Writer Officina
Autore: Michele Zoppardo
Titolo: Chi uccide a Borghetto?
Genere Thriller Paranormale
Lettori 3826 161 65
Chi uccide a Borghetto?
Due donne coraggiose.
13 gennaio 1976 - martedì
Don Mario, il parroco anziano ma sempre vispo, aveva organizzato, per i ragazzi dell'oratorio, una gita - pellegrinaggio di quattro giorni, per visitare Santiago di Compostela, dove si crede che riposino le spoglie dell'apostolo Giacomo, il santuario della Madonna di Fatima, con i luoghi dell'apparizione, la città di Coimbra, con la storica università comprendente la meravigliosa biblioteca Joanina e, infine, gli splendidi monasteri di Bathala, nell'omonima località, e dos Jerònimos, a Lisbona. Alle cinque e trenta di quella mattina, piovosa e insolitamente fredda, stava assegnando i posti a una ventina di ragazzi assonnati, sul pullman granturismo messo a disposizione dall'agenzia di viaggi Pitrè.
Faceva ancora buio e i lampioni delle strade erano sempre accesi quando, alle sei in punto, come da programma, il parroco disse all'autista che si poteva partire e sedette sul primo sedile a destra, il posto solitamente occupato dagli accompagnatori delle gite turistiche; ruolo che aveva voluto assumere, unitamente a quello di guida spirituale, perché conosceva bene i luoghi che andavano a visitare per esserci stato più volte.
Alle ore sei e trenta seguenti, Agatina Vetrano, la ragazza delle pulizie, entrò nel bar per fare colazione. L'aspettava una mattinata densa d'impegni; perciò doveva cominciare presto.
- Ma chi caristi dal letto stamatina? - le chiese Teresa, la cinquantenne titolare dell'esercizio.
- Haiu un saccu di chiffari, perciò mi debbo spicciare. Il cappuccino fammillu bello caldo, ca stamatina fa friddu. -
Consumata la colazione, Agatina si avviò verso il vicino ambulatorio medico sito al piano terreno, da dove iniziava sempre il suo lavoro, data la vicinanza al bar. Infilò la chiave nella toppa della porta con chiusura a scatto. Il dottor Calabrese ci aveva fatto mettere la molla perché “certi pazienti maleducati” gliela lasciavano aperta, facendogli gelare tutto l'ambiente d'inverno o facendogli entrare la soffocante afa estiva. Stranamente, la porta non era chiusa a chiave.
“Ma chi fa, se lo scordò?” si chiese la ragazza. “Con l'età, u dutturi accumincia a essere anticchia stunatu.”
Entrata, Agatina attraversò la sala d'aspetto e raggiunse il ripostiglio. S'infilò i guanti di gomma, prese scopa, spazzolone, secchio con l'acqua e detersivo e, mentre si accingeva a entrare nello studio, notò una seconda stranezza. La porta da cui si accedeva, che il dottore chiudeva sempre alla fine delle visite, era socchiusa. Agatina pensò che forse il dottore, la sera prima, aveva dimenticato qualcosa e ora era passato a prenderla. Così, chiamò timidamente: - Dottore? Che c'è lei? - Nessuno rispose. La ragazza cominciò ad aver paura. “ Ma chi ci su i latri?” si chiese. Posò a terra il secchio e gli altri attrezzi e impugnò lo spazzolone a mo' di arma. Si avvicinò piano e infilò cautamente il naso dentro. Subito dopo, cacciò un urlo e svenne.
Teresa, che stava preparando un caffè per un cliente, udì quell'urlo. “Ma chi fu Agatina?” si domandò. Immediatamente corse all'ambulatorio, lasciando che il caffè continuasse a fluire dalla macchina, traboccando dalla tazzina. Spalancò il portoncino d'ingresso, che Agatina aveva lasciato accostato, attraversò la sala d'aspetto e trovò la ragazza lunga distesa davanti alla porta dello studio.
