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In fuga da me stesso
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Un giorno come tanti Antonio Vicidomini era seduto nella sala d'attesa dell'ambulatorio, non aveva nessuna voglia di sottoporsi a nuovi accertamenti, ma sua moglie aveva deciso che fosse necessario. Da quando il loro unico figlio era in giro per l'Italia, alla ricerca di un posto di lavoro non precario, la donna riversava su di lui tutte le sue ansie. Quel giorno, come se non bastasse la sua invadenza, gli avrebbe fatto pesare anche la sua irritazione perché quell'inetta della sorella le aveva chiesto di accompagnarla al consultorio: questo imprevisto non le aveva consentito di andare con lui a sincerarsi personalmente sulle sue condizioni di salute. Adesso era costretto ad ascoltare bene le considerazioni del medico, altrimenti, in caso di sua reticenza, si sarebbe dovuto sorbire anche la paternale della moglie. Le premesse non erano delle migliori: dopo aver sopportato il supplizio dell'attesa, avrebbe dovuto mettere in conto anche le rimostranze dell'esasperante consorte. Il motivo per cui odiava fare le file da solo, era semplice: gli lasciavano troppo tempo per pensare. Dopo un'ora e mezza di attesa, aveva riflettuto più volte sugli aspetti del suo nuovo modo di vivere: erano trascorsi quasi cinque anni, da quando avevano dovuto licenziarlo per raggiunti limiti d'età ed era stato collocato forzatamente in pensione. Proprio per questo motivo, sentiva ancora nostalgia per il suo lavoro, gli sembrava di aver ricevuto un torto. Pensò al suo vissuto, la conclusione era sempre la stessa: era inutile essere arrabbiato con il destino che lo aveva fatto invecchiare troppo velocemente. Si schernì da solo: in quel momento era una considerazione inutile, soprattutto perché era prossimo a entrare. Sorrise ricordando tutte le volte che aveva detto a sua moglie, che non serviva a nulla lottare contro l'ineluttabile, la vecchiaia in fondo era un premio, non una maledizione. Pensò alla sua famiglia, di colpo gli tornò il buon umore; aveva avuto una bella vita, ricca di soddisfazioni. In quel momento di autocelebrazione l'unico suo cruccio era che lentamente il suo vigore fisico diminuiva; anche se sentiva di avere ancora tante cose in sospeso: intimamente, sapeva che non le avrebbe più realizzate. Ascoltando, distrattamente, spezzoni di discorsi, di quel variegato campionario di individui presenti nello stanzone, si consolò; in fondo l'insoddisfazione era un sentimento comune a tutti gli uomini. Si alzò per la centesima volta dalla sedia; bastò solo un piccolo sforzo di memoria e gli passarono davanti agli occhi gli ultimi cinque anni di vita vissuta; da quando passava più tempo con la moglie si sentiva protetto, ma anche più vulnerabile. Aveva lo sguardo fisso sul tabellone dei numeri, ma era talmente immerso nelle sue elucubrazioni che solo all'ultimo momento si accorse che era arrivato il suo turno. Si diresse decisamente verso l'entrata dell'ambulatorio, stava quasi per afferrare la maniglia, quando di colpo si aprì la porta accanto all'entrata dell'ambulatorio, un medico barbuto l'invitò a entrare. Incubo Un'esplosione silenziosa squarciò il buio con una pioggia di scintille, l'oscurità si riappropriò della scena, lentamente immagini indistinte apparvero dal nulla poi cominciarono a vorticarmi tutt'intorno: