Writer Officina
Autore: Antonio Cuccurullo - Pasquale D'Auria
Titolo: Il paziente zero
Genere Thriller
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Il paziente zero
Era la prima volta che Andrea Saltusio preparava il bagaglio, nel senso lato della parola, nonostante avesse superato i trent'anni, aveva sempre evitato di allontanarsi dai posti in cui, quasi certamente, era nato. Il condizionale era d'obbligo, i responsabili dell'orfanotrofio, quando aveva cominciato a farsi delle domande, non gli avevano mai voluto raccontare i particolari sul suo ingresso in istituto. A dieci anni era diventato abbastanza grande per insistere nelle sue richieste ma, a loro dire, non potevano fargli consultare i registri, serviva l'autorizzazione della procura dei minori. A peggiorare la situazione, già di per se ingarbugliata, sedici anni prima una slavina aveva distrutto il vecchio edificio abbandonato, che ospitava l'orfanotrofio, l'archivio, già danneggiato dal tempo, era andato completamente distrutto, con esso era svanita anche la probabilità di scoprire qualsiasi indizio sui suoi genitori biologici. Pensare alle sue origini, lo portava sempre in uno stato di disagio ma, dopo tanti anni, non era più sicuro di voler conoscerne tutti i particolari; col pretesto che non era pratico di partenze, buttò alla rinfusa qualcosa nel suo trolley, l'unica cosa che sistemò con cura fu la carta da origami, non voleva che si rovinasse. Negli anni dell'orfanotrofio, non aveva mai parlato a nessuno del suo hobby, per non rischiare che, per punizione, gli togliessero la carta; da più grande aveva taciuto per non mostrare alla gente nessuna sua inclinazione, poteva essere scambiata per un segno di debolezza. Esitò molto a chiudere la valigia, infine tirò su la cerniera e infilò il lucchetto nei fori; dopo averlo fatto, gli si piegarono le gambe, dovette sedersi sul letto. Era il primo segno di cedimento, nonostante l'allenamento di tanti anni, non era così duro come voleva sembrare; doveva reagire in fretta, la corriera non lo avrebbe atteso in eterno. Si fece forza e uscì da quella casa che lo aveva accolto per tutti quegli anni, sapeva di non avere scelta, ma una parte di se rifiutava il distacco. Una folata di vento l'investì, era gelida, per un momento fu tentato di portare il tempo in avanti di sei mesi, alla fine della sua missione, ma rinunciò quasi subito; in realtà non sapeva nemmeno se sarebbe ritornato in quei luoghi. Passò dalla farmacia per lasciare le chiavi di casa a Greta, la donna sapeva già della sua partenza, prese il mazzo che gli porgeva e l'abbracciò in segno di saluto. L'aveva ospitato nella casetta in cui aveva abitato da quando, all'età di diciotto anni, era uscito dalla casa famiglia. Greta non gliel'aveva mai confessato, ma in paese lo sapevano tutti, siccome era rimasta zitella, per lei era stato sempre quel figlio che non aveva potuto avere. Quando si staccarono dall'abbraccio era a disagio, fece finta di non vedere le lacrime che scendevano sulle guance della donna, senza una parola, si avviò sulla strada ghiacciata. Il pullman aspettava nella piazzetta, aveva il motore acceso, salì e andò a sedersi negli ultimi posti, non ebbe il coraggio di girare lo sguardo verso la farmacia, ma era certo che Greta stava col naso incollato sul vetro, per non perdersi la partenza dell'autobus. A causa delle condizioni della strada, quando arrivò alla stazione di Bolzano, il treno era già in partenza dovette affrettarsi per riuscire a prenderlo. Non c'era molta gente, cercò un posto isolato, si rilassò sul sedile e cercò di