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Elisa Maiorano
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Il belvedere.
08 maggio 1975 (giovedì) - ore 1.35 L'auto che percorreva la strada costiera, giunta all'altezza di un vasto belvedere, si fermò. Nel parcheggio, debolmente illuminato da quei pochi lampioni che conservavano le lampadine intatte, c'erano solo tre o quattro macchine. Attraverso i vetri appannati s'indovinano delle sagome avvinghiate l'una all'altra, come rampicanti al loro traliccio. L'uomo scese, attraversò lentamente la terrazza e si diresse verso la balaustra di protezione. Vi si appoggiò e inspirò profondamente l'aria salmastra che gli riempì le narici e i polmoni, frizzando piacevolmente. La notte era mite e, dai pini marini che costeggiavano la litoranea, giungeva a ondate il profumo acre della resina. Nel cielo stellato spiccava un quarto di luna nascente, che si riverberava sull'acqua appena increspata, mentre poche nubi, lattiginose e sfilacciate, giocavano a rincorrersi e, sfrontate, non si curavano di velare, a tratti, la falce splendente, passandole davanti. Il mare, punteggiato in lontananza da qualche lampara, era quieto; se ne avvertiva appena lo sciabordio ritmato e sonnacchioso. Sereno era anche l'animo di quel solitario spettatore notturno, al quale la natura stava offrendo quello spettacolo incantevole, con cui egli, passata la tempesta che gli aveva attraversato l'esistenza rischiando di distruggergliela, si sentiva in piena armonia. Da quando aveva preso quella decisione, era come chi, tornato alla vita dopo essere stato a lungo in coma profondo, vuol godere di ogni meraviglia del creato e apprezza ogni cosa, anche ciò di cui prima non si accorgeva neanche o che riteneva irrilevante, come quel quarto di luna o quelle stelle o quelle lampare. Eppure, un attimo prima, la sua vita era niente, come un foglio di carta appallottolato e fatto rotolare sulla strada, dove tutti potevano calpestarlo e prenderlo a calci, finché una scopa e una paletta non lo avessero raccattato e gettato nella spazzatura oppure come un guscio di noce finito nel mare in tempesta, percosso dalla pioggia battente, sferzato dall'impeto dei venti, scagliato verso il cielo dalla furia delle onde e poi scaraventato verso la profondità degli abissi. Ma proprio quando aveva visto spalancarsi davanti le porte dell'inferno e sentito l'alito fetido della morte, era approdato in una placida laguna, dove il suo animo aveva trovato ristoro. Ora, però, doveva liberarsi di quell'oggetto infilato nella cintura dei pantaloni e di cui, attraverso la camicia, avvertiva il freddo contatto metallico che lo faceva rabbrividire. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno lo osservasse. Scavalcò il cancello chiuso e scese, con cautela, alcuni gradini della scala in pietra che portava alla scogliera. Giunto nel punto in cui la luce giallastra del lampione, che illuminava quella parte della terrazza, non arrivava più, l'uomo estrasse quella pistola che avrebbe dovuto decidere il suo e l'altrui destino e che ormai non serviva più ai suoi scopi, e la scagliò in mare, lontano più che potè. Splash! Qualche spruzzo d'argento e l'oggetto pesante s'inabissò rapidamente per andare a far compagnia ai pesci. L'uomo ritornò sulla strada, risalì in auto e riprese il cammino, con la certezza che nulla era perduto, come per un attimo gli era sembrato, e che la vita poteva tornare a sorridergli.
