Writer Officina
Autore: Michele Zoppardo
Titolo: La mattanza di Castelnormanno
Genere Giallo Paranormale
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La mattanza di Castelnormanno
Investigazioni ordinarie e straordinarie.

Il commissario Gerolamo Sanfilippo, dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Castelnormanno, in provincia di Palermo, sognava di essere un ranocchio, pur avendo coscienza di sé. Se ne stava solo e triste su una ninfea, aspettando invano una principessa che venisse a baciarlo trasformandolo in un bellissimo giovane, quando una rana, di cui non s'era accorto, dopo aver spiccato un gran salto atterrò accanto a lui e lì si fermò a prendere il sole. Non era la principessa che aspettava, ma il ranocchio non poté fare a meno di sbirciarla, muovendo in qua e in là i suoi occhi globosi. Lei aveva un corpo slanciato, la pelle liscia e di un bel colore verde brillante, zampe lunghe, atletiche e dita elegantemente palmate. Il ranocchio dovette ammettere che era proprio bella. Dimenticò la sua tristezza, la principessa, il desiderio di trasformarsi in uomo e, gonfiando enormemente la pelle sotto il mento, emise il suo richiamo d'amore. La rana inaspettatamente gli rispose con un melodioso gracidio. Il ranocchio timidamente le si accostò fino a sfiorarla. Lei non si ritrasse, anzi, gli si mise davanti e gracidò con ancora più ardore, invitandolo inequivocabilmente all'accoppiamento. Allora, lui l'afferrò delicatamente ma saldamente con le sue zampe anteriori e...
In quel momento squillò il telefono e Sanfilippo ebbe netta la sensazione che fosse accaduto un evento che gli avrebbe rovinato non solo il sogno ma anche la giornata e ne ebbe la conferma quando il centralinista del Commissariato gli annunciò che era stata commessa una carneficina in un appartamento di via Caltabellotta.

Una ventina di minuti dopo, Sanfilippo procedeva alla volta della via segnalata, a bordo di una Giulietta del Commissariato guidata dalla guardia scelta Damiano. Il sogno fatto era svanito, ma le emozioni che esso aveva suscitato in lui permanevano vive e lo indussero a commentare: - Vedi Damiano, noi uomini siamo degli imbecilli - .
- Però, pure le femmine quando si ci mettono, commissà. Pigghiasse a mia moglie per esempio... -
- Damiano, quando dico uomini, intendo genere umano, di cui fanno parte tanto gli uomini quanto le donne. E, dicevo, siamo imbecilli perché cerchiamo la felicità nell'impossibile, quando invece la potremmo trovare a portata di mano. Tu hai mai saputo di una principessa che bacia un rospo? -
- Nelle favole succede - rispose Damiano, chiedendosi dove volesse andare a parare Sanfilippo con questi discorsi di rospi e principesse, a quell'ora del mattino.
- Bravo! Nelle favole. Ma nella realtà? La maggioranza di noi, caro Damiano, rane siamo e perciò le rane dobbiamo andare a cercare, no le principesse, perché con le prime possiamo avere delle chances, mentre le seconde ci schiferanno sempre. E poi, a pensarci bene, è più probabile trovare doti e sentimento in una rana che in una principessa, magari viziata e volubile. -
- Io le vado a cercare le rane; quando è tempo però - rispose Damiano che non aveva capito nulla dell'allusivo discorso del commissario. - A me, fritte, mi piaciono assai. Se vuole, quando ci vado, ce lo dico e ci andiamo insieme. -
Sanfilippo, in quel momento, ebbe chiaro come non mai il vero significato delle espressioni “parlare al vento” e “parlare con i sordi” e giudicò saggio tacere piuttosto che spiegare il senso reale del suo discorso e che rane e principesse altro non erano che metafore; tanto più che erano arrivati sul posto e presto si sarebbero trovati a far i conti con una realtà ben più grave di quella riguardante anfibi e nobili fanciulle.
I due, salendo le scale, notarono sui gradini il sangue ormai calpestato da più piedi e le impronte strusciate sulle pareti. Si diressero verso il terzo piano, dove si affollava un capannello di gente vociante. Sanfilippo si qualificò e fu sommerso da un'ondata di frasi concitate delle quali riuscì ad afferrare solo qualche parola: “una tragedia”... “coltellate”... “tutti morti”... “Assuntina”... “tutti in pericolo semu!” e a capire che l'appartamento in cui il fatto era accaduto era quello abitato dalla famiglia Mancuso. Per fortuna, in quel mentre giunsero il maresciallo Giannuzzi e il brigadiere Ferretti, che il commissario aveva fatto allertare.
