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Scienza controllata
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Presagio di disgrazie. La Prima Sacerdotessa lo sentì non appena il corriere le consegnò il pacco. Firmò in fretta la ricevuta, e l'uomo, ignaro ambasciatore di future tragedie che ella si prodigò a nascondere dietro un cordiale sorriso, si accomiatò. Gli sbuffi di vapore del motore dell'auto del corriere che ripartiva coprirono lo scricchiolio della carta del pacco che veniva aperto. Sembrava che il mittente avesse voluto deliberatamente tenerla in sospeso fino all'ultimo con tutta quella ceralacca, ma lei accettò la prassi riguardante i documenti segreti. Finalmente, il contenuto della missiva si mostrò nella temuta forma di una bobina videomemoria. Cercò di scacciare pensieri negativi mentre accendeva l'apparecchio cinematico riproduttore. Poteva benissimo trattarsi della memorizzazione di qualche nuova straordinaria scoperta. Ma il chiodo fisso di sciagure prossime venture le pungeva la testa. A volte, certe prerogative extrasensoriali erano una maledizione. Una lieve invidia nei riguardi di altre donne "normali" la prese. Vita spensierata, l'amore, un uomo prima o poi, casa, famiglia. Niente voti ad alcuna dea, niente segreti da nascondere al mondo. Mise daccanto la parte umana e rientrò nei ranghi di massima autorità di quell'ordine millenario mentre il tubo catodico si accendeva. Inserì la pellicola nella macchina e schiacciò il bottone. La didascalia indicava la data di due giorni prima, 7 maggio 1860. Poi arrivarono le immagini col sonoro. Come aveva temuto, niente festosi scienziati pronti a dimostrare l'efficienza di qualche nuova macchina partorita dai laboratori segreti: lo schermo esibiva fuoco, fiamme, muri divelti, portantini e barelle. Riconobbe con angoscia il laboratorio del professor Corrado Petri. Cercò di mantenere la dignità e il distacco che la sua posizione richiedeva; era votata alla dea Atena, protettrice della scienza. I ricercatori erano esposti al rischio, soldati del progresso. Ogni caduto era un eroe per il bene dell'umanità. Ma Petri era una figura carismatica, un'esempio, un'icona. Per lei era un'immagine paterna. L'affetto che lei nutriva per quell'ometto mite dal carattere di ferro era pari alla dedizione alla dea. Petri era la scienza incarnata in un uomo. Le lacrime le scesero come cascate ancora prima che la conferma dei suoi timori sfilasse allo schermo, su una barella, il corpo ridotto a resti carbonizzati e sanguinanti, ma il volto, come per miracolo, intatto. Ripreso in primo piano e al rallentatore, il viso scarno di Petri sembrava pervaso da una pace interna, come quello di un eroe caduto per una causa per cui valeva morire. Gli occhi erano aperti e fissavano un punto non ben definito. Il cranio era spaccato dalla violenza dell'esplosione e il volto, come una maschera, aveva la pelle tirata. L'anima pietosa che l'aveva messo in quella posizione meno macabra possibile, non aveva potuto chiudergli gli occhi per non correre il rischio che l'unica parte di lui cadesse come un pallone sgonfiato. Ringraziò la dea come se a lei fosse spettato il merito del piccolo miracolo che aveva salvato almeno il volto di Petri. Se non altro non sarebbe stato un milite ignoto. E neppure solo in quella tragedia: la barella col cadavere del fedele assistente seguì quella di Petri. Il corpo atletico di Carlo Poli era intatto, senza alcuna visibile frattura, ma la pelle era piena di ustioni. Il volto poi era tutta una vescica. Il calore dell'esplosione doveva essere stato altissimo. Soltanto pochi minuti dopo, al concetto di "sciagura", si inserì, subdolo, quello di "attentato". Non era il sesto senso che le parlava, bensì la logica che non lasciava nulla al caso. Aveva visto tanti danni causati da esplosioni di macchine a vapore. Le porte cadevano, ma le pareti solevano resistere. Il laboratorio di Petri era invece un uno stato pietoso, con mattoni sparsi tutt'intorno. Troppe fiamme. L'umidità del vapore soleva spegnere gli incendi, e si usavano materiali non infiammabili. Anche le condizioni dei cadaveri erano sospette. Associò il macabro spettacolo a videomemorie dell'ultima guerra con le macerie delle case bombardate. La