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Temporalia
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In un futuro distopico. 30 giugno 2020 – Da qualche parte in Norvegia.
Nord. La salvezza è a nord. - Quanto manca? - mi chiede Ana. - Dovremmo arrivare a destinazione per le 10:00 di domani mattina - . Sempre che la benzina basti, penso senza dirglielo, per non preoccuparla. - Le 10:00? Bene. - Ana è di poche parole e a me sta bene così. Ci facciamo compagnia. Ne abbiamo percorsi di chilometri insieme, penso, quando un suo urlo mi distoglie nuovamente dai miei pensieri. - Ferma la macchina! - - Che succede? - - C'è una fottuta zanzara qua dentro! - - Calma, non c'è nessuna... - - Ferma questa cazzo di macchina! Mi sta ronzando nelle orecchie! - - Va bene, O.K., mi fermo. - Ana ha ragione, ora è immobile sul cruscotto. Ho ancora dei buoni riflessi e la schiaccio con un rapido colpo della mano, lasciando sull'auto una minuscola traccia di sangue. - Ora va meglio? - - Te l'avevo detto che c'era una zanzara. - È vero, me l'aveva detto, aveva ragione, le donne hanno sempre ragione. Sarà bene fermarsi a riposare. Vedo una radura, isolata ma protetta. Il SUV che "ho preso a prestito" è ampio e dietro c'entrano due sacchi a pelo stesi. - Faccio io il primo turno - le dico, - dormi pure - , anche se di notte i bambini non attaccano. Non se lo fa ripetere due volte. Si addormenta subito. La guardo. Ana è in gamba, sa il fatto suo, penso che potrei innamorarmene, anzi, forse ne sono già innamorato. Ana è l'unica cosa buona che mi ha portato la pandemia. C'è silenzio nell'aria e riallaccio il filo con i miei pensieri. Ricordo tutto, perfettamente. Il 17 novembre 2019, a Wuhan, in Cina, si verifica il primo caso di Coronavirus. In un mercato ittico un uomo contrae il virus. Torna a casa e contagia la sua famiglia, qualche giorno dopo vede i parenti e i giorni successivi i colleghi. Tutti contagiati. Se vivessimo al tempo degli antichi romani finirebbe qui, il virus morirebbe in Oriente. Ma in questo mondo globalizzato basta un aereo e in ventiquattro ore arriva dalla parte opposta del pianeta. A gennaio è già in Europa. I governi lo sanno e redigono un protocollo per le emergenze sanitarie che viene firmato il 31 gennaio e riporta come data di fine emergenza il 31 luglio. A febbraio ci sono i primi casi. Non siamo preoccupati e le reazioni eccessive di alcune persone ci sembrano esagerate. Ma poi chiudono tutto. Scuole, palestre, ristoranti, uffici e allora vuol dire che la cosa è seria. Il 9 marzo il premier annuncia il lockdown. Tutti a casa, si esce solo con la mascherina per andare al supermercato. L'emergenza, che doveva durare fino al 3 aprile, si protrae invece sino al 4 maggio, quando annunciano la cosiddetta fase 2, che altro non è che una fase 1 più blanda. Poi il 16 maggio arriva dall'Africa una bolla di aria calda che investe l'Europa e porta con largo anticipo l'estate. I casi crollano, la curva scende, è un miracolo. Pur predicando prudenza, si anticipa l'apertura di bar, ristoranti e centri estetici. Il 30 maggio il virus è ufficialmente morto, zero decessi e zero contagi. Il 31 maggio viene dichiarata festa mondiale e sulle spiagge di tutto il mondo si accendono i falò. La gente balla, si ubriaca, fa l'amore. Com'è strano l'uomo. Fino a ieri non dava la mano nemmeno ai parenti e oggi fa sesso sul bagnasciuga, senza precauzioni, con perfetti sconosciuti. È l'estate più torrida e più piena di zanzare di sempre, ma a nessuno importa. Il 5 giugno qualcosa non va, vengono