Writer Officina
Autore: Giuseppe Pensieroso
Titolo: L'eterno viaggiare
Genere Diari di viaggio
Lettori 3842 55 69
L'eterno viaggiare
(Volumi 1 e 2).

San Juan.

Entrare nella chiesa di San Juan è un'esperienza di vita, è uno scioccante contatto con una religione che somiglia alla nostra, ma che dalla nostra differisce alquanto. Il pavimento della chiesa è disseminato di aghi di pino che purificano l'ambiente.
I fedeli, soprattutto anziani, inginocchiati davanti all'effigie di un San Giovanni vestito con pelle di montone, recitano le loro preghiere, sussurrandole di fronte a una moltitudine di ceri accesi.
Nella chiesa c'è qualcosa che stona, ma cos'è? Forse sono le bottiglie di vetro di pepsi cola, perché ruttare libera il male che è dentro l'uomo, sono questi i simboli che non siamo abituati a vedere in un ambiente religioso. Ma non è solo la pepsi, qualcuno tiene in braccio un pollo, gli tira il collo, cerca il sacrificio facendo agonizzare lentamente la bestia e trasferendo il proprio male in essa. Non ci sono preti, c'è un collettivo di gente che amministra il culto a proprio modo. Odori e rituali, incenso ed erba, preghiere e bevute, effigi e statuette, cera e animali, croci e dipinti. L'invocazione del credente, poco più di un bisbiglio, diventa una litania che entra nel cervello e trasferisce un senso di vorticoso disequilibrio, destabilizzando le nostre certezze e il comune modo di vedere le cose. Oscilliamo, sferzati da un misticismo che non comprendiamo. Siamo estranei, stranieri su un suolo straniero, nemici da inseguire se solo osiamo fotografare. Franco è accompagnato fuori perché prova di nascosto a memorizzare nella sua camera lo spirito del luogo. Mario tradisce una forte emozione, tutti ci sentiamo strani, colpiti, scossi e non sappiamo se pregare e se farci il segno della croce all'uscita, quasi che il nostro modo di intendere il contatto con Dio sia diverso dal loro. Nella piazza antistante rumorosi petardi sono sparati verso il cielo. Bambini circondano il nostro gruppo alla ricerca di elemosina. Povertà e miseria, commercio e baratto, fede e misticismo.

Chichicastenango

Il mercato, il più grande del Centro America, dove confluiscono venditori di tutto il Guatemala. Visto dall'alto è una distesa sterminata di tendoni bianchi, che coprono un mondo. Visto da dentro è un dedalo di colori, il labirinto del commercio. Giallo, verde, rosso e blu. È come guardare dentro la tavolozza di un pittore, una tavolozza in movimento, dove acquerelli e tempere si confondono, si mischiano e creano nuovi colori; stoffe di lana grezza, tovaglie, centrini, amache, ma anche maschere e frutta, tutto è vorticosamente colorato. Volti rugosi, volti scavati, volti di