Writer Officina
Autore: Giuseppe Pensieroso
Titolo: Poteva andare peggio
Genere Narrativa
Lettori 4114 58 71
Poteva andare peggio
Le cose che facevamo prima.
C'è una panchina bianca in un angolo del cortile. Elena e Riccardo si siedono lì a fare merenda di mattina. Gli anziani del palazzo non scendono più a innaffiare le piante, hanno paura, anche solo di toccare il tubo dell'acqua e li capisco. E allora tocca a noi innaffiare. Tra tutti i vasi, ce n'è uno vuoto, senza piante. Elena si è accorta che lì dentro ci sono due lucertole. La più grande spalanca la bocca se ci avviciniamo troppo, forse ha paura. Ogni giorno la prima preoccupazione è vedere se i piccoli rettili sono ancora qui, in modo da lasciar loro un po' di briciole. In un tempo in cui non ci è permesso fare nuove conoscenze, siamo diventati amici di due lucertole!
C'è una recinzione di metallo a separare il nostro condominio da una stradina di terra battuta che porta al parco. A Elena e Riccardo piace arrampicarcisi sopra e salutare i cani che passano. Ieri Lamù ci ha riconosciuto e per la prima volta non ci ha abbaiato contro, oggi René, un mansueto Labrador, ha poggiato il suo muso peloso sul divisorio, facendosi carezzare da Elena.
C'è un'altra bimba piccola che scende giù a giocare. Lei tende ad avvicinarsi un po' troppo, i bambini lo fanno, vedono altri bambini e corrono verso di loro, è normale. Ma non si può e la mamma giustamente le grida non avvicinarti a loro. Ecco, l'ha detto non avvicinarti (che potresti infettarti). Siamo diventati tutti potenziali untori. Abbiamo decretato che bisogna stare a tre metri di distanza l'uno dall'altro e così disponendo abbiamo bloccato una delle cose più spontanee del mondo, la corsa dei bambini.
Non portate i vostri figli dai nonni potrebbero ucciderli. Il monito dei medici è un grido che fa male, rimanda ai tragici greci, ai figli che inconsapevolmente uccidono i padri. Siamo diventati “homo homini lupus”. Siamo moderni uomini di Platone, confinati nelle caverne, circondati dalle nostre ombre e inconsapevoli delle cose del mondo esterno.
Giocate nei vostri recinti bambini, restate dietro le sbarre. Abbiamo insegnato ai vostri padri ad abbattere i muri e ora li stiamo convincendo a erigerne di più alti. Il mondo di là dalla siepe; di qua noi, di là i cani con i loro padroni. La recinzione è bene, viva la recinzione; la recinzione è cosa buona e giusta, sia lodata la recinzione.
Ieri sera prima di addormentarsi Elena mi ha chiesto: - Papà, quando torneremo a fare le cose che facevamo prima? -
Non pensavo che l'ingenuo stupore dei suoi cinque anni la portasse a queste considerazioni. Credevo che l'unico cambiamento da lei avvertito fosse la chiusura della scuola.
Alla fine sono le frasi semplici e dirette, quelle che ti piovono addosso in un giorno monotono di quarantena, che ti fanno capire quanto pericolosamente è andato avanti il mondo e come lo abbiamo spinto sull'orlo del precipizio.
Buona notte Elena e non preoccuparti, ti prometto che presto torneremo a fare le cose che facevamo prima.

ROSA, ROSAE, ROSAE...
Come dentro il film Ricomincio da capo, ripetiamo ogni volta la stessa giornata, uguale a quella precedente, identica a quella successiva. Il virus ha eliminato i giorni, il lunedì ormai non ha nulla di diverso dalla domenica; ha cancellato perfino il mese di marzo, forse casserà anche aprile e la Pasqua. Nessuno si chiederà se a Pasquetta ci sarà la pioggia, l'unico riferimento temporale che ci resta è quello numerico. Contiamo i giorni che mancano alla fine. Ci hanno detto 3 aprile, ma la data sarà posticipata. Abbiamo un obiettivo sul calendario che si sposta sempre più in là, si fa beffe di noi.