registrati dei casi, anomali e, sembrerebbe, differenti rispetto ai precedenti, addirittura dei decessi. Il 10 giugno tutto il mondo annuncia un nuovo lockdown, ancora più restrittivo. C'è il coprifuoco, vige la legge marziale e per le strade girano i soldati. Non si può uscire neppure per buttare l'immondizia. Bisogna calarla in appositi contenitori. Sarà ritirata da personale specializzato. Il 12 giugno il video di un immunologo su YouTube fa il giro del mondo e getta la popolazione nello sconforto più totale: - Il virus non è naturale ma creato in laboratorio. Questo ne ha fatto una pericolosa arma batteriologica, capace di mutare e diversificarsi in milioni di varianti, inattaccabili dai vaccini e molto, molto più letali. I governi hanno perso il controllo della loro arma, che era nata come uno strumento per controllare la sovrappopolazione. Il virus si è replicato, impazzito, finendo per essere veicolato dalle zanzare. Il nuovo virus non teme il caldo, ma il freddo e si trasmette col sangue oltre che per via aerea. In questi mesi invernali è mutato, acquistando forza. Basta la puntura di una zanzara portatrice e siete spacciati. Signori, il mondo come lo conoscevate è appena finito. - Si scatena il panico. Le farmacie sono saccheggiate. Non si cerca amuchina ma Autan e zampironi. I militari sparano a vista. La gente uccide i militari, i governi non esistono più, è guerra civile. Il 20 giugno il 90% del mondo è contagiato, nel giro di due giorni moriranno tutti. Il restante 9% sono bambini, ma i bambini senza guida perdono il controllo e diventano belve feroci come magnificamente raccontato da Golding in quel capolavoro che è “Il signore delle mosche”. Se pensate di aver visto l'inferno, non siete stati mai assaliti da un nugolo di adolescenti che a gruppi di dieci, come feroci cavallette-zombie, ti depredano, lasciandoti in fin di vita. L'ultimo 1% sono paria, immuni, miracolati da Dio o semplici fortunati, come me e Ana, non toccati dalle dita nere della peste. Ma anche di questo 1% saranno in pochi a sopravvivere, uccisi da altri naufraghi in cerca di cibo, divorati dalle belve, logorati dalla pazzia o consumati da altre malattie che ora, in un mondo improvvisamente piombato nel Medio Evo, in assenza di strutture curative funzionanti, diventano letali. Non c'è più energia, non c'è più acqua, niente telefoni, né navigatori. Sono partito il 25 giugno, attaccandomi alla speranza di quell'ultimo messaggio captato, che annunciava la partenza di un cargo da Tromso, direzione Svalbard, per le 13:00 del 1° luglio. Un cargo organizzato da un gruppo d'immuni, autodefinitosi “Resilienza scandinava”. Dopo due giorni di viaggio, incontro Ana. Procede carica come un mulo sul ciglio di una strada, reggendo due taniche di benzina che a occhio e croce non le dovrebbero servire a molto visto che non c'è traccia della sua macchina. Accosto e abbasso il finestrino: - Pensi di incendiare quel che resta del mondo o ti accontenti di un passaggio? - Mi guarda con sospetto, poi sorride e dice: - Penso che accetterò il passaggio, grazie. - Procediamo in silenzio per i primi venti chilometri. Mi scruta con la coda dell'occhio, cercando di capire se si è imbattuta in un maniaco sessuale. Poi, per rompere il ghiaccio le passo una barretta energetica. - Lo so fanno schifo. Volevo offrirti cheeseburger e patatine fritte, ma un amico mi ha detto che Mc Donald's è fallito. - Ride di gusto, come se avessi fatto la battuta più divertente del mondo, e si divora la barretta. Da questo momento in poi ci aiutiamo e ci diamo