donne piccole e minute, volti anziani di donne senza età, di donne che sulle spalle portano bimbi di un anno, di donne che sembrano quasi indiane o sud americane, che sembrano appartenere a tribù distanti. Volti di uomini che chiamano, uomini che barattano e contrattano, che mostrano la merce e chiedono il tuo prezzo. Volti di bambini che tendono una mano, bambini che chiedono una moneta, bambini che vendono braccialetti e regalano sorrisi al telefono. Volti di gente, che vive e sopravvive, che ti guarda e ti assorbe, ti rimprovera e ti desidera. Volti di un'umanità diversa, sofferta e vitale, di una civiltà orgogliosa, di un popolo con le sue regole e le sue tradizioni. Galli e maiali, pollame nelle ceste. Versi di animali venduti e trascinati al guinzaglio come fossero cani, versi di bestie gettate come merce una sopra l'altra, stipate, come se non sentissero il dolore e non provassero la paura. E poi gli autobus, i famosi “Chicken bus”, colorati, festosi, pieni, caldi, assurdi. Gli adesivi sul parabrezza non sono quelli dei nostri camionisti, non celebrano le donne ma Dio, nessun poster di playboy, ma solo crocefissi e rosari, nessun gagliardetto calcistico ma slogan di fede. Un mondo a parte, un mondo differente dove compriamo di tutto, t-shirt e magliette da calcio, braccialetti e collane, orecchini e monili, drappi e teli, simboli e feticci. Contrattiamo al ribasso per quelli che al cambio equivarrebbero a pochi centesimi di euro, discutiamo, tocchiamo la merce come esperti mercanti e ci lasciamo incantare dal colore e dal rumore. Il mercato estende le sue radici per tutto il paese. Quelli che ieri sera erano solo spazi in allestimento, questa notte sono stati riempiti e ora sono rigonfi di mercanzie, estendendosi fino a ridosso della scalinata della chiesa, dove per entrare è consigliato usare gli accessi laterali e non l'ingresso principale, in segno di rispetto per la gente del luogo e per non recare offesa alla divinità. Qui altri rituali, altri incensi, fumi, sciamani, preghiere sussurrate e animo ferito quando qualcuno ti cattura in una foto; ecco perché il buon Corrado è frustato da un guatemalteco troppo fiero per farsi fotografare mentre invoca il suo dio. Quando ne abbiamo abbastanza, quando abbiamo speso e siamo storditi, quando il caldo ci ha spossato e lo zaino dei regali già mostra segni di cedimento per i troppi souvenir acquistati, decidiamo di ripartire.
Di nuovo sul pulmino di Daniel, con gli zaini sul tetto, diretti a Panajachel. La foschia lungo la strada non consente una visione panoramica del lago Atitlan e dei suoi vulcani. Torneremo domani in questo stesso punto e avremo maggior fortuna, catturando le luci di un sole volto al tramonto.

