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Hwelf. Storie di Gufi e Contesse
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La notte era al culmine. Una notte senza stelle, coperte dalle nubi grigie. La luna piena vi scorreva attraverso rapida. La pioggia picchiettava lenta sui vetri delle finestre. Il conte e la contessa di Hwelf dormivano profondamente nel loro letto argentato a baldacchino. La dimora apparteneva alla famiglia da secoli e secoli. Erano di antica nobiltà, ma traevano il proprio patrimonio anche dall'oculata attività di investimenti operata dal conte. Avevano servitù, ritratti alle pareti, scuderie e una cripta di famiglia nell'ala nord della dimora. Alcuni antenati erano sepolti nella cattedrale di Hwelf. Uno addirittura, Gudrio IV, proprio sotto l'altare. Non si trattava del capostipite, ma aveva dato molto lustro alla casata, espandendo i confini della contea. Era nobiltà di spada, guadagnata dal capostipite in battaglia, servendo il re fedelmente e proteggendolo dagli attacchi dei nemici. Erano i tempi in cui i re erano soliti combattere in battaglia a fianco al proprio esercito. Il fondatore, Onzio l'orbo, aveva perso un occhio e in cambio aveva ottenuto un titolo nobiliare e tutti i benefici. Ora, dopo molti secoli il conte e la contessa di Hwelf continuavano a trarre vantaggio da quanto era avvenuto quel giorno misterioso, ormai uscito dalla memoria per fare ingresso nel mito. Si racconta che quella notte stessa, mentre il dolore tormentava Onzio l'orbo, il canto di un gufo reale gli facesse compagnia e lo distraesse un poco, recandogli un po' di sollievo. Per questo aveva scelto l'animale come simbolo per lo stemma di famiglia. E il gufo reale campeggiava ancora, immenso, sulla porta della dimora. Sotto, il motto della casata: Virtus lux aeterna. Nei territori dei conti di Hwelf era fatto assoluto divieto di cacciare gufi. Le leggi favorivano anche un certo prosperare di topi e roditori, affinché questi rapaci trovassero agevolmente cibo. Un gufo reale era solito appollaiarsi sul ramo più alto di un albero pieno di foglie. Lì, il giorno dormiva e la notte sferrava attacchi alle impotenti prede. Ma non era solo questo: dall'alto di quel ramo, vegliava ogni notte sulla tranquillità dei conti di Hwelf.
In quella notte, quella notte senza stelle, dall'alto del suo albero vide cinque ombre nere dirigersi verso nord, in direzione della cripta. Sfruttando il buio e il rumore dalla pioggia, rapido e feroce li avrebbe assaliti a uno a uno. Avrebbe piantato loro gli artigli nelle pupille e nelle guance e ovunque capitasse, fino a farli grondare di sangue. Era o no un rapace? E inoltre, era suo compito vegliare sulla tranquillità dei conti Hwelf. Si sarebbe avventato su di loro, ferendoli e deturpandoli. Oppure, molto più semplicemente, li avrebbe messi in fuga. E se invece, fosse stato lui a soccombere? Erano pur sempre in cinque i malviventi. Lo avrebbero catturato; gli avrebbero tolto le piume a una a una, lo avrebbero deriso, schernito e privato dei preziosi occhi e degli artigli, di cui andava tanto orgoglioso. Ma quella notte aveva un'ala ferita e non poteva volare. I pensieri cruenti lasciarono spazio a propositi meno sanguinolenti. Sarebbe volato fino ai vetri delle finestre, per richiamare l'attenzione della dimora dormiente. Il fastidio iniziale avrebbe lasciato il posto alla gratitudine, per lui e per tutti i gufi del mondo. L'atavico legame tra gufi e Hwelf, che si perdeva nei secoli, quella notte si sarebbe rinsaldato ancor di più. Ma quella notte, aveva un'ala ferita e non poteva volare. Scelse allora l'unica via possibile: cantò alto tutta la notte, per richiamare l'attenzione della dimora. Ma il rumore della pioggia ottundeva il suono e la ferita gli affievoliva la voce, impedendogli di cantare alto. Qualche suo detrattore lo avrebbe definito un gufo da guardia, ma Ansperto si sarebbe molto risentito. Era un gufo molto orgoglioso: di nobile stirpe, aveva ali