- Sgombrate tutti! - ordinò con tono perentorio Giannuzzi. - Chi c'è uno spettacolo? Chi semu a teatro? Trasìti tutti nelle vostre case, tranne chi ha qualche cosa di importante da riferire! -
I condomini, pur brontolando, ubbidirono. Rimasero sul pianerottolo Rosaria e Ligresti.
- Giannuzzi, lei interroghi queste due persone. Tu, Ferretti, avverti il questore e il procuratore e chiedi l'immediato intervento di personale della Scientifica. Io vado dentro con Damiano - dispose Sanfilippo.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, anche per un poliziotto trovarsi davanti il corpo di una persona assassinata non è cosa che lascia indifferenti; trovarsene davanti tre, nello stesso luogo, morti ammazzati in modo così cruento, fu scioccante.
- Commissà, minchia chi macellu! ‘Na tunnara pari! - esclamò Damiano con un filo di voce.
Sanfilippo considerò che la similitudine non poteva essere più azzeccata.
Quell'appartamento sembrava davvero quella che in una tonnara viene chiamata “la camera grande”, dove i tonni vengono spinti e ammassati prima della “mattanza”, senza che abbiano alcuna possibilità di fuga, così come non ne avevano avuta quei poveretti che ora giacevano là, sgozzati come tonni trafitti dagli arpioni. Oltretutto, chi li aveva uccisi non aveva neanche corso il rischio di vedersi spezzare la schiena da un colpo di coda dei pesci impazziti di terrore, così come accade ai “tonnaroti”, perché le sue vittime non dovevano avere avuto tempo e modo di opporre una resistenza, anche solo per cercare di fuggire.
I due rimasero per lunghi momenti senza parole e senza pensieri, fissando la scena e scambiandosi sguardi sbigottiti, chiedendosi se si trattasse di realtà o finzione, come quella costruita ad arte in uno dei film di Dario Argento, considerato il maestro italiano dell'horror.
Il tanfo pungente rendeva l'aria irrespirabile. Sanfilippo pensò che in quel caso parlare di carneficina non era un'esagerazione.
Il commissario si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli con accanimento. Era un gesto che soleva fare quando aveva bisogno di riflettere; questa volta gli servì per cancellare temporaneamente la vista di quell'orrore giacché, miope com'era, senza gli occhiali diventava cieco.
Dopo lunghi momenti, che avrebbe voluto non finissero mai, Sanfilippo s'impose di tornare lucido e razionale perché, per fare ciò che il suo mestiere richiedeva, l'emotività non sarebbe servita a nulla. Inforcò nuovamente gli occhiali e cominciò a esaminare attentamente la scena, inquadrandola come se si trovasse dietro ad una telecamera. Nel corridoio, il corpo di un uomo, trascinato là dopo essere stato accoltellato e sgozzato nell'ingresso; le strie di sangue formatesi testimoniavano il trascinamento. Nella stanza da pranzo, il corpo di una donna piegato sulla tavola e, vicino a questa, quello di un uomo che Sanfilippo riconobbe come Vito Vinciguerra, il titolare di un negozio di abbigliamento di Palermo dove, qualche mese addietro, aveva acquistato un abito da cerimonia per il matrimonio di un suo nipote. Il commissario ricordò che, in quell'occasione, si era creata tra loro una certa confidenza e don Vito gli aveva confidato che pagava “il pizzo” alla mafia, come del resto tutti i commercianti del centro di Palermo e che, quando gli aveva consigliato di denunciare il fatto ai colleghi della Questura:
- Commissario, ma chi fa babbìa? Ma lei Siciliano è? - gli aveva risposto Vinciguerra. - Quando io pago la protezione alla mafia, sono sicuro che nessuno fa del male a me e manco al mio negozio. Nemmeno un graffio o una scritta sulla saracinesca ci trovo mai; mancu una sputazza per terra là vicino. Se mi metto contro “gli amici” e chiedo protezione allo Stato, posso essere sicuro che il mio destino è segnato; lo Stato - lo sa macari lei ma non lo può ammettere - non è in grado di proteggermi e un giorno o l'altro mi ritrovo una bella bomba sotto il culo e saltiamo per aria io e il mio negozio pure. No, commissario; se permette, la pelle è mia e io ci tengo, perché questa sola ho e ci sono affezionato - .
