Writer Officina
Autore: Simona Soldi
Titolo: DestinAzioni
Genere Avventura Paranormale
Lettori 3453 34 32
DestinAzioni
Era una mattina ancora fresca, su quella spiaggia color caffelatte avvolta dai raggi obliqui di un sole crescente. A Joana piaceva particolarmente la mattina, come momento per avventurarsi sulla spiaggia. A otto anni la sete di avventure non si può mai saziare, e quel paesino adagiato sulla costa, ricca di insenature, spiagge, piccole grotte e antiche leggende, le offriva, generoso, un materasso infinito su cui far saltare la sua immaginazione.
Joana si avvicinò, in punta di piedi, alla sabbia che riluceva nei raggi del sole, nel suo vestitino rosso svolazzante per la brezza mattutina. Come venne investita dalla prima folata di vento, che spazzava la superficie della spiaggia, con le sue sterpaglie e le sue conchiglie, Joana prese un bel respiro e si lasciò investire a sua volta. A otto anni basta poco per sentirsi felice. La bambina iniziò quindi a muovere i primi passi, sempre più ravvicinati, finché, come un piccolo puledro che ha voglia di sgranchirsi nelle sue prime galoppate in libertà, mollò le redini e si lanciò in una corsa fino al bagnasciuga.
I suoi piedini avidi di passi e di mondo si arrestarono quando l'acqua salmastra li investì con la sua carezza rigenerante. L'acqua, di mattina, è sempre un po' più fredda, perché ancora non è stata scaldata dal sole della giornata. Joana ebbe così tempo di guardarsi intorno, in cerca di spunti per iniziare una nuova avventura di giochi e fantasia. Ed ecco che, in un lampo di luce che abbaglia la vista per un momento, la scorse. La bottiglia stava lì, inerte e immobile sul bagnasciuga, eppure ancora piena di vita, come la luce riflessa dal vetro di cui era fatta, che inviava bagliori intermittenti.
Joana aprì la bocca per lo stupore, poi si avvicinò all'oggetto della scoperta, con eccitazione. Si abbassò sulle ginocchia per osservarla da vicino. Capì quasi subito che non si trattava di una bottiglia come tante altre. Questa era speciale. Allungò la manina paffuta per afferrarla, e non poté più sbagliarsi: la bottiglia conteneva proprio un foglio di carta.
I suoi occhi brillavano di sorpresa e curiosità, quella curiosità viva che può cogliere solo un bambino di fronte ad una nuova scoperta sul mondo. Senza perdere altro tempo, rimosse il tappo di sughero con un certo sforzo: era incrostato di salmastro intorno alla bocca della bottiglia, incrementando l'effetto della pressione applicata da chi aveva affidato quella bottiglia al mare. Con qualche leggera scossa su e giù, il contenuto fece capolino dall'imboccatura: si trattava di un foglio arrotolato, e già al primo tocco Joana capì che si trattava di una carta particolare, che non aveva mai visto a scuola o a casa. Joana srotolò il foglio come fosse la mappa di un prezioso tesoro nascosto.
C'erano delle scritte, ma non somigliavano affatto a una mappa. Non erano disegni, ma neanche lettere dell'alfabeto. Joana, che aveva imparato da appena due anni a leggere nella sua lingua, non ci pensò due volte: corse immediatamente a cercare rinforzi, qualcuno che la aiutasse a decifrare i segni su quel biglietto che sembrava averla chiamata da un posto lontanissimo, per attirarla proprio sulla spiaggia, la sua spiaggia, quel sabato mattina.


La casa di Almirante si trovava dall'altra parte della strada rispetto alla sua: una strada stretta e incuneata fra quartieri più moderni che avevano il compito di dare un'impressione di svecchiamento della cittadina portoghese. Joana era nata lì, a Nazarè, più di otto anni prima, e aveva sempre vissuto con sua madre. Suo padre se l'era preso il mare, o così le aveva detto lei. Joana non sapeva se crederci davvero o no, ma ogni volta che poteva, correva alla spiaggia e fino al bagnasciuga per mandare un saluto a suo padre, ovunque si trovasse, là in mezzo, laggiù.