PANAJACHEL
Panajachel sembra quasi una stazione balneare, è un paesino notevolmente vivace. Le camere hanno la vista sul lago e l'atmosfera è più turistica di Chichicastenango. Andiamo a cena in un posto che serve grigliate di carne fino a star male. Fingiamo sia il compleanno di uno di noi, in modo da poter piazzare sulla tavola una damigiana di rum da un litro e mezzo che finiremo questa stessa notte, per la seconda grande ubriacata di viaggio, un rum e coca che ci trascinerà in vorticose danze per tutto il ristorante, stimolati da un gruppetto che suona e da un'irrefrenabile voglia di fare baldoria. I primi ad aprire le danze siamo Linda ed io. Acclamati, applauditi, volteggiamo e ci strusciamo, improvvisiamo passi appena inventati, conservando a stento l'equilibrio, messo a dura prova da tanto alcool. Poi Mario e Silvia, poi Franco che spinge in pista una giovane straniera di fronte allo sguardo geloso del marito che resta seduto al suo posto. Trascino Betta nel delirio del ballo, ancora pochi minuti e saremo tutti in mezzo ai tavoli a danzare, dondolare, cantare, pestarci i piedi, ridere e fumare. Ma la magia del viaggio ha i suoi contrappassi, l'ebbrezza del vino ha nei suoi liquidi anche l'amarezza di momenti deprimenti. Anche l'assoluta assenza di pensieri non riesce a star troppo a lunga da sola ma, attesa la fragile natura umana, abbisogna di momenti di riflessione, di dure lezioni di vita, di sconforto. Un pezzo di carne avanzato che giace sul piatto è offerto a un cane. Ci liberiamo dei nostri avanzi così, con naturalezza, noi troppo gonfi di cibo per continuare a ingozzarci. Ma quegli stessi pezzi di carne qualcun altro li sta dando a dei ragazzini. Come cani affamati anche queste piccole creature reclamano la loro parte di nutrimento. Il nostro scarto è la loro cena, il nostro surplus, destinato al cestino, o a una bestia, è il loro miraggio. Il contrasto è destabilizzante. Chi non ha ancora mai visto la povertà (e sono in tanti in questo gruppo a non conoscere l'Africa e i suoi figli denutriti) riceve uno schiaffo al cuore e si sente morire dentro. Mario cede, continua a ripetere ho dato la carne al cane... e si sente in colpa. Si sfoga da persona sensibile qual è, ed è magnifico e terribile al tempo stesso il contrasto tra chi sta male per quanto ha visto e chi invece continua a ridere e dire cazzate perché troppo inebriato dal rum per rendersi conto di cosa è stato un momento di umanità. Potente e bella è la vita, labile e fragile l'animo umano, drammatico e incomprensibile lo sconforto che nasce dal donare, da un gesto di generosità. Ma nessuno ci può fare una colpa di quello che siamo e della fortuna che abbiamo avuto nel nascere in Italia e non in Guatemala. È tempo di andare, tutti abbracciati, stretti in mezzo alla strada in un gesto che sa di amicizia e fratellanza, riconoscenti al caso che ci ha fatto incontrare. È tempo di andare, verso un altro bar, dove una ragazza di nome Marisol ci verserà un giro di tequila, verso un lago, dove forse due coppie stanno per nascere, dove Franco e Linda spariscono per alcuni minuti, dove Mario e Silvia si stringono un po' di più. Buona notte gente, buona notte Guatemala, buona notte ragazzi che non avete in camera Corrado come me e potete gustare sonni tranquilli, buona notte a tutti, oggi è stata una buona giornata.
Giuseppe Pensieroso
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Giuseppe Pensieroso
Mi chiamo Giuseppe, ho un cognome ingombrante, dal momento che tutti hanno sempre sentito il bisogno di farci sopra qualche battuta, e vivo a Roma con mia moglie Francesca e i miei figli Elena, di sette anni, e Riccardo di quattro. Sono nato a Roma, ma tutta la mia infanzia l'ho trascorsa lontano dalla mia città perché mio papà lavorava in banca e veniva trasferito ogni sei mesi. Così ho girovagato per l'Italia (Bergamo, Verona, Livorno, Mantova, Venezia, Voghera, Cava dei Tirreni), imparando subito ad adattarmi ai cambiamenti e acquisendo quella capacità di socializzare necessaria per un bambino costretto a cambiare continuamente scuola e amici.
Prima di rientrare a Roma, a tredici anni, ho fatto in tempo a conoscere la paura vera, quella del terremoto dell'Irpinia, che ha squarciato la mia casa, lasciando per fortuna vivi me e la mia famiglia. Mi sono diplomato al liceo classico e poi laureato in Giurisprudenza, abilitandomi alla professione forense che ho praticato per cinque anni. Quando ho vinto un concorso al Ministero della Difesa ho fatto il salto dal privato al pubblico, tanto l'avvocato in famiglia lo abbiamo già: mia moglie.
Amo molto viaggiare e questa mia passione, che mi ha portato in Africa, Asia e Stati Uniti, oltre che in tutta Europa, mi ha fornito il materiale per scrivere il primo libro che ho pubblicato nel 2008: “L'eterno viaggiare”.
Leggo tantissimo, pratico sport, amo la buona tavola in compagnia, le serie tv di fantascienza e horror, adoro i cani e ogni tanto provo a scrivere qualche libro.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?

