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La clessidra rovesciata
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Il vagabondo.
Armando Lorenzoni camminava nervosamente avanti e indietro. Dopo qualche istante interrompeva il suo movimento e gettava uno sguardo verso la palazzina, sollevava il megafono per dire qualcosa, infine rinunciava, abbassava il braccio e riprendeva il suo movimento. “Brigadie'...” “Cosa Giorge', cosa! È mai possibile che non si può stare quieti con te?” L'appuntato Giorgetti deglutì, fu tentato di infilare il cellulare in gola a Lorenzoni ma si limitò a dire “la vogliono dalla caserma.” Lorenzoni sospirò, guardò il cielo e afferrò il telefonino, poi rivolse uno sguardo pietoso al suo sottoposto con cui sembrava invocare il suo perdono. Giorgetti accennò un sorriso complice, lasciando intendere che gli era passata. Si conoscevano da anni, ormai sapeva come prendere il suo superiore, conosceva la volubilità dei suoi sentimenti e aveva adeguato le sue reazioni a quella nevrotica imprevedibilità. Giorgetti passava dal risentimento e rancore alla stima nel giro di pochi secondi, in base all'input esterno che gli giungeva dal suo superiore. La rabbia era sfumata lasciando il posto a un sentimento di comprensione per ciò che stava vivendo Lorenzoni. Tutto sommato non avrebbe mai voluto trovarsi al suo posto, sapeva che erano momenti difficili, carichi di tensione, e si sentì in colpa per non aver capito prima ed essersi lasciato andare al risentimento. “Qui Lorenzoni” disse al telefono. “Facciamo notte, brigadiere?” tuonò il comandante Tagliaferri all'altro capo del telefono. “Abbiamo gli occhi di tutta Italia puntati addosso, che figura ci facciamo? Vi volete muovere a intervenire?” “Comandante, se devo essere onesto me ne sbatto della televisione, i giornali, la stampa e tutto il resto. Sto cercando di fare bene il mio lavoro e l'esigenza del momento richiede prudenza. Se le troupe televisive scalpitano per riprendere un blitz in tempo reale non è un mio problema. Non siamo su un set televisivo.” Dal cielo grigio, ornato di macchie nerastre di nubi che promettevano pioggia, iniziarono a cadere pesanti gocce d'acqua che causarono il fuggi fuggi generale dei presenti alle sue spalle. I cameramen si attrezzarono per coprire con tessuti impermeabili le loro cineprese, i cronisti aprirono i loro ombrelli con cui coprire prima i taccuini, ben più importanti, e poi gli indumenti. Gli unici a rimanere impassibili furono le teste di cuoio, i membri del GIS, il gruppo intervento speciale dell'arma dei carabinieri. Rimasero schierati davanti alle camionette che li avevano trasportati fin lì, in attesa dell'ordine di agire e procedere con l'incursione nel palazzo. I volti erano coperti dai passamontagna, sotto alle braccia stringevano i mitra, dalla loro posa lasciava intuire la loro tensione e la volontà d'acciaio. Il loro comandante si fece avanti per recarsi a colloquio col Lorenzoni. “Cosa si aspetta, brigadiere?” Lorenzoni osservò la maschera umida che celava occhi di ghiaccio, incapaci di trasmettere paura, ansia o spasmodica attesa. Da essi traspariva solo una ferrea determinazione e una quieta sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità. Voleva agire sulla base di quella forza interiore che gli faceva quasi credere di poter prevedere il futuro, di stabilire che sarebbe andato tutto liscio, perché loro erano forti, invincibili, e sapevano ciò che facevano. Era impossibile che gli avvenimenti si discostassero dal loro piano perché erano i migliori, i più forti ed efficaci in questo campo. Tutto questo glielo leggeva nello sguardo, nella voce e nella postura, fiera e battagliera. “Comandante, le chiedo di pazientare. Non mi sento sicuro, se qualcosa andasse storto qualcuno potrebbe rimetterci.” “Brigadiere, mi perdoni, non voglio insegnarle il suo lavoro ma secondo me le sue preoccupazioni