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Black
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Harrison è una cittadina dell'Arkansas considerata la più razzista degli Stati Uniti d'America. Tra vicoli e strade si leggevano cartelli e manifesti di incitamento all'odio. Un cartellone con la scritta The black race matters (la razza nera è importante) fu rimosso, e in seguito si fecero sempre più numerose le manifestazioni che inneggiavano al suprematismo bianco. Da qui ebbe inizio la storia di Oliver Jackson. Jason White era un suo compagno di scuola. Oggi ha solo dei tristi ricordi e un dolore che gli ha cambiato la vita. Oliver aveva nove anni quando subì la prima aggressione. In classe, su venti alunni era l'unico di colore e se ne stava sempre in un angolo, isolato da tutti. Un giorno, Jason decise di sedersi accanto a lui. Aveva gli occhi puntati addosso, poi uno dei suoi compagni cominciò a insultarlo. All'uscita di scuola le cose non si placarono. Oliver si mise in mezzo per evitare liti ma prese un pugno. Jason cercò di calmare tutti, ma i ragazzi che li avevano circondati continuavano a urlare: «Sei amico di un negro». A quegli insulti rispose: «Il vostro odio non ha senso». Da quel giorno nessuno gli rivolse la parola. A lui non importava, si era sentito in dovere di difendere il compagno, ma dopo l'accaduto per giorni rimase a digiuno: ogni boccone gli provocava il vomito, tanto che i suoi genitori si preoccuparono. Ad Harrison le aggressioni contro la gente di colore erano all'ordine del giorno, e si viveva nell'angoscia.
Molti erano i feriti durante le risse, ma giunta la polizia era come se non fosse accaduto nulla. Di fronte alla scuola stava seduto un vecchio con accanto un bastone, il “vecchio Thomas”, lo chiamavano. Era un uomo solitario, da qualche anno in pensione per i suoi acciacchi, proprietario di una ferramenta a circa cinquanta metri dalla sua casa; non aveva figli, e sua moglie era morta cinque anni prima per un tumore ai polmoni. «È un alcolizzato e impiccione», mormorava la gente. Con un paio d'occhiali spessi un dito, ogni tanto leggeva un giornale, spettatore e testimone di tutto quello che accadeva. Era noto nel quartiere per un alterco avuto con il barbiere della zona, dopo che fu negato l'ingresso a Oliver, per aver tentato di cancellare le scritte: vietato l'ingresso ai negri. A nulla era valso l'intervento di alcuni manifestanti affinché quei cartelli fossero rimossi, e molti afroamericani a partire da quegli anni iniziarono ad abbandonare la città. Oliver, sebbene non fosse un gigante, celava un sogno nel cuore: giocare a basket. Nella zona centrale della città alcuni ragazzi organizzavano tornei, con l'unico e solito problema dell'esclusione dei giocatori di colore; ma lui, tenace e consapevole, non si dava per vinto. Il preside e docente di matematica, prof. Liam Miller, era un attivista convinto dei diritti degli afroamericani, un bianco simbolo di bontà fondatore del gruppo Respect and dignity for every man. Malvisto per le sue idee, dopo una violenta lite in classe dovette sospendere alcuni ragazzi. Passarono dei mesi e la sua auto prese fuoco nel cortile di casa. Alla successiva denuncia, la polizia gli rispose che l'incendio era stato provocato dall'impianto del motore.