E ora, eccola là quella pelle, buttata per terra, martoriata da una ferocia che con ogni probabilità non era mafiosa, sporca di sangue.
“A volte passi la vita ad aver paura dei lupi e poi magari ti uccide un calcio del tuo asino” pensò Sanfilippo. “Che schifezza di mestiere che facciamo!” si disse poi. “Dobbiamo mantenerci freddi e razionali come macchine, pure quando vorremmo piangere di compassione o gridare di rabbia. Forza Gerò, scordati che sei un uomo e continua a ispezionare con occhio spassionato, procedendo dal “generale” al “particolare”, come ti hanno insegnato.”
Ed eccolo il particolare interessante, neanche troppo nascosto. Stava lì, per metà infilato sotto a una credenza. Sanfilippo si piegò sulle gambe: era un coltello a scatto, con la lama e il manico sporchi di sangue. Dopo averlo osservato a lungo, il commissario giudicò opportuno non toccarlo, lasciando il compito di raccoglierlo e catalogarlo ai colleghi specialisti.
- Ma che è l'arma del delitto? - chiese Damiano.
- Beh; dato che comunemente non si usa un coltello a scatto per tagliare il pane o sbucciare una mela e che la lama è sporca di sangue, direi che ci sono buone probabilità che lo sia - rispose il commissario.
Damiano avrebbe voluto mordersi la lingua per punirla della sciocchezza di cui si era fatta portavoce.
- Voi due chi siete? - stava chiedendo, intanto, il maresciallo Giannuzzi alle due persone trattenutesi nel pianerottolo.
- Io Rosaria Badalamenti sono; la portiera - rispose la donna seduta, pallida come un cencio, che si sventolava con una rivista sentendosi ancora mancare l'aria. - Io attruvavi il morto! Chi scantu ca mi pigghiavi! Mi tremano ancora le gambe. C'era scuro, non lo vitti e ci sono caduta di supra. Per poco tutta a facci mi stava spaccannu. -
- Io Gaetano Ligresti, sono; abito al primo piano e quando ho sentito le voci di Rosaria, mi precipitai e seppi che Salvatore era stato ammazzato. Poi, quando abbiamo chiamato la moglie e la figlia e non ci rispondevano, entrai per vedere se c'era qualche ferito che poteva avere bisogno d'aiuto e vitti quel vivamaria e, marescià, non dico per dire, pareva proprio che avevano macellato delle bestie. Meno male che Assuntina, la figlia dei Mancuso, non c'era. -
- E quando è entrato ha toccato niente? - chiese Giannuzzi.
- Niente toccai, maresciallo. Per quanto possibile cercai pure di evitare di calpestare il sangue, ma cosa difficile era; assai ce n'era e da tutte le parti. -
In quel momento, Sanfilippo tornò sul pianerottolo e Giannuzzi gli riferì ciò che aveva appreso dai due testimoni, compreso il fatto che alla mattanza sembrava essersi sottratta la figlia dei Mancuso.
- La vitti nesciri ieri a sira, verso le sette, e quando chiuìvi la portineria, alle otto precise, non era ancora tornata - precisò Rosaria.
- E dove andava? - chiese Giannuzzi.
- Miiiih! Macari lei si ci metti marescià! Ma che minchia ne pozzo sapere io - rispose Rosaria, infastidita dal fatto che tutti pensavano che una portiera dovesse conoscere i fatti di ogni abitante del palazzo.
- Ma non è la portiera lei? - insistette Giannuzzi.
- E che vuol dire? Non è ca picchì sono la portiera ogni condomino ca nesci mi viene a contare dove va e dove non va. Chi sugnu il patre confessore? Può essere ca andava dalla nonna, picchì ultimamente ci va spesso e si ferma a dòrmire da lei. -
- E, per caso, lo sa come si chiama questa nonna e dove abita? - chiese ancora il maresciallo.
- Amelia Sciacchitano si chiama e abita a Ponticello, in via Pitrè. -
- A che numero? -
- Marescià, ma chi voli sapiri pure il piano, l'interno e quante stanze ci su nell'appartamento? Il nummaro non lo so. -
- Signora - intervenne Sanfilippo, - ci racconta come ha scoperto il cadavere? -
Rosaria raccontò per filo e per segno il perché e il per come aveva rinvenuto il corpo di Salvatore Mancuso. Ligresti confermò che il cadavere della donna da lui visto nella stanza da pranzo era quello di Giovanna Mancuso.
