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Operazione Drago
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Somalia Francese. Luglio 1906 Un attimo prima regnava incontrastato il silenzio della savana, rotto soltanto da i canti degli uccelli. Poi la natura tacque d'un colpo come se avesse avuto paura. Un'effimera quiete prima del tuono. Non il tuono di un temporale, bensì qualcosa di persistente, assillante e soprattutto crescente. La terra cominciò a tremare ancora prima che una decina di mostri metallici facesse mostra di sé da dietro l'erba alta. Avanzarono su cingoli mentre al possente rombo dei motori si aggiungeva quello metallico degli ingranaggi. I legionari erano già disposti sugli spalti del forte, i fucili puntati, mentre da ambo le torrette le mitragliatrici erano già pronte a vomitare fuoco. Le fortezze semoventi esibivano cannoncini posizionati accanto alle mitraglie. Ma quei mostri non ne avrebbero avuto bisogno; sarebbero stati in grado di abbattere il portone dell'obsoleto fortilizio sfondandolo come un ariete. Volendo, avrebbero potuto demolirlo sfilando fianco a fianco. I proiettili avrebbero fatto loro soltanto solletico. Non ci sarebbe stato nulla di disonorevole nell'alzare la bandiera bianca, ma la decisione spettava al colonnello. Pur in quel fronte secondario e dimenticato da Dio, l'onore della Legione Straniera era in ballo, più di quello della Francia. Unico francese nel raggio di chissà quanti chilometri, il colonnello sembrava pensarla più da legionario che da patriota. Cosa aspetta quel cretino a dare l'ordine di arrendersi? pensò Pearl sbirciando dalla feritoia. Il colonnello ordinò di aprire il fuoco. Una gragnuola di proiettili si abbatté sulle fortezze semoventi provocando un tintinnio che sembrava una risata di quei mostri mentre, invulnerabili e inesorabili, persistevano nell'avanzata. Accidenti agli uomini, ai soldati, ma non capiscono quando è ora di finirla? Persistè a pensare Pearl, maledicendo i compagni di sventura e di letto, la guerra, e la propria missione. Soltanto quando il fuoco cessò e fucilieri e mitraglieri si accinsero a ricaricare, i carri si fermarono. Uno dei cannoncini aprì il fuoco e un attimo dopo il portone rovinò. Dalla feritoia Pearl assisté a tutta la tragedia; si aspettò che i carri si disponessero ora in fila indiana per entrare in parata nel forte, come ballerine del Moulin Rouge. Ma l'unica cosa che accade fu una voce che in francese stentato, evidentemente da un megafono, ordinò: – Legionari, la Francia si è arresa stamattina alle Potenze dell'Alleanza: avete tempo fino a domani alle dieci esatte del mattino cessare le ostilità. Vi riserveremo l'onore delle armi. Tacque. Dopodiché i carri fecero retromarcia, ritirandosi. Pearl aguzzò la vista. Seguì le mosse nemiche mentre il sole tramontava. Non vide né tende né accampamenti. I carri vennero disposti in cerchio, come una fortezza improvvisata. Venne piazzata un'asta e alzata una bandiera: un tricolore quasi simile a quello francese, con il verde al posto del blu e un'araldica nel campo bianco. Il colonnello squadrò i soldati, tutti sull'attenti nel cortile del forte – Legionari di Francia! – declamò, – a quanto pare la guerra seria è arrivata fin qui. Per ora di inglese e italiano avevamo soltanto assaggiato i loro ascari, ma ora gli italiani stanno improvvisamente facendo i duri barricati dietro quelle scatole di sardine, gareggiando ad arraffare più possibile di questo lembo di Francia nel Corno d'Africa ora che la nostra patria è stata costretta alla resa. Tutto è perduto fuorché l'onore, affermò il Re Francesco I. Non sono quindi qui a promettervi una vittoria, vista la situazione: siamo pronti a difendere l'unica cosa che ci è rimasta: lo spirito di corpo. Ricordatevi di Vercingetorige, Siagrio e Jean D'Arc! Tre eroici condottieri che resistettero fino all'ultimo contro i romani, i germani, e gli inglesi. E oggi che le orde dei loro discendenti hanno invaso la nostra Patria, che i posteri non dicano che la Legione Straniera si sia arresa senza combattere. Tacque assumendo un'espressione drammatica. igrignò i denti resi marrone da anni di fumo di tabacco e concluse. – Ma noi resisteremo fino all'ultimo uomo. Vive la France! Era notte. Pearl non riusciva a dormire. Un