il ricordo vivido di mia madre, tanti soldati vestiti di bianco, poi di nuovo una girandola di fotografie sbiadite che si sovrapponevano una sull'altra. Cercai disperatamente di mettere a fuoco anche solo qualche fotogramma, come se questo bastasse a fermare quello strazio, ma ogni sforzo era inutile. Le immagini continuavano ad accumularsi come sabbia, fino a coprire tutto. Sentivo sul torace un peso insostenibile che non mi consentiva di respirare, il cuore cominciò a battermi all'impazzata, poi smise. La calma durò poco, figure mostruose mi braccavano, cercavo disperatamente riparo, respirai perché le vidi combattere tra loro, poi insieme, ancora più smaniose, ritornavano a cercarmi. Sentii aria fresca penetrarmi nelle narici, esultai come alla fine di un incubo. Era bastato poco per farmi ritrovare il contatto con la realtà. Questo momento di esaltazione persisté solo il momento di percepirlo, mi ritrovai di nuovo a scappare, inseguito da neri fantasmi. Non riuscivo a vedere niente, ma sentivo il tocco di molte mani che frugavano il mio corpo, cercai allora di concentrare tutte le mie energie nelle corde vocali per urlare la mia sofferenza, ma non riuscii ad articolare nessun suono. Galleggiavo in un limbo fatto di dolore e oscurità, per la prima volta, da quando avevo memoria, non riuscivo a distinguere se quello che percepivo fosse sogno o realtà, ero incapace di dare un significato a quello che stavo vivendo. Forse era quella la morte. Tutto diventò viola, ero terrorizzato, senza sapere cosa dovevo temere. Di solito a questo punto dell'incubo mi sarei dovuto svegliare; perché la paura non bastava a farmi aprire gli occhi? Di colpo cambiò la mia percezione della realtà, quel dolore che opprimeva ogni mia sensazione scomparve, divenne qualcosa di più complesso e indecifrabile. Le parole si sovrapponevano alle immagini, Marta mi stringeva le mani, cercava di trattenermi, ma io dovevo andare ... Una ragazza bionda mi legava con i suoi lunghi capelli e, tra le lacrime di mia moglie, mi trascinava via ... La moto volava sull'asfalto, all'improvviso qualcosa era apparso dal nulla, la strada diventò cielo, poi la nebbia ... Forse era prima la nebbia ... Mio figlio aggrappato alla mia testa, mentre correvamo nel parco, continuava a gridare e una donna seduta nell'erba scuoteva la testa ... Non sentivo più il vento sulla faccia, dov'era finita la strada ... La frenetica corsa all'ospedale, Marta soffriva, nell'ultima ora, le contrazioni erano aumentare a dismisura ... Mamma perché non mi sorridi, sono io ... Quanto tempo in quella fredda sala d'attesa prima del vagito liberatore, ero diventato papà ... Il primo giorno di lavoro, l'orgoglio di quel camice marrone ... La prima busta paga, ero diventato grande ... Ero felice potevo incominciare a progettare la mia vita ... Dopo aver macchinato un'intera settimana, per organizzare una festa da ballo in casa d'amici, lei era l'unica che mancava, ma al suo ingresso non ci fu bisogno di parlare, volevamo solo stare da soli ... L'ambulanza stava arrivando, la sirena ululava, perché all'improvviso non sentivo più niente...? Risveglio Percepivo di essere sveglio ma l'incubo non era ancora finito. Non riuscivo ad aprire gli occhi e nessun muscolo rispondeva ai miei comandi. Mi abbandonai a un urlo disperato, ma non riuscii a emettere nessun suono. Sentivo la bocca impastata, con enorme