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08 maggio 1975 ore 3.10 L'auto che percorreva la strada costiera, giunta all'altezza della terrazza panoramica, si fermò. L'uomo la lasciò in sosta nel parcheggio vuoto, senza neanche chiuderla a chiave. Si diresse, lentamente, verso la balaustra di protezione. La terrazza era quasi deserta. Solo un paio di vagabondi, forse ubriachi, dormivano sdraiati sulle panchine, sotto la luce pallida della luna e cullati dal mormorio sommesso del mare. Due gatti attraversarono la piazza e si dileguarono rapidamente nell'oscurità, miagolando. Raggiunta la balaustra, l'uomo vi si appoggiò e fissò il suo sguardo verso un punto lontano, oramai indifferente a tutto ciò che gli stava intorno. La notte era mite, il cielo stellato, il mare calmo, ma lui non si accorgeva di nulla. Il suo animo si era inaridito, la sua vita oramai era niente, un foglio di carta appallottolato e fatto rotolare sulla strada, dove tutti potevano calpestarlo e prenderlo a calci, finché una scopa ed una paletta non lo avessero raccattato e gettatto nella spazzatura. La sua vita era come un guscio di noce finito nel mare in tempesta, percosso dalla pioggia battente, sferzato dall'impeto dei venti, scagliato verso il cielo dalla furia delle onde e poi scaraventato in basso, verso la profondità degli abissi. Le porte dell'inferno gli si spalancavano davanti ma non gli facevano paura, anzi, le trovava invitanti come quelle del paradiso terrestre. Vedeva la morte orrenda tendergli le braccia scheletriche e le dita ossute e non desiderava altro che abbandonarsi in eterno al suo freddo abbraccio, come un bimbo bisognoso di consolazione a quello della mamma. Ma, per lui, non poteva più esserci consolazione né pace; il peso della vita era diventato insostenibile. Come un automa salì, a fatica, sulla cimosa della balaustra. La brezza della notte gli accarezzava il viso e i capelli. Gli tornarono in mente brandelli di versi di una poesia di Pablo Neruda: “Posso scrivere i versi più tristi stanotte. Scrivere, per esempio. ‘La notte è stellata, e tremano, azzurri, gli astri in lontananza'. E il vento della notte gira nel cielo e canta. Posso scrivere i versi più tristi stanotte. Io l'ho amata e a volte anche lei mi amava. In notti come questa l'ho tenuta tra le braccia. L'ho baciata tante volte sotto il cielo infinito. Lei mi ha amato e a volte anch'io l'amavo. ... La mia anima non si rassegna d'averla persa. ... È così breve l'amore e così lungo l'oblio. ... E siccome in notti come questa l'ho tenuta tra le braccia, la mia anima non si rassegna d'averla persa. Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa, e questi gli ultimi versi che io le scrivo.” All'improvviso si sentì leggero come mai gli era capitato prima, un albatros, che con un battito d'ali poteva raggiungere l'immensità di quel cielo stellato, dove una gamba zoppa non sarebbe più stato un handicap. Istintivamente chiuse gli occhi, protese le braccia in fuori e spiccò Il cadavere morto
08 maggio 1975
Alle quattro e trenta in punto, lo squillo della sveglia fece rimbombare la camera da letto, come tutte le sante mattine, dacché Pippo Lo Cascio, ex portalettere alle dipendenze dell'ente Poste e Telegrafi, era andato in pensione e, grazie all'amico Santino Lo Bue, si era appassionato alla pesca. E, come tutte le mattine, quel trillo penetrante la signora Elvira, moglie del suddetto Pippo, se lo sentì rimbombare anche nel cervello, svegliandosi di soprassalto. Così, cominciò con la solita litania: - Matri, chi duluri di testa ca mi vinni cu sta cantaru di sveglia! Ma è mai possibile ca in sta malirittisima casa non si pò chiù dormiri?! Ma, si soffri d'insonnia, la sera, pigghiati setti pilloli di sonnifero e, la matina, lassa in paci a chi voli dormiri, o sinnò va curcati nel divano del saloni, accussì nun mi scassi i cabassisi a mia! - Ormai, Pippo ci aveva fatto l'abitudine e non la stava neanche a sentire. Dopo essersi vestito tranquillamente, se ne andò in cucina e mise sul fuoco la caffettiera da sei tazze, che aveva preparato la