non hanno alcun fondamento. L' edificio è stato evacuato ed è circondato, non ci sono rischi di danni alla popolazione civile, il Betti è un topo in trappola. Perché aspettare ancora?” “Il Betti ha minacciato di far saltare in aria l'edificio” intervenne Giorgetti, a difendere l'operato del suo superiore. “Ha aperto tutte le valvole del gas, se provassimo a entrare farebbe saltare tutto in aria...” “Appuntato! Come osa intromettersi in una discussione tra superiori? Stia al suo posto!” urlò il comandante dei GIS. Giorgetti accettò la sfida e non abbassò lo sguardo, finché Lorenzoni allungò il braccio davanti al suo petto, come a volerlo proteggere dalle invettive del comandante. “Perdoni il mio sottoposto per la sua impulsività ma quello che dice ha una logica. Il Betti minaccia di farsi esplodere e noi che facciamo? Ignoriamo del tutto i suoi appelli o proviamo a mediare?” “Brigadiere Lorenzoni, abbiamo avuto conferma che il gas è stato tolto a tutta la struttura. Perché tutto questo timore?” “Perché ho una bombola a mia disposizione.” Una voce gracchiante, facendosi spazio in mezzo allo scroscio della pioggia, giunse fino a loro. “Era collegata a una stufa, se mi accorgo che state cercando di fare irruzione apro la valvola e la faccio scoppiare. Magari non sarà sufficiente a far esplodere l'intero edificio ma almeno non mi avrete. State sicuri che mi faccio saltare in aria piuttosto che finire nelle vostre mani.” Lorenzoni avanzò verso il citofono, il comandante cercò di trattenerlo per un braccio ma riuscì a districarsi e a liberarsi dalla presa. “Stammi a sentire, Betti. Io sto provando a salvarti la vita ma devi aiutarmi. Arrenditi, è nel tuo interesse. Sei rimasto solo nel palazzo, non hai scampo. Ci sono centinaia di uomini qui fuori a presidiare ogni via d' uscita, non puoi fuggire. Fai la scelta giusta, esci fuori con le mani in alto e facciamola finita.” “Non posso, brigadiere.” “Rischi grosso, lo sai? Alle mie spalle c' è un reparto di uomini armati fino ai denti che non aspettano altro che un cenno per entrare e farti il culo. Sei sicuro che ne valga la pena?” “Non posso” ripeté. “Non posso farmi arrestare.” “Non voglio dirti bugie, Betti. Ne hai combinate di cotte e di crude, sei ricercato in mezzo mondo e probabilmente finirai i tuoi giorni in gattabuia. Ma in galera si può ancora trovare un senso, conosco persone che si sono date da fare, hanno trovato una passione mentre erano dentro, l'hanno coltivata e sono riusciti a fare cose inimmaginabili. Conosci la storia di quell'ergastolano che in prigione ha scoperto la sua passione per il teatro ed è riuscito a recitare come protagonista nel film di uno dei più importanti registi italiani?” Seguì una pausa di alcuni istanti durante la quale Lorenzoni sperò di aver fatto centro. L'aspetto più importante durante una negoziazione è non fare false promesse quando la controparte sa che non potranno essere soddisfatte. Meglio tenere una linea realistica, alimentando speranze concrete. Un sospiro, uscendo dal citofono, preannunciò che le cose stavano per risolversi al meglio, ma la cinica risata che seguì fece ricredere Lorenzoni. “Brigadiere lei è troppo forte. Se non fossimo su barricate opposte mi sarebbe piaciuto esserle amico. Dico sul serio, mi sembra sincero, dalla sua voce emerge un senso di profonda umanità. Sarebbe stato bello conoscerla in un'altra situazione, magari in un'altra vita. In questo contesto, purtroppo, devo deluderla e ribadirle che non mi arrenderò. In cella non ci posso tornare, là mi attende una morte lenta e dolorosa. Meglio finirla qua.” Il comandante dei GIS poggiò una mano sulla spalla del Lorenzoni, il quale trasalì. “Venga con me.” Lorenzoni fu accompagnato all'interno della camionetta del commando che ospitava un piccolo ufficio con tanto di monitor, telefono, scrivania e videocamere. Uno degli schermi proiettava l'immagine di un uomo in giacca e