sforzo riuscii a muovere di qualche millimetro la lingua, era l'unica cosa che rispondeva a un mio stimolo. Spossato, mi addormentai. Al risveglio anziché abbattermi, mi galvanizzai, ero ancora vivo. La prima vittoria fu di socchiudere un occhio, quello destro. Ora che finalmente avevo un contatto con la realtà esterna cercai di fare l'inventario di quello che funzionava. Oltre alla lingua e l'occhio, riuscivo a muovere il dito medio della mano sinistra. Se le mie nozioni erano esatte, visto che riuscivo a muovere, anche se limitatamente, organi da entrambi i lati del corpo, non avevo avuto un ictus. Soddisfatto dei miei progressi, cominciai un esercizio più complesso, riordinare le idee, rinunciai subito perché, per quanto ci provassi, non riuscivo nemmeno a ricordare chi fossi. Purtroppo anche un piccolo movimento mi lasciava stremato. Per rilassarmi tentai di concentrarmi sul mio corpo, inevitabilmente mi assopii. Era buio; anche se in quello stato di dormiveglia non riuscivo ad avere la nozione del tempo, cominciai a percepire l'ambiente esterno, avevo freddo. Mi sentivo tutto impiastricciato, probabilmente avevo fatto i miei bisogni corporali a letto, ma lo presi come un buon segno, anche se lentamente cominciavo a riacquistare il controllo dei miei sensi. La paura si fece largo tra le tante sensazioni positive, la ricacciai in un angolo, tutti quei piccoli successi significavano che il mio organismo cominciava a reagire. Continuai i miei esercizi mentali. Era giunto il momento di uno sforzo supplementare perché, come avevo intuito, ero abbandonato a me stesso, se non avessi reagito in fretta, rischiavo di morire di inedia o disidratato. Dovetti fare uno sforzo tremendo per muovere un braccio, aspettai un po' per riprendermi dalla sollecitazione, sollevai anche l'altro e mi arrischiai a girarmi su di un lato. Come immaginavo, visto che avevo addosso i pantaloni, dovevo essere tutto sporco e imbrattato di feci e urina. All'ennesimo risveglio mi accorsi che, per la prima volta da quando avevo percepito il mio corpo, avvertivo gli odori, anche se non erano per niente piacevoli, gioii. Stavo riemergendo lentamente da quell'abisso in cui ero sprofondato.
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Sono nato a Cava de' Tirreni il 12.04.1955. L'episodio che ha segnato la mia infanzia, è stato il colloquio con una mia insegnante delle scuole medie, quando le feci notare che il mio compito in classe aveva gli stessi errori di quello del mio compagno di banco, ma a me aveva dato quattro mentre lui aveva preso sei, lei mi rispose: “Tu non ne hai bisogno di aiuti, sei figlio di un operaio e, per logica, farai l'operaio, suo padre è un libero professionista, di conseguenza seguirà anche lui il percorso del genitore”. La voglia di abbandonare la scuola era tanta, ma pressato da mio padre smisi solo dopo aver conseguito la licenza media. Per qualche mese mi guardai intorno, feci dei lavoretti per avere qualche soldo in tasca, poi trovai un lavoro serio presso una vetreria della mia città, nei dieci anni seguenti, lavoravo e rimuginavo sul fatto che, in fondo, avevo dato ragione alla mia insegnante. Quando vinsi un concorso nelle Poste, mi trasferii in Lombardia. Dopo l'iniziale abbandono, per entrare nel mondo del lavoro, ripresi gli studi e dopo aver ottenuto il diploma, mi iscrissi alla facoltà di Storia Moderna a Milano.