Almirante era l'amico d'infanzia, di quelli con cui inizi a giocare insieme quando muovi i primi passi nel mondo, e scegli la stessa classe per essere compagni di scuola, e poi ognuno difende l'altro durante le litigate a parole o a fatti. Ogni marachella o nuovo gioco l'aveva fatto con lui, e lui la andava a chiamare a casa per andare a giocare dopo la scuola.
Il primo istinto di Joana fu, quindi, di correre a suonare il campanello di Almirante, per mostrargli la sua nuova scoperta. Lui però non sembro condividere lo stesso entusiasmo della bambina. Le disse che sicuramente era uno scherzo di qualcuno che si era divertito a scrivere ghirigori senza senso su un foglio e gettarlo in mare in una bottiglia, proprio per prendere in giro le bambine troppo credulone come lei.
Così, un po' delusa, ma ancora piena di curiosità, attraversò la strada e tornò a casa.
Sua madre era intenta ad apparecchiare la tavola.
“Ehi, eccoti qua! Devi aver sentito l'odore del cibo da lontano. Stavo per chiamarti, è ora di pranzo.”
“Sì, mamma. Scusa.”
“Dov'eri, di nuovo in spiaggia? Oggi c'è vento. Quante volte ti ho detto che non mi piace che vai in spiaggia da sola e soprattutto che ti butti in acqua quando c'è vento?”
Joana fece qualche passo indietro e, deglutendo, cercò di zittire la sua baldanza scanzonata di bambina.
“No, mamma, non mi sono buttata. E poi ero da Almy, adesso. Non ti preoccupare.”
Blanca Ruiz Sousa si lasciò andare ad un sorriso tenero.
“Va bene, va bene. Però promettimi che starai attenta a girare per il paese da sola e soprattutto, devi stare attenta al mare. L'oceano, figliola, è imprevedibile come un animale selvaggio. Ti affascina e ti rapisce ma non ha pietà e segue solo le sue regole, non si piegherà mai alle tue.”
“Sì, mamma. Ho capito, davvero. Te lo prometto. Ora ti voglio far vedere una cosa. Posso?”
“Si tratta forse di quella bottiglia incrostata che hai in mano? Va bene, sentiamo cosa hai trovato. Però intanto mettiti a tavola.”
Joana raccontò alla madre di come aveva trovato la bottiglia sul bagnasciuga e le mostrò il foglio arrotolato all'interno. Blanca mantenne, per tutto il tempo, lo sguardo corrucciato di chi presta molta attenzione per scorgere la possibilità di un pericolo nascosto dietro un oggetto apparentemente innocuo.
La sua bambina era il suo tesoro inestimabile. Guai a chi avesse cercato di danneggiarla o portargliela via. Era sempre molto attenta ad individuare possibili pericoli provenienti dall'ambiente esterno, anche se certe notizie su atti mostruosi compiuti sui bambini da individui che Blanca non sapeva neppure indentificare come persone vere e proprie, non erano ancora approdate nel loro paesello costiero, il cui midollo era costituito da gruppi di famiglie inossidabili dal tempo, che si conoscevano da sempre. Blanca sapeva che le cose sarebbero cambiate anche lì, anche per loro. Tutto cambia, tutto evolve, anche se non sembra così. Bisogna saper cogliere l'onda del cambiamento e saperla cavalcare, dal momento che tentare di arrestarla è inutile.
Il cambiamento è insito nella natura, si ripeteva Blanca ogni volta che il peso delle responsabilità e le condizioni avverse la facevano indietreggiare di fronte ai giorni, a tratti sempre uguali, e improvvisamente così mutevoli e scossi da eventi catastrofici. La sua vita era stata un susseguirsi di queste forti scosse, alternate a periodi di calma in cui le sembrava che niente si muovesse di un millimetro, giorni in cui aveva spesso prevalso il tedio e il senso di vuoto, che aveva sfociato, tempo addietro, in una crisi depressiva che Blanca aveva gestito come poteva, come sapeva, fra serate alcoliche e promiscuità, fra giorni interi trascorsi a letto e cambiare lavoro come si cambia la maglietta.