- E hanno ammazzato pure Vito Vinciguerra - confidò Sanfilippo a Giannuzzi.
- Ma cui? Quello dei vestiti di lusso? -
- Proprio lui. -
- E che ci faceva qua? -
- È quello che dobbiamo scoprire ma, prima di ogni altra cosa, dobbiamo accertare che fine ha fatto la figlia dei Mancuso e, subito dopo, dove abita la sorella di Vinciguerra; era vedovo e di parenti, a quanto ne so, solo a lei aveva. -
- Commissà,‘un è pi intromettermi, ma io a don Vito u vitti arrivari aeri a sira, mentri stavo chiuennu u purtuni. Era tutto eleganti e profumatu e avìa in manu due guantiere grosse, ca facìanu un ciavuru di fari arrisuscitari un mortu. Penso ca in casa Mancuso avìanu qualchi cosa da festeggiare. -
Michele Zoppardo
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Michele Zoppardo
Mi chiamo Michele Zoppardo e sono uno scrittore. Sono nato a Palermo, dove ho frequentato studi classici. Commissario della Polizia di Stato in pensione, da oltre quarant'anni vivo in Toscana, in un ridente comune collinare della provincia di Pisa, senza però aver dimenticato le mie origini, tanto che i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia dei miei ricordi di gioventù, odorosa di zagara, gelsomino e fichi d'india. Sono coniugato; ho due figli e quattro nipotine, dai quattro ai dodici anni di età. Da sempre sono un appassionato lettore di romanzi di vario genere. Mi piacciono gli autori classici quali Manzoni, Verga, Pirandello; altri più recenti come Ercole Patti e Ignazio Silone; i contemporanei come Andrea Camilleri, Marcello Simoni, Dan Brown ed altri.
In campo letterario, ho esordito nell'anno 2018 con il romanzo “Elisa Maiorano”, primo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, cui hanno fatto seguito i romanzi “Gelsomino rosso sangue” e “Chi uccide a Borghetto?”; tutti pubblicati dalla casa editrice EEE Edizioni tripla E.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Michele Zoppardo : Non c'è stato un momento preciso. Evidentemente, era una passione silente che coltivavo da tempo, senza avere la possibilità di dedicarmici per impegni di lavoro e familiari. Tutto è nato da un'idea balenatami all'improvviso che mi ha tentato, sfidandomi a mettere alla prova la mia capacità di svilupparla e farne una storia finita. Alla fine, sono rimasto soddisfatto per il risultato conseguito e ho incominciato a pensare alla possibilità di pubblicare.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Michele Zoppardo: Non un libro in particolare ma il genere “giallo – thriller” di cui sono sempre stato appassionato. I miei romanzi, infatti, sono“gialli” di tipo tradizionale, con trame che ritengo attendibili (spesso quanto accade nella realtà quotidiana appare meno verosimile), con numerosi personaggi dalla psicologia ben definita, con un esito investigativo basato su elementi di prova oggettivi. Non amo, infatti, i gialli in cui la soluzione è demandata alla genialità dell'investigatore di turno che, sulla base di ipotesi non provate o di prove che qualsiasi avvocato difensore sarebbe in grado di smontare in un processo, induce il colpevole a confessare.