E allora ricomincia la nostra giornata, sempre uguale: le pulizie di casa, i compiti, il pranzo, la lezione di ginnastica in tv, l'inno di Mameli delle 18:00 dal balcone, la cena, il telegiornale che aggiorna il contatore dei contagi, dei decessi, delle guarigioni, sempre e solo numeri.
Ma oggi c'è qualcosa di nuovo nel giardino. È arrivata la primavera e una rosa è sbocciata. Il mondo si ricorda che esistono le stagioni. Forse il vero malato è il pianeta, noi lo abbiamo avvelenato e lui ora ci chiede di stare in casa per rimarginare le ferite che gli abbiamo inferto. Le acque dei fiumi sono più limpide, nei porti tornano i delfini, l'aria è più pulita e mentre il pianeta ricomincia a respirare, l'uomo, crudele contrappasso, colpito ai polmoni, boccheggia. Siamo inversamente connessi a nostra madre Terra. Sarà il sacrificio dell'umanità, la salvezza del pianeta? No, mi auguro di no. Forse tutto questo è solo un avvertimento, forse siamo ancora in tempo e quando il mondo si sarà curato, avrà ancora bisogno di noi. Perché se è vero che non esiste rumore in assenza di orecchio, allora non c'è bellezza in mancanza di occhi.
Oh rosa, non appassirai, hai avuto bisogno della mia acqua per crescere e ora hai bisogno dei miei occhi per continuare a splendere.

CHE COSA RESTERA'...
..di questi anni '80? Così recitava una canzone sepolta ormai nelle sabbie del tempo. E cosa resterà di questi anni '20? I nostri nipoti ne leggeranno sui libri di storia e ancora non sappiamo se sarà solo un piccolo paragrafo o un grande capitolo. A volte penso che Elena e Riccardo siano troppo piccoli perché possano ricordare e che forse, di questo periodo, si porteranno dietro solo la voglia di fare i giardinieri da grandi. Altre volte invece penso che, aiutati dalla loro fantasia, resterà loro il ricordo di quando il papà li portava a giocare in un mondo fantastico, dove vasi enormi ospitavano giganteschi draghi verdi, dove ogni rametto era una spada e ogni foglia secca nascondeva tesori, dove le scale del garage portavano nelle oscure prigioni del castello e dove solo il coraggio di affrontare una pericolosissima scalata, permetteva di affacciarsi sul magico sentiero che portava al regno dei cani, governato dal re buono René, che altri non era se non un labrador beige di dieci anni. E a mia moglie cosa resterà di questi anni '20? La gioia per i video mandati dalle maestre di Ricky ai loro piccoli alunni? La fatica d'infinite lavatrici? L'ansia successiva alle conferenze del premier che riduce ogni giorno un po' di più la nostra libertà personale, stringendo il cerchio degli umani confini? La tristezza per i biglietti aerei per Malaga buttati nel cestino? La sorpresa per il corriere Amazon che invece di portare prodotti per il trucco consegna dieci mascherine chirurgiche? La commozione per le videochiamate con la sorella da Londra o per quelle con i genitori all'altro capo di Roma che se disgraziatamente si dovessero ammalare non potrebbe nemmeno correre a salutare? E di me cosa resterà a Francesca? Di me che mai come ora mi ha avuto così vicino e, paradossalmente, così lontano, perché la privacy diventa incognita quando hai due bimbi perennemente svegli in giro per casa, la riservatezza sfuma in un concetto vago e nebuloso.
E a me cosa resterà di questi anni '20? Le lunghe attese davanti al supermercato, soldatini in composta e silenziosa fila indiana, muniti di mascherine e guanti? La passeggiata notturna di cinque minuti verso il cassonetto dell'immondizia, a guardare autobus fantasma che sfrecciano nel nulla, portando invisibili passeggeri verso un dove che non esiste?