sera prima. Appena il caffè uscì, se ne bevve una tazzina e versò il rimanente in un capiente termos; poi prese tutta la sua attrezzatura, raggiunse la porta d'ingresso e uscì, lasciando accesa, a dispetto, la luce del corridoio. Così la signora Elvira, alla quale quella luce trafiggeva preciso preciso la pupilla dell'occhio destro, dovette alzarsi, tutta infreddolita, per andare a spegnere. Tornandosene in camera augurò, mentalmente, al marito di poter andare a versare copiosamente il suo sangue da qualche parte. Quindi, s'inginocchiò davanti alla statuetta della Madonna di Lourdes, che teneva sul comodino, e cominciò a recitare le preghiere mattutine: - Maronna biniditta, facitimi sta grazia, facitilu sciddicare supra a qualchi scoglio; facitigli spaccari la testa dura chi avi, oppuru facitilu annegari a mari. Si mi faciti sta grazia, vi addumo un ciro avuto due metri! - Conclusa questa accorata preghiera col segno della croce, la signora Elvira se ne tornò a letto e si rimise a dormire, speranzosa. Mentre la moglie pregava così per lui, Pippo Lo Cascio aveva stipato, nella sua vecchia cinquecento, tutta la roba che si era portato dietro. Sedette al posto di guida, tirò la chiavetta dell'aria, mise in moto e, come ogni mattina, l'auto non partì. - E quannu mai! Ittassi u sangu! - esclamò Pippo. - Prima o poi, ti vado a ghittari in qualche sbalanco! - Ci vollero tre tentavi prima che l'auto, ancor più pesantemente minacciata, si decidesse a partire. Pippo, come al solito, passò a prendere Santino, che altrimenti sarebbe dovuto andare in Vespa perché non aveva macchina e, francamente, non era cosa perché, a quell'ora del mattino, l'aria era ancora bella fresca. Arrivarono alla scogliera che l'alba, verso est, squarciava il velo scuro della notte, rischiarando il mare. Pippo, ogni volta che assisteva allo spettacolo del giorno che sorge, si sentiva allargare il cuore. “Chi ni può capiri quella fimmina ignorante” pensò, riferendosi alla moglie, “della biddizza dell'alba ca spunta ogni giorno supra il mari, vincennu la notti?” E dopo averlo formulato, si meravigliò egli stesso della poeticità di questo pensiero e se lo ripassò tre volte, per non dimenticarsene. Dopo aver parcheggiato, seguito da Santino che, per sdebitarsi del passaggio, si era fatto carico di gran parte dell'attrezzatura, Pippo attraversò l'ampia terrazza sul mare, scavalcò il cancello di protezione, in prossimità del quale era affisso il cartello che diceva ‘Vietato l'accesso a chiunque, ad eccezione degli addetti ai lavori' e cominciò a scendere, cautamente, la ripida scala che portava al largo e piatto scoglio che ormai ritenevano di loro proprietà, per diritto d'uso. Una volta presa posizione, Pippo aprì il termos e versò il caffè caldo per sé e per l'amico; quindi cominciarono a preparare le esche. A un tratto, guardando giù verso il mare, Santino si accorse che, sotto l'ultimo scoglio affiorante dall'acqua, ondeggiava una massa indistinta. Spinto dalla curiosità, guardò meglio ed ebbe l'impressione che si trattasse di un corpo umano. - Pippo - disse, turbato, all'amico, - talè, mi pari ca in mari, sutta i scogli, c'è un cadavero. - - Ma chi è mortu? - chiese Pippo, al quale i cadaveri avevano sempre fatto impressione. - E certo! Si è un cadavero, può essere vivu? - - Chi sacciu! Certe volte, uno che si pigghia uno spavento o si senti mali dici: “ Matria mia, mortu sugnu!” E chi è mortu pi davveru?! Ma tu, proprio sicuru si ca c'è stu cadavere mortu? - - Sicuru sicuru no, ma accussì mi pari. Chi facemu, andiamo a taliare da vicino? - - No, Santì, lo sai ca i morti a mia mi fannu impressione. Futtemunninni! Facemu finta che non abbiamo visto nenti e ci mettiamo a piscari. - - Ma comu futtemunninni, Pippo! E si fussi ancora vivo? E poi, sapennu che ccà sutta ci può essere un cadavero, non mi spercia di pescare. Ci vado io a controllare. Tu aspetta ccà. - Così, Santino scese fino al mare e si protese nell'acqua quanto bastò per constatare che non si era sbagliato. Effettivamente, incastrato sotto gli scogli, c'era il corpo di un uomo. Allora