- Agatina, ma chi fu? Bedda matri! Ma chi ti sintisti male? -
Cercando di sollevare la ragazza per metterla a sedere, Teresa, inavvertitamente, con un'ancata spalancò la porta rimasta socchiusa e a vedere lo spettacolo che le si presentò: - Madonna mia benedetta! - esclamò solamente e svenne anche lei, rischiando di crollare addosso alla ragazza in soccorso della quale era accorsa. Agatina fu la prima a riprendersi e aiutò Teresa a tornare in sensi e a rialzarsi.
- Bedda matri, u dutturi ammazzaru! - esclamò la ragazza, visibilmente scossa.
- Maria che impressione! A testa fracassati avi! E tuttu quel sangue! - replicò la barista.
- Ma tu com'è ca ti attrovi ccà? - chiese Agatina.
- Picchì ti ho sentita gridare e mi scantai. Pinsai ca avevi bisogno d'aiuto e currivu. -
- Mih! E accussì m'aiutasti, ca pi picca non mi scafazzavi, se mi cadevi di sopra? -
- E chi ci pozzu fari? M'impressionavi e svenni. Tutto mi potevo aspittari ma no di vedere sta carneficina. Ma perché, tu che hai fatto? Non sei svenuta macari tu? E poi, invece di ringraziari ca lassavi tutti cosi per venire a aiutarti, ti lamenti puru! -
- Hai ragione; scusami Terè, ma arristai un pocu stunata, comu si m'avissiru datu una botta in testa. A stu momento, mi pari ca non saccio quello che dico. Però - senti - la Polizia dobbiamo chiamare, subito! - affermò Agatina.
- Vado a telefonare io dal bar, accussì mi pigghiu pure un cafè doppio, ca mi veni di svenire un'altra volta. E poi lassavi Franchino senza cafè, perché ce lo stavo facendo quando ti mittisti a vuciari. -
- Aspetta, Terè! Vegnu cu tia, picchì ccà m'impressiono. -

Il commissario Sanfilippo si era appena alzato e, come ogni mattima, in bagno, si stava guardando allo specchio, per verificare se si fosse avverato il sogno che sapeva assurdo ma che, in cuor suo, continuava a credere possibile: addormentarsi brutto anatroccolo e svegliarsi incantevole cigno, come nella fiaba che la sua mamma gli raccontava da bambino. E invece lo specchio gli rifletté ancora l'immagine di un uomo che dimostrava più anni di quelli che realmente aveva, con una capigliatura agonizzante, specie sulle tempie e nella parte centrale del cranio, e con due occhi miopi, mobilissimi. Queste caratteristiche, unite alla bassa statura e a una corporatura non certo atletica, ne facevano un uomo se non proprio brutto, come riteneva di essere, certamente insignificante.
“Neppure stanotte” si disse, “sono diventato Marlon Brando e manco Paul Newman. Rospo mi sono coricato e rospo mi sono svegliato. Almeno fossi come Antony Quinn, per esempio, che bello non lo è davvero, però è un brutto fascinoso. Io, invece, brutto e basta. E dove la trovo una principessa disposta a baciare questo rospo per farlo diventare un bellissimo principe?”
In quel momento squillò il telefono.
- Dottore, c'è un morto ammazzato - lo informò il centralinista del Commissariato.
- Ma sei sicuro che il delitto è avvenuto proprio là? - chiese il commissario, stupito, quando sentì il nome del borgo dove il fatto era accaduto.
- Sicurissimo come la morte, commissario. -
- E chi è la vittima, si sa? -
- Sissi, il medico è. -
- Ma chi, il dottor Calabrese? - chiese Sanfilippo, incredulo.
- Commissà, là uno solo ce n'è medico! -
- Avverti Giannuzzi e Ferretti e fammi venire a prendere. -
- Dottò, il maresciallo da ieri è in ferie. Chi fa, se lo scordò? E il brigadiere è già partito per venirla a pigliare. -

- Ma chi può avere ammazzato il dottor Calabrese che era conosciuto e stimato da tutti? - chiese Sanfilippo, discutendo con il brigadiere Ferretti, durante il tragitto che li portava verso quel borgo dove non accadeva mai niente.
Giunti sul posto, i due furono chiamati da una donna alta e robusta, con i capelli rossi, sulla cinquantina, affacciata sulla soglia del bar.