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Antonio Cuccurullo: Nel 1969, coi miei primi soldi guadagnati comprai Favole al telefono di Rodari, subito dopo Robinson Crusoe di Defoe, per me che odiavo i libri di testo, in breve tempo, divenni cliente abituale della libreria vicino casa. La trasformazione da lettore a scrittore avvenne proprio nei viaggi in treno e in metropolitana per spostarmi da Brescia a Milano, immaginai Antonio Esposito, un detective lontano dagli schemi abituali e prendendo spunto dai viaggiatori che incontro sui mezzi pubblici, cominciai a delineare i miei personaggi.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Antonio Cuccurullo: Paradossalmente, non ne ho avuto bisogno, ma procediamo con ordine, siccome la mia unica aspirazione era quella di scrivere storie per me stesso, quando venni collocato in pensione, iniziai a riprendere in mano tutto il materiale che avevo prodotto nel corso degli anni, con gli appunti riuscii a completare dieci romanzi avente come protagonista Antonio Esposito. Dopo essermi scontrato con una casa editrice a pagamento, la delusione raffreddò i bollenti spiriti. La svolta avvenne quando, su consiglio di un amico, decisi di implementare un sito per pubblicizzare i miei libri, convenimmo che, l'unico modo per scrivere qualcosa di autorevole, da inserire nel curriculum, era quello di partecipare a qualche concorso letterario. Con Indizio finale, i risultati andarono oltre le più rosee aspettative, il romanzo, da inedito, ottenne vari riconoscimenti: il terzo posto al Premio letterario “Gustavo Pece” 2017, il quarto posto sia al Premio letterario “Giovane Holden” che al Concorso Letterario “Città di Cava”, benché da regolamento non ne avessi diritto, entrai nel mondo della letteratura, infatti La Ruota, in sede di premiazione, mi propose un contratto editoriale.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Antonio Cuccurullo: Ormai cominciano a diventare davvero tanti, ma a quello che tengo di più è Indizio finale, non perché è il più bello e non è nemmeno il più valido, tecnicamente, è la mia creatura imperfetta che mi ha permesso di entrare nel mondo letterario. La storia è semplice, Antonio Esposito nel momento di massimo scoramento perché, dopo aver lasciato la Polizia, rinunciando al grado di commissario, si accorge che la sua agenzia investigativa non riesce a decollare, proprio quando sta per rinunciare si trova proiettato in due indagini, un omicidio e la scomparsa di una ragazza. In suo soccorso arriva l'aiuto insperato della sua odiata locatrice, detestata proprio perché era stata l'unica che lo avesse messo di fronte alle sue responsabilità, per loro, con alle spalle storie di abbandoni, è quasi inevitabile passare dal rapporto professionale a quello sentimentale.
Writer Officina: Quali sono le difficoltà che hai incontrato?
Antonio Cuccurullo: La prima stesura di Indizio finale è cominciata nel 1982, allora avevo ipotizzato un commissario di Polizia, Salvo Aiello, che lavorava a Napoli, il suo profilo professionale era innovativo per il periodo in cui lo avevo immaginato: in disaccordo coi genitori perché era poco osservante delle regole, osteggiato dai suoi superiori in quanto rivoluzionario, amante delle donne e della buona cucina. Quando, in seguito, lessi Camilleri, mi resi conto che il mio personaggio, creato anni prima, era troppo simile a Montalbano, per non essere incolpato di plagio, pazientemente, mi sono dato da fare per cambiare il mio personaggio, devo dire che all'inizio ero un po' seccato di dover rivoluzionare la storia, ma l'esercizio mi è stato utile per allenarmi alle contrarietà. Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Antonio Cuccurullo: Predo appunti su tutto quello che capita attorno a me, fatti, persone cose stravaganti, spezzoni di ragionamenti raccolti per strada, e utilizzo come spunto un fatto qualsiasi, letto dal giornale, da un film, da un libro, da un fatto emerso durante una discussione tra amici. Elaboro tutto quello che ho preso in esame, per farlo diventare l'idea per un giallo, un thriller, un noir, ecc. una volta che ritengo sia fattibile, abbozzo un inizio una fine e suddivido i capitoli descrivendo che cosa deve succedere in ogni sezione. Subito dopo comincio a scrivere, spesso dell'idea iniziale rimane poco e, siccome non mi piace rimanere ingabbiato, non è raro che cambio persino il genere.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Antonio Cuccurullo: Come ho spiegato ampiamente, non voglio restare in ostaggio di un genere, in questo momento sto scrivendo il terzo libro che chiude una serie, si tratta della prerogativa straordinaria, di uno dei personaggi principali, che è diventato il leitmotiv dei tre romanzi, coi primi due ho un contratto editoriale con una casa editrice di Milano e, perlomeno a parole, sono interessati al seguito.
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?
Antonio Cuccurullo: Per me scrivere era un fatto intimo, per questo motivo ho attinto a piene mani nel mio vissuto e nel mio modo di pormi, ovviamente ho smussato gli spigoli dei miei difetti e accentuato le mie virtù, cercando di non risultare esibizionista. |
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