conforto. Ana è tarata, progettata per raggiungere l'obiettivo, l'opposto di me, che mi perdo seguendo l'inessenziale. Mi ricorda la Anne Parillaud di “Nikita”. Guidiamo per lo più su strade secondarie, essendo le grandi arterie intasate da mezzi abbandonati o incidentati, seguendo le consunte mappe stradali di Ana. Il puzzo dei cadaveri in decomposizione è nauseante. La terra è diventata una gigantesca fossa comune, un cimitero scoperto, un banchetto per sciacalli, topi, larve e insetti. Cinque giorni di viaggio e più di quattromila chilometri percorsi. Ne abbiamo viste di cotte e di crude. Se mai ci salveremo vi racconterò le nostre avventure. Ma ora no, ora sono stanco, è quasi il mio turno di dormire e mi prude la schiena. Guardo Ana che dorme beata. Mi spiace doverla svegliare e indugio un altro po'. Siamo come Adamo ed Eva, ma questo non è l'Eden. Magari, una volta arrivati alle Svalbard ci metteremo dentro a fare figli; tre, quattro, anche cinque, per dare una cazzo di speranza a questo fottuto pianeta in decomposizione. Il prurito non mi dà tregua. È proprio lì, al centro della schiena, dove le dita non arrivano. Devo ricordarmi domani mattina di dire ad Ana di dare una controllata a questo maledetto foruncolo. Chiudo gli occhi per un attimo e all'improvviso la retina rimanda al mio cervello un'immagine di poche ore fa, quella piccola traccia di sangue sul cruscotto e si fa strada in me una certezza definitiva che mi gela il sangue dentro le vene: quello che ho sulla schiena non è un brufolo, ma un fottuto pizzico di zanzara!
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Mi chiamo Giuseppe, ho un cognome ingombrante, dal momento che tutti hanno sempre sentito il bisogno di farci sopra qualche battuta, e vivo a Roma con mia moglie Francesca e i miei figli Elena, di sette anni, e Riccardo di quattro. Sono nato a Roma, ma tutta la mia infanzia l'ho trascorsa lontano dalla mia città perché mio papà lavorava in banca e veniva trasferito ogni sei mesi. Così ho girovagato per l'Italia (Bergamo, Verona, Livorno, Mantova, Venezia, Voghera, Cava dei Tirreni), imparando subito ad adattarmi ai cambiamenti e acquisendo quella capacità di socializzare necessaria per un bambino costretto a cambiare continuamente scuola e amici. Prima di rientrare a Roma, a tredici anni, ho fatto in tempo a conoscere la paura vera, quella del terremoto dell'Irpinia, che ha squarciato la mia casa, lasciando per fortuna vivi me e la mia famiglia. Mi sono diplomato al liceo classico e poi laureato in Giurisprudenza, abilitandomi alla professione forense che ho praticato per cinque anni. Quando ho vinto un concorso al Ministero della Difesa ho fatto il salto dal privato al pubblico, tanto l'avvocato in famiglia lo abbiamo già: mia moglie. Amo molto viaggiare e questa mia passione, che mi ha portato in Africa, Asia e Stati Uniti, oltre che in tutta Europa, mi ha fornito il materiale per scrivere il primo libro che ho pubblicato nel 2008: “L'eterno viaggiare”. Leggo tantissimo, pratico sport, amo la buona tavola in compagnia, le serie tv di fantascienza e horror, adoro i cani e ogni tanto provo a scrivere qualche libro.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?
Giuseppe Pensieroso: A 11 anni. Giocavo a Subbuteo (il gioco di calcio da tavolo) e subito dopo usavo la macchina da scrivere di mio papà per elaborare l'ipotetico articolo di giornale relativo al match disputato. Non ero ancora cosciente della mia passione, ma credo che quello sia stato il momento in cui ho sviluppato l'amore per la scrittura.