- È Teresa, la titolare del bar - spiegò il brigadiere. - Mi conosce perché ogni tanto, quando sono di pattuglia, vengo qua a prendere il caffè. -
- Questo è il commissario Sanfilippo - disse Ferretti, presentando il funzionario alla donna.
- Piacere commissario, io sono Teresa, la titolare. Siamo stati noi a trovare il cadavere, io e Agatina voglio dire, stamatina presto; anzi, per la precisione, fu prima Agatina. Matri schi scantu ca ci siamo prese! -
- E Agatina chi è? - domandò Sanfilippo.
- È la picciotta che fa le pulizie nell'ambulatorio. Ora è nel bar, picchì è ancora scantata. Agatì vieni, ca c'è u commissario! - .
Uscì una ragazza magra, di circa venticinque anni, con una gran massa di capelli neri e ricci raccolti a coda di cavallo.
- È stata lei a trovare il cadavere del dottor Calabrese? - chiese Sanfilippo dopo le presentazioni.
- Sì, commissario. Io fui e haiu ancora tutti i carni arrizzati. -
Agatina raccontò per filo e per segno tutto ciò che era accaduto dal momento in cui aveva varcato la soglia dell'ambulatorio medico, compresi gli svenimenti suoi e di Teresa.
Dopo che la ragazza ebbe finito il suo dettagliato racconto, Sanfilippo e Ferretti entrarono nello studio. Il dottor Calabrese, prossimo alla sessantina, era riverso sulla poltrona, con un profondo squarcio orizzontale che gli attraversava la fronte e il volto coperto da una maschera di sangue, mentre gli occhiali da vista, con una lente infranta, gli si erano storti sul naso. Il sangue, fuoriuscito a fiotti dalla ferita, aveva copiosamente imbrattato il piano della scrivania. Apparve subito evidente che il medico era stato colpito violentemente con un oggetto pesante.
- Guardi, commissario! - esclamò Ferretti, notando sul pavimento un cavallo di bronzo con la criniera al vento, i muscoli tesi, le froge allargate, le zampe anteriori sollevate a scalciare l'aria e quelle posteriori fissate su una solida base di marmo. - È stato colpito con questo. È sporco di sangue. -
- Chiama subito la Scientifica - ordinò Sanfilippo. - Io avverto il questore e il procuratore - aggiunse.
Eseguiti i rilievi tecnici, il maresciallo della Polizia scientifica informò il commissario che avrebbe portato via la statua raffigurante il cavallo, perché c'erano impresse delle impronte digitali “su cui si può lavorare, anche se sporche di sangue”.
- Speriamo che ci siano anche quelle dell'assassino - si augurò Sanfilippo.
- E che siano schedate - aggiunse il maresciallo, - altrimenti ci servono a poco. -
Mentre stava salendo in macchina per far ritorno in ufficio, Sanfilippo si sentì chiamare da un uomo alto e magro, che aveva capelli ondulati, nerissimi e abbondantemente impomatati, un paio di baffi sottili sotto il naso pronunciato, un inappuntabile vestito nero e un mozzicone di sigaretta stretto tra le dita ingiallite, tipiche dei fumatori accaniti.
- Commissà, ma che fa, se ne va e non mi dice niente? Me lo pozzo portare? -
- Ma cosa le dovrei dire? Cosa si vuole portare? E poi lei chi è? - rispose Sanfilippo.