color nocciola scuro e argento con macchie nere a riflessi verdi e viola, che creavano un bel gioco cromatico con il piumaggio completamente bianco del petto. Rimaneva accovacciato là, elegante e quasi ieratico, a rimarcare di essere un gufo di sangue blu, ma capace di gesti altamente generosi verso i prescelti ai quali donava la propria amicizia. Dal canto loro, anche i conti di Hwelf si erano affezionati a quel magnifico esemplare che, quasi come un diamante purissimo posto su una corona già inestimabile, ne accresceva ancor di più il valore. Lo ammiravano e lo proteggevano prediligendolo tra tutti gli amati gufi. Ansperto vide i cinque uomini fuggire dalla cripta posta a nord, attraversare il parco, passare in un buco scavato nell'alto muro della dimora dei conti di Hwelf e addentrarsi nei campi di frumentone. Erano a viso scoperto, ma Ansperto non riuscì a vederli distintamente. La mattina dopo, al risveglio, i conti di Hwelf furono avvisati dall'ancella che una cassaforte situata nella cripta era stata forzata e che era stato rubato uno scrigno. Il conte accorse, ma con gran sorpresa constatò che i ladri avevano rubato monete fuori circolazione. Erano coni di ferro e rame, senza alcun valore. Anche a fonderle, se ne sarebbe ricavato ben poco. Erano state fatte coniare da un'antenata qualche secolo prima. Nessun suo ritratto era presente nelle sale degli Hwelf, e il suo nome compariva solo in polverosi libri presenti nelle sale più remote della biblioteca degli Hwelf.
Il suo nome si pronunciava poco, a voce bassa come temendo che potesse materializzarsi, o che il suo spettro si aggirasse di lì. [...]
Il segnale della doccia suonò. Giacomo era a buon punto, si sciacquò. Quando chiuse l'acqua, aveva ancora trentaquattro secondi a disposizione. - Non si sa mai - pensò - metti che poi mi servano - . Faceva già caldo e non aveva voglia di asciugarsi i capelli. Il tempo da passare nel bagno umido, la voglia di aria, la fretta. Buttò un asciugamano sull'occhio della telecamera e la manomise. - Certo, poi mi manderanno i controlli. La manomissione è ancora un reato amministrativo. Per adesso. - Era, invece, reato penale il mancato rispetto delle norme sulla salute personale, diramate dal Presidente del Consiglio con delega alla Sanità (ma molti avrebbero detto - Ministro della Sanità con delega alla Presidenza del Consiglio - ). Reato penale sanzionabile con pene di diversa entità, a seconda della gravità. Ogni cittadino aveva a disposizione un determinato numero di minuti nell'arco della giornata per usare acqua, luce e gas. Questo perché il rispetto dell'ambiente era un tema molto sentito dall'Esecutivo dell'FDM, il Fronte del Mondo, partito di sinistra che abbracciava posizioni dal cattolicesimo sociale all'internazionalismo e al terzomondismo. In quel momento era al governo con un monocolore. Aveva vinto le elezioni con una politica decisamente ambientalista, condivisa anche da persone di altre idee politiche, ma era emersa col tempo una corrente salutistica secondo cui lo Stato deve far sì che un cittadino non danneggi la propria salute. Lo spreco di risorse era punito. Il 40% del tempo non utilizzato poteva essere aggiunto a quello del giorno seguente. Superato il limite, l'erogazione non veniva bloccata: si lasciava alle persone la possibilità di trasgredire, andando incontro una condanna, il cui valore poteva variare. Inoltre, era sorto un mercato del tempo, in cui ci si scambiava e ci si vendeva minuti di utilizzabilità. Il baratto era più frequente, ma si stava pensando di vietarlo, visto che le vendite erano tassate. Gli apparecchi che servivano per il trasferimento dei minuti venivano venduti in tutti i normali negozi di elettrodomestici, ma anche nei grandi supermercati, al mercato o nelle botteghe di paese e di quartiere. In aggiunta a questo, lo Stato legiferava imponendo a ognuno la cura della propria salute. Per la trasgressione non era prevista la galera, ma la fedina penale si sporcava.
