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il sacro fuoco della regina
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L'incursione dei bruzi.
Avanzavano guardinghi nel bosco, a ventaglio, nascosti dalla nebbia mattutina che avvolgeva ogni cosa, silenziosi come fantasmi. Una numerosa banda di Bruzi, in cerca di bottino e schiavi lontano dai loro insediamenti, si era spinta fin lì per i morsi della fame e il miraggio di facili prede. Durante la notte appena trascorsa, con un'abile incursione avevano colto di sorpresa il manipolo di guerrieri volsci stanziati di guardia su Montenero, trucidandoli. La valle ormai indifesa era nelle loro mani. Dopo aver fatto strage degli inermi contadini, violentando le donne e uccidendo gli uomini validi, avrebbero lasciato vivi solo i fanciulli più robusti e le donne più giovani, portandoli via come schiavi. Vestiti di pelli di capra, con la barba e i capelli incolti e il volto imbrattato di fango, avanzavano guardinghi con le armi in pugno. Non tutti avevano una spada. Portavano picche, lance, asce e clave di legno, alcune delle quali rinforzate col bronzo. Gli esploratori che li precedevano avevano segnalato loro il villaggio e ora, come lupi famelici, si avvicinavano in silenzio alla preda. Antonius, uscito di casa prima dell'alba per cercare un agnellino scomparso la sera prima, se li trovò davanti all'improvviso, sagome scure nella nebbia. Memore del suo passato da guerriero, capì immediatamente la situazione e con rapidità e prontezza d'animo si sdraiò in un avvallamento del terreno ricoprendosi di foglie e rami. Fece appena in tempo. I Bruzi lo oltrepassarono quasi sfiorandolo, ma non si accorsero di lui. Restò immobile ancora qualche minuto, poi si alzò guardingo e si allontanò in silenzio per circa un altro stadio verso il piccolo pozzo. Arrivato a distanza di sicurezza iniziò a correre verso la collina, diretto all'accampamento di Camilla. Arrivò trafelato e, con la testa che gli girava ancora per lo sforzo, riuscì a dire: - Presto, figlia mia, i Bruzi! Hanno ucciso tutti i guerrieri a Montenero e ora vogliono il villaggio. Salva la nostra povera gente, forse siamo ancora in tempo! Camilla gli rispose concitata: - Ho combattuto quei selvaggi. Sono come bestie feroci, non hanno pietà di niente e di nessuno. Distruggono e incendiano ovunque passano, ma questa volta la pagheranno cara: non uno solo dovrà sfuggirci. Dobbiamo fare in fretta. Pronunciate queste parole, corse alla piazza d'armi urlando. - Presto, guerriere, a me! Camilla mostrò al padre l'efficienza del suo piccolo esercito. In pochi attimi circa quaranta guerriere erano pronte in assetto di battaglia. - Elinai, prendi sette guerriere con te, le più esperte, e vai a Montenero. Sicuramente i predoni hanno lasciato lì i prigionieri e il loro bottino. Ci saranno poche guardie: uccidile e libera i prigionieri. Tu, Lucilla, con le arciere passa per piccolo pozzo; sistemati a una cinquantina di piedi entro la boscaglia, lungo il sentiero che porta a meridione. Noi cercheremo di spingere là i Bruzi. Appostatevi sugli alberi: dovrete impedire loro la fuga. Il resto delle guerriere con me a cavallo! Tutto chiaro? Le guerriere annuirono. Anche Antonius, memore del suo passato, aveva impugnato la spada, pronto a seguire il gruppo di arciere nel bosco. Un'arma in più, nel corpo a corpo, sicuramente sarebbe tornata utile. Una volta in sella, con la spada sguainata, Camilla incitò le sue guerriere. - Sorelle mie, è giunto il tempo di sdebitarci con questa terra che ci ha accolto a braccia aperte. Un grave pericolo minaccia quella che ormai è diventata la nostra gente. Voi tutte conoscete la ferocia di questi predoni. Noi però siamo guerriere e non temiamo nessuno. Con la punta della nostra spada mostreremo a tutti il nostro valore. Non daremo loro tregua e difenderemo queste famiglie come se fossero le nostre. Nessuno ci dovrà sfuggire! Che la dea Diana ci sia propizia! Detto ciò, lanciò il grido di battaglia spronando il cavallo giù per la valle, seguita dalle sue guerriere. Il sole, verso le montagne innevate, cominciava ad affacciarsi sulla valle diradando