- Ma come chi sono? Concetto Migliavacca, l'impresario delle pompe funebri. Qua tutti mi conoscono! Ci chiedevo se il morto me lo pozzo portare a Palermo. -
- Ma lei che ne sa che la salma deve essere trasferita a Palermo? -
- Ma comu che ne so? Allura, non mi spiegavo bene. Io Concetto Migliavacca, l'impresario di pompe funebri sono e avi trent'anni ca faccio questo mestiere. Lo saprò o no ca, quannu c'è un morto ammazzato o che non si capisce picchì è morto, l'autorità ordina di purtarlu alla Medicina Legale, a Palermo? E cu ci l'avi a purtari, uno di Palermo? Nossignori! Uno del posto; come dice la legge. -
- E qual è l'articolo di legge che stabilirebbe questo? -
- Commissario bello, ma quale articolo e pronome! Non è ca c'è proprio una legge scritta. C'è l'usanza che, come lei m'insegna, fa legge. -
- E, in questo caso, l'usanza non ha fatto legge perché, purtroppo per lei, il procuratore, con cui ho parlato pochi minuti fa, ha incaricato del trasporto l'impresa Sciortino di Palermo. -
- Commissario, ma questo un abuso è! Non si fa accussì. Se vengono chiddi di fuori a occuparisi dei nostri morti, noi del territorio chi facemu, passeggiamo le vacche? Ma almeno, quando il cadavere lo riportano a Borghetto, il funerale lo pozzo fare io? -
- E che ne so, Migliavacca! Questo, di solito, lo decidono i parenti ma, visto che il dottor Calabrese parenti non ne ha, ritengo che deciderà il procuratore e la cosa più logica è che l'impresa che ha provveduto al trasporto di andata e ritorno si occupi anche del funerale. -
- E come volete voialtri! Che ci debbo dire? Il coltello dalla parte del manico lo tenete voi e i poveri cristiani hannu a subire sempre. -

Alle ore dieci seguenti, Sanfilippo, che già aveva informato dettagliatamente il questore in merito al sopralluogo, si presentò nell'ufficio del sostituto procuratore Puntel il quale - da quando il commissario aveva provveduto a correggere parzialmente un grave difetto di pronuncia della erre, che lo portava a spruzzare goccioline di saliva sulle cose e sugli interlocutori che gli capitavano a tiro - non era più costretto a ricorrere ad imbarazzanti precauzioni difensive che in precedenza, vergognandosene un po', aveva messo in atto, sia pure con scarsi risultati.
- È un delitto apparentemente inspiegabile - lo informò il commissario. - Il dottor Calabrese, che io conoscevo personalmente, era una persona stimata da tutti, sia professionalmente sia come uomo. Non aveva vizi e, per voce unanime, non aveva nemici. -
- Eppure, almeno un nemico doveva averlo - lo interruppe il magistrato, - visto che lo hanno ucciso e non certo per rapina. -
- Già! Se c'è una cosa sicura in questa faccenda, è proprio il fatto che non si è trattato di una rapina. Certamente, se lo avessero voluto rapinare, sarebbero andati a casa e non in ambulatorio. Piuttosto, tutto lascia supporre che sia stato ammazzato in un impeto d'ira, probabilmente durante una discussione degenerata. Infatti, la statua di bronzo che l'ha colpito gli è stata scagliata contro con forza e, quindi, con rabbia. Ad ogni modo, i colleghi della Scientifica stanno lavorando sulle impronte rinvenute sulla statuetta e ci sono buone probabilità che ne ricavino qualcosa. Comunque procuratore, la terrò informato di ogni interessante sviluppo. -
Rientrato in ufficio, Sanfilippo chiamò Ferretti.
- Senti Ferretti, io sul dottor Calabrese ci potrei mettere la mano sul fuoco ma, come mi diceva sempre il dottor Prestigiacomo - che è stato il mio capo quando ero in servizio a Roma - nel momento in cui si conduce un'indagine, è bene non fidarsi di nessuno. Perciò, dobbiamo scavare a fondo nella sua vita. Parenti, in paese, non ne aveva; la moglie e l'unica sorella sono morte qualche hanno fa. L'unico figlio, a quanto ne so, vive a Zurigo e bisognerà informarlo. Quindi, mettiti in contatto con gli amici più intimi - non dovrebbero essere tanti perché il dottore era persona riservata - e cerca di sapere se Calabrese ultimamente appariva preoccupato o comunque diverso dal solito... strano va; se per un motivo o per un altro sia venuto a contatto con personaggi pericolosi o se, magari, aveva allacciato qualche relazione sentimentale a rischio. Certo, mi pare impossibile, perché era tutto casa e lavoro e fedele alla memoria della moglie. Però, non si sa mai cosa può passare nella mente di un uomo che si vede sfuggire di mano la giovinezza e sa di dovere trascorrere in solitudine l'ultimo scampolo di vita; diventa magari capace di fare pazzie per scacciare i fantasmi della vecchiaia e della solitudine ed ecco che si rende vulnerabile e può diventare preda di gente senza scrupoli. Fatti dare pure l'elenco dei suoi pazienti così, dopo, valutiamo se è il caso di fare accertamenti approfonditi su qualcuno.