svuotare la testa di tutte le ansie. La prima parte del viaggio trascorse monotonamente, ma appena scese dal treno, fu preso dall'angoscia. Era stato spesso a Milano per lavoro, ma aveva sempre ridotto al minimo il soggiorno, non riusciva a capire le motivazioni di quella marea di gente che affollava le strade e respingeva chiunque non si adeguasse ai suoi ritmi di vita. Si ruppe la diga, l'ondata di pensieri gli inondò la testa: fin dai tempi dell'orfanatrofio, aveva avuto un pessimo rapporto con gli esseri umani, lo sapevano bene le decine di coppie che avevano provato a inserirlo nelle loro famiglie. La voglia ossessiva di non integrarsi, era l'unico punto fermo della sua vita passata, il leitmotiv dei trent'anni trascorsi faticosamente a tentare di elaborare l'abbandono. Tranne di Ginevra, una sua coetanea che venne adottata quando aveva sei anni, non ricordava il nome di nessuno dei suoi compagni d'infanzia dell'istituto. D'altronde, sarebbe stato difficile dimenticare il secondo abbandono; non era sfuggito a nessuno che stavano sempre insieme, li chiamavano Artù e Ginevra, facevano tenerezza a tutti. Gli istitutori affermavano che, Andrea aveva finalmente trovato chi gli avrebbe addolcito il carattere, ma il destino aveva operato diversamente. Quando seppe dell'adozione della sua amica, non la volle vedere più, ritornò a essere l'emarginato di sempre. Nemmeno con i suoi compagni di studio delle superiori, era andata meglio, evitava scientificamente di intrattenere rapporti con loro. La sua insegnante d'italiano, Rebecca Sartori, un giorno che era particolarmente stizzita, dalla sua condizione di autoemarginato, gli disse: “Non puoi mentire a te stesso in eterno, la vita è così strana, sembra che non succeda mai niente, ma prima o poi, dovrai decidere che cosa sei, e la barriera che hai eretto contro il mondo cadrà”. Anche lei aveva tirato a indovinare, basti solo dire che, quando cominciò i turni di praticantato all'ospedale di Bolzano, a causa delle sue fissazioni, lo esclusero dai turni. Un poco alla volta, si ritrovò in un ufficio a sbrigare la parte amministrativa della professione medica, lavorare da solo non gli dispiaceva, non era tagliato per i rapporti interpersonali. Non poteva mentire con se stesso, non tutti quelli che aveva incontrato, gli erano rimasti indifferenti. Il suo incontro con Hans Hofer, meritava un discorso a parte, quando aveva cinque anni, era stato uno dei primi a tentare di dargli una famiglia. Da quell'episodio erano passati dieci anni, prima di avere di nuovo sue notizie. Per effetto della legge 328/00, era da poco stato trasferito in una casa famiglia, il gestore della struttura che, dopo alcuni tentativi andati male, aveva smesso di rischiare con lui un approccio paterno, una sera lo chiamò e gli disse che aveva visite. Fu sorpreso di vedere Roberto Sartori, uno degli assistenti sociali, lo conosceva bene perché, nelle ultime quattro fughe, era stato lui che lo aveva riportato indietro. L'uomo evitò di fargli un lungo discorso, gli disse semplicemente che, Hans Hofer, dopo la separazione dalla moglie, aveva deciso di occuparsi di lui, stanziando un fondo studi a suo nome. Ci tenne a spiegargli che il suo benefattore, aveva messo delle clausole molto rigide, una volta raggiunta la maggiore età, se avesse voluto continuare gli studi, avrebbe avuto diritto ad una paga mensile di cinquecento euro e l'iscrizione all'università per tutti i cinque anni di corso; ovviamente niente profitto, nessuna ricompensa. Mandò via in malo modo l'assistente sociale, e ritornò alle sue occupazioni. Tre