cravatta dallo sguardo arcigno. “Sono il sovrintendente del ministero degli Interni. Devo comunicarle la decisione presa dal ministro, dettata dall'urgenza del momento, di sollevarla dal comando. Il terrorista Giuseppe Betti, soprannominato il vagabondo, va fermato, vivo o morto. Questa è la nostra priorità. Visti i suoi tentennamenti ci vediamo costretti ad affidare il comando totale delle operazioni al responsabile del nucleo dei GIS, nome in codice Zero. Le disposizioni hanno valenza fin da ora. Lei e i suoi uomini potete rientrare in caserma. Cordiali saluti.” “Aspetti!” urlò Lorenzoni, mentre l'immagine diveniva sempre più sfocata. Una serie di bande grigie aveva iniziato a tagliare lo schermo in orizzontale, fino a far sparire del tutto la sagoma del soprintendente. “Sentito, signorine? Forza che si balla!” urlò il comandante Zero ai suoi uomini. “Comandante!” gridò di rimando Lorenzoni, nello sforzo di raggiungerlo. “Quell'uomo non scherza. È disperato, ha sentito cosa ha detto?” “Ha una bombola del gas, e allora? Nella peggiore delle ipotesi, se non riusciamo a neutralizzarlo prima, farà qualche danno allo stabile e lui finirà in mille pezzi. Non vedo dove sia il problema. Crede davvero che mi preoccupi per la vita di un terrorista?” “Non pensa ai suoi uomini? Se l'esplosione investisse anche qualcuno di loro?” “Coraggio, damigelle. Ognuno di voi indossi lo scudo protettivo” disse il comandante ai suoi sottoposti che imbracciarono dei grossi scudi rettangolari, simili a quelli delle falangi romane, ma fatti in plexiglass. Aveva smesso di piovere e un timido sole iniziava a proiettare i suoi raggi lungo le pareti della palazzina. “Betti, è la tua ultima possibilità. Arrenditi” urlò Lorenzoni mentre le teste di cuoio dei GIS lo sorpassavano ed entravano dal portone. “Brigadiere, le chiedo un favore. Legga il mio ultimo libro. Lo sa che mentre ero in esilio ho scritto e pubblicato diversi libri? Ho anche avuto un discreto successo in Francia, Germania e in vari paesi del Sudamerica ma in Italia ero solo uno sporco delinquente... come si dice? Nessuno è profeta in patria.” L'altoparlante del citofono rimandava già il rumore dei colpi sulla porta d'ingresso dell'appartamento dove si nascondeva Giuseppe Betti, il vagabondo. Mancava poco tempo. “Contatti Arsenio Siani, la persona che mi ha insegnato a scrivere. Lì c'è la mia storia. La stavo scrivendo anche per l'Italia, ma non ho potuto terminarla. Fatelo voi. Portate a termine ciò che avevo iniziato.” “Betti, aspetta. Perché non lo finisci tu? In galera avrai tempo per scrivere e concludere la tua opera.” “Nessuno me lo pubblicherebbe. Da latitante potevo provare a contattare qualche casa editrice usando uno pseudonimo ma in galera non mi sarebbe possibile. Gliel'ho detto, brigadiere. Io in carcere non ci torno.” “E come faccio a finire quello che hai iniziato? Qual è l'inizio? Dove lo trovo?” “Ho appena mandato ad Arsenio la bozza del romanzo via mail dal cellulare. È praticamente terminato, va solo aggiustato e c'è da aggiungere la storia vera che ha ispirato quella scrittura. Lo contatti. È un insegnante di scrittura creativa.” “Sì sì, so chi è quella testa di cazzo. Ho già avuto a che fare con lui qualche tempo fa” disse Lorenzoni, sperando di guadagnare tempo raccontandogli un aneddoto del loro incontro. Poi udì un rumore sordo provenire dall'androne del palazzo, come se fosse caduto qualcosa di estremamente grande e pesante. Il boato uscì amplificato dall'altoparlante del citofono, il quale infine si zittì. Poi dal portone emersero delle urla terribili, come dall'apertura della bocca dell'inferno. Infine, rumore di spari e un altro urlo, stavolta fermo e potente, come se qualcuno intimasse un ordine. Dopo qualche minuto dalla penombra dell'androne emerse la sagoma del comandante Zero che teneva in spalla uno dei suoi uomini, privo di sensi. “Chiamate un'ambulanza!” strillò.