rumore interruppe i pensieri. Si alzò dalla branda e sbirciò dalla finestra. Un'ombra stava salendo la scala che portava agli spalti del forte. Pearl seguì la figura in silenzio. Aguzzò la vista e notò che l'uomo indossava un baraccano di stile beduino. Non capiva come mai gli italiani si arrischiassero a intrufolare una spia alla vigilia di una sicura vittoria. E soprattutto come quell'uomo fosse riuscito a entrare senza farsi notare, ora che evidentemente si accingeva a uscire di nuovo. La porta abbattuta era stata barricata alla belle e meglio e due sentinelle vegliavano sul buio della savana. L'uomo doveva essere penetrato dalla parte opposta. Cosa aveva sottratto? Cosa aveva scoperto? L'uomo estrasse una corda e la legò a uno spalto. Mentre si accingeva a scavalcare il muro verso la notte africana, Pearl agì: corse veloce lungo gli spalti, e prima che quello avesse avuto il tempo di calarsi, gli puntò la pistola alla tempia, illuminandolo con la torcia. – E adesso vediamo il tuo brutto muso, sporca spia! Ciò detto, scoprì la testa dello sconosciuto. Gli occhi la guardarono con l'espressione del ladro scoperto in flagrante. Gli strappò di dosso il travestimento. Lafronde indossava ancora l'uniforme che aveva appena disonorato. Appeso alle spalle, uno zaino pieno zeppo sembrava la gobba di uno storpio. Mentre la mano armata teneva a bada il colonnello, con l'altra aprì il fardello. In un attimo capì come mai il fuggitivo avesse potuto muoversi così spedito nonostante il bagaglio appresso: carta in forma di banconote non era tanto pesante. Il bastardo doveva avere svuotato la cassaforte. Un fottuto ladro. Un attimo dopo si domandò per quale ragione in un forte dimenticato da Dio si trovasse tanto denaro quanto in una banca di Marsiglia. L'odore di complotti e spionaggio si rifece avanti non appena diede un'occhiata alle banconote. Non erano franchi francesi, bensì dollari americani! Tutti ben legati assieme in banconote da cento. – Ho una voglia matta di consegnare la refurtiva, o meglio, la prova di chissà quali intrighi internazionali, agli italiani. I loro servizi segreti si faranno venire il mal di testa per sapere come mai l'esercito francese riceva sovvenzioni da un paese neutrale. – Mon perle, a parte il gingillo che tieni in mano non hai autorità in materia. Se mi spari adesso, ti sarà difficile convincere quei soldatacci che tu NON sia un'assassina prezzolata agente inglese o italiana. Posso spiegarti tutto ora. – Sentiamo, colonnello – accentuò con disprezzo il grado disonorato dall'altro. – Era mio compito reclutare i legionari di origine americana. – Quale onore! Peccato che abbiate cincischiato fino alla resa. Il tono di voce palesava disperazione e le parole che seguirono puzzavano di malcelata menzogna. A una professionista come lei non la faceva, quella spia da quattro soldi! – Operazione Amleto, pianificata dagli States. Di più non so. Una nave russa della Flotta del Baltico avrebbe dovuto prelevarci al largo di Gibuti. Come vedete, niente tradimenti o diserzioni, ma sempre al servizio dell'Intesa. – Volete darmi da bere che lo Zio Sam avrebbe sganciato tutti quei dollari per spedirci a Vladivostock a bordo di quei bidoni gallegianti? Colonnello, non ho il cervello tra le gambe, se è quello che credete! – Purtroppo è arrivato un contrordine. Rozestsvensky non ha voluto rischiare di incappare negli inglesi e ha proseguito la spedizione. – Moriranno come leoni combattendo contro gli italiani anziché da mici affogati colati a picco dai giapponesi. – Sei una disfattista, mon perle, non hai molta fiducia nei nostri alleati. – Certo che ne avete di coraggio, mon colonel. Sono io con l'arma in mano e voi insistete a tirare in ballo retoriche obsolete. Non discuto il coraggio dei marinai dello zar, ma quella flotta da museo, comandata da quell'incompetente ammiraglio da tavolino sta navigando in bocca alle più moderne navi di Togo, sempre che gli inglesi non li becchino sulla lunga via del Sol Levante. – Non appena Rozestsvensky raggiungerà Vladivostok, Togo farà marcia indietro. – Ma certo, il novello Nelson di tutte le Russie, il terrore dei pescatori inglesi nella Manica, farà adesso tremare l'Impero del Sol Levante. I barcaioli di Hokinawa se ne staranno nei porti perché l'Invincibile Armada dello Zar sta arrivando. Tawai tawai e banzai! E intanto i legionari di Francia che ci avrebbero fatto a Vladivostok? Cosa centrano gli americani? |