“Sembra davvero interessante, sai, tesoro?”
Il suo tono era sincero. La bambina annuì ripetutamente con vigore, facendo ondeggiare i suoi capelli castano scuri avanti e indietro.
“Secondo te cosa c'è scritto, mamma?”
“Non ne ho proprio idea, piccola.”
“Almy dice che è tutto uno scherzo. Dice che non dovrei perderci tempo e che qualcuno mi sta prendendo in giro.”
Blanca le sorrise con dolcezza, mentre le scostava via dagli occhi una ciocca di capelli ribelle.
“Io invece penso che Almy sia solo un po' geloso, che tu abbia trovato la bottiglia. Vorrebbe averla trovata lui e allora sminuisce la tua bella scoperta. Piuttosto, cosa ne farai? Ci hai pensato?”
Joana sollevò il visino dalle guance morbide e sgranò i grandi occhi nocciola.
“In che senso?”
“Beh, se questo messaggio è arrivato fino a te, ci sarà un motivo, non credi? Qualsiasi cosa ci sia scritto, secondo me è qualcosa di molto speciale. Devi conservarlo con cura. E pensare a decifrare quello che voleva dire chi lo ha affidato al mare. Può essere chiunque: magari è un prigioniero di una terra lontana che chiede aiuto, o le ultime memorie di un grande personaggio e avventuriero, scritte in codice. Non sei curiosa di sapere quale segreto si nasconde in questo messaggio?”
Joana fissava sua madre con aria rapita, la sua fervida immaginazione già proiettata oltre le mura di casa e i confini di quella cittadina sulla costa portoghese. Fu in quel momento, che prese una decisione solenne.
“Sì, mamma. Anzi, anzi... Sai che ti dico? Voglio scoprire cosa c'è scritto in questo messaggio, non importa quanto ci metterò. Quando sarò grande voglio scoprire tutto su quello che ha scritto il messaggio.”
Blanca la guardò di nuovo, ma la sua espressione ora era di puro orgoglio, la fierezza che solo una madre può provare, che sia di fronte al primo passo che muove sua figlia, o applaudendo mentre riceve un importante riconoscimento, o anche solo mentre la osserva districarsi fra gli ostacoli quotidiani della vita. Dopotutto, Blanca aveva solo lei. E la bambina aveva solo sua madre, due donne legate per sempre da un legame indissolubile.
“Mi piaci proprio così determinata, piccola. Ora mangia il pesce e il riso, che se si raffredda non è così buono, lo sai.”

Joana ritornò di colpo al presente grazie all'irrompere di una risata fragorosa vicino a lei, che svolazzò nell'aria calda che preannunciava la sessione estiva.
Le lezioni, per quel giorno, erano terminate e quegli studenti che non dovevano scapicollarsi per prendere un treno al volo, potevano perdere tempo nel chiacchiericcio di fine mattinata, fuori in cortile o sotto il porticato creato dalle imponenti colonne che fronteggiavano l'edificio antico che ospitava la facoltà di archeologia dell'università di Lisbona.
Joana non aveva nessuno con cui parlare, quella mattina, ed era ormai da tempo che non doveva più seguire le lezioni del suo corso di laurea, specializzato in storia e cultura delle civiltà precolombiane. Si era laureata col massimo dei voti e la notizia che le era giunta quella mattina, in seguito ad una convocazione in ufficio del relatore della sua tesi, segnava per lei il vero riconoscimento dei suoi sforzi e della sua determinazione, nonché il coronamento di un sogno d'infanzia.
La sua innata curiosità testarda e impertinente l'aveva portata fin dagli albori della personalità, a sognare di risolvere antichi misteri, conoscere civiltà perdute, scavare più a fondo nelle viscere di ciò che noi tutti siamo, gli eventi e i personaggi significativi che hanno contribuito a farci arrivare fin qui.