Michele Zoppardo
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Michele Zoppardo
Mi chiamo Michele Zoppardo e sono uno scrittore. Sono nato a Palermo, dove ho frequentato studi classici. Commissario della Polizia di Stato in pensione, da oltre quarant'anni vivo in Toscana, in un ridente comune collinare della provincia di Pisa, senza però aver dimenticato le mie origini, tanto che i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia dei miei ricordi di gioventù, odorosa di zagara, gelsomino e fichi d'india. Sono coniugato; ho due figli e quattro nipotine, dai quattro ai dodici anni di età. Da sempre sono un appassionato lettore di romanzi di vario genere. Mi piacciono gli autori classici quali Manzoni, Verga, Pirandello; altri più recenti come Ercole Patti e Ignazio Silone; i contemporanei come Andrea Camilleri, Marcello Simoni, Dan Brown ed altri.
In campo letterario, ho esordito nell'anno 2018 con il romanzo “Elisa Maiorano”, primo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, cui hanno fatto seguito i romanzi “Gelsomino rosso sangue” e “Chi uccide a Borghetto?”; tutti pubblicati dalla casa editrice EEE Edizioni tripla E.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Michele Zoppardo : Non c'è stato un momento preciso. Evidentemente, era una passione silente che coltivavo da tempo, senza avere la possibilità di dedicarmici per impegni di lavoro e familiari. Tutto è nato da un'idea balenatami all'improvviso che mi ha tentato, sfidandomi a mettere alla prova la mia capacità di svilupparla e farne una storia finita. Alla fine, sono rimasto soddisfatto per il risultato conseguito e ho incominciato a pensare alla possibilità di pubblicare.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Michele Zoppardo: Non un libro in particolare ma il genere “giallo – thriller” di cui sono sempre stato appassionato. I miei romanzi, infatti, sono“gialli” di tipo tradizionale, con trame che ritengo attendibili (spesso quanto accade nella realtà quotidiana appare meno verosimile), con numerosi personaggi dalla psicologia ben definita, con un esito investigativo basato su elementi di prova oggettivi. Non amo, infatti, i gialli in cui la soluzione è demandata alla genialità dell'investigatore di turno che, sulla base di ipotesi non provate o di prove che qualsiasi avvocato difensore sarebbe in grado di smontare in un processo, induce il colpevole a confessare.
In questo contesto realistico si viene poi ad inserire una componente straordinaria, non certo preponderante ma sicuramente rilevante, rappresentata dalle facoltà extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente, facoltà che gli consentono di penetrare in una dimensione parallela e di entrare in contatto con le energie vitali che la popolano, attingendo informazioni preziose che vanno però opportunamente decifrate, e di contribuire così alla soluzione degli eventi criminosi e, soprattutto, di fornire al coprotagonista, un commissario di polizia dall'apparenza insignificante ma capace, l'input per la riapertura di casi giudiziari che sembravano ormai definiti. È chiaro che chi volesse trovare in questa componente del romanzo concretezza e credibilità ne rimarrebbe deluso perché i fenomeni extrasensoriali, per loro natura, trascendono l'ordinaria comprensione e non sono spiegabili logicamente né possono avere l'attendibilità degli eventi comuni. Nelle mie storie il realismo della vita comune e l'inverosimiglianza (ma inverosimile non vuol dire non vero) del fantastico sussistono contemporaneamente e si compenetrano. Sarà, comunque, sempre il commissario che arriverà alla soluzione dei casi, grazie al suo acume investigativo, alla sua tenacia e alla modestia che gli fa riconoscere gli errori commessi e indirizzare le indagini per il giusto verso.