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Mi chiamo Arsenio Siani, ho 38 anni e sono originario di Salerno, ma vivo da anni in Toscana. Ho conseguito una laurea in giurisprudenza, poi, nel momento in cui dovevo decidere cosa fare della mia vita, ho iniziato ad avere paura della prospettiva di una vita da impiegato, così ho mollato tutto e ho cercato la mia strada. Ho intrapreso dei percorsi di crescita personale che mi hanno avvicinato al buddismo, poi al counseling. Un nuovo percorso di studi ha fatto crescere in me l'amore per tutto ciò che fa maturare una nuova consapevolezza, che consente di maturare e migliorare se stessi. In questo, la scrittura si è rivelato uno strumento eccellente. Scrivere per me significa dare forma alle mie emozioni, tramutare in storia pensieri, sensazioni ed emozioni che vengono fissati su un supporto anziché svanire nel nulla.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Arsenio Siani: Fin da bambino ho sempre amato visceralmente la letteratura. Non ricordo molto della mia infanzia. Se potessi riassumerla in una diapositiva potrebbe essere questa: un bambino chiuso in una stanza a contemplare il soffitto, immerso nei suoi pensieri. Non ricordo eventi particolari che abbiano lasciato segni nel corso della mia esistenza. Tutto ciò che so è che amavo leggere e scrivere. Leggevo e scrivevo, scrivevo e leggevo. Appartenevo alla specie dei sognatori, quella sparuta minoranza che crede che la magia della vita sia racchiusa in un libro, tra le pieghe delle pagine. Leggevo di tutto, dai fumetti ai romanzi. Il primo libro in assoluto che lessi fu “Canto di Natale” di Charles Dickens. Seguirono le storie di Italo Calvino, Jules Verne e i racconti di Edgar Allan Poe.
Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Arsenio Siani: Il libro che mi ha folgorato, che mi ha fatto desiderare più di ogni altro di diventare uno scrittore, è stato “delitto e castigo” di Dostoevskij. Ha dei personaggi odiosi, egoisti, cattivi, violenti. Eppure l'autore riesce a farti affezionare a loro, mostrando la loro umanità con cui fa emergere la compassione nei loro confronti. Considero Dostoevskij il più grande romanziere di tutti i tempi e credo che debba essere il modello d'ispirazione per qualunque scrittore nella realizzazione dei propri romanzi. Se riuscissi a scrivere qualcosa che avesse un centesimo della potenza delle sue opere, potrei ritenermi soddisfatto.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Arsenio Siani: L'ho proposto a svariate case editrici, alcune non hanno nemmeno risposto, altre lo hanno fatto per comunicarmi che il manoscritto non gli interessava. Non ho mollato e infine ho trovato due case editrici che hanno manifestato il loro interesse. Dopo averci pensato ho firmato con “Officine editoriali”, che ha pubblicato il mio primo romanzo, “Roba degli altri mondi.”
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Arsenio Siani: Ho pubblicato libri sia con case editrici che autopubblicati e devo ammettere che le soddisfazioni maggiori, finora, in termine di vendite, le ho avute con questa seconda modalità. Uno dei miei libri, un manuale di scrittura creativa pubblicato con KDP, ha venduto migliaia di copie, sia in cartaceo che in ebook, è stato per mesi al primo posto nella classifica dei manuali più venduti sulla piattaforma, diventando un vero e proprio bestseller. Credo che in futuro incentiverò l'autopubblicazione, la lascerò soltanto se dovessi avere una proposta editoriale da una grossa casa editrice. Pubblicare con realtà che appartengono alla microeditoria non conviene molto se si punta a uscire dal circuito di amici e parenti.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Arsenio Siani: Sono molto legato al mio ultimo libro, “i diari fasciocomunisti”, pubblicato da ALA, associazione liberi autori, un giallo politico molto particolare, che molti lettori hanno definito “spiazzante”. La premessa del libro è rappresentata dal ritrovamento di due diari, uno fascista e uno comunista, entrambi collegati a omicidi negli ambienti estremisti di destra e sinistra. Da lì partono le indagini e la vicenda prenderà una direzione inaspettata in quanto ho introdotto nella storia degli elementi di metanarrazione. Non vorrei spoilerare troppo, dico soltanto che alle indagini partecipa anche un bizzarro scrittore emergente e docente di scrittura creativa. Indovinate a chi s'ispira questo personaggio?
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Arsenio Siani: Io scrivo d'istinto, parto da un'idea e lascio che sia la mano a guidarmi, a dare forma a quell'intuizione embrionale che mi ha spinto davanti al PC. Non sono capace di creare schemi, storyboard e quant'altro e credo che perderei il piacere della scrittura se utilizzassi uno stile più metodico.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Arsenio Siani: Sto lavorando a un nuovo giallo, anche questo molto particolare. Il genere mi ha appassionato molto, mi diverte realizzare storie di mistero che però abbiano la peculiarità del mio tocco. Anche qui fondo elementi diversi, creo intrecci particolari che spero possano appassionare i lettori.: |
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