Ed era lì che era tornata con i ricordi, alla mattina estiva simile a questa in cui, a otto anni, aveva trovato la bottiglia e il suo enigmatico messaggio, perché quella bottiglia e il suo affascinante contenuto era sempre rimasta con lei, silenziosa ma mai dimenticata. Aveva appena saputo di essere stata scelta come membro di una squadra di ricerca diretta in centro America, con l'obiettivo di fare luce su alcuni reperti molto particolari rinvenuti in Nicaragua, che pareva contenessero delle scritture e un tipo di linguaggio mai rinvenuto prima in altri scavi.
Con il cuore gonfio di gioia e un sorriso stampato in faccia, Joana prese il telefono dalla borsa per avvertire sua madre, che viveva ancora a Nazarè, ma poi ci ripensò e lo mise via. Ancora non era il momento, lei si trovava al lavoro. E questa era una notizia da far decantare, perché subito dopo la felicità iniziale, Joana realizzò che sarebbe partita per l'altro capo dell'Oceano Atlantico e sarebbe tornata solo dopo molti mesi.
Il rapporto con sua madre non si era deteriorato con il passare degli anni, al contrario di quello con il suo amico d'infanzia Almirante. Era ormai da quando si era trasferita a Lisbona che di lui aveva notizie sporadiche e col contagocce. La loro adolescenza a Nazarè era stata come attraversare una tempesta, per ritrovarsi poi naufraghi sperduti e confusi, con la testa bassa a cercare di rimettere insieme i pezzi di quel che erano stati, sapendo, in fondo, che non era possibile farlo tornare come prima.
Lui si era fatto sempre più schivo e chiuso in se stesso, perso nel suo mondo virtuale di computer e studi di economia, rifuggendo spesso le occasioni tipiche della gioventù per socializzare, come le feste e la vita notturna, mentre lei aveva sviluppato sempre più sete di esperienze da condividere con il prossimo, di conoscere il passato e interpretare il presente che sembrava cambiare sempre più rapidamente.
Come due iperboli con segno opposto, destinate a percorrere un tratto di infinito nella stessa direzione, per poi separarsi e iniziare il loro tratto verso il picco tendente verso l'eternità, l'una verso l'alto, l'altro verso il basso, Joana e Almirante si erano sfiorati, negli anni della loro infanzia e prima giovinezza, senza mai toccarsi profondamente, senza compenetrarsi, nel naturale decadimento di un rapporto che non ha saputo evolvere in sintonia con le loro individualità.
Joana aveva provato a spronarlo, per fargli condividere con lei le porzioni di vita che avevano ancora in comune: anche lei aveva interesse per i computer e la tecnologia, e le serate presso qualche locale dove bere una birra poteva essere l'occasione per approfondire la conoscenza reciproca sugli argomenti che li stavano facendo allontanare dagli interessi comuni che avevano condiviso durante gli anni spensierati dell'infanzia. Lui accettava gli inviti di lei in maniera sempre più sporadica, e durante le occasioni di conversazione, Joana aveva l'impressione che lui fosse giudicante, nonostante si mostrasse cordiale e interessato, in superficie.
In fondo, la reputava frivola e persa dietro un sogno evanescente, una fantasia di bambina che non aveva mai abbandonato e a cui si aggrappava per evitare di pensare a cosa fare seriamente della sua vita.
Lei, da quel giorno sulla spiaggia, non aveva mai smesso di pensare a quel messaggio e al suo significato. Motivata da una curiosità pura, sbucciata da ogni interesse economico o secondo fine che cela un sordido compiacimento dell'ego, Joana aveva approfondito le sue ricerche sul mondo incapsulato dentro a quel semplice oggetto dimenticato da tutti, fino a convincersi che la chiave per comprendere la lingua in cui era scritto, era nascosta nel passato di civiltà perdute, vissute e scomparse molto tempo prima. L'archeologia era da sempre la sua passione, e risolvere il mistero del messaggio nella bottiglia, sarebbe stato il giusto coronamento dei suoi sforzi e della sua genuina passione.