Le forze dell'ordine remavano contro ogni forma di ribellione a favore degli afroamericani. Una sua iniziativa vietata dalle televisioni locali fu oggetto di minacce. A scuola organizzava riunioni per parlare di discriminazioni e diritti civili, spesso con pochi presenti; e non mancavano i suoi interventi affinché fossero rimosse le sempre più numerose scritte offensive sui muri del cortile. Ma la sua arma migliore era l'atteso torneo di basket. Da organizzatore includeva nelle squadre diversi giocatori di colore. Molti s'irritarono quando nella sua classe fu scelto, per la rappresentativa scolastica, proprio Oliver, ottimo playmaker. Fu una bella risposta all'invidia del perfido compagno di classe, Daniel Martin, già capitano della squadra anni prima. Era il bullo della scuola, un tipo arrogante e presuntuoso, in passato più volte sospeso per comportamenti violenti. Non si limitava a distinguere il bianco o il nero, poiché violento con tutti. Il professor Liam lo estromise dalla squadra. Il padre di Daniel era un tossicodipendente, in carcere da cinque anni per spaccio, rapina e detenzione di armi illegali, noto alla polizia per “la rapina del secolo”. In una banca di Harrison, quasi impenetrabile, l'uomo era riuscito a entrare dalle fognature, equipaggiato e dotato di armi, e con la complicità di alcuni dipendenti era venuto a conoscenza di tutti i dettagli: entrate e uscite di emergenza ed elementi che potessero servire al successo dell'operazione. Era stato tutto studiato perfettamente. Possedeva una mappa dei sotterranei adiacenti al complesso bancario. Un'impresa con un bottino di circa cento milioni di dollari, una cifra pazzesca! I rapinatori però non avevano fatto bene i conti poiché, nonostante i complici, l'uscita fu più complicata del previsto. Oltre l'orario di apertura, infatti, nessuno poteva accedere alla banca o uscirvi. Il direttore aveva fatto istallare un allarme e il blocco delle porte. Dopo l'arresto di Martin, il procuratore fece condannare tutti i complici: sette addetti bancari e il gruppo di quattro rapinatori. La notizia ebbe un'eco mediatica straordinaria. La banca di Harrison fino ad allora era stata la più sicura degli Stati Uniti d'America.
Jason era l'unico a chiamare Oliver per nome. Per tutti, invece, era solo “Black”. Nero o negro faceva lo stesso, come un marchio che lo distingueva dagli altri. C'erano ostilità e disprezzo negli sguardi dei compagni. Ma da dove nasceva tutto questo odio? Una sorta di insofferenza verso gli “uomini forti”? Per il colore della loro pelle scura sotto il sole cocente, impenetrabile e capace di resistere alle intemperie venti ore al giorno a lavorare nei campi, cosa impensabile per un uomo bianco?! Senza contare poi la storia dello sport e il dominio incontrastato dei neri nel basket, nell'atletica leggera, nel pugilato e in tante altre discipline sportive. Il 16 ottobre 1968, alle Olimpiadi del Messico, durante la premiazione, due atleti alzarono il pugno al cielo. Fu una presa di posizione contro il razzismo che i due atleti pagarono cara. Quel giorno, gli americani Tommie Smith e John Carlos, mentre suonava l'inno statunitense alzarono il pugno guantato di nero e abbassarono lo sguardo. Il gesto era un simbolo per l'emancipazione degli afroamericani, una denuncia delle discriminazioni che, nonostante la rimozione delle leggi segregazioniste, negli Usa continuavano. Gli atleti si erano presentati scalzi, ai piedi solo calze nere per simboleggiare la povertà degli afroamericani d'America. Oliver sognava di emulare quei campioni, di diventare un professionista dello sport al servizio della gente. Non tardò a esplodere il suo talento: anche se a fatica, si fece apprezzare dai compagni per le sue gesta atletiche. Quando andava a canestro si elevava di quasi un metro e mezzo. Quelle immagini avevano fatto il giro del mondo, grazie alle sue imprese nella rappresentativa scolastica. Nel settembre del 1973, Oliver aveva sedici anni. Ogni tanto si cimentava nella lettura di qualche libro: dai record delle corse su strada alle imprese leggendarie di Muhammad Alì. Raccontava spesso con orgoglio la forza e il coraggio di quegli uomini. Usava un segnalibro con la scritta pace e amore, con il quale bloccava le pagine come se si fosse lì fermato il tempo, a rimarcare frasi che gli erano entrate nel cuore e che leggeva centinaia di volte. Ventisette milioni di persone vivono in schiavitù, e oltre un miliardo non sa leggere. Le parole di quei libri erano impresse nella sua mente. Il ragazzo era affascinato dai personaggi che avevano segnato la storia lottando in nome della giustizia: da Mahatma Gandhi a Nelson Mandela, passando per Martin Luther King e Malcom X. La non violenza, forza più potente di qualunque arma, opera dell'ingegno umano: una delle tante frasi celebri che avevano scosso le coscienze. Dalle numerose letture aveva imparato molto. Quelle pagine, divise da un segnalibro, simbolicamente erano il presente e il futuro. Il fascino dell'eroe, con i suoi occhi arrossati dal pianto, gli arrivò attraverso la lettura della vita di Muhammad Alì, un campione dall'infanzia difficile, che aveva lottato contro la segregazione razziale, come potevano testimoniare i ricordi della madre che aveva visto il figlio subire, perché di colore, il divieto di comprare una bottiglietta d'acqua in un negozio. Oliver stava maturando l'idea di diventare un attivista, sulla scia dell'impegno e del coraggio del professor Liam Miller. |