s'inginocchiò, allungò il braccio destro e arrivò a toccarlo. Lo scosse più volte, per vedere se dava segni di vita, ma il corpo era del tutto inerte. - Vero è! - gridò a Pippo, che era rimasto sul suo scoglio a pregare che l'amico si fosse sbagliato. - Un morto c'è! - - E ora chi facemu? - gli chiese Pippo, pallido come un cencio. - Non lo so. Da soli non lo potiamo tirare fora. L'acqua in questo punto è avuta; ci voli aiuto. - - Senti chi facemu, Santì. Ci pigghiamu i canni e tutti l'autri cosi e scappamu, senza dire nenti a nessuno. Tantu, si stu cristianu è mortu, non ha chiù bisogno d'aiuto. - - Ma comu scappamu, Pippo! Col cadavere ci murritiamu; l'abbiamo toccato, l'abbiamo scuotuto. E si qualcuno ci vitti e ce lo conta ai carabinieri, veni il maresciallo, e lo sai che cosa ti può diri? - - No Santì, che mi può' diri? - - Ti può dire: “Perché hai scoperto un cadavero, ci hai murritiato e non hai avvertito la legge?” E tu, a stu puntu, chi ci racconti? Zitto ti stai, oppure ci cunti qualche fissaria e, allura, sai il maresciallo chi ti può dire? - - No Santì, chi mi può dire? - - Ti può dire: “Pippo, dammi l'alibi!” E tu che cosa ci duni? - - E chi sacciu. Io st'alibi non ce l'ho avutu mai, ma chi è? - - Alibi, significa ca devi avere una scusa pronta. - - Aah! Allura ci pozzo dire ca quannu vitti il morto m'impressionai e perciò me ne sono scappato. - - E chistu alibi è?! Si ci dici accussì, lo sai il maresciallo chi ti può dire? - - No Santì, chi mi può diri? - - Ti può dire: “Te ne hai scappato perché sei tu il colpevole! E allura sai chi ti può fari? - - No Santì non lo saccio. E poi pirchì non me le dici subito le cose, inveci di farimi tutti sti domandi, ca mi fai confondere u ciriveddu?! - - Ti può arristari, Pippo. E ti può portari all'Ucciardone. - - Santì, ma pirchì stu maresciallo mi dici e mi fa tutti cosi sulu a mia? Puru tu ci sei ccà! - - Ma chi c'entra! Era pi fari un esempio - - Ah, menu mali! M'avia scantatu; mi pareva ca stu curnutazzu di maresciallu ce l'aveva cu mia. Allura, si non potiamo scappare, senti chi facemu: tu resti ccà a taliari se il morto se ne va, io acchiano, piglio la machina, vado al bar, che già a st'ura avi a essere aperto, e telefono ai carabinieri. - Così, senza neanche finire la frase, Pippo prese a saltare velocemente di scoglio in scoglio per guadagnare la scala, congratulandosi con se stesso per aver trovato la maniera di allontanarsi da quel posto. Nella concitazione del momento, però, abbandonò la prudenza consueta, mise il piede su una chiazza di muschio viscido e cadde, ruzzolando tra gli scogli. Per sua fortuna, la caduta si arrestò presto e Pippo si rialzò, dolorante ma salvo. Non seppe mai quanto la moglie fosse andata vicina a convincersi che la Madonna potesse esaudire anche quel genere di preghiere che lei le aveva rivolto poco prima, solo che le fosse stata promessa adeguata ricompensa. Santino, che aveva assistito preoccupato a tutta la scena, si tranquillizzò dopo aver visto l'amico rialzarsi e riprendere la salita. In quel momento, tuttavia, gli tornarono alla mente le parole di Pippo e si rese conto che non lo convincevano del tutto. - Pippo, ma comu fa il mortu a andarsene? - gridò, guardando in su. - Chi sacciu - gli urlò, a sua volta, Pippo. - Può arrivare un'onda chiù forti ca se lo porta. - - E si capita, io chi fazzu? - - Seguilo e vidi dunni va a finire! - affermò Pippo che, nel frattempo, aveva già raggiunto la strada. - E comu lo seguo a nuoto?! - esclamò Santino. Pippo, però, non lo udì perché aveva già messo in moto ed era partito. Santino rimase, sconsolato, a guardia del cadavere, sperando che l'amico facesse in fretta. In effetti, Pippo tornò dopo una decina di minuti e annunciò che stavano per arrivare i carabinieri. - U mortu c'è sempri? - chiese poi. Santino rispose che non si era mosso per niente. Intanto, il sole cominciava a scaldare, e tutto sembrava meno irreale. Sarebbe stata una bellissima giornata, se quel cadavere in mare non avesse costituito un elemento di disturbo in quel paesaggio da fotografia. |
