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Indizio finale
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Settembre aveva l'ambigua malinconia che accompagna la fine di ogni ciclo. Un poeta ha detto che è il mese dei ripensamenti e io, sebbene nella testa avessi pensieri meno idilliaci, non ne ero del tutto immune. Dalla finestra del mio studio non riuscivo a vedere che grigie costruzioni annerite dallo smog e dall'incuria; i primi sussulti di una città, che si stava lentamente svegliando, li percepivo inspiegabilmente attutiti. Il rumore di un camion della nettezza urbana che ripuliva le strade, con l'usuale frastuono dei clacson delle macchine che chiedevano di passare, interruppe per un attimo le mie riflessioni, ma poi riesplose il silenzio. Il sole entrò prepotentemente nella stanza. Solo dal tardo pomeriggio del giorno prima aveva soppiantato gli acquazzoni che, negli ultimi dieci giorni, avevano allagato mezza città. Stando alle previsioni dei meteorologi, tutto lasciava prevedere una giornata torrida: la tipica coda d'estate. Passato quel momento di distrazione, ritornai alle mie meditazioni e, seduto alla scrivania, mi osservavo come allo specchio: Antonio Esposito, trentadue anni, alto quanto basta per passare inosservato, un metro e settantacinque per settantadue chili di peso, capelli castani, occhi castani, segni particolari nessuno, tecnicamente dovrei dire lineamenti regolari: il tutto contribuiva a fare di me il prototipo dell'uomo comune, d'altronde il mio nome era già una garanzia. L'aura dell'abbandono, il motivo conduttore della mia esistenza, stava diventando soffocante. È un luogo comune che la vita alla fine ti presenta il conto, anche se spiacevole, e questo è universalmente accettato; ma è crudeltà quando ti capita a otto anni. La vita passata mi scorreva davanti agli occhi come fogli sbiaditi di un album fotografico: ogni foto suscitava forti emozioni. In quel ricordo di me bambino erano da poco morti quelli che io credevo fossero i miei genitori in un incidente automobilistico; mio nonno, nella sua convinzione della sincerità a tutti i costi, non aveva avuto dubbi che fosse il momento giusto per svelarmi l'inopportuna verità. Per addolcire la pillola, l'aveva accompagnata con l'immancabile: - Ma io ti voglio bene come se davvero fossi sangue del mio sangue - . A nessuno è consentito scegliere in quale momento e dove nascere, ma scoprire che il primo contatto col mondo esterno è quello di un gradino di una chiesa ti dà, quantomeno, la sensazione che il destino non abbia in serbo per te grandi cose. Altro momento fondamentale nella realizzazione della mia vita, è stato il giorno della laurea, nell'aula magna dell'Università Federico II di Napoli, col mio centodieci e lode e il vanto di essere il più giovane tra i neolaureati. Mi giro verso mio nonno, per cogliere il suo sguardo orgoglioso, e lo vedo accasciarsi lentamente. Neanche il tempo di toccare terra che era già morto. Quando, in un attacco di sconforto, si cede all'autocommiserazione di sicuro si trovano anche le attenuati per assolversi, ma se ti accorgi che la situazione corrente è figlia di mesi di inattività fisica e di lavorio mentale, non ti puoi fermare solo all'aspetto estetico e anagrafico, i pensieri vanno oltre. In quel particolare momento, al di là delle disgrazie della mia vita trascorsa e faticosamente elaborate, le vere note dolenti erano i quattro euro e settantacinque centesimi, gli ultimi rimasti, che di certo non sarebbero bastati per ritirare la macchina dal meccanico e per pagare le bollette di luce e gas in scadenza; dulcis in fundo c'era l'ingiunzione di sfratto sulla quale ogni meditazione mi sembrava superflua. La sfortuna non è il problema, ma può diventare un indicatore. Lo squillo del telefono mi salvò dal consuntivo che da un po' di tempo si faceva largo nella testa. - Pronto, agenzia investigativa Esposito? - - Buongiorno, sì, mi dica - . Esultai mentalmente: mi avevano cercato al numero di telefono dell'ufficio, quello che figurava sui manifestini pubblicitari, che avevo fatto distribuire, capillarmente, per tutta la zona del centro. - Buongiorno, sono l'avvocato Marco Pedersoli, mi scusi se la disturbo a quest'ora. Difendo gli interessi di Franco Russo. È stato il mio cliente a chiedermi di rivolgermi a lei; la motivazione è stata la più originale che abbia mai sentito in tanti anni di onorata carriera: ha fiducia in lei perché, testuali parole, anche se è stato lo sbirro che lo ha arrestato, è stato l'unico a trattarlo come un essere umano. Il cinque ottobre ci sarà l'udienza per la convalida del fermo; mi sto recando a Regina Coeli per preparare la difesa - . Sperai che il mio interlocutore