la nebbia con i suoi raggi. Raggiunsero i Bruzi nei campi poco prima del villaggio. In campo aperto, le sorti della battaglia volsero rapidamente in favore delle amazzoni, decisamente meglio addestrate. I predoni non ebbero il tempo nemmeno di organizzarsi o di serrare i ranghi. Camilla e il suo piccolo esercito si abbatterono come furie sui rozzi nemici. La regina conduceva impavida la carica. Cavalcando ventre a terra, puntò i primi due già pronti ad affrontarla. Uno armato di spada, l'altro di clava, cercarono di farla passare in mezzo a loro. Quello con la clava avrebbe tentato di spezzare i garretti al cavallo e l'altro avrebbe invece trafitto l'amazzone alle spalle. Camilla, abile ed esperta qual era, evitò il trabocchetto. Scartò con il cavallo all'esterno, sul lato del guerriero armato di spada, e con un gesto fulmineo ne anticipò la stoccata: con un fendente staccò di netto il braccio del malcapitato, squarciandogli in parte il torace. Fece poi un mezzo giro e con uno strappo alle briglie arrestò il cavallo a circa cinquanta piedi dal luogo del primo scontro. Rinfoderata la spada, imbracciò l'arco e, incoccata una freccia, lasciò partire il colpo. Con un sordo schianto il dardo si conficcò nella fronte del secondo selvaggio, che le correva incontro urlando e brandendo la clava. L'uomo lasciò cadere l'arma e tentò di afferrare la freccia con entrambe le mani, come per tirarla via, ma cadde pesantemente all'indietro, restando immobile tra l'erba e il fango. Senza indugiare un solo istante, Camilla riprese la battaglia, trasformata ormai in una caccia all'uomo. Dopo il primo terribile impatto della cavalleria, infatti, i Bruzi demoralizzati si erano dati alla fuga, inseguiti anche dagli abitanti del villaggio che, allertati dal clamore dello scontro, si erano armati di bastoni, forcole e coltelli. Giunti al limitare del bosco, il gruppo dei fuggiaschi fu accolto dai dardi scagliati con precisione dalle arciere di Camilla. Fu una carneficina. Presi tra due fuochi, incalzati alle spalle dalla cavalleria, infilzati come selvaggina dall'alto, il loro destino era segnato. Come promesso da Camilla, nemmeno uno dei predoni scampò alla morte. Quella sera fu bruciata un'infinità di corpi, mentre tra le fila volsche ci furono un contadino ucciso e tre amazzoni ferite, di cui solo una gravemente. L'urlo di vittoria di Camilla e delle sue guerriere riecheggiò a lungo lì nella valle, così come per molto tempo, in quella del Tolerus, il racconto di quell'epica giornata venne narrato di villaggio in villaggio. Gli ostaggi liberati a Montenero erano il risultato delle incursioni dei Bruzi contro gli insediamenti vicini: non appena liberati, tornarono alle loro case e raccontarono entusiasti le gesta di Camilla e delle sue guerriere. Il nome di Camilla, invincibile guerriera e regina dei Volsci, venne così conosciuto in tutta la valle e oltre. Quella sera, in cima al Castrum, il bagliore dei fuochi era visibile da ogni punto della valle. I contadini e i pastori dei dintorni, accompagnati dalle loro famiglie, si erano riversati in processione nell'accampamento, portando ogni sorta di cibo e bevande in segno di gratitudine. C'era allegria nell'aria. Nel grande piazzale, attorno agli alti falò, si ballava e cantava. Sugli spiedi cuocevano maiali grassi e succulenti. Il popolo si sentiva al sicuro come mai prima d'allora e manifestava spontaneamente la sua voglia di vivere. L'aria di fraternità e condivisione che si era creata fece rompere gli indugi a molti giovani volsci, che come api sul miele ronzavano intorno alle guerriere più belle. Camilla e Antonius sedevano su una panca allestita per l'occasione, compiacendosi della vista che la piazza d'armi offriva. - Mia regina! – esordì lui scherzando, accostandole la bocca all'orecchio. – L'avresti mai detto? Non avrei mai immaginato che potesse accadere tutto questo. Ah, se fosse viva tua madre! Ora non manca che una cosa. - Cosa, padre? - Un uomo! Un uomo degno di te che possa aiutarti a conservare intatto questo sogno. - Ancora? Padre, non c'è uomo per me e tu lo sai. Sono consacrata alla dea. - Figlia mia, non parlare in questo modo. Il futuro ci è sconosciuto. Il nostro fato è, sì, in balia del capriccio degli dèi ma, consigliati dal cuore e illuminati dalla mente, dobbiamo seguire sempre le nostre aspirazioni, lottando con coraggio anche contro il destino che non sentiamo nostro.