Giuseppe Pensieroso: A 11 anni. Giocavo a Subbuteo (il gioco di calcio da tavolo) e subito dopo usavo la macchina da scrivere di mio papà per elaborare l'ipotetico articolo di giornale relativo al match disputato. Non ero ancora cosciente della mia passione, ma credo che quello sia stato il momento in cui ho sviluppato l'amore per la scrittura.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un autore o un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Giuseppe Pensieroso: I miei scrittori preferiti sono Isaac Asimov, Ken Follett e Stephen King. L'abilità di quest'ultimo di descrivere al meglio le dinamiche dell'amicizia e quelle che segnano il passaggio dall'adolescenza alla maturità, di dar vita a personaggi “reali”, talmente ben caratterizzati che alla fine del libro senti di amarli, di provare qualcosa per loro, come se esistessero veramente, mi ha da sempre trasmesso la voglia di provare a descrivere la profondità dell'animo umano come fa lui.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Giuseppe Pensieroso: Ero parecchio inesperto, lo proposi in giro un po' a caso e lo pubblicai con una CE che mi fece comprare 100 copie. Ne ho vendute in tutto 300, sono stato esposto a “Più libri più liberi” e ho fatto un paio di presentazioni, una dal vivo e una in radio. Nel complesso è stata una bella esperienza, ma solo più in là con gli anni ho capito che il meccanismo che regola l'editoria è piuttosto complesso e spesso non riesce a valorizzare l'autore. Per questo, per i libri successivi, ho deciso di pubblicare in self, almeno finché non ho trovato una CE disposta a pubblicarmi completamente a proprie spese, credendo in me e valorizzando il mio progetto.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Giuseppe Pensieroso: Sicuramente. La cosa che più apprezzo del pubblicare in self è la possibilità di tornare sul tuo testo e modificarlo in tempo reale tutte le volte che vuoi. Con Amazon KDP al primo refuso che trovi puoi intervenire e il giorno dopo il tuo testo è on-line già corretto. Un altro punto di forza del self è la piena autonomia che si ha nel gestire tutti gli aspetti organizzativi, dalla data di pubblicazione, alla scelta della copertina. Certo c'è il rovescio della medaglia e cioè la promozione. Nessuno verrà da te a proporti presentazioni o interviste quindi devi rimboccarti le maniche e farti conoscere, proporre estratti della tua opera e confidare in un lento passaparola.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Giuseppe Pensieroso: A “Poteva andare peggio”. È un libro sulla pandemia, ma non è “il solito” libro sulla pandemia. È il diario di un papà in smart-working (io) catapultato improvvisamente in una realtà per lui del tutto nuova, quella della condivisione delle ore mattutine con i suoi due bimbi piccoli. Ore solitamente dedicate al lavoro e alla scuola diventano improvvisamente un dono, la possibilità di crescere insieme durante il periodo di clausura forzata. Un padre che gioca con i figli, scende con loro in giardino, ma al tempo stesso si sforza di spiegare perché non sia possibile oltrepassare il cancello del condominio. Il libro è una raccolta di riflessioni filosofiche, di pensieri, a volte seri, a volte ironici, partoriti per lo più di notte, quando mi svegliavo con un concetto in testa che al mattino presto sviluppavo al PC e poi pubblicavo in tempo reale su Facebook. In tanti hanno apprezzato queste mie pillole quotidiane, spronandomi ogni giorno a regalare loro altri pensieri cui aggrapparsi in un periodo tanto incerto. Così, dai complimenti ricevuti, ho tratto la forza per dare a quei pensieri una veste nuova e più completa e ne è nato un libro.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Giuseppe Pensieroso : In genere scrivo d'istinto. Quando ho un'idea provo a trasformarla subito in parole per non perderne la magia. Solo dopo torno a rivedere il testo ed eventualmente a incastrarlo con altri pensieri. Forse, se scrivessi gialli, preparerei uno schema, una trama di massima con un finale ipotetico, ma al momento le mie storie sono di altro tipo e non richiedono questo genere di preparazione.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Giuseppe Pensieroso: Si, sto scrivendo qualcosa di totalmente diverso. In fondo io ho scritto tutti libri differenti tra loro e non mi sento di potermi catalogare in un unico genere. Ho affrontato il tema della paternità, scritto diari di viaggio, mi sono improvvisato poeta scrivendo filastrocche per bambini, ho scritto di sport e di fantascienza (pubblicando quattro racconti distopici). Forse mi sento più un narratore che un romanziere, più un osservatore che un inventore. È la realtà la mia materia prima e la maggior parte dei miei libri hanno una forte connotazione autobiografica. Forse anche per questo sto provando qualcosa di nuovo, mi sto cimentando con la creazione di personaggi, provando a dar loro un'identità, tanto per restare in linea con quanto detto sopra a proposito del mio maestro Stephen King. Ho praticamente ultimato una raccolta di racconti a metà tra l'horror e il grottesco. Cinque storie di humor nero e poi, per cambiare ancora una volta registro, mi sto dedicando alla stesura di un romanzo romantico/erotico, una sorta di diario doppio, una storia d'amore, passione e tradimento, vista da due differenti angolazioni, quella maschile e quella femminile. Una storia condita da molto sesso tanto che, come si faceva una volta per i film, il libro uscirà con la dicitura “rigorosamente vietato ai minori di 18 anni”.