No, io lo so cosa mi resterà, perché a differenza dei padri medici o cassieri di supermercato, che lavorano senza sosta, io da questo periodo ho avuto in regalo il dono più prezioso: il tempo. Tempo, che ha dilatato la giornata, rallentandone l'insensata corsa. Tempo, che cancellando asili e uffici in un colpo solo, ha permesso a padri e figli di vivere insieme ore altrimenti incondivisibili, quelle del mattino. Tante volte mi hanno detto: non te ne accorgerai nemmeno, un giorno ti girerai a guardarli e li troverai già grandi. E invece no, voglio accorgermene, ora che posso, ora che ho il tempo per vederli crescere, voglio accorgermene.
Ecco, di quella strana primavera dell'anno 2020, nei miei ricordi di vecchio resterà più di altre un'immagine nitida, quella di una panchina bianca, dove Elena e Riccardo, prima di incominciare a innaffiare le piante, sedevano vicini a fare merenda.
Giuseppe Pensieroso
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Giuseppe Pensieroso
Mi chiamo Giuseppe, ho un cognome ingombrante, dal momento che tutti hanno sempre sentito il bisogno di farci sopra qualche battuta, e vivo a Roma con mia moglie Francesca e i miei figli Elena, di sette anni, e Riccardo di quattro. Sono nato a Roma, ma tutta la mia infanzia l'ho trascorsa lontano dalla mia città perché mio papà lavorava in banca e veniva trasferito ogni sei mesi. Così ho girovagato per l'Italia (Bergamo, Verona, Livorno, Mantova, Venezia, Voghera, Cava dei Tirreni), imparando subito ad adattarmi ai cambiamenti e acquisendo quella capacità di socializzare necessaria per un bambino costretto a cambiare continuamente scuola e amici.
Prima di rientrare a Roma, a tredici anni, ho fatto in tempo a conoscere la paura vera, quella del terremoto dell'Irpinia, che ha squarciato la mia casa, lasciando per fortuna vivi me e la mia famiglia. Mi sono diplomato al liceo classico e poi laureato in Giurisprudenza, abilitandomi alla professione forense che ho praticato per cinque anni. Quando ho vinto un concorso al Ministero della Difesa ho fatto il salto dal privato al pubblico, tanto l'avvocato in famiglia lo abbiamo già: mia moglie.
Amo molto viaggiare e questa mia passione, che mi ha portato in Africa, Asia e Stati Uniti, oltre che in tutta Europa, mi ha fornito il materiale per scrivere il primo libro che ho pubblicato nel 2008: “L'eterno viaggiare”.
Leggo tantissimo, pratico sport, amo la buona tavola in compagnia, le serie tv di fantascienza e horror, adoro i cani e ogni tanto provo a scrivere qualche libro.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?

Giuseppe Pensieroso: A 11 anni. Giocavo a Subbuteo (il gioco di calcio da tavolo) e subito dopo usavo la macchina da scrivere di mio papà per elaborare l'ipotetico articolo di giornale relativo al match disputato. Non ero ancora cosciente della mia passione, ma credo che quello sia stato il momento in cui ho sviluppato l'amore per la scrittura.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un autore o un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Giuseppe Pensieroso: I miei scrittori preferiti sono Isaac Asimov, Ken Follett e Stephen King. L'abilità di quest'ultimo di descrivere al meglio le dinamiche dell'amicizia e quelle che segnano il passaggio dall'adolescenza alla maturità, di dar vita a personaggi “reali”, talmente ben caratterizzati che alla fine del libro senti di amarli, di provare qualcosa per loro, come se esistessero veramente, mi ha da sempre trasmesso la voglia di provare a descrivere la profondità dell'animo umano come fa lui.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Giuseppe Pensieroso: Ero parecchio inesperto, lo proposi in giro un po' a caso e lo pubblicai con una CE che mi fece comprare 100 copie. Ne ho vendute in tutto 300, sono stato esposto a “Più libri più liberi” e ho fatto un paio di presentazioni, una dal vivo e una in radio. Nel complesso è stata una bella esperienza, ma solo più in là con gli anni ho capito che il meccanismo che regola l'editoria è piuttosto complesso e spesso non riesce a valorizzare l'autore. Per questo, per i libri successivi, ho deciso di pubblicare in self, almeno finché non ho trovato una CE disposta a pubblicarmi completamente a proprie spese, credendo in me e valorizzando il mio progetto.