Giacomo uscì, ma appena fuori del portone si accorse di aver dimenticato i documenti e la tessera. Cinque piani di scale in salita. Guardò l'ascensore e pensò che a volte avrebbe voluto essere un anziano o un disabile, per poterne usufruire. Appena entrato in casa, gli arrivò un messaggio del suo amico Giorgio. Dovevano vedersi, ma Giorgio gli comunicava di non poter andare a causa di un incidente. Le parole erano accompagnate da una fotografia della sua macchina ferma sul ciglio di una strada di campagna con il cofano sollevato. Giacomo decise di credergli e rispose con un - ok - . Giorgio, infatti, lo bidonava spesso e non si sarebbe stupito se fosse stata una scusa per non uscire. In effetti, ci pensò un attimo. Uscire o non uscire? Aveva senso sprecare i punti per una serata da solo? E chiamare qualcuno tanto per chiamarlo? In quel periodo, non era molto comunicativo. Però, aveva voglia di uscire e stare da solo gli piaceva. E aveva anche i suoi vantaggi. Per esempio, nessun limite d'orario. Non sarebbe stato mai troppo tardi o troppo presto. Decise di uscire ugualmente.
In strada gli piaceva osservare le case. Il quartiere dove viveva, il B2, era popolare e tranquillo, con costruzioni che meritavano almeno uno sguardo e vari bei locali. Certo, non era il centro, ma nemmeno una zona degradata. Abitava in via B2 44, a Pertinigrad. Prima, si chiamava via Mazzini, ma una riforma voluta dal Ministero delle Culture Antropologiche aveva condotto a una rivoluzione della toponomastica. Per non offendere nessuno, i nomi delle vie, invece di portare nomi di eroi, santi, luoghi o altro, vennero identificati con un codice alfanumerico. Per esempio, un antiunitario avrebbe potuto non gradire che ci fossero delle strade dedicate agli eroi del Risorgimento. Inizialmente si pensò si attribuire a ogni via o piazza una coppia di nomi in opposizione. Corso 22 Marzo poteva diventare corso 22 Marzo e corso Radetzky. Poi, però, questo sistema venne giudicato poco pratico e troppo dispendioso, dunque si optò per la soluzione alfanumerica.
In realtà anche così all'inizio sorsero dei problemi. Qualcuno s'interrogò sull'ordine delle lettere e sul tipo di alfabeto. Qualcuno pose la questione: perché quello latino e non, invece, quello greco oppure quello norvegese? [...]
Capitolo I
La situazione politica dell'Italia cambiò radicalmente e iniziò a farlo sul finire di un'estate. Ci fu una serie di tumulti che portò a una svolta reazionaria.
La prima protesta fu di carattere religioso e scoppiò in un paese di montagna. Successe il 24 agosto, il giorno di San Barto-lomeo e fu proprio a causa di San Bartolomeo. La giunta comunale, infatti, aveva deciso di intitolare un parco, con tanto di monumento, alle vittime dell'eccidio del 1576. Il parroco locale con tutta la comunità cattolica si era opposto alla delibera. In consiglio comunale, l'opposizione era quasi tutta appar-tenente alla destra clericale ed era piuttosto numerosa. Anche a livello nazionale questa destra era abbastanza cospicua e aspet-tava di andare al governo per varare leggi liberticide. Pardon, ispirate ai veri valori. Nel frattempo, fomentò i propri elettori con i social e con i giornali a essa fedeli. Se nel paese di montagna il dissenso si limitò a esprimersi con qualche cartello e con qualche manifestazione, gli atti più eclatanti avvennero a Milano. La chiesa valdese vicino all'Università Statale fu van-dalizzata e i libri della sua libreria rubati, fatti a brandelli e buttati in mezzo alla strada. I valdesi, si leggeva nei social, erano colpevoli di essere favorevoli ad aberrazioni come l'aborto, l'eutanasia e il sacerdozio femminile. Qualche mali-gno aggiungeva: - Anche di attirarsi una parte dell'8 per mille - . Sorte migliore non ebbero la chiesa luterana e quella degli avventisti del settimo giorno, nei pressi della questura, quella dei metodisti in Isola e quella anglicana vicino alla sede storica del Corriere della Sera. Quelle ortodosse non vennero toccate, un po' per rispetto alle icone, un po' perché mostrarono più simpatia per i cattolici vessatori che per i protestanti vessati. L'altra Milano, medaglia d'oro della Resistenza, reagì. Per giorni la città fu a ferro e fuoco. Alcune suore della Chiesa dei Santi dell'Ultimo giorno, tutte ragazze molto giovani, furono stuprate. Il Vaticano invitava i suoi a non lasciarsi andare a violenze e a nefandezze, ma ricordava che i protestanti erano persone lontane dalla vera fede. Ne approfittava anche per in-vitarle a una conversione.