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato a Castro dei Volsci un paesino del Lazio meridionale, un piccolo borgo medievale arroccato su una collina alle pendici dei monti Ausoni. Di professione faccio il programmatore, sono sposato con due figlie. Curiosità e sfida a me stesso sono le mie muse, di conseguenza amo fare di tutto, tutto mi incuriosisce. Come contraltare però, alla fine, non eccello in niente, tranne che nella mia professione, l'informatica. Questo però non mi preoccupa, quello che mi attira è il viaggio e non la meta. Amo giocare a fare il falegname, il fabbro, il muratore. Insomma sono un creativo a tutto tondo. Mi diverto con l'elettronica, faccio sport, canto, suono, compongo canzoni, scrivo racconti e poesie, ma non sono uno scrittore, sono solo uno che prova a fare il cantastorie.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Ercole De Angelis: A pensarci su, anche se ben nascosto dalle mie inclinazioni tecniche, da sempre. Conservo ancora la collezione dei libri di Salgari divorati da bambino(più di quaranta, credo). Ho scritto comunque il mio primo libro per gioco, anzi, per sfida, tardi, nel 2011, ho iniziato con una piccola trama per sviluppare la pubblicità a una mia idea e alla fine ne è venuto fuori un libro. Da allora, con vicende alterne, non ho più smesso.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Ercole De Angelis: Non ce n'è uno in particolare, ma, se dovessi indicarne uno, non avrei dubbi: “Com'era verde la mia vallata” di Richard Llewellyn, quella struggente nostalgia per il tempo che scorre la sento sulla pelle, mi ha sempre ricordato il mio piccolo paese che amo profondamente.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Ercole De Angelis: Ad esser sincero non ci ho mai pensato, amo l'immediatezza. Amando il paradigma causa-effetto, non so aspettare; ho pubblicato il mio primo e-book con la piattaforma self-publishing Amazon, nel 2011 quando ancora non c'era nemmeno il market italiano. La possibilità di poter essere letto con un click da tutto il mondo era estremamente eccitante. Un' insignificante pulce contro tutto il mondo dell'editoria, era una sfida troppo invitante per non essere colta.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Ercole De Angelis: “Racconti di una meretrice”, il mio ultimo libro, parla di una donna che, rimasta sola, si prostituisce per sopravvivere. Possiede una baracca e un pozzo d'acqua ai margini del deserto in una Palestina antica e senza tempo. Racconta le storie raccolte nel suo letto, come un confessore laico, “storie che solo una puttana come me può comprendere”, come lei ci tiene a sottolineare. Nei suoi racconti incontrerà anche Gesù, quando era solo un viandante, un profeta come tanti. Rha'el è comunque una prostituta particolare che, nonostante il suo mestiere, dai molti disprezzato, non viene mai meno alla sua profonda, spontanea e genuina umanità.
Writer Officina: Da dove cogli l'ispirazione per le trame dei tuoi libri?
Ercole De Angelis : Dai luoghi, ogni luogo ne racconta, dagli oggetti, anche da un sasso. Mi chiedo sempre, alla loro presenza, di quali storie, che valgono la pena e il piacere di essere raccontare, siano stati testimoni.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Ercole De Angelis: E' diverso, è un esperimento, un distopico violento, in un mondo tornato praticamente alla preistoria, il protagonista lotta per la sua vita, raccontato al presente e in prima persona. E' un omaggio nemmeno troppo nascosto a “L'isola misteriosa” di Jules Verne, libro che da ragazzo ho amato moltissimo e che è, forse, il maggior responsabile dell'indirizzo tecnico dei miei studi. Probabilmente, una volta terminato, lo pubblicherò sotto pseudonimo perché esula completamente dalle trame e dalle storie che amo di solito raccontare. |
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