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Autori di Writer Officina
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Sono nato a Patti, ma vivo a Messina da sempre, città meravigliosa a cui devo tutto. Una vita sui libri di Musica. Ho studiato canto e pianoforte. A 14 anni inizio a scrivere i primi testi di canzoni. Le partecipazioni a festival locali e nazionali. Speaker radiofonico in programmi di cultura musicale. Serate, musical, feste. Ho scritto e organizzato spettacoli per beneficenza. Sono diplomato come Autore della parte Letteraria, dopo aver frequentato un corso di Autori a Roma nel 1993. Nel 2001 vinco il Premio Letterario al Testo della canzone, in un festival per Cantautori. Sono stato un sostenitore volontario dei diritti dell'infanzia. Sono membro fondatore del gruppo culturale Cuoreparolepensiero. Il nome identifica, Passione, parole e pensieri per gli argomenti culturali. Scopi principali, la condivisione e la promozione di lettura e scrittura. Nasce così, l'Autore del primo romanzo: Il Cielo di Roger.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Wladimiro La Mantia: Sono un grande lettore da sempre. Un convinto sostenitore, che la cultura e l'approfondimento siano fondamentali per migliorare la società. La conoscenza alla base per un confronto, utile strumento per socializzare e crescere. La letteratura è storia, vita, radici e origini. Conoscere il nostro Passato, ci permette di vivere meglio il Presente ed il Futuro.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Wladimiro La Mantia: Io leggo di tutto. Thriller, libri di Scienza e Astronomia, Letteratura e Musica. Non saprei scegliere un libro in particolare. Il mio percorso parte da lontano. Il mondo delle sette note. Ho scritto per anni testi di canzoni. La mia strada è stata segnata dalla Musica. Un universo bello e affascinante. Credo di aver maturato la necessaria esperienza per diventare uno Scrittore. La lettura aiuta a scrivere meglio. Tutto il resto viene da sé. Il segreto consiste nella volontà di migliorare. Amo tutti i libri, ma la mia passione più grande è legata a Dante Alighieri.
Writer Officinap: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Wladimiro La Mantia: Ottimi. Sono soddisfatto della mia prima pubblicazione. Ho collaborato con seri e disponibili professionisti. Ho ricevuto i giusti consigli. Impaginazione, impostazioni, biografia. Un team competente, alla base di un ottimo lavoro. Sono autore delle correzioni e la foto di copertina.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Wladimiro La Mantia: Sicuramente sì. Una piattaforma potentissima. Una vetrina importante per uno scrittore emergente.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Wladimiro La Mantiap: Il cielo di Roger è il mio primo romanzo. Un intreccio tra fantasia e realtà. Ambientato negli Stati Uniti. Il protagonista è un bambino di otto anni. Il suo sogno è quello di volare. Per vedere il mondo dall'alto. Un mondo diverso, senza lotte per il potere ed il successo. Seguito da nonno Albert, con l'arduo compito di dare le giuste risposte, alle sue tante domande. La famiglia, la vita, la giustizia. Roger rimane coinvolto emotivamente in alcuni avvenimenti, storia degli Stati Uniti. Le lotte per il potere ed il successo. La perdita dei veri valori. Tutto ad un prezzo altissimo da pagare. Il Futuro dell'umanità. Le tematiche sono varie. Dai cambiamenti climatici, alle diversità di usi e costumi, tra il mondo occidentale e quello orientale. Ma una notte del 5 settembre, giorno del suo compleanno, accade l'impensabile. Lì, nel posto dove ci sono le risposte, alle sue tante domande. “Il cielo di Roger”.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Wladimiro La Mantia: Metto in pratica la mia creatività. Scrivo una storia, dando la giusta collocazione ai personaggi. Amo scrivere senza vincoli, libero da schemi. La scrittura la vivo con passione e divertimento.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Wladimiro La Mantia: Sto scrivendo il mio secondo romanzo. Un Thriller. Suspense e mistero. Una storia interessante, intreccio di tanti personaggi. Suscita curiosità, fino alla lettura dell'ultima pagina. |
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