non si accorgesse della mia delusione. - Non so se posso aiutarlo, ma almeno una visita credo di dovergliela - risposi, riuscendo a nascondere la mia insoddisfazione. - Sono già in zona per lavoro e se lei mi conferma che verrà, ci incontreremo all'entrata visitatori tra circa un'ora e mezza. Badi bene stavolta l'accusa non è di porto abusivo di armi, resistenza a pubblico ufficiale o turpiloquio aggravato da futili motivi, il capo d'accusa è omicidio; il fatto che è un pregiudicato, influirà molto sul parere dei giudici - - Credo sia meglio incontrarci all'entrata principale del carcere, c'è meno confusione. Indosserò un completo grigio - . Uno dei pochi capi d'abbigliamento ancora decente che mi era rimasto, gli altri avevano bisogno di una visita in lavanderia. - A fra poco - aggiunse e interruppe la comunicazione senza aspettare che ricambiassi il saluto. Posai il telefono ormai rassegnato, ripensando alle condizioni economiche di Franco Russo, il mio probabile cliente. Probabilmente, la sfiga aveva escogitato un altro travestimento per portarmi alla prostrazione. Prima si presentava come un probabile incarico da parte di un cliente e, subito dopo, lo tramutava in una visita di cortesia. Nonostante tutto era scoccata l'ispirazione che, facendosi largo tra l'immobilismo e la frustrazione, cominciava a rimettere in moto i meccanismi della mia testa. Come un ectoplasma evocato da un medium, mi apparve la figura di Franco Russo: alto un metro e ottanta, almeno una ventina di chili in più del peso forma, occhi porcini e un cespuglio di capelli su una testa mal disegnata. All'epoca era disoccupato e senza fissa dimora, dedito a lavoretti più o meno leciti e con uno spiccato complesso d'inferiorità nei confronti di chiunque avesse un titolo di studio. Eppure gli avevo creduto quando, il giorno della sua scarcerazione, alzando solennemente la mano destra, mi aveva detto: - Don Antonio mi hanno messo in mezzo; quello che mi fotte, voi lo sapete, è che non ho studiato, ma una cosa l'ho imparata, non mi faccio più trascinare in altri imbrogli - . A quanto pare non era riuscito a tenersi fuori dai guai. Cercai di ricordare il suo profilo psicologico: era un po' impulsivo, ignorante come una capra e altrettanto testardo, era capacissimo di tirarti un pugno in un momento d'ira, ma incapace di mantenere la sua aggressività oltre la singola azione; per questo motivo come assassino non me lo figuravo proprio. Siccome avevo la macchina in riparazione, mi vestii in fretta e, proprio mentre stavo uscendo dall'ufficio, fui investito dal ciclone Viktoria, proprietaria dello studio-abitazione che avevo in affitto. Era bionda, modo di vestire austero, i capelli pettinati in maniera alquanto originale: una treccia avvolta sulla testa a formarle una corona, magra ma non nei punti giusti, alta un metro e settanta, occhi verdi e una faccia arcigna, perlomeno lo era quella che mostrava a me da una settimana a questa parte. Mi parlava dal pianerottolo del piano superiore e non c'è bisogno di aggiungere che mi guardava dall'alto verso il basso. - Credevo che stessi facendo fagotto, caro il mio investigatore - mi disse e il tutto fu proferito con un'ironia che chiamarla palese era riduttivo. - Si dà il caso che, da circa quarantacinque secondi, mi stia occupando di un caso molto importante, cara la mia locatrice. Se vuoi rinunciare ai tuoi soldi, posso sempre approfittarne per portar via tutta la mia roba -
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Sono nato a Cava de' Tirreni il 12.04.1955. L'episodio che ha segnato la mia infanzia, è stato il colloquio con una mia insegnante delle scuole medie, quando le feci notare che il mio compito in classe aveva gli stessi errori di quello del mio compagno di banco, ma a me aveva dato quattro mentre lui aveva preso sei, lei mi rispose: “Tu non ne hai bisogno di aiuti, sei figlio di un operaio e, per logica, farai l'operaio, suo padre è un libero professionista, di conseguenza seguirà anche lui il percorso del genitore”. La voglia di abbandonare la scuola era tanta, ma pressato da mio padre smisi solo dopo aver conseguito la licenza media. Per qualche mese mi guardai intorno, feci dei lavoretti per avere qualche soldo in tasca, poi trovai un lavoro serio presso una vetreria della mia città, nei dieci anni seguenti, lavoravo e rimuginavo sul fatto che, in fondo, avevo dato ragione alla mia insegnante. Quando vinsi un concorso nelle Poste, mi trasferii in Lombardia. Dopo l'iniziale abbandono, per entrare nel mondo del lavoro, ripresi gli studi e dopo aver ottenuto il diploma, mi iscrissi alla facoltà di Storia Moderna a Milano.
Writer Officina: La tua passione per la scrittura come e quando nasce?