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Mi chiamo Michele Zoppardo e sono uno scrittore. Sono nato a Palermo, dove ho frequentato studi classici. Commissario della Polizia di Stato in pensione, da oltre quarant'anni vivo in Toscana, in un ridente comune collinare della provincia di Pisa, senza però aver dimenticato le mie origini, tanto che i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia dei miei ricordi di gioventù, odorosa di zagara, gelsomino e fichi d'india. Sono coniugato; ho due figli e quattro nipotine, dai quattro ai dodici anni di età. Da sempre sono un appassionato lettore di romanzi di vario genere. Mi piacciono gli autori classici quali Manzoni, Verga, Pirandello; altri più recenti come Ercole Patti e Ignazio Silone; i contemporanei come Andrea Camilleri, Marcello Simoni, Dan Brown ed altri. In campo letterario, ho esordito nell'anno 2018 con il romanzo “Elisa Maiorano”, primo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, cui hanno fatto seguito i romanzi “Gelsomino rosso sangue” e “Chi uccide a Borghetto?”; tutti pubblicati dalla casa editrice EEE Edizioni tripla E.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Michele Zoppardo : Non c'è stato un momento preciso. Evidentemente, era una passione silente che coltivavo da tempo, senza avere la possibilità di dedicarmici per impegni di lavoro e familiari. Tutto è nato da un'idea balenatami all'improvviso che mi ha tentato, sfidandomi a mettere alla prova la mia capacità di svilupparla e farne una storia finita. Alla fine, sono rimasto soddisfatto per il risultato conseguito e ho incominciato a pensare alla possibilità di pubblicare.
Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Michele Zoppardo: Non un libro in particolare ma il genere “giallo – thriller” di cui sono sempre stato appassionato. I miei romanzi, infatti, sono“gialli” di tipo tradizionale, con trame che ritengo attendibili (spesso quanto accade nella realtà quotidiana appare meno verosimile), con numerosi personaggi dalla psicologia ben definita, con un esito investigativo basato su elementi di prova oggettivi. Non amo, infatti, i gialli in cui la soluzione è demandata alla genialità dell'investigatore di turno che, sulla base di ipotesi non provate o di prove che qualsiasi avvocato difensore sarebbe in grado di smontare in un processo, induce il colpevole a confessare. In questo contesto realistico si viene poi ad inserire una componente straordinaria, non certo preponderante ma sicuramente rilevante, rappresentata dalle facoltà extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente, facoltà che gli consentono di penetrare in una dimensione parallela e di entrare in contatto con le energie vitali che la popolano, attingendo informazioni preziose che vanno però opportunamente decifrate, e di contribuire così alla soluzione degli eventi criminosi e, soprattutto, di fornire al coprotagonista, un commissario di polizia dall'apparenza insignificante ma capace, l'input per la riapertura di casi giudiziari che sembravano ormai definiti. È chiaro che chi volesse trovare in questa componente del romanzo concretezza e credibilità ne rimarrebbe deluso perché i fenomeni extrasensoriali, per loro natura, trascendono l'ordinaria comprensione e non sono spiegabili logicamente né possono avere l'attendibilità degli eventi comuni. Nelle mie storie il realismo della vita comune e l'inverosimiglianza (ma inverosimile non vuol dire non vero) del fantastico sussistono contemporaneamente e si compenetrano. Sarà, comunque, sempre il commissario che arriverà alla soluzione dei casi, grazie al suo acume investigativo, alla sua tenacia e alla modestia che gli fa riconoscere gli errori commessi e indirizzare le indagini per il giusto verso.