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Donne fino a epoca contraria
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I disordini del cuore.
È uno dei miei pomeriggi soliti, leggo senza ordine le pagine di un libro che ho salvato da morte certa: Un'adunata di nuvole sta chiudendo il cielo sopra la mia testa. I giorni accadono senza che io possa cambiarne il corso di una sola virgola. Osservo quadri appesi alle pareti, mentre i soggetti cambiano davanti ai miei occhi; è solo il tempo che passa mutando gli scenari della mia vita. Così ho osservato i campi di girasole, li ho visti imbiondire e pian piano seccare, ho visto spiagge assolate trasformarsi in deserti ed acque tranquille e azzurre, incresparsi e incupire.
Squilla il telefono è Sabrina, vuole parlarmi. Sono costretta a chiudere il libro, la sua voce mi ha messo in ansia. Temo si tratti di qualcosa di serio. L'aspetto a casa. È sabato, i miei non ci sono. Non c'è neanche Larisa, non credo sia libera, credo piuttosto sia uscita con papà. Con il libro chiuso tra le mani mi ritrovo anch'io a pensare agli scenari della mia vita, cambiati senza che io potessi farci nulla.
Da quando mamma lavora le cose non vanno più molto bene. No, non c'era d'aspettarselo. Non è una manager né una donna in carriera, non è neppure un'artista, il suo è un lavoro normale. Da allora, però, si veste come un'attrice di soap opera e fa un milione di cose. Cose alle quali, quando aveva più tempo, non pensava nemmeno. Avevo sei anni quando in casa giunse la notizia, allora per me erano tempi di bambole e baci. Erano tempi in cui vedevo mia madre comportarsi come una crocerossina. Quando mio padre aveva appena due linee di febbre, lo imbottiva di tè bollentissimo e miele; non si muoveva dal suo capezzale, neanche fosse stato sul letto di morte. Oggi gli lascia le Zerinol sul comodino. A volte li vedevo arrivare insieme da dietro i vetri, stretti sotto l'ombrello, sembravano pronti a difendersi dalla pioggia battente come da ogni altra minaccia. Poi era arrivata “la benedizione dal cielo”. Il lavoro in banca avrebbe lasciato a mia madre il sabato libero. Tutti i pomeriggi, per altro, sarebbe stata a casa prima delle sei. - La famiglia non ne risentirà - aveva detto; in più ci saremmo potuti permette la colf. La prima era stata italiana, la seconda rumena, la terza dello Sri Lanka, la quarta ucraina. A parte quella dello Sri Lanka, tutte si erano portate via qualcosa, soldi, gioielli, le lenzuola ricamate della nonna, mentre l'ultima, Larisa, si stava portando via mio padre. Un classico fin troppo scontato. E dire che un giorno (era con noi da meno di un mese) l'avevo vista davanti l'armadio di mamma mentre indossava un suo abito; le andava stretto. Avevo immaginato che tutte loro facessero così. Muovendosi dentro case eleganti - ho pensato - si concedono pause sui divani morbidi, fanno il bagno nelle vasche idromassaggio e provano pure gli abiti delle signore. Avevo sorriso e mi ero allontanata, senza farmi sentire, lasciandola sognare. Non sapevo ancora che avesse già indossato anche mio padre. Larisa non ha una casa, ha il suo "angolino" qui nella nostra. La sera è sempre libera, può rientrare anche il giorno dopo, se vuole. Ha il suo mazzo di chiavi e la fiducia di mamma.
Nel corso di questi anni la nostra casa ha subito l'invasione, volta per volta, di tappezzieri, elettricisti, architetti; hanno cambiato ogni cosa. I mobili in arte povera, ad esempio, li hanno sostituiti con pezzi di antiquariato, hanno messo tappeti e lumi dovunque. Non sono riuscita a difendere neppure un angolo della mia stanza. Solo il giardino d'inverno è rimasto indenne, perché mamma, con il tempo, ha perso interesse anche per quello, e così è rimasto inglobato in una sorta di bolla temporale.
Ho sedici anni, la mia migliore amica è Sabrina, ma nello scenario della mia vita, ultimamente, è cambiata anche lei. Ha un piercing sulla lingua, due sull'orecchio, porta gli short sfilacciati, le scarpe con la zeppa e ha due piccoli delfini tatuati sulla caviglia destra. Io no, ho qualche chilo in più e Sabrina dice che per la mia età sono troppo tranquilla. Non è vero, è solo che dopo ciò che è accaduto con Alessio, sono cambiate tante cose. Sono cambiata io. Ho perso ogni mia difesa contro il mondo degli adulti. Sono invecchiata di colpo dopo aver fatto l'amore.