anni dopo, affrontò l'esame di maturità; il giorno dell'uscita dei esiti finali, si trovò di fronte Hans Hofer, l'uomo lo guardò negli occhi e disse: “Tu credi di essere un duro, ma non mi conosci, stavolta se vuoi rifiutare il mio aiuto, devi dirmelo in faccia”. Siccome aveva rimosso l'incontro con Roberto Sartori, avvenuto tre anni prima, lo guardò come si fa con un alienato. Hofer non si fece smontare dal suo comportamento, gli ripeté le condizioni del suo aiuto, Andrea stava per mandarlo a quel paese, quando alle spalle sentì la voce di Greta: “Hans, hai avuto proprio una bella idea io, sapendo che con la maggiore età avrebbe dovuto lasciare la casa famiglia, ero venuta per offrirgli la casa della mia povera sorella, non è un gran ché, ma ha tutto quello che serve”. La paura dell'ignoto lo costrinse ad accettare l'aiuto di entrambi, in fondo era un modo per non cambiare; probabilmente gli avevano salvato la vita, infatti per festeggiare il diploma aveva deciso di legarsi una corda al collo e lanciarsi dal belvedere. Il mondo universitario era interessante, nei primi mesi di corso, tentò persino di ammorbidire un po' il suo carattere, ma poi l'orso dentro lui, prese il sopravvento. Un urto lo fece riemergere dai suoi ricordi, la marea di gente cominciava a spingerlo, si spostò di lato e aspettò che passassero tutti, poi si accodò e si rituffò nei suoi pensieri. Detestava tutto quello che non conosceva, siccome era chiaro a tutti che odiava viaggiare, per evitare casini, i docenti, nel corso degli anni, avevano ridotto al minimo le sue trasferte a Milano, per conto suo, se non l'avessero obbligato, non l'avrebbe fatto nemmeno quelle poche volte. Stavolta era pure peggio, Milano non era il punto di arrivo, era la prima tappa di un viaggio impegnativo, la destinazione era la Guinea. In una di quelle combinazioni bizzarre che solo il destino riesce a realizzare, si trovava a far parte del contingente di volontari che avrebbero rilevato i medici che, dopo il semestre trascorso in Africa, avevano finito il periodo di permanenza. Questo non significava che stava cambiando le sue idee sul genere umano, i negri gli stavano sul cazzo allo stesso modo della restante popolazione mondiale, era solo obbligato a farlo.
Antonio Cuccurullo - Pasquale D'Auria
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Antonio Cuccurullo - Pasquale D'Auria
Sono nato a Cava de' Tirreni il 12.04.1955. L'episodio che ha segnato la mia infanzia, è stato il colloquio con una mia insegnante delle scuole medie, quando le feci notare che il mio compito in classe aveva gli stessi errori di quello del mio compagno di banco, ma a me aveva dato quattro mentre lui aveva preso sei, lei mi rispose: “Tu non ne hai bisogno di aiuti, sei figlio di un operaio e, per logica, farai l'operaio, suo padre è un libero professionista, di conseguenza seguirà anche lui il percorso del genitore”. La voglia di abbandonare la scuola era tanta, ma pressato da mio padre smisi solo dopo aver conseguito la licenza media. Per qualche mese mi guardai intorno, feci dei lavoretti per avere qualche soldo in tasca, poi trovai un lavoro serio presso una vetreria della mia città, nei dieci anni seguenti, lavoravo e rimuginavo sul fatto che, in fondo, avevo dato ragione alla mia insegnante. Quando vinsi un concorso nelle Poste, mi trasferii in Lombardia. Dopo l'iniziale abbandono, per entrare nel mondo del lavoro, ripresi gli studi e dopo aver ottenuto il diploma, mi iscrissi alla facoltà di Storia Moderna a Milano.

Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?