Il suo relatore e mentore, il professor Antonio Fernandez, le aveva proposto di seguirlo, insieme alla sue equipe di ricerca, in un'avventura che le avrebbe permesso di approfondire i suoi studi, arricchendoli di elementi del tutto nuovi, con la speranza di trovare finalmente l'anello di congiunzione che aveva rincorso per molti anni.
Era un vero privilegio poter far parte di quella spedizione. Si abbandonò ancora per qualche secondo al dondolio dolce dell'idea di raggiungere la fama accademica grazie alle sue scoperte, che avrebbero rivelato al mondo segreti, finora sepolti, di antiche civiltà; si vedeva già alle conferenze stampa a raccontare ai molti giornalisti presenti, che facevano brillare i flash delle fotocamere e prendevano appunti concitati, la storia di come lo aveva trovato, per caso, sulla spiaggia dove giocava da bambina.
Fu in quel momento che prese una decisione importante: non avrebbe rivelato a nessun membro della spedizione dell'esistenza del messaggio nella bottiglia, ma lo avrebbe portato con sé, in modo da confrontare la lingua e il materiale di cui è fatto con i reperti che avrebbe ritrovato agli scavi. Sapeva di correre un grande rischio, agendo in questo modo, perché, pur essendo una novellina, non ci vuole un premio Nobel per capire che nascondere materiale e informazioni potenzialmente rilevanti in una spedizione di ricerca all'altro capo dell'oceano, per la quale vengono stanziati ingenti fondi, avrebbe potuto costarle il posto, per non parlare della reputazione. Dopo un'attenta riflessione, concluse che avrebbe corso il rischio: non poteva fidarsi di persone appena conosciute, e non le sembrava saggio neppure parlarne con il professor Fernandez, perché c'era il rischio che volesse usare il messaggio per i suoi scopi. Era qualcosa che le apparteneva, non lo avrebbe consegnato nelle mani di nessun altro.
Mentre rimuginava su ipotesi e possibilità, si stava già incamminando verso la fermata dell'autobus. C'erano molte cose da fare: la prima, era una visita al bar dove lavorava part-time, per dare il preavviso delle dimissioni.
Finalmente poteva dire addio a quel locale dall'aria chiusa e alla sua routine di clientela stanca e superficiale. Avere un lavoro si era rivelato da subito indispensabile per una come lei che volesse fare l'università, e sua madre aveva compiuto enormi sforzi per fornirle un cuscino economico abbastanza morbido su cui atterrare, in caso di necessità, e le necessità non erano mancate. Pagare un affitto nella capitale non è cosa da poco, nonostante Joana si fosse sempre accontentata di una camera dove conservare un piccolo, grande mondo solo per sé, in una casa condivisa con altri due coinquilini.
Mentre osservava avvicinarsi la sagoma imponente dell'autobus colorato che l'avrebbe portata nei pressi del bar, Joana pensò che ne aveva fatta di strada, per essere una bambina senza padre cresciuta in una cittadina di pescatori. Chissà, Almirante cosa ne avrebbe pensato della sua partenza e della spedizione di ricerca, lui che l'aveva sempre derisa con una punta di presunzione, per essere una sognatrice, una che va dietro alle farfalle e finisce per perdersi in percorsi inutili, invece di pensare a come raggiungere concretamente il successo, come aveva fatto lui. Era partito da un paio di mesi per gli Stati Uniti; al momento della partenza, il loro saluto si era mantenuto tiepido, senza slanci. Joana era dispiaciuta di saperlo così lontano, ma non era sicura, neppure in quel momento, che ne avrebbe davvero sentito la mancanza. Infatti, dopo due mesi di lontananza, i loro contatti erano stati sporadici e le conversazioni sul generico. Sentiva che qualcosa si agitava nell'animo dell'amico, ed era quasi certa, che, dietro alla corazza di materialismo e intelligenza distaccata, fatta di calcoli e teorie incastrate ad hoc per farle tornare con la sua visione del mondo e del prossimo, fosse ancora innamorato di lei. Non avrebbe mai osato parlargli di questo, e per allontanare quel pensiero imbarazzante, spesso si convinceva che fosse il suo ego di giovane donna in cerca di ammirazione, a voler credere a ciò.