Il libro che ho tra le mani è senza titolo, mancano la copertina e le prime sei pagine, l'ho trovato tra le cose che mamma vuole buttare. Riapro una pagina a caso come quando, per gioco, ci si vuole predire il futuro: - Ho attraversato banchi di nebbia risalendo la montagna del tempo e scalza giunsi in una terra sconosciuta; era la terra di nessuno. Il mio occhio cercò invano antiche figure, vecchi paesaggi. Ogni cosa mi era sconosciuta, nessun odore era noto al mio cuore. Mi fu difficile, ma alla fine compresi: la straniera ero io - .
Con mia madre, un tempo, vivevo un'intesa fetale. Le bastava soltanto uno sguardo. Anche quando la paura, la rabbia o la timidezza, mi rendevano muta e indifesa lei era lì per sciogliere ogni mio nodo. Come il giorno in cui rischiai di annegare in un mare di lacrime per uno scarabocchio che Giada (la mia prima compagna di banco) aveva fatto sul mio diario. Mia madre cominciò a disegnarci sopra e lo trasformò in un clown. Festeggiammo con un budino al cioccolato che preparammo insieme ridendo. Felice come quel pomeriggio non lo sono stata mai più. Oggi mi sento solo parte integrante dell'ordine e del silenzio che regna in questa casa. Come fossi un soprammobile, esisto solo quando un occhio mi incontra nella sua traiettoria. Così, perfino quando ho scoperto il mio corpo, cresciuto quasi all'improvviso, ero sola. Decisi di giudicarmi già donna. Alessio lo ha voluto e io ho lasciato che anche questo accadesse, mentre la mia volontà non aveva ancora deciso. Oh, non mi ha violentata, ma è come se mi avesse preso quando ancora non c'ero. Stavo attraversando il mio banco di nebbia. Ho il vago ricordo di una lotta che ho combattuto con l'impotenza di chi vive un incubo. Svegliata da un dolore violento ero sporca di sangue! Tremavo sopra un divano bordò. Uno sghignazzo, come un suono fuori campo nella scena di un film, mi torturava l'anima. Era la risata di Alessio, un ragazzino appena appena più grande di me. Mi ero svegliata nella terra di nessuno. Priva di forze e di orgoglio, con i pugni chiusi serrati sul petto. L'ho detto a mia madre, volevo mi aiutasse a capire perché mi ero sentita così estranea a quella esperienza. Perché ero rimasta fuori da quel vortice che, invece, avrebbe dovuto stupirmi?
- Non ho compagno in questo viaggio e nessuno metterà i calzari ai miei piedi - . Il libro ha trovato il suo posto sul mio comodino.
Mia madre ha detto soltanto - Passerà - . Cosa passerà? La delusione che ho provato nel sentire Alessio ridere? La paura o il dolore che ho provato? Cosa passerà? Di sicuro non mi ha sentita, mia madre non mi ha sentita. Non si è arrabbiata, non si è stupita, non mi ha neppure chiesto del preservativo. No, non lo abbiamo usato. Alessio aveva già speso tutti i soldi della settimana ... Così amen. Comunque è quasi impossibile rimanere incinta la prima volta. Me lo ha assicurato Sabrina e lei queste cose le sa. È più grande di me ne ha diciotto, li ha appena compiuti.
Rigiro il libro tra le mani, i miei ricordi sono un tutt'uno con la pagina. È avorio, dello stesso colore dei denti, e da quella bocca sconosciuta, più che leggere, ascolto: - La libertà mi ha sedotto, sperimento ogni giorno le sue schiavitù - .