In questo contesto realistico si viene poi ad inserire una componente straordinaria, non certo preponderante ma sicuramente rilevante, rappresentata dalle facoltà extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente, facoltà che gli consentono di penetrare in una dimensione parallela e di entrare in contatto con le energie vitali che la popolano, attingendo informazioni preziose che vanno però opportunamente decifrate, e di contribuire così alla soluzione degli eventi criminosi e, soprattutto, di fornire al coprotagonista, un commissario di polizia dall'apparenza insignificante ma capace, l'input per la riapertura di casi giudiziari che sembravano ormai definiti. È chiaro che chi volesse trovare in questa componente del romanzo concretezza e credibilità ne rimarrebbe deluso perché i fenomeni extrasensoriali, per loro natura, trascendono l'ordinaria comprensione e non sono spiegabili logicamente né possono avere l'attendibilità degli eventi comuni. Nelle mie storie il realismo della vita comune e l'inverosimiglianza (ma inverosimile non vuol dire non vero) del fantastico sussistono contemporaneamente e si compenetrano. Sarà, comunque, sempre il commissario che arriverà alla soluzione dei casi, grazie al suo acume investigativo, alla sua tenacia e alla modestia che gli fa riconoscere gli errori commessi e indirizzare le indagini per il giusto verso.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Michele Zoppardo: Inizialmente ho esitato alquanto prima di proporre il mio romanzo a un editore perché, data la mia inesperienza nel settore, non sapevo nemmeno che strada percorrere. Mi sono documentato a lungo su Internet, apprendendo che avrei potuto seguire tre strade: rivolgermi a editori a pagamento, provare col self publishing, tentare con editori che dichiarano di pubblicare gratuitamente. Ho optato per quest'ultima soluzione, perché ho considerato che pubblicare a pagamento, a parte la spesa non indifferente, non mi avrebbe dato la giusta valutazione delle mie capacità come scrittore, mentre la via del self publishing mi è sembrata complicata, in quanto richiede conoscenze e competenze che non possedevo. Stabilito a quali editori far riferimento, ho iniziato a inviare il mio romanzo e, da quel momento, ho scoperto un mondo che non conoscevo né sospettavo. Tanti editori che professano la pubblicazione gratuita, mi hanno inviato proposte editoriali, anche dopo due giorni, che prevedevano la pubblicazione a fronte dell'acquisto di 300 o più copie del libro, di cui era stato stabilito un prezzo di copertina pari a 13/15 euro; la pubblicazione gratuita mi sarebbe, quindi, costata migliaia di euro. Altre case editrici non mi hanno degnato di una risposta, dopo mesi di attesa e di speranza, quando sarebbe così semplice e così corretto inviare un breve messaggio di tre parole: “non siamo interessati”. Infine, mi sono imbattuto nella Casa editrice EEE Edizioni Esordienti, poi divenuta EEE Edizioni Tripla E. Ho seguito i video pubblicati dalla titolare, Piera Rossotti, e sono rimasto favorevolmente impressionato dalla sua cultura, competenza e passione per il suo lavoro. Così ho inviato il mio primo romanzo e, dopo qualche mese, ho ricevuto una e-mail con preziosi consigli per migliorare la mia opera. Li ho seguiti e il romanzo è stato pubblicato. A questa prima pubblicazione, hanno poi fatto seguito altre due e spero che altre ve ne saranno.

Writer Officina: Quali sono le peculiarità dei tuoi romanzi?

Michele Zoppardo: Di una caratteristica, cioè dell'inserimento nel giallo del paranormale, ho già parlato. Un'altra peculiarità è l'uso del dialetto siciliano nei dialoghi. Penso, infatti, che sia da tutti condivisibile l'opinione che è l'ambiente in cui si vive che, in gran parte, forma l'uomo (e naturalmente, anche la donna); pertanto, nel momento in cui mi sono accinto a scrivere il mio primo romanzo, mi sono detto che, se questo è vero, ogni personaggio, per essere credibile, deve essere necessariamente calato nel suo ambiente. Di conseguenza, mi sono chiesto se sia attendibile un personaggio, nato e cresciuto in un quartiere popolare di Palermo (lo stesso vale per Napoli, Bari, Roma, Milano, etc.) che si esprime in perfetto italiano come un accademico della Crusca e mi sono risposto di no. A quel punto, mi sono sorti mille dubbi sul da farsi. Scrivere il romanzo in dialetto, sulla scia di Andrea Camilleri che, in questo senso, ha aperto la strada? Ma Camilleri ha avuto la fortuna di far arrivare i suoi romanzi al grande pubblico grazie alla televisione, non accessibile a tutti. I lettori, avrebbero gradito il romanzo di un autore sconosciuto, scritto interamente in dialetto? Probabilmente no; sarebbero partiti già prevenuti, pensando ai problemi di comprensibilità. Allora, affiancare alla stesura dialettale una traduzione? Forse, sarebbe stata letta solo quest'ultima, penalizzando la prima. Ho deciso, infine, di narrare l'intero romanzo in italiano, riservando il dialetto, peraltro il più possibile “italianizzato” per renderlo comprensibile, ai soli dialoghi, allo scopo di salvaguardare la genuinità, l'efficacia e, in taluni casi, la comicità di espressioni caratteristiche, che andrebbero perse se rese in lingua.