Writer Officina: Ma a parte questi due nuovi lavori tu hai già ultimato un altro libro che uscirà a breve, giusto? Vuoi anticiparci qualcosa?

Giuseppe Pensieroso: Il 16 maggio compirò 50 anni. Ho sempre visto quest'età come un qualcosa di lontano nel tempo. Ricordo la festa per i 50 anni di mio padre; gli invitati sembravano così anziani ai miei occhi adolescenziali e ora non mi sembra vero tocchi proprio a me, che fino a ieri giocavo a calcetto e andavo al pub con gli amici a cazzeggiare. Eppure il traguardo è arrivato e voltando gli occhi indietro, alla strada percorsa, mi sono accorto che il cammino fatto è stato faticoso, ma entusiasmante e che forse alle mie spalle c'è una bella storia da raccontare. Così ho aperto l'album di famiglia e ho provato a scrivere la mia autobiografia. Ho cercato un punto di vista “emotivo” e non “descrittivo”, cercando di non limitarmi a raccontare le vicende di un perfetto sconosciuto che potrebbero non interessare il pubblico, abituato solo alle storie di personaggi famosi. Un punto di vista che racconti le emozioni dietro agli eventi. Sono partito da quel famoso terremoto, descrivendo non tanto l'evento, quanto la paura dentro l'evento, il terrore negli occhi di un bambino, fino ad arrivare alla nascita dei miei figli, anche qui non limitandomi a descriverla, ma scendendo in profondità, nell'animo di un uomo che quando guarda per la prima volta negli occhi delle sue creature riesce a percepire il senso vero di tutte le cose e il fine ultimo della sua esistenza. Ne è uscito un libro emozionante, sincero e autoironico, che si sofferma malizioso a raccontare le “sfigate” vicende di un adolescente a cavallo di un microscopico motorino che ha trovato sulla sua strada moltissime porte chiuse, ma ha sempre avuto la forza e il coraggio per aprirle o per aggirarle, alla ricerca del senso della vita.
Il libro, in memoria di quel buffo mezzo di trasporto, si intitola “Avevo un motorino arancione”, sarà edito da PAV e uscirà, nelle mie intenzioni, che spero siano anche quelle del mio editore, proprio il giorno del mio compleanno.

Writer Officina: Il libro ha una particolarità, sarà dotato di una colonna sonora. Ci vuoi spiegare come funziona?

Giuseppe Pensieroso: Ho sempre immaginato la mia vita scandita da una colonna sonora e tutti i capitoli di questo libro sono introdotti da canzoni famose dell'epoca che hanno rappresentato qualcosa per me. Ma non solo i capitoli, tutte le pagine sono piene di riferimenti sonori. Io racconto 50 anni di eventi che non sono solo i “miei” eventi, ma quelli di tutti, almeno di chi quegli anni li ha vissuti come me. Così dentro la storia c'è la musica e le canzoni sono state raccolte in una playlist che parte dagli anni '70 e arriva fino ai nostri giorni. La playlist è identificata da un codice che sarà stampato sulla copertina. Il lettore non dovrà far altro che inquadrare con la telecamera della sua App il codice per scaricare in un secondo sul suo cellulare tutte le canzoni. Così, quando ne avrà voglia, oltre a “leggere” il libro potrà “ascoltarlo”.

Writer Officina: Un'ultima cosa. Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?

Giuseppe Pensieroso : Vorrei che provassero le sensazioni che provo io quando leggo una bella storia. Quello che vorrei è che si emozionassero. Una volta una persona, dopo aver letto uno dei miei libri, mi ha scritto: “Mi hai fatto piangere, ho sentito sulla mia pelle, attraverso il tuo scritto, un'emozione forte da provare i brividi per tutto il corpo”. Quando succede questo, quando chi scrive riesce a far provare questo a chi legge, lo scrittore ha compiuto la sua magia e non ha più nulla da chiedere a se stesso.
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