rabbia l'assalì. Minuto per minuto, l'idea che quell'uomo che lei aveva ammirato fosse vittima di un ordigno, e che la sua morte non causata da un incidente bensì un assassinio, si fece avanti inesorabile. Indossò in fretta la tunica candida dell'Ordine, uscì dalla camera. Premette un bottone, e la campana del chiostro chiamò le altre pretesse. Cinque minuti dopo, un bianco corteo entrava solennemente nel tempio di Santa Sofia, adiacente al chiostro e consacrato alla dea protettrice della Scienza. La Prima Sacerdotessa esortò le accolite a inginocchiarsi davanti alla statua di Atena, che recava in ciascuna mano rappresentazioni in marmo delle antiche macchine a vapore create dall'ingegno greco nell'antichità e riscoperte da quello italico nel Rinascimento: l'architronito di Archimede e l'eolopila di Erone. Un attimo dopo, con una breve ma chiara concione, informò le consorelle della tragedia che aveva colpito il mondo della scienza e della ricerca, omettendo i suoi sospetti. Venne intonato il tradizionale canto. Mentre il coro si disperdeva per la basilica, la Prima Sacerdotessa venne ripresa dal tremendo presentimento che quello fosse soltanto il preludio a più gravi sciagure che ben presto avrebbero sconvolto il mondo.
L'aeronave da battaglia Bucintoro era un'enorme lettera H argentea in lega metallica leggera e resistente. I due cilindri paralleli che si appuntivano a ogiva a prua potevano essere sostenuti in cielo da dieci rotori ciascuno. Una spessa sezione trasversale collegava gli enormi missili: un'ala unica con funzione di piattaforma di decollo per gli otteri in superficie e sotto, al primo livello, come rimessa dei velivoli. Il ponte di comando era situato al secondo. Galleggiava pigra, come un cigno in perenne riposo al largo di Malta, a salvaguardia della pace che da più di un decennio regnava nel mondo. Nella sua cabina, il capitano Giovanni Balestra stava leggendo un libro, quando il televideocomunicatore segnalò una chiamata. Seccato per quel'inopportuna interruzione della sua meritata pausa alla monotonia delle incombenze di un militare in tempo di pace, premette il pulsante. Lo schermo si accese. La snella immagine del doge troneggiava ora nella cabina. Prima di chiedersi la ragione dell'onore della visita a distanza di Sua Eccellenza, Balestra intuì subito dall'espressione grave del volto che le vacanze al sole erano finite. La prima domanda che il capitano si pose fu se la Santa Alleanza avesse di nuovo aperto le ostilità. Si mise sull'attenti e ascoltò le parole del capo della Serenissima Unione delle Repubbliche d'Italia. – Buongiorno, capitano. – Eccellenza – rispose Balestra. – Riposo – ribattè il doge, seguitando. – Non mi dilungherò, vi mostrerò soltanto una videopellicola pervenutami stamattina, ma basterà per farvi capire la situazione. L'aeronave da battaglia Bucintoro era un'enorme lettera H argentea in lega metallica leggera e resistente. I due cilindri paralleli che si appuntivano a ogiva a prua potevano essere sostenuti in cielo da dieci rotori ciascuno. Una spessa sezione trasversale collegava gli enormi missili: un'ala unica con funzione di piattaforma di decollo per gli otteri in superficie e sotto, al primo livello, come rimessa dei velivoli. Il ponte di comando era situato al secondo. Galleggiava pigra, come un cigno in perenne riposo al largo di Malta, a salvaguardia della pace che da più di un decennio regnava nel mondo. Nella sua cabina, il capitano Giovanni Balestra stava leggendo un libro, quando il televideocomunicatore segnalò una chiamata. Seccato per quel'inopportuna interruzione della sua meritata pausa alla monotonia delle incombenze di un militare in tempo di pace, premette il pulsante. Lo schermo si accese. La snella immagine del doge troneggiava ora nella cabina. Prima di chiedersi la ragione dell'onore della visita a distanza di Sua Eccellenza, Balestra intuì subito dall'espressione grave del volto che le vacanze al sole erano finite. La prima domanda che il capitano si pose fu se la Santa Alleanza avesse di nuovo aperto le ostilità. Si mise sull'attenti e ascoltò le parole del capo della Serenissima Unione delle Repubbliche d'Italia. – Buongiorno, capitano. – Eccellenza – rispose Balestra. – Riposo – ribattè il doge, seguitando. – Non mi dilungherò, vi mostrerò soltanto una videopellicola pervenutami stamattina, ma basterà per farvi capire la situazione. |