Antonio Cuccurullo: Nel 1969, coi miei primi soldi guadagnati comprai Favole al telefono di Rodari, subito dopo Robinson Crusoe di Defoe, per me che odiavo i libri di testo, in breve tempo, divenni cliente abituale della libreria vicino casa. La trasformazione da lettore a scrittore avvenne proprio nei viaggi in treno e in metropolitana per spostarmi da Brescia a Milano, immaginai Antonio Esposito, un detective lontano dagli schemi abituali e prendendo spunto dai viaggiatori che incontro sui mezzi pubblici, cominciai a delineare i miei personaggi.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Antonio Cuccurullo: Paradossalmente, non ne ho avuto bisogno, ma procediamo con ordine, siccome la mia unica aspirazione era quella di scrivere storie per me stesso, quando venni collocato in pensione, iniziai a riprendere in mano tutto il materiale che avevo prodotto nel corso degli anni, con gli appunti riuscii a completare dieci romanzi avente come protagonista Antonio Esposito. Dopo essermi scontrato con una casa editrice a pagamento, la delusione raffreddò i bollenti spiriti. La svolta avvenne quando, su consiglio di un amico, decisi di implementare un sito per pubblicizzare i miei libri, convenimmo che, l'unico modo per scrivere qualcosa di autorevole, da inserire nel curriculum, era quello di partecipare a qualche concorso letterario. Con Indizio finale, i risultati andarono oltre le più rosee aspettative, il romanzo, da inedito, ottenne vari riconoscimenti: il terzo posto al Premio letterario “Gustavo Pece” 2017, il quarto posto sia al Premio letterario “Giovane Holden” che al Concorso Letterario “Città di Cava”, benché da regolamento non ne avessi diritto, entrai nel mondo della letteratura, infatti La Ruota, in sede di premiazione, mi propose un contratto editoriale.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Antonio Cuccurullo: Ormai cominciano a diventare davvero tanti, ma a quello che tengo di più è Indizio finale, non perché è il più bello e non è nemmeno il più valido, tecnicamente, è la mia creatura imperfetta che mi ha permesso di entrare nel mondo letterario. La storia è semplice, Antonio Esposito nel momento di massimo scoramento perché, dopo aver lasciato la Polizia, rinunciando al grado di commissario, si accorge che la sua agenzia investigativa non riesce a decollare, proprio quando sta per rinunciare si trova proiettato in due indagini, un omicidio e la scomparsa di una ragazza. In suo soccorso arriva l'aiuto insperato della sua odiata locatrice, detestata proprio perché era stata l'unica che lo avesse messo di fronte alle sue responsabilità, per loro, con alle spalle storie di abbandoni, è quasi inevitabile passare dal rapporto professionale a quello sentimentale.
Writer Officina: Quali sono le difficoltà che hai incontrato?
Antonio Cuccurullo: La prima stesura di Indizio finale è cominciata nel 1982, allora avevo ipotizzato un commissario di Polizia, Salvo Aiello, che lavorava a Napoli, il suo profilo professionale era innovativo per il periodo in cui lo avevo immaginato: in disaccordo coi genitori perché era poco osservante delle regole, osteggiato dai suoi superiori in quanto rivoluzionario, amante delle donne e della buona cucina. Quando, in seguito, lessi Camilleri, mi resi conto che il mio personaggio, creato anni prima, era troppo simile a Montalbano, per non essere incolpato di plagio, pazientemente, mi sono dato da fare per cambiare il mio personaggio, devo dire che all'inizio ero un po' seccato di dover rivoluzionare la storia, ma l'esercizio mi è stato utile per allenarmi alle contrarietà. Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Antonio Cuccurullo: Predo appunti su tutto quello che capita attorno a me, fatti, persone cose stravaganti, spezzoni di ragionamenti raccolti per strada, e utilizzo come spunto un fatto qualsiasi, letto dal giornale, da un film, da un libro, da un fatto emerso durante una discussione tra amici. Elaboro tutto quello che ho preso in esame, per farlo diventare l'idea per un giallo, un thriller, un noir, ecc. una volta che ritengo sia fattibile, abbozzo un inizio una fine e suddivido i capitoli descrivendo che cosa deve succedere in ogni sezione. Subito dopo comincio a scrivere, spesso dell'idea iniziale rimane poco e, siccome non mi piace rimanere ingabbiato, non è raro che cambio persino il genere.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Antonio Cuccurullo: Come ho spiegato ampiamente, non voglio restare in ostaggio di un genere, in questo momento sto scrivendo il terzo libro che chiude una serie, si tratta della prerogativa straordinaria, di uno dei personaggi principali, che è diventato il leitmotiv dei tre romanzi, coi primi due ho un contratto editoriale con una casa editrice di Milano e, perlomeno a parole, sono interessati al seguito.
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?
Antonio Cuccurullo: Per me scrivere era un fatto intimo, per questo motivo ho attinto a piene mani nel mio vissuto e nel mio modo di pormi, ovviamente ho smussato gli spigoli dei miei difetti e accentuato le mie virtù, cercando di non risultare esibizionista. |
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