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Mi chiamo Paolo Ninzatti, sono nato nel 1950 a Milano. Ho frequentato il Liceo Scientifico e ho ottenuto la Maturità nel 1968. Dopo un anno al Politecnico di Milano preferii dedicarmi a studi più umanistici che tecnici e mi iscrissi alla Facoltà di Scienze Politiche presso l'Università Statale. Lì conobbi molti musicisti e sperimentai musica in diversi gruppi. Poi cominciai a viaggiare con diverse orchestre all'estero, fino ad arrivare in Scandinavia dove tutt'ora vivo da ormai più di quarant'anni. Sono stato sposato due volte. Il figlio con la prima moglie mi ha dato due nipoti, una femmina e un maschio. Dopo diversi anni come pedagogista presso una scuola e musicista al fine settimana, adesso sono in pensione, che arrotondo insegnando italiano alle serali. Amo l'insegnamento e per me è una soddisfazione vedere gli allievi progredire nell'imparare la nostra lingua madre. Per uno che nella vita quotidiana parla esclusivamente danese, è un'evasione potersi esprimere nella propria lingua madre sia come insegnante che come scrittore.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Paolo Ninzatti: La passione per la letteratura c'è sempre stata. Fin da bambino leggevo molto. Salgari e Verne erano i preferiti. Anche la passione per creare storie esisteva fin dall'infanzia. Disegnavo storie su una lavagnetta, figure stilizzate non degne di essere considerate disegni, uova di Pasqua con gambe e braccia. Ma le storie scorrevano nella mia testa.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Paolo Ninzatti: Non uno ma tanti. Divoravo gli Urania Mondadori. Ero affascinato a tutti i rami della fantascienza, ma specialmente quello degli universi paralleli e la storia alternata mi appassionava. Scrissi la mia prima bozza ancora prima che quel genere fosse etichettato con il termine Ucronia.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Paolo Ninzatti: Sì, e come molti esordienti ebbi un bel rifiuto con critiche negative ma costruttive delle quali feci tesoro prima di rimettermi in campo.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Paolo Ninzatti: Sinceramente non ci ho fatto mai un pensiero. Quello che invece ritengo sia un'opportunità per uno scrittore emergente è quella di proporsi a una Casa Editrice seria che valuti l'opera e con consigli costruttivi e un editor competente, corregga, aggiunga o tolga rifinendola e migliorandola al massimo.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Paolo Ninzatti: Senza dubbio ”Il Volo del Leone”, il mio primo romanzo pubblicato che è anche pilota di una trilogia di cui fanno parte ”Le ali del serpente” e ”Il Sole all'orizzonte”. Si tratta di ucronia e si svolge in un Rinascimento alternativo dove le invenzioni di Leonardo da Vinci vengono prodotte a livello semiindustriale con le conseguenze di un progresso che porta la Repubblica di Venezia a unificare l'Italia e diventare una Grande Potenza capace di competere con Francia e Spagna.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Paolo Ninzatti: Scrivo d'istinto. Talvolta parto dal finale o da un episodio centrale. Spesso l'incipit arriva per ultimo. Ho una regola generale: l'incipit è la parte più importante della storia. Anche se lo scrivo come ultima fase, la curo al massimo, leggendo e rileggendo e lasciando sedimentare anche per giorni.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Paolo Ninzatti: Dopo le prime pubblicazioni fantascientifiche o ucroniche, ho cercato di spaziare in altri generi. Il thriller mi affascina, in ogni suo aspetto. In ogni caso cerco sempre di narrare avventure. Il Salgari dentro me mi fa creare personaggi sempre in situazioni rischiose. Sia che si trovino su navi volanti leonardesche, che a bordo di sommergibili durante la Prima Guerra Mondiale nel nostro continuum storico, come in ”Missione Medea”. I miei personaggi sono spesso antieroi, con punti deboli, con macchie e paura, ma che trovano il coraggio di superarli. E cerco di rendere gli antagonisti non troppo cattivi, ma più umani.
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