Lo ricordava nel suo aspetto esile e pallido, una presenza silenziosa dai movimenti lenti, ponderati con cura, e i capelli chiari, con quei ciuffetti che ricadevano ai lati della fronte, che lui prontamente ricacciava indietro passandosi le dita sulla testa. I suoi tratti e la carnagione non avrebbero fatto supporre che fosse di nazionalità portoghese, e Joana si era sorpresa più di una volta ad invidiarlo bonariamente per il suo aspetto più nordico, che mediterraneo. Il suo colorito olivastro e gli occhi marroni le andavano stretti, ma riconosceva di avere dei bellissimi capelli neri, che curava con prodotti appositi e amore.
Joana venne sbalzata fuori dal treno di ricordi per ripiombare bruscamente sul bus che la stava portando ormai a destinazione. La sua fermata sembrava là in fondo alla strada ed era ora di alzarsi e suonare il campanello, per l'autista.
Per Joana era arrivata l'ora di chiudere i capitoli di una vita ormai vissuta e usurata, svestirsi dei ricordi stantii e di pregiudizi, dei sogni di bambina imprigionata in un ambiente soffocante, per cominciare i capitoli di una vita che, da quel momento, avrebbe scelto in prima persona, da protagonista.
Simona Soldi
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Simona Soldi
Sono una giovane donna dall'animo sensibile, ma anche forte e guerriera. Potrei passare una intera serata ad osservare il cielo stellato, come varia la posizione nel cielo della Luna, delle stelle e delle nuvole, ma appena la situazione lo richiede, mi trasformo in una donna autorevole e di polso, che non ha peli sulla lingua e non è incline a farsi mettere i piedi in testa. Mi piace pensare a me stessa come ad una persona eclettica, con interessi di varia natura, che spaziano dalla letteratura, alla musica, alla scienza, allo sport e alla natura.
Amo stare conto mio, ma quando trovo le persone giuste, voglio stare con loro con intensità e pienezza.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Simona Soldi: E' stato subito dopo aver terminato gli studi universitari in biotecnologie farmaceutiche, ottenendo la laurea presso l'Università di Firenze. Avevo da poco trovato il mio primissimo impiego fuori dal mondo accademico, ma dentro di me sentivo che non ero soddisfatta. Scrivere era una forma d'espressione artistica che mi era da sempre venuta fuori naturalmente, fin dai tempi della scuola. Ricordo che terminavo il compito in classe d'italiano al liceo consegnando direttamente la brutta copia, quasi senza correzioni o cancellature e risparmiando così il tempo di copiatura in bella. Prendevo sempre il massimo nei temi in classe. Mi divertivo a comporre poesie e racconti brevi, ma non avevo mai davvero considerato questa mia inclinazione per ciò che è in realtà: una passione e un talento che mi identificano.
Il mio primo lavoro dopo l'università consisteva nello stare per otto ore davanti ad un pc a fare ricerche su materiali e tecnologie innovative, per poi ideare una qualche loro applicazione in un settore produttivo industriale. Percepivo con assoluta chiarezza che non era solo per quello che mi svegliavo la mattina. Rimasi in questo stallo di coscienza per alcuni mesi, prima di afferrare l'intuizione giusta: fu un'immagine che arrivò alla superficie della coscienza all'improvviso. BOOM!! Avevo bisogno di scrivere. Di raccontare. Di mandare un messaggio alle persone. Avevo bisogno di comunicare e di viaggiare con la fantasia. Così, una sera, dopo il lavoro, decisi di seguire quella immagine. Accesi il mio pc e cominciai a buttar giù qualche appunto su una storia, un'ambientazione, e i miei protagonisti. Da quella volta, iniziai a scrivere regolarmente, fino a completare la stesura di quattro romanzi, dei quali due già pubblicati.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Simona Soldi: Non direi che ci sia un libro in particolare, quanto l'anelito verso uno stile di vita e un modo di pensare particolare. Amo svariati scrittori, con stili anche molto diversi fra loro e generi che spaziano dall'horror al romanzo di formazione, dall'avventura al noir.