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Michele Zoppardo: Inizialmente ho esitato alquanto prima di proporre il mio romanzo a un editore perché, data la mia inesperienza nel settore, non sapevo nemmeno che strada percorrere. Mi sono documentato a lungo su Internet, apprendendo che avrei potuto seguire tre strade: rivolgermi a editori a pagamento, provare col self publishing, tentare con editori che dichiarano di pubblicare gratuitamente. Ho optato per quest'ultima soluzione, perché ho considerato che pubblicare a pagamento, a parte la spesa non indifferente, non mi avrebbe dato la giusta valutazione delle mie capacità come scrittore, mentre la via del self publishing mi è sembrata complicata, in quanto richiede conoscenze e competenze che non possedevo. Stabilito a quali editori far riferimento, ho iniziato a inviare il mio romanzo e, da quel momento, ho scoperto un mondo che non conoscevo né sospettavo. Tanti editori che professano la pubblicazione gratuita, mi hanno inviato proposte editoriali, anche dopo due giorni, che prevedevano la pubblicazione a fronte dell'acquisto di 300 o più copie del libro, di cui era stato stabilito un prezzo di copertina pari a 13/15 euro; la pubblicazione gratuita mi sarebbe, quindi, costata migliaia di euro. Altre case editrici non mi hanno degnato di una risposta, dopo mesi di attesa e di speranza, quando sarebbe così semplice e così corretto inviare un breve messaggio di tre parole: “non siamo interessati”. Infine, mi sono imbattuto nella Casa editrice EEE Edizioni Esordienti, poi divenuta EEE Edizioni Tripla E. Ho seguito i video pubblicati dalla titolare, Piera Rossotti, e sono rimasto favorevolmente impressionato dalla sua cultura, competenza e passione per il suo lavoro. Così ho inviato il mio primo romanzo e, dopo qualche mese, ho ricevuto una e-mail con preziosi consigli per migliorare la mia opera. Li ho seguiti e il romanzo è stato pubblicato. A questa prima pubblicazione, hanno poi fatto seguito altre due e spero che altre ve ne saranno.

Writer Officina: Quali sono le peculiarità dei tuoi romanzi?

Michele Zoppardo: Di una caratteristica, cioè dell'inserimento nel giallo del paranormale, ho già parlato. Un'altra peculiarità è l'uso del dialetto siciliano nei dialoghi. Penso, infatti, che sia da tutti condivisibile l'opinione che è l'ambiente in cui si vive che, in gran parte, forma l'uomo (e naturalmente, anche la donna); pertanto, nel momento in cui mi sono accinto a scrivere il mio primo romanzo, mi sono detto che, se questo è vero, ogni personaggio, per essere credibile, deve essere necessariamente calato nel suo ambiente. Di conseguenza, mi sono chiesto se sia attendibile un personaggio, nato e cresciuto in un quartiere popolare di Palermo (lo stesso vale per Napoli, Bari, Roma, Milano, etc.) che si esprime in perfetto italiano come un accademico della Crusca e mi sono risposto di no. A quel punto, mi sono sorti mille dubbi sul da farsi. Scrivere il romanzo in dialetto, sulla scia di Andrea Camilleri che, in questo senso, ha aperto la strada? Ma Camilleri ha avuto la fortuna di far arrivare i suoi romanzi al grande pubblico grazie alla televisione, non accessibile a tutti. I lettori, avrebbero gradito il romanzo di un autore sconosciuto, scritto interamente in dialetto? Probabilmente no; sarebbero partiti già prevenuti, pensando ai problemi di comprensibilità. Allora, affiancare alla stesura dialettale una traduzione? Forse, sarebbe stata letta solo quest'ultima, penalizzando la prima. Ho deciso, infine, di narrare l'intero romanzo in italiano, riservando il dialetto, peraltro il più possibile “italianizzato” per renderlo comprensibile, ai soli dialoghi, allo scopo di salvaguardare la genuinità, l'efficacia e, in taluni casi, la comicità di espressioni caratteristiche, che andrebbero perse se rese in lingua.