Quando mamma torna da lavoro, senza nemmeno cambiarsi, ripulisce ciò che l'ucraina (Larisa) non ha pulito a dovere. Non la manda via perché pensa che, comunque, una migliore di lei non la trova. Dice sempre: - Almeno questa non ruba, non tocca niente - , anche mio padre avalla questa tesi, ma lui è un bugiardo. Non sono abituata a vedere mamma in pantofole e tuta. Sempre tacchi altissimi e abiti ad hoc per il suo corpo perfetto. Palestra, saune e massaggi, nulla a che vedere con il mio stile di vita. È una donna votata alla sottomissione. Lo è allo shopping, al pilates e perfino
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Mi chiamo Adelaide e vivo a Palermo dal 15 agosto del 1961, giorno in cui sono nata. Quinta di cinque femmine, in casa non sono mai mancate fantasia prolifica e creatività pratica. Ho avuto la fortuna di giocare tantissimo con le mie sorelle e i bambini del vicinato nel giardino dietro casa. La passione per la scrittura, però, era già nel mio DNA; il mio bisnonno scriveva commedie popolari e poesie, una delle mie sorelle componeva canzoncine per le recite della scuola e mio nipote, agli esami di terza media, ha scritto un compito di italiano lungo tredici pagine senza andare fuori tema. Bene, ho presentato tutta la famiglia e così si è capito che alle radici ci tengo. Ahimè, ho sposato un milanese che si lamenta sempre dell'inefficienza della mia città, ma nonostante ciò, dopo trentadue anni di vita insieme mi va ancora a genio. Non abbiamo avuto figli, ma non ci sono mancati gli impegni, gli interessi e i viaggi. Il vuoto in qualche modo andava riempito e non ci siamo fatti mancare nulla, perfino un incidente con tre giorni di coma, dopo i quali mio marito si è svegliato alquanto sbrindellato. Tutto, ringraziando Dio, è andato a posto dopo un anno e mezzo di convalescenza.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Adelaide J. Pellitteri: Avevo quattordici anni quando lessi il libro di Oriana Fallaci Lettera a un bambino mai nato, comprato dalla maggiore delle mie sorelle. Forse non era l'età giusta ma ricordo che lo apprezzai tantissimo. Mi piacque la musicalità delle frasi, la loro lunghezza, fu in quella occasione che scoprii l'importanza del ritmo nella narrazione. Oriana, da allora, è rimasta la mia scrittrice più amata.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Adelaide J. Pellitteri: Dopo Oriana, dici? Sì, molti. Più che altro, hanno alimentato la voglia di migliorare. Potrei citare Le novelle del Verga, oppure Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, un racconto che non ho dimenticato mai più.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Adelaide J. Pellitteri: Finito il lavoro lo inviai al Premio Calvino, non arrivai nemmeno tra i finalisti, ma la scheda di lettura era molto incoraggiante, ci lavorai ancora un anno e poi contattai la Giulio Perrone Editore che aveva pubblicato diversi miei racconti su antologie a tema, ma venni dirottata su una loro Casa editrice satellite, L'Erudita. Sarò sempre grata per l'opportunità che mi ha dato, ma non posso dire di essere rimasta soddisfatta. Il libro si è classificato al secondo posto al Premio Nazionale Paolo Amato, è sono riuscita a proporlo in sedi di tutto prestigio (all'Auditorium della Rai di Palermo, alla Biblioteca A. Bombace della Regione Siciliana e a Palazzo delle Aquile, ed anche all'Ambrosianeum di Milano...), ma ho fatto tutto da sola.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Adelaide J. Pellitteri: Diciamo che ci sono tanti rischi, ma se si è in grado di immettere sul mercato un testo valido, passato dalle mani di un Editor professionista, allora ben venga. Ci sono molte Ce che, comunque, pubblicano testi illeggibili e che non pagano nemmeno le royalties; e allora la domanda nasce spontanea: conviene aspettare anni una risposta (che spesso nemmeno arriva) e rischiare che il testo, in ogni caso, non venga revisionato né sostenuto come dovrebbe?
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Adelaide J. Pellitteri: Il mio primo, e ad oggi unico libro, si intitola Donne fino a epoca contraria. È una raccolta di trentadue racconti che hanno come filo conduttore l'evoluzione della donna dalla rivoluzione del 68' fino a un futuro distopico e delirante. I racconti procedono lungo i decenni, partendo dalla donna da manifestazione sessantottina, passando per la donna vittima, proseguendo con la donna carnefice, fino ad arrivare alla donna che per legge non potrà più partorire i propri figli, grazie a distopici nuovi diritti civili ottenuti dalle donne stesse. È chiaro che porto le situazioni all'estremo intenzionalmente. Qualche femminista sfegatata ha espresso qualche dubbio (o meglio, mi puntato il dito contro), ma va bene così. Vuol dire che sono riuscita a scuotere qualche animo. Qual è il succo di questo libro? - Ho l'impressione che la donna abbia vestito i panni da guerriera per conquistare il deserto. -
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Adelaide J. Pellitteri: Scrivendo racconti, particolarmente brevi, anzi brevissimi (che chiamo iceberg), fino ad oggi non ho sentito il bisogno di una scaletta. I miei personaggi sono i più disparati, e tutto e nulla c'è di me in loro, diversamente dovrei andare in psicanalisi. Potrebbe sembrare, infatti, che cambi opinione in continuazione, che affermi tutto e il contrario di tutto, ma non sono mai io a dire la mia, sono sempre i personaggi a dire la loro.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Adelaide J. Pellitteri: Ho appena completato l'editing del mio nuovo e primo vero romanzo con una Editor professionista. La figlia italiana, questo è il titolo, ha già iniziato il suo viaggio verso la pubblicazione. L'ho spedito a una Casa Editrice e adesso mi tocca solo aspettare. Il mio genere è il mainstream, ed è su questa scia che ho proseguito. Mi piace indagare sulla psicologia delle persone, interpretare le loro reazioni davanti agli eventi della vita. Sono un'attenta osservatrice della realtà, e questa, offre una gamma interminabile di personaggi, tutti da scoprire.
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