Antonio Cuccurullo: Nel 1969, coi miei primi soldi guadagnati comprai Favole al telefono di Rodari, subito dopo Robinson Crusoe di Defoe, per me che odiavo i libri di testo, in breve tempo, divenni cliente abituale della libreria vicino casa. La trasformazione da lettore a scrittore avvenne proprio nei viaggi in treno e in metropolitana per spostarmi da Brescia a Milano, immaginai Antonio Esposito, un detective lontano dagli schemi abituali e prendendo spunto dai viaggiatori che incontro sui mezzi pubblici, cominciai a delineare i miei personaggi.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Antonio Cuccurullo: Paradossalmente, non ne ho avuto bisogno, ma procediamo con ordine, siccome la mia unica aspirazione era quella di scrivere storie per me stesso, quando venni collocato in pensione, iniziai a riprendere in mano tutto il materiale che avevo prodotto nel corso degli anni, con gli appunti riuscii a completare dieci romanzi avente come protagonista Antonio Esposito. Dopo essermi scontrato con una casa editrice a pagamento, la delusione raffreddò i bollenti spiriti. La svolta avvenne quando, su consiglio di un amico, decisi di implementare un sito per pubblicizzare i miei libri, convenimmo che, l'unico modo per scrivere qualcosa di autorevole, da inserire nel curriculum, era quello di partecipare a qualche concorso letterario. Con Indizio finale, i risultati andarono oltre le più rosee aspettative, il romanzo, da inedito, ottenne vari riconoscimenti: il terzo posto al Premio letterario “Gustavo Pece” 2017, il quarto posto sia al Premio letterario “Giovane Holden” che al Concorso Letterario “Città di Cava”, benché da regolamento non ne avessi diritto, entrai nel mondo della letteratura, infatti La Ruota, in sede di premiazione, mi propose un contratto editoriale.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Antonio Cuccurullo: Ormai cominciano a diventare davvero tanti, ma a quello che tengo di più è Indizio finale, non perché è il più bello e non è nemmeno il più valido, tecnicamente, è la mia creatura imperfetta che mi ha permesso di entrare nel mondo letterario. La storia è semplice, Antonio Esposito nel momento di massimo scoramento perché, dopo aver lasciato la Polizia, rinunciando al grado di commissario, si accorge che la sua agenzia investigativa non riesce a decollare, proprio quando sta per rinunciare si trova proiettato in due indagini, un omicidio e la scomparsa di una ragazza. In suo soccorso arriva l'aiuto insperato della sua odiata locatrice, detestata proprio perché era stata l'unica che lo avesse messo di fronte alle sue responsabilità, per loro, con alle spalle storie di abbandoni, è quasi inevitabile passare dal rapporto professionale a quello sentimentale.

Writer Officina: Quali sono le difficoltà che hai incontrato?

Antonio Cuccurullo: La prima stesura di Indizio finale è cominciata nel 1982, allora avevo ipotizzato un commissario di Polizia, Salvo Aiello, che lavorava a Napoli, il suo profilo professionale era innovativo per il periodo in cui lo avevo immaginato: in disaccordo coi genitori perché era poco osservante delle regole, osteggiato dai suoi superiori in quanto rivoluzionario, amante delle donne e della buona cucina. Quando, in seguito, lessi Camilleri, mi resi conto che il mio personaggio, creato anni prima, era troppo simile a Montalbano, per non essere incolpato di plagio, pazientemente, mi sono dato da fare per cambiare il mio personaggio, devo dire che all'inizio ero un po' seccato di dover rivoluzionare la storia, ma l'esercizio mi è stato utile per allenarmi alle contrarietà.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Antonio Cuccurullo: Predo appunti su tutto quello che capita attorno a me, fatti, persone cose stravaganti, spezzoni di ragionamenti raccolti per strada, e utilizzo come spunto un fatto qualsiasi, letto dal giornale, da un film, da un libro, da un fatto emerso durante una discussione tra amici. Elaboro tutto quello che ho preso in esame, per farlo diventare l'idea per un giallo, un thriller, un noir, ecc. una volta che ritengo sia fattibile, abbozzo un inizio una fine e suddivido i capitoli descrivendo che cosa deve succedere in ogni sezione. Subito dopo comincio a scrivere, spesso dell'idea iniziale rimane poco e, siccome non mi piace rimanere ingabbiato, non è raro che cambio persino il genere.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Antonio Cuccurullo: Come ho spiegato ampiamente, non voglio restare in ostaggio di un genere, in questo momento sto scrivendo il terzo libro che chiude una serie, si tratta della prerogativa straordinaria, di uno dei personaggi principali, che è diventato il leitmotiv dei tre romanzi, coi primi due ho un contratto editoriale con una casa editrice di Milano e, perlomeno a parole, sono interessati al seguito.

Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?

Antonio Cuccurullo: Per me scrivere era un fatto intimo, per questo motivo ho attinto a piene mani nel mio vissuto e nel mio modo di pormi, ovviamente ho smussato gli spigoli dei miei difetti e accentuato le mie virtù, cercando di non risultare esibizionista.
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