Altra specificità è la trattazione, sia pure sullo sfondo, di argomenti che, anche se i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia degli anni '70, sono di viva attualità, quali il femminicidio come estrema conseguenza di un amore malato, capace non solo di distruggere l'oggetto di questo falso amore ma anche di nuocere ad altri e, addirittura, di autodistruggersi; il buonismo ipocrita della società dei nostri giorni (ivi compreso il sistema giudiziario e l'apparato mediatico) che spesso sa compatire e persino giustificare gli autori di odiosi atti criminali mentre non ha pietà per le loro vittime che rimangono segnate, nel fisico e, ancor più perché a vita, nella psiche; la dipendenza dal gioco d'azzardo, considerata oggi una vera e propria malattia mentale assimilabile alla dipendenza dalla droga, capace di annientare la volontà di chi ne è affetto, di fargli perdere la dignità, di renderlo schiavo non solo del vizio ma anche di chi ci lucra su come gli strozzini, e di indurlo, per ottenere il denaro che gli necessita in quantità sempre maggiore, a comportamenti criminosi come il furto, la truffa e persino l'omicidio; la brama di successo di tanti giovani che, influenzati e condizionati dai messaggi e dai modelli che provengono dai mezzi di comunicazione di massa, vorrebbero ottenere tutto e subito, senza sforzo, bruciando le tappe, disposti a valicare il confine tra lecito e illecito, perdendo di vista i veri valori, vita compresa.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Michele Zoppardo : Si suole dire che l'ultimo è sempre il romanzo a cui uno scrittore è più affezionato. A conferma di ciò, penso di avere un debole per il mio ultimo romanzo pubblicato “Chi uccide a Borghetto? Anche questo è ambientato nella Sicilia degli anni '70. Il commissario Sanfilippo, coprotagonista dei miei romanzi, si trova ad affrontare inquietanti interrogativi: chi e perché ha ucciso il dottor Calabrese, conosciuto e stimato da tutti? Chi e perché, a distanza di pochi giorni, ha massacrato Giacoma Favaloro, una donna di ottanta anni, scorbutica, litigiosa, mal sopportata dai compaesani, nessuno dei quali, però, aveva motivo di ucciderla? Perché i coniugi Calacibetta si sono tolti la vita nel garage della propria abitazione, adiacente a quella in cui abitava l'anziana donna? C'è un nesso tra questi eventi, accaduti a Borghetto, una frazione del comune immaginario di Castelnormanno, finora “tranquilla come s'immagina che debba essere un cimitero di notte”, dove sembrano essersi scatenate le potenze infernali, o si tratta di casualità? Che ruolo ha nella vicenda Luca Meozzi, un vagabondo psicolabile che asserisce di non essere responsabile delle sue azioni perché una non meglio specificata “lei” controllerebbe la sua mente e gli ordinerebbe di compiere determinati atti, come colpire a martellate le auto in sosta? Sanfilippo saprà dipanare l'intricata matassa e arrivare a scoprirne il bandolo, grazie al suo acume investigativo, a fortunate coincidenze e all'aiuto delle percezioni extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Michele Zoppardo : Scrivo d'istinto. Non sono io che cerco la storia ma lei che viene da me; mi assale, mi entra nelle vene e m'invade la mente come una pianta infestante, assorbendo ogni pensiero e costringendomi a curarmi solo di lei. Così, divento i personaggi del romanzo, vivo le loro vicende, le loro passioni, le loro paure, i loro dolori. Mi sono chiesto perché sento il bisogno di scrivere romanzi gialli anziché di altro genere e ho trovato la risposta: per il desiderio di una realtà diversa da quella che è; cioè, di una realtà dove i colpevoli vengano scoperti e puniti adeguatamente, dove le vittime possano trovare giustizia e, in definitiva, dove il bene possa avere la meglio sul male.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Michele Zoppardo : Ho quasi ultimato un altro romanzo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, che ha come titolo provvisorio “La mattanza di Castelnormanno”, dove la mattanza non riguarda, purtroppo, tonni ma persone. Una storia “forte”, di crimini violenti e fragilità, di grandi amori traditi e falsità, in cui il commissario Sanfilippo si troverà alle prese con un avversario astuto e spietato. Gli altri protagonisti sono gli stessi dei precedenti romanzi: l'investigatore privato Tony Valente, dotato di capacità extrasensoriali; la sua socia-segretaria-fidanzata Serafina; il divertente avvocato Guarneri. Anche in questo, come nei precendi romanzi, molte sono le figure di contorno con ruoli più o meno importanti.
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