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Mi chiamo Paolo Ninzatti, sono nato nel 1950 a Milano. Ho frequentato il Liceo Scientifico e ho ottenuto la Maturità nel 1968. Dopo un anno al Politecnico di Milano preferii dedicarmi a studi più umanistici che tecnici e mi iscrissi alla Facoltà di Scienze Politiche presso l'Università Statale. Lì conobbi molti musicisti e sperimentai musica in diversi gruppi. Poi cominciai a viaggiare con diverse orchestre all'estero, fino ad arrivare in Scandinavia dove tutt'ora vivo da ormai più di quarant'anni. Sono stato sposato due volte. Il figlio con la prima moglie mi ha dato due nipoti, una femmina e un maschio. Dopo diversi anni come pedagogista presso una scuola e musicista al fine settimana, adesso sono in pensione, che arrotondo insegnando italiano alle serali. Amo l'insegnamento e per me è una soddisfazione vedere gli allievi progredire nell'imparare la nostra lingua madre. Per uno che nella vita quotidiana parla esclusivamente danese, è un'evasione potersi esprimere nella propria lingua madre sia come insegnante che come scrittore.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Paolo Ninzatti: La passione per la letteratura c'è sempre stata. Fin da bambino leggevo molto. Salgari e Verne erano i preferiti. Anche la passione per creare storie esisteva fin dall'infanzia. Disegnavo storie su una lavagnetta, figure stilizzate non degne di essere considerate disegni, uova di Pasqua con gambe e braccia. Ma le storie scorrevano nella mia testa.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Paolo Ninzatti: Non uno ma tanti. Divoravo gli Urania Mondadori. Ero affascinato a tutti i rami della fantascienza, ma specialmente quello degli universi paralleli e la storia alternata mi appassionava. Scrissi la mia prima bozza ancora prima che quel genere fosse etichettato con il termine Ucronia.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Paolo Ninzatti: Sì, e come molti esordienti ebbi un bel rifiuto con critiche negative ma costruttive delle quali feci tesoro prima di rimettermi in campo.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Paolo Ninzatti: Sinceramente non ci ho fatto mai un pensiero. Quello che invece ritengo sia un'opportunità per uno scrittore emergente è quella di proporsi a una Casa Editrice seria che valuti l'opera e con consigli costruttivi e un editor competente, corregga, aggiunga o tolga rifinendola e migliorandola al massimo.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Paolo Ninzatti: Senza dubbio ”Il Volo del Leone”, il mio primo romanzo pubblicato che è anche pilota di una trilogia di cui fanno parte ”Le ali del serpente” e ”Il Sole all'orizzonte”. Si tratta di ucronia e si svolge in un Rinascimento alternativo dove le invenzioni di Leonardo da Vinci vengono prodotte a livello semiindustriale con le conseguenze di un progresso che porta la Repubblica di Venezia a unificare l'Italia e diventare una Grande Potenza capace di competere con Francia e Spagna.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Paolo Ninzatti: Scrivo d'istinto. Talvolta parto dal finale o da un episodio centrale. Spesso l'incipit arriva per ultimo. Ho una regola generale: l'incipit è la parte più importante della storia. Anche se lo scrivo come ultima fase, la curo al massimo, leggendo e rileggendo e lasciando sedimentare anche per giorni.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Paolo Ninzatti: Dopo le prime pubblicazioni fantascientifiche o ucroniche, ho cercato di spaziare in altri generi. Il thriller mi affascina, in ogni suo aspetto. In ogni caso cerco sempre di narrare avventure. Il Salgari dentro me mi fa creare personaggi sempre in situazioni rischiose. Sia che si trovino su navi volanti leonardesche, che a bordo di sommergibili durante la Prima Guerra Mondiale nel nostro continuum storico, come in ”Missione Medea”. I miei personaggi sono spesso antieroi, con punti deboli, con macchie e paura, ma che trovano il coraggio di superarli. E cerco di rendere gli antagonisti non troppo cattivi, ma più umani.
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