi religiosi e dopo alcuni pellegrinaggi, ho sentito l'esigenza di comunicare agli altri delle mie esperienze e riflessioni spirituali. Iniziando ad insegnare, poi, l'esigenza di far apprendere la storia cristiana ai giovani d'oggi, spesso orfani di queste conoscenze, è diventato per me di grande stimolo, mantenendo però la componente creativa che da sempre mi ha caratterizzato. Di qui la scelta del genere letterario del romanzo storico e di fantasia per comunicare in modo più appassionante e coinvolgente dati reali appartenenti alla storia della cristianità.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Gianluca Lopresti: Sì “La scoperta di Troia” di Heinrich Schliemann. Un testo che raccoglie i diari di questo grande studioso e archeologo che ha avuto il merito di aver contribuito al rinvenimento della mitica città omerica. Un libro che trova i suoi nuclei essenziali nella storia antica e nell'archeologia, ma che non annoia mai grazie alla continua narrazione delle incredibili avventure vissute dal ricercatore. Questo libro insieme a grandi classici come “Quo Vadis”, mi hanno ispirato nella composizione dei miei ultimi romanzi “La leggenda del sacro lino di Gerusalemme” in cui ho cercato di far conoscere e riscoprire la storia della Sindone di Torino, in modo appassionante e coinvolgente, tenendo i lettori col fiato sospeso fino all'ultimo rigo e “Il poeta degli scavi. Storia di un anonimo artista pompeiano", che esprime la mia passione per l'archeologia e la storia romano-cristiana, interessi questi che ho maturato da giovanissimo sui banchi del Liceo classico Giuseppe Garibaldi di Napoli.
Writer Officina: Ecco, ci parli un po' di questo suo ultimo romanzo “Il poeta degli scavi”
Gianluca Lopresti: E' la storia di un cambiamento umano che esprime anche il mutamento di una mentalità di un'intera società, cioè quella romana imperiale. Il romanzo è ambientato in epoca moderna, ma i continui ritrovamenti del giovane archeologo italo-americano Fancis Esposito, aprono una serie di finestre sul passato. Quindi alla storia contemporanea degli scavi di Pompei, si alterna la storia di un antico poeta pompeiano del quale ancora nulla si conosceva. Il ritrovamento di una serie di frammenti di opere del poeta permettono di conoscere meglio la situazione storica dell'età flavia ai tempi dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. A quell'epoca sotto la spinta dei nuovi ideali e valori cristiani il mito dell'impero inizia a sgretolarsi e trasformarsi: gli antichi valori della guerra, del dominio, della forza, dell'oppressione e sottomissione del più debole, lasciano il posto all'ideale di un impero che diventa strumento di unione tra i popoli, di integrazione, di tolleranza, di fratellanza. Questo cambiamento epocale è vissuto in piccolo, nel suo microcosmo, dal poeta pompeiano Caio Publio Tesio grazie all'amore per sua moglie, di origini ebraiche, e per una bambina cristiana, i cui genitori vengono brutalmente assassinati in una delle tante persecuzioni romane e che Tesio deciderà di adottare. La storia del poeta commuoverà il giovane archeologo che cercherà ad ogni costo, superando mille difficoltà, di riportare alla luce almeno una parte delle opere di questo anonimo artista per poter dare nuovamente voce ai sentimenti dell'uomo e oltre a quelli dell'artista.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Gianluca Lopresti: La scrittura mi permette di sviluppare un'idea. Dunque parto dall'idea e creo una struttura di base; una sorta di copione su cui annoto tutte le scene, le vicende principali. A questo punto inizio un lavoro di documentazione. Dato che i miei romanzi sono di fantasia, ma si muovono in un contesto storico reale e riportano fatti realmente accaduti, lavoro molto sulle fonti storiche e storiografiche; il materiale raccolto fungerà da base e cornice della storia. Per lo sviluppo dei personaggi e dei dialoghi, invece, mi lascio guidare dall'istinto. In pratica è la storia stessa a suggerirmi, mentre la sviluppo, i personaggi e i dialoghi.
Writer Officina: Perché hai scelto il romanzo storico piuttosto che un altro genere?
Gianluca Lopresti: Apparentemente può sembrare un genere poco adatto alla nostra epoca e soprattutto poco adatto ai giovani. In realtà ritengo sia importante conoscere la storia del passato, perché da essa traiamo l'esperienza per comprendere e affrontare meglio il presente. Molte delle difficoltà che viviamo oggi sia in ambito sociale e politico, sia in ambito personale e spirituale, sono state già vissute secoli fa. Non solo: queste difficoltà sono state affrontate e superate. Conoscere la storia ci aiuta a rivalutare le nostre radici, le nostre tradizioni, quello che oggi abbiamo e siamo, ma ci aiuta anche a non sentirci abbandonati a noi stessi e ai nostri problemi. Ad esempio: molti studenti si sentono a disagio di fronte ad alcuni problemi esistenziali che stanno affrontando. Quando vengono a sapere che queste situazioni, sono state già trattate da giovani uomini e donne del passato, iniziano a sentirsi meno soli, meno deboli. Comprendono che alcune problematiche fanno parte della vita umana e che quindi non bisogna scoraggiarsi perché se ce l'hanno fatto persone vissute nei secoli passati, vuol dire che a maggior ragione possiamo farcela anche noi che abbiamo più conoscenze e strumenti. E' chiaro che un romanzo solamente storico oggi potrebbe annoiare; ecco perché arricchisco i dati reali con narrazioni di fantasia che possano rendere la storia più avvincente e piacevole alla lettura. In ogni caso anche gli elementi di fantasia non sono mai dati fantasiosi, falsi e fuorvianti, ma tendono sempre ad essere verosimili, cioè vogliono essere il più possibile vicino alle realtà dei fatti da noi conosciuti.
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo? Gianluca Lopresti: Sicuramente i miei romanzi esprimono i miei valori, ciò in cui credo. Amo andare a recuperare tutti quegli avvenimenti storici che parlano ed esprimono i valori che maggiormente mi rispecchiano. Penso che oggi viviamo in un epoca dove si è perso molto a livello umano. Valori come la solidarietà e la fratellanza tra le persone, i sentimenti di vero affetto, amore, amicizia si sono fortemente affievoliti. La società del benessere ha finito per allontanarci, per renderci isole che vivono molto distanti tra loro. Molti studenti mi dicono con aria dimessa: “ Prof. ma lei crede ancora all'amore?” Ricordo i racconti di guerra dei miei nonni... Certo erano tempi difficili, pieni di sofferenza, ma erano tempi in cui si mettevano in comune i pasti; erano tempi in cui si viveva con le porte aperte e i bambini giocavano tutti insieme per le strade. Non sono un nostalgico, ma riconosco che oggi siamo molto freddi, troppo concentrati su di noi e poco attenti ai bisogni degli altri. Ecco io credo che dobbiamo recuperare questa capacità di sentirci più uniti, più fratelli, di essere maggiormente empatici con gli altri. I miei romanzi rispecchiano, almeno in parte, questi valori. |
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