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Simona Soldi: Proposi il mio primo romanzo ad un editore a pagamento. Ebbene sì. Mi lasciai trascinare dall'euforia del momento e mi convinsi ad affidarmi ad un editore che in quel periodo stava facendo abbastanza parlare di sé, sia per le campagne di marketing aggressive, sia per le polemiche che si tirava dietro a causa delle proprie scelte editoriali in fatto di selezione di scrittori esordienti. Il risultato è stato decisamente deludente e tutt'oggi considero quell'esperienza il mio più grande errore in ambito professionale, ma considero un'attenuante il fatto di esser stata giovane e senza esperienza in ambito editoriale. Non ho più intenzione di rivolgermi ad un editore a pagamento per alcuna ragione.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Simona Soldi: Ritengo che Amazon possa essere una buona vetrina per far conoscere il proprio lavoro soprattutto se si è alle prime esperienze di pubblicazione, penso alla possibilità di effettuare campagne di digital marketing, di inviare il link del proprio romanzo a blog letterari, recensori e siti a tema. Non lo definirei, però, un vero e proprio trampolino di lancio dal punto di vista editoriale e commerciale. Uno dei miei romanzi è pubblicato su Amazon, al momento, ma lo toglierei subito non appena incappassi in un'occasione migliore, di pubblicare con un vero editore. Credo che abbia tutt'altro effetto sui lettori, poter vantare la pubblicazione con un editore che precedentemente letto e selezionato il proprio romanzo, ritenendolo più meritevole di decine di altri ad ottenere la diffusione su larga scala.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Simona Soldi: Non sono affezionata a nessuno in particolare, li ritengo tutti una parte importante di me stessa che si è materializzata sotto forma di parole e di una storia precisa. Su Writer Officina sono ad oggi reperibili i miei primi due romanzi, ai quali sono molto affezionata: “L'incontro”, di genere horror e paranormale, e “Lo zero dei dadi”, un lavoro neo-noir a tematica sociale molto apprezzato sia dai miei lettori che dalla critica.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Simona Soldi: Prima di cominciare la stesura vera e propria della bozza, di solito preparo uno schema per punti, dove annoto, innanzitutto, l'idea di base della storia, cosa e chi voglio raccontare e perché, l'ambientazione e la struttura portante del romanzo. Poi viene il turno di prendere appunti sui protagonisti e i personaggi principali, delinearne le caratteristiche fisiche e caratteriali. In verità, è la storia, a mio parere, che deve seguire i personaggi, e non viceversa. Ovvero, la storia deve svilupparsi in modo coerente rispetto alla personalità e al modo di agire dei personaggi, perché sono loro che imbastiscono il susseguirsi degli eventi, con le loro scelte, azioni, dialoghi. Questo aspetto è ciò che, secondo me, differenzia una storia mediocre dalla vera letteratura.
Quando inizio a digitare le prime parole sotto alla dicitura “capitolo 1”, viene tutto di getto, e non rimetto mano al mio scritto fino alla rilettura, alla fine del capitolo. Credo molto nell'intuito e nella voce dell'istinto creativo: non va inquinata troppo con altre voci che vengono dall'Ego, come il perfezionismo, il rimaneggiamento o l'aggiunta di troppi dettagli.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Simona Soldi: In questo periodo della mia vita sto lasciando un po' riposare la mia vena artistica e creativa, ma questo non vuol dire che la stia dimenticando. Credo sia uno di quei periodi in cui si semina molto, si vive e si sperimenta molto, si mettono in cantiere esperienze che necessiteranno del tempo opportuno per venire elaborate e fermentate dalla coscienza, per poi, magari, utilizzarle come spunto per creare qualche altra storia o poesia.
L'ultimo mio lavoro in ambito letterario non è un romanzo, ma qualcosa che si avvicina di più ad un saggio, oppure una serie di riflessioni su alcuni aspetti del mondo e di questo particolare momento storico, al fine di proporre magari qualche idea innovativa per migliorare le cose. Penso di poterlo presto autopubblicare in lingua italiana e anche inglese.
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