Writer OfficinaWriter Officina: C'è un autore o un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Giuseppe Pensieroso: I miei scrittori preferiti sono Isaac Asimov, Ken Follett e Stephen King. L'abilità di quest'ultimo di descrivere al meglio le dinamiche dell'amicizia e quelle che segnano il passaggio dall'adolescenza alla maturità, di dar vita a personaggi “reali”, talmente ben caratterizzati che alla fine del libro senti di amarli, di provare qualcosa per loro, come se esistessero veramente, mi ha da sempre trasmesso la voglia di provare a descrivere la profondità dell'animo umano come fa lui.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Giuseppe Pensieroso: Ero parecchio inesperto, lo proposi in giro un po' a caso e lo pubblicai con una CE che mi fece comprare 100 copie. Ne ho vendute in tutto 300, sono stato esposto a “Più libri più liberi” e ho fatto un paio di presentazioni, una dal vivo e una in radio. Nel complesso è stata una bella esperienza, ma solo più in là con gli anni ho capito che il meccanismo che regola l'editoria è piuttosto complesso e spesso non riesce a valorizzare l'autore. Per questo, per i libri successivi, ho deciso di pubblicare in self, almeno finché non ho trovato una CE disposta a pubblicarmi completamente a proprie spese, credendo in me e valorizzando il mio progetto. Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Giuseppe Pensieroso: Sicuramente. La cosa che più apprezzo del pubblicare in self è la possibilità di tornare sul tuo testo e modificarlo in tempo reale tutte le volte che vuoi. Con Amazon KDP al primo refuso che trovi puoi intervenire e il giorno dopo il tuo testo è on-line già corretto. Un altro punto di forza del self è la piena autonomia che si ha nel gestire tutti gli aspetti organizzativi, dalla data di pubblicazione, alla scelta della copertina. Certo c'è il rovescio della medaglia e cioè la promozione. Nessuno verrà da te a proporti presentazioni o interviste quindi devi rimboccarti le maniche e farti conoscere, proporre estratti della tua opera e confidare in un lento passaparola.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Giuseppe Pensieroso: A “Poteva andare peggio”. È un libro sulla pandemia, ma non è “il solito” libro sulla pandemia. È il diario di un papà in smart-working (io) catapultato improvvisamente in una realtà per lui del tutto nuova, quella della condivisione delle ore mattutine con i suoi due bimbi piccoli. Ore solitamente dedicate al lavoro e alla scuola diventano improvvisamente un dono, la possibilità di crescere insieme durante il periodo di clausura forzata. Un padre che gioca con i figli, scende con loro in giardino, ma al tempo stesso si sforza di spiegare perché non sia possibile oltrepassare il cancello del condominio. Il libro è una raccolta di riflessioni filosofiche, di pensieri, a volte seri, a volte ironici, partoriti per lo più di notte, quando mi svegliavo con un concetto in testa che al mattino presto sviluppavo al PC e poi pubblicavo in tempo reale su Facebook. In tanti hanno apprezzato queste mie pillole quotidiane, spronandomi ogni giorno a regalare loro altri pensieri cui aggrapparsi in un periodo tanto incerto. Così, dai complimenti ricevuti, ho tratto la forza per dare a quei pensieri una veste nuova e più completa e ne è nato un libro.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Giuseppe Pensieroso : In genere scrivo d'istinto. Quando ho un'idea provo a trasformarla subito in parole per non perderne la magia. Solo dopo torno a rivedere il testo ed eventualmente a incastrarlo con altri pensieri. Forse, se scrivessi gialli, preparerei uno schema, una trama di massima con un finale ipotetico, ma al momento le mie storie sono di altro tipo e non richiedono questo genere di preparazione.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Giuseppe Pensieroso: Si, sto scrivendo qualcosa di totalmente diverso. In fondo io ho scritto tutti libri differenti tra loro e non mi sento di potermi catalogare in un unico genere. Ho affrontato il tema della paternità, scritto diari di viaggio, mi sono improvvisato poeta scrivendo filastrocche per bambini, ho scritto di sport e di fantascienza (pubblicando quattro racconti distopici). Forse mi sento più un narratore che un romanziere, più un osservatore che un inventore. È la realtà la mia materia prima e la maggior parte dei miei libri hanno una forte connotazione autobiografica. Forse anche per questo sto provando qualcosa di nuovo, mi sto cimentando con la creazione di personaggi, provando a dar loro un'identità, tanto per restare in linea con quanto detto sopra a proposito del mio maestro Stephen King. Ho praticamente ultimato una raccolta di racconti a metà tra l'horror e il grottesco. Cinque storie di humor nero e poi, per cambiare ancora una volta registro, mi sto dedicando alla stesura di un romanzo romantico/erotico, una sorta di diario doppio, una storia d'amore, passione e tradimento, vista da due differenti angolazioni, quella maschile e quella femminile. Una storia condita da molto sesso tanto che, come si faceva una volta per i film, il libro uscirà con la dicitura “rigorosamente vietato ai minori di 18 anni”.