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Michele Zoppardo: Inizialmente ho esitato alquanto prima di proporre il mio romanzo a un editore perché, data la mia inesperienza nel settore, non sapevo nemmeno che strada percorrere. Mi sono documentato a lungo su Internet, apprendendo che avrei potuto seguire tre strade: rivolgermi a editori a pagamento, provare col self publishing, tentare con editori che dichiarano di pubblicare gratuitamente. Ho optato per quest'ultima soluzione, perché ho considerato che pubblicare a pagamento, a parte la spesa non indifferente, non mi avrebbe dato la giusta valutazione delle mie capacità come scrittore, mentre la via del self publishing mi è sembrata complicata, in quanto richiede conoscenze e competenze che non possedevo. Stabilito a quali editori far riferimento, ho iniziato a inviare il mio romanzo e, da quel momento, ho scoperto un mondo che non conoscevo né sospettavo. Tanti editori che professano la pubblicazione gratuita, mi hanno inviato proposte editoriali, anche dopo due giorni, che prevedevano la pubblicazione a fronte dell'acquisto di 300 o più copie del libro, di cui era stato stabilito un prezzo di copertina pari a 13/15 euro; la pubblicazione gratuita mi sarebbe, quindi, costata migliaia di euro. Altre case editrici non mi hanno degnato di una risposta, dopo mesi di attesa e di speranza, quando sarebbe così semplice e così corretto inviare un breve messaggio di tre parole: “non siamo interessati”. Infine, mi sono imbattuto nella Casa editrice EEE Edizioni Esordienti, poi divenuta EEE Edizioni Tripla E. Ho seguito i video pubblicati dalla titolare, Piera Rossotti, e sono rimasto favorevolmente impressionato dalla sua cultura, competenza e passione per il suo lavoro. Così ho inviato il mio primo romanzo e, dopo qualche mese, ho ricevuto una e-mail con preziosi consigli per migliorare la mia opera. Li ho seguiti e il romanzo è stato pubblicato. A questa prima pubblicazione, hanno poi fatto seguito altre due e spero che altre ve ne saranno.
Writer Officina: Quali sono le peculiarità dei tuoi romanzi?
Michele Zoppardo: Di una caratteristica, cioè dell'inserimento nel giallo del paranormale, ho già parlato. Un'altra peculiarità è l'uso del dialetto siciliano nei dialoghi. Penso, infatti, che sia da tutti condivisibile l'opinione che è l'ambiente in cui si vive che, in gran parte, forma l'uomo (e naturalmente, anche la donna); pertanto, nel momento in cui mi sono accinto a scrivere il mio primo romanzo, mi sono detto che, se questo è vero, ogni personaggio, per essere credibile, deve essere necessariamente calato nel suo ambiente. Di conseguenza, mi sono chiesto se sia attendibile un personaggio, nato e cresciuto in un quartiere popolare di Palermo (lo stesso vale per Napoli, Bari, Roma, Milano, etc.) che si esprime in perfetto italiano come un accademico della Crusca e mi sono risposto di no. A quel punto, mi sono sorti mille dubbi sul da farsi. Scrivere il romanzo in dialetto, sulla scia di Andrea Camilleri che, in questo senso, ha aperto la strada? Ma Camilleri ha avuto la fortuna di far arrivare i suoi romanzi al grande pubblico grazie alla televisione, non accessibile a tutti. I lettori, avrebbero gradito il romanzo di un autore sconosciuto, scritto interamente in dialetto? Probabilmente no; sarebbero partiti già prevenuti, pensando ai problemi di comprensibilità. Allora, affiancare alla stesura dialettale una traduzione? Forse, sarebbe stata letta solo quest'ultima, penalizzando la prima. Ho deciso, infine, di narrare l'intero romanzo in italiano, riservando il dialetto, peraltro il più possibile “italianizzato” per renderlo comprensibile, ai soli dialoghi, allo scopo di salvaguardare la genuinità, l'efficacia e, in taluni casi, la comicità di espressioni caratteristiche, che andrebbero perse se rese in lingua. Altra specificità è la trattazione, sia pure sullo sfondo, di argomenti che, anche se i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia degli anni '70, sono di viva attualità, quali il femminicidio come estrema conseguenza di un amore malato, capace non solo di distruggere l'oggetto di questo falso amore ma anche di nuocere ad altri e, addirittura, di autodistruggersi; il buonismo ipocrita della società dei nostri giorni (ivi compreso il sistema giudiziario e l'apparato mediatico) che spesso sa compatire e persino giustificare gli autori di odiosi