Altra specificità è la trattazione, sia pure sullo sfondo, di argomenti che, anche se i miei romanzi sono ambientati nella Sicilia degli anni '70, sono di viva attualità, quali il femminicidio come estrema conseguenza di un amore malato, capace non solo di distruggere l'oggetto di questo falso amore ma anche di nuocere ad altri e, addirittura, di autodistruggersi; il buonismo ipocrita della società dei nostri giorni (ivi compreso il sistema giudiziario e l'apparato mediatico) che spesso sa compatire e persino giustificare gli autori di odiosi atti criminali mentre non ha pietà per le loro vittime che rimangono segnate, nel fisico e, ancor più perché a vita, nella psiche; la dipendenza dal gioco d'azzardo, considerata oggi una vera e propria malattia mentale assimilabile alla dipendenza dalla droga, capace di annientare la volontà di chi ne è affetto, di fargli perdere la dignità, di renderlo schiavo non solo del vizio ma anche di chi ci lucra su come gli strozzini, e di indurlo, per ottenere il denaro che gli necessita in quantità sempre maggiore, a comportamenti criminosi come il furto, la truffa e persino l'omicidio; la brama di successo di tanti giovani che, influenzati e condizionati dai messaggi e dai modelli che provengono dai mezzi di comunicazione di massa, vorrebbero ottenere tutto e subito, senza sforzo, bruciando le tappe, disposti a valicare il confine tra lecito e illecito, perdendo di vista i veri valori, vita compresa.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Michele Zoppardo : Si suole dire che l'ultimo è sempre il romanzo a cui uno scrittore è più affezionato. A conferma di ciò, penso di avere un debole per il mio ultimo romanzo pubblicato “Chi uccide a Borghetto? Anche questo è ambientato nella Sicilia degli anni '70. Il commissario Sanfilippo, coprotagonista dei miei romanzi, si trova ad affrontare inquietanti interrogativi: chi e perché ha ucciso il dottor Calabrese, conosciuto e stimato da tutti? Chi e perché, a distanza di pochi giorni, ha massacrato Giacoma Favaloro, una donna di ottanta anni, scorbutica, litigiosa, mal sopportata dai compaesani, nessuno dei quali, però, aveva motivo di ucciderla? Perché i coniugi Calacibetta si sono tolti la vita nel garage della propria abitazione, adiacente a quella in cui abitava l'anziana donna? C'è un nesso tra questi eventi, accaduti a Borghetto, una frazione del comune immaginario di Castelnormanno, finora “tranquilla come s'immagina che debba essere un cimitero di notte”, dove sembrano essersi scatenate le potenze infernali, o si tratta di casualità? Che ruolo ha nella vicenda Luca Meozzi, un vagabondo psicolabile che asserisce di non essere responsabile delle sue azioni perché una non meglio specificata “lei” controllerebbe la sua mente e gli ordinerebbe di compiere determinati atti, come colpire a martellate le auto in sosta? Sanfilippo saprà dipanare l'intricata matassa e arrivare a scoprirne il bandolo, grazie al suo acume investigativo, a fortunate coincidenze e all'aiuto delle percezioni extrasensoriali dell'investigatore privato Tony Valente.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Michele Zoppardo : Scrivo d'istinto. Non sono io che cerco la storia ma lei che viene da me; mi assale, mi entra nelle vene e m'invade la mente come una pianta infestante, assorbendo ogni pensiero e costringendomi a curarmi solo di lei. Così, divento i personaggi del romanzo, vivo le loro vicende, le loro passioni, le loro paure, i loro dolori. Mi sono chiesto perché sento il bisogno di scrivere romanzi gialli anziché di altro genere e ho trovato la risposta: per il desiderio di una realtà diversa da quella che è; cioè, di una realtà dove i colpevoli vengano scoperti e puniti adeguatamente, dove le vittime possano trovare giustizia e, in definitiva, dove il bene possa avere la meglio sul male.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Michele Zoppardo : Ho quasi ultimato un altro romanzo della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, che ha come titolo provvisorio “La mattanza di Castelnormanno”, dove la mattanza non riguarda, purtroppo, tonni ma persone. Una storia “forte”, di crimini violenti e fragilità, di grandi amori traditi e falsità, in cui il commissario Sanfilippo si troverà alle prese con un avversario astuto e spietato. Gli altri protagonisti sono gli stessi dei precedenti romanzi: l'investigatore privato Tony Valente, dotato di capacità extrasensoriali; la sua socia-segretaria-fidanzata Serafina; il divertente avvocato Guarneri. Anche in questo, come nei precendi romanzi, molte sono le figure di contorno con ruoli più o meno importanti.
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