Writer Officina: Ma a parte questi due nuovi lavori tu hai già ultimato un altro libro che uscirà a breve, giusto? Vuoi anticiparci qualcosa?
Giuseppe Pensieroso: Il 16 maggio compirò 50 anni. Ho sempre visto quest'età come un qualcosa di lontano nel tempo. Ricordo la festa per i 50 anni di mio padre; gli invitati sembravano così anziani ai miei occhi adolescenziali e ora non mi sembra vero tocchi proprio a me, che fino a ieri giocavo a calcetto e andavo al pub con gli amici a cazzeggiare. Eppure il traguardo è arrivato e voltando gli occhi indietro, alla strada percorsa, mi sono accorto che il cammino fatto è stato faticoso, ma entusiasmante e che forse alle mie spalle c'è una bella storia da raccontare. Così ho aperto l'album di famiglia e ho provato a scrivere la mia autobiografia. Ho cercato un punto di vista “emotivo” e non “descrittivo”, cercando di non limitarmi a raccontare le vicende di un perfetto sconosciuto che potrebbero non interessare il pubblico, abituato solo alle storie di personaggi famosi. Un punto di vista che racconti le emozioni dietro agli eventi. Sono partito da quel famoso terremoto, descrivendo non tanto l'evento, quanto la paura dentro l'evento, il terrore negli occhi di un bambino, fino ad arrivare alla nascita dei miei figli, anche qui non limitandomi a descriverla, ma scendendo in profondità, nell'animo di un uomo che quando guarda per la prima volta negli occhi delle sue creature riesce a percepire il senso vero di tutte le cose e il fine ultimo della sua esistenza. Ne è uscito un libro emozionante, sincero e autoironico, che si sofferma malizioso a raccontare le “sfigate” vicende di un adolescente a cavallo di un microscopico motorino che ha trovato sulla sua strada moltissime porte chiuse, ma ha sempre avuto la forza e il coraggio per aprirle o per aggirarle, alla ricerca del senso della vita. Il libro, in memoria di quel buffo mezzo di trasporto, si intitola “Avevo un motorino arancione”, sarà edito da PAV e uscirà, nelle mie intenzioni, che spero siano anche quelle del mio editore, proprio il giorno del mio compleanno.
Writer Officina: Il libro ha una particolarità, sarà dotato di una colonna sonora. Ci vuoi spiegare come funziona?
Giuseppe Pensieroso: Ho sempre immaginato la mia vita scandita da una colonna sonora e tutti i capitoli di questo libro sono introdotti da canzoni famose dell'epoca che hanno rappresentato qualcosa per me. Ma non solo i capitoli, tutte le pagine sono piene di riferimenti sonori. Io racconto 50 anni di eventi che non sono solo i “miei” eventi, ma quelli di tutti, almeno di chi quegli anni li ha vissuti come me. Così dentro la storia c'è la musica e le canzoni sono state raccolte in una playlist che parte dagli anni '70 e arriva fino ai nostri giorni. La playlist è identificata da un codice che sarà stampato sulla copertina. Il lettore non dovrà far altro che inquadrare con la telecamera della sua App il codice per scaricare in un secondo sul suo cellulare tutte le canzoni. Così, quando ne avrà voglia, oltre a “leggere” il libro potrà “ascoltarlo”.
Writer Officina: Un'ultima cosa. Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo? Giuseppe Pensieroso : Vorrei che provassero le sensazioni che provo io quando leggo una bella storia. Quello che vorrei è che si emozionassero. Una volta una persona, dopo aver letto uno dei miei libri, mi ha scritto: “Mi hai fatto piangere, ho sentito sulla mia pelle, attraverso il tuo scritto, un'emozione forte da provare i brividi per tutto il corpo”. Quando succede questo, quando chi scrive riesce a far provare questo a chi legge, lo scrittore ha compiuto la sua magia e non ha più nulla da chiedere a se stesso.
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