atti criminali mentre non ha pietà per le loro vittime che rimangono segnate, nel fisico e, ancor più perché a vita, nella psiche; la dipendenza dal gioco d'azzardo, considerata oggi una vera e propria malattia mentale assimilabile alla dipendenza dalla droga, capace di annientare la volontà di chi ne è affetto, di fargli perdere la dignità, di renderlo schiavo non solo del vizio ma anche di chi ci lucra su come gli strozzini, e di indurlo, per ottenere il denaro che gli necessita in quantità sempre maggiore, a comportamenti criminosi come il furto, la truffa e persino l'omicidio; la brama di successo di tanti giovani che, influenzati e condizionati dai messaggi e dai modelli che provengono dai mezzi di comunicazione di massa, vorrebbero ottenere tutto e subito, senza sforzo, bruciando le tappe, disposti a valicare il confine tra lecito e illecito, perdendo di vista i veri valori, vita compresa.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Michele Zoppardo : Si suole dire che l'ultimo è sempre il romanzo a cui uno scrittore è più affezionato. A conferma di ciò, penso di avere un debole per il mio ultimo romanzo pubblicato “Chi uccide a Borghetto? Anche questo è ambientato nella Sicilia degli anni '70. Il commissario Sanfilippo, coprotagonista dei miei romanzi, si trova ad affrontare inquietanti interrogativi: chi e perché ha ucciso il dottor Calabrese, conosciuto e stimato da tutti? Chi e perché, a distanza di pochi giorni, ha massacrato Giacoma Favaloro, una donna di ottanta anni, scorbutica, litigiosa, mal sopportata dai compaesani, nessuno dei quali, però, aveva motivo di ucciderla? Perché i coniugi Calacibetta si sono tolti la vita nel garage della propria abitazione, adiacente a quella in cui abitava l'anziana donna? C'è un nesso tra questi eventi, accaduti a Borghetto, una frazione del comune immaginario di Castelnormanno, finora “tranquilla come s'immagina che debba essere un cimitero di notte”, dove sembrano essersi scatenate le potenze infernali, o si tratta di casualità? Che ruolo ha nella vicenda Luca Meozzi, un vagabondo psicolabile che asserisce di non essere responsabile delle sue azioni perché una non meglio specificata “lei” controllerebbe la sua mente e gli ordinerebbe di compiere determinati atti, come colpire a martellate le auto in sosta? Sanfilippo saprà dipanare l'intricata matassa e arrivare a scoprirne il bandolo, grazie al suo acume investigativo, a fortunate coincidenze e all'aiuto delle percezioni extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Michele Zoppardo : Scrivo d'istinto. Non sono io che cerco la storia ma lei che viene da me; mi assale, mi entra nelle vene e m'invade la mente come una pianta infestante, assorbendo ogni pensiero e costringendomi a curarmi solo di lei. Così, divento i personaggi del romanzo, vivo le loro vicende, le loro passioni, le loro paure, i loro dolori. Mi sono chiesto perché sento il bisogno di scrivere romanzi gialli anziché di altro genere e ho trovato la risposta: per il desiderio di una realtà diversa da quella che è; cioè, di una realtà dove i colpevoli vengano scoperti e puniti adeguatamente, dove le vittime possano trovare giustizia e, in definitiva, dove il bene possa avere la meglio sul male.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Michele Zoppardo : Ho quasi ultimato un altro romanzo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, che ha come titolo provvisorio “La mattanza di Castelnormanno”, dove la mattanza non riguarda, purtroppo, tonni ma persone. Una storia “forte”, di crimini violenti e fragilità, di grandi amori traditi e falsità, in cui il commissario Sanfilippo si troverà alle prese con un avversario astuto e spietato. Gli altri protagonisti sono gli stessi dei precedenti romanzi: l'investigatore privato Tony Valente, dotato di capacità extrasensoriali; la sua socia-segretaria-fidanzata Serafina; il divertente avvocato Guarneri. Anche in questo, come nei precendi romanzi, molte sono le figure di contorno con ruoli più o meno importanti.
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