Quasi a sorpresa, i musulmani parteggiavano per i cattolici e in alcuni casi li aiutarono. I musulmani sunniti, che paragonarono i protestanti agli sciiti. Da Milano, il caos si propagò in tutta Italia. La situazione si calmò quando le chiese protestanti divennero obiettivi sensibili e fu loro assegnata una scorta militare.
Capitolo II
A Roma, l'opposizione clericale continuava a fare ostruzioni-smo con bagarre e atti dimostrativi e intimidatori. Governare divenne impossibile. La situazione precipitò quando avvenne la defezione dell'ala cattolica e di frange terzomondiste del partito di sinistra al governo. L'ammutinamento portò alla crisi dell'esecutivo, allo scioglimento del parlamento e alle elezioni anticipate, in cui la destra clericale trionfò, tuttavia senza ottenere i numeri sufficienti per formare un monocolore. Dovette, pertanto, accordarsi con il movimento sunnita.
I primi provvedimenti vollero colpire i nemici in comune. Si iniziò con gli ebrei. Naturalmente, il mondo vegliava e si adot-tò una manovra laterale, vietando la macellazione rituale senza stordimento (gli islamici avevano accettato il divieto, cercando un asse anche con gli animalisti, ormai strappati dall'orbita culturale della sinistra. In più, si cercò di incentivare il lavoro di sabato, proprio in sfregio al loro giorno di riposo. Sui social e sui giornali l'attacco poté essere più aperto. Non fu difficile: l'ebreo dominatore del mondo che affama la povera gente è un pezzo intramontabile e l'attenzione negativa passò dal burqa ai copricapo e alle treccine.
Con la scusa della copertura finanziaria, fu revocata la scorta militare ai luoghi ebraici e a quelli protestanti. A Milano, alcuni negozi di via Soderini (i nomi delle vie furono poi ripristinati) vennero devastati e nel Carrefour di Bande Nere buttarono per terra i prodotti kosher. Infatti questo quartiere era caratterizzato dalla presenza di una forte comunità ebraica.
Naturalmente, il governo deprecò queste azioni, dichiarò che sarebbe stato fatto tutto il possibile per individuare i responsabili, che nulla sarebbe rimasto impunito.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato a Milano il 13 agosto del '74. Dopo la laurea in Filosofia ho seguito un corso per diventare redattore multimediale. Nel 2004 ho iniziato a collaborare con Sprint e Sport, un settimanale che si occupa di calcio giovanile e dilettantistico. Sono rimasto lì una quindicina d'anni. Nel 2007 mi sono iscritto all'Albo dei Pubblicisti della Lombardia. Nel frattempo, ho collaborato con alcuni blog e giornali online e ne ho aperti anche di miei. Devo dire, però, che per me è sempre stato più facile stare dietro a quelli degli altri che ai miei. Tuttora mi occupo dei testi dei siti aziendali dei miei clienti. Oltre a fare il copywriter, ho lavorato in alcuni call center (in uno per più di quattro anni) e con i bambini. Per essere precisi, con i bambini ci lavoro ancora.
Writer Officice: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Massimiliano Priore: Non molto presto. Da piccolo mi piaceva consultare le enciclopedie, ma la letteratura non mi attirava molto. Credo che la folgorazione ci sia stata al Ginnasio quando ho scoperto Baudelaire.
Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Massimiliano Priore: Ho iniziato a cimentarmi con la scrittura proprio dopo aver letto “I fiori del male”.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Massimiliano Priore : Sì, ho pubblicato. E poi mi ha contattato un'altra casa editrice per avermi nella sua scuderia.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Massimiliano Priore : Non mi esprimo perché conosco poco il fenomeno, anche perché non faccio molti acquisti su Internet, a parte i viaggi. Secondo me, devi essere bravo a promuoverti, se vuoi seguire questa strada e ammiro chi ci riesce.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Massimiliano Priore : Il libro cui sono più affezionato s'intitola “La maledizione dell'aquila”. Non è ancora uscito ed è su una piattaforma di crowdfunding, Bookroad, creata dalla mia casa editrice. Devo raggiungere il traguardo di 200 preordini. Di che cosa parla? Di calcio, inteso come passione e sogno, e come curiosità su questo sport, di amore, inteso anche come sacrificio, ma un sacrificio legato alla quotidianità, e di una cosa che mi ha molto colpito nei due viaggi che ho fatto in Lussemburgo e cioè la presenza di tantissimi portoghesi. Anche perché conosco abbastanza bene il portoghese.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Massimiliano Priore: Mi vengono le idee per le trame e io le scrivo, non necessariamente subito. Anzi, preferisco lasciar passare un po'di tempo. Poi, una volta che ho iniziato, le parti che ho già scritto mi suggeriscono come continuare. Ma capita anche che mi vengano delle idee che stanno bene in quel contesto e allora le inserisco.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Massimiliano Priore : Sì, sto scrivendo un libro. Ha degli elementi in comune con gli altri due: il realismo magico, alcuni luoghi e due personaggi, Alan e Rosalia, che sono presenti anche in “Hwelf, Storie di gufi e contesse”, il libro che è già stato pubblicato, e ne “La maledizione dell'aquila”.
Writer Officina: Raccontaci quale è stata la scintilla che ha dato vita all'idea
Massimiliano Priore: Ero a Lussemburgo, stavo facendo una passeggiata e ho visto un ragazzino con la maglia del Benfica che giocava a pallone da solo. Non del Real, non del Barcellona o del Bayern Monaco o del Paris Saint Germain, ma di una squadra che qui non ha più molto appeal. E questa è una. L'altra è stata una domanda che mi sono posto qualche volta per gioco: che cosa succederebbe se una persona lasciasse davvero un annuncio su un muro e qualcuno la contattasse?
Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Massimiliano Priore: Un po' e un po'. Mi piace mettere insieme elementi di più persone, mischiarli, fare delle macedonie aggiungendo elementi di fantasia. Altri personaggi sono completamente inventati. Altri ancora sono ispirati a personaggi letterari. Per esempio, quando ho creato uno dei personaggi di “Hwelf” ho preso come modello Labbro Leporino di “Trilogia della città di K.”.
Writer Officina: Hai fatto dei corsi?
Massimiliano Priore: Quello di redattore multimediale e uno con un quotidiano di cronaca.
Writer Officina: Quali sono le difficoltà che hai incontrato?
Massimiliano Priore: L'unica è legata alla lunghezza: bisogna scrivere un testo abbastanza corposo senza allungare troppo il brodo, cioè senza fare troppe perifrasi e senza usare parole superflue. Poi, a me piace la sintesi e non amo usare troppe parole in più di quelle necessarie.
Writer Officina: Che consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Massimiliano Priore: Curate la forma perché un bel contenuto non basta. Sembrerebbe scontato, ma non è così. Fate pratica. Non affidatevi solo all'ispirazione. Una buona parte del tempo che si impiega a scrivere un romanzo, ma anche un racconto, va via per il labor limae. Sappiate cambiare registro. Non scrivete in modo innaturale: ad esempio, salvo eccezioni, trovo innaturale lo schema aggettivo + sostantivo. Soprattutto nei dialoghi, domandatevi se nella vita reale parlereste in quel modo (o se qualcuno lo farebbe). Evitate le frasi fatte perché non si addicono a uno scrittore. E leggete. Il confronto con autori affermati non può che fare bene e leggendo i loro testi potete imparare molto. |
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