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Giuseppe Pensieroso: Sicuramente. La cosa che più apprezzo del pubblicare in self è la possibilità di tornare sul tuo testo e modificarlo in tempo reale tutte le volte che vuoi. Con Amazon KDP al primo refuso che trovi puoi intervenire e il giorno dopo il tuo testo è on-line già corretto. Un altro punto di forza del self è la piena autonomia che si ha nel gestire tutti gli aspetti organizzativi, dalla data di pubblicazione, alla scelta della copertina. Certo c'è il rovescio della medaglia e cioè la promozione. Nessuno verrà da te a proporti presentazioni o interviste quindi devi rimboccarti le maniche e farti conoscere, proporre estratti della tua opera e confidare in un lento passaparola.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Giuseppe Pensieroso: A “Poteva andare peggio”. È un libro sulla pandemia, ma non è “il solito” libro sulla pandemia. È il diario di un papà in smart-working (io) catapultato improvvisamente in una realtà per lui del tutto nuova, quella della condivisione delle ore mattutine con i suoi due bimbi piccoli. Ore solitamente dedicate al lavoro e alla scuola diventano improvvisamente un dono, la possibilità di crescere insieme durante il periodo di clausura forzata. Un padre che gioca con i figli, scende con loro in giardino, ma al tempo stesso si sforza di spiegare perché non sia possibile oltrepassare il cancello del condominio. Il libro è una raccolta di riflessioni filosofiche, di pensieri, a volte seri, a volte ironici, partoriti per lo più di notte, quando mi svegliavo con un concetto in testa che al mattino presto sviluppavo al PC e poi pubblicavo in tempo reale su Facebook. In tanti hanno apprezzato queste mie pillole quotidiane, spronandomi ogni giorno a regalare loro altri pensieri cui aggrapparsi in un periodo tanto incerto. Così, dai complimenti ricevuti, ho tratto la forza per dare a quei pensieri una veste nuova e più completa e ne è nato un libro.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Giuseppe Pensieroso : In genere scrivo d'istinto. Quando ho un'idea provo a trasformarla subito in parole per non perderne la magia. Solo dopo torno a rivedere il testo ed eventualmente a incastrarlo con altri pensieri. Forse, se scrivessi gialli, preparerei uno schema, una trama di massima con un finale ipotetico, ma al momento le mie storie sono di altro tipo e non richiedono questo genere di preparazione.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Giuseppe Pensieroso: Si, sto scrivendo qualcosa di totalmente diverso. In fondo io ho scritto tutti libri differenti tra loro e non mi sento di potermi catalogare in un unico genere. Ho affrontato il tema della paternità, scritto diari di viaggio, mi sono improvvisato poeta scrivendo filastrocche per bambini, ho scritto di sport e di fantascienza (pubblicando quattro racconti distopici). Forse mi sento più un narratore che un romanziere, più un osservatore che un inventore. È la realtà la mia materia prima e la maggior parte dei miei libri hanno una forte connotazione autobiografica. Forse anche per questo sto provando qualcosa di nuovo, mi sto cimentando con la creazione di personaggi, provando a dar loro un'identità, tanto per restare in linea con quanto detto sopra a proposito del mio maestro Stephen King. Ho praticamente ultimato una raccolta di racconti a metà tra l'horror e il grottesco. Cinque storie di humor nero e poi, per cambiare ancora una volta registro, mi sto dedicando alla stesura di un romanzo romantico/erotico, una sorta di diario doppio, una storia d'amore, passione e tradimento, vista da due differenti angolazioni, quella maschile e quella femminile. Una storia condita da molto sesso tanto che, come si faceva una volta per i film, il libro uscirà con la dicitura “rigorosamente vietato ai minori di 18 anni”.

Writer Officina: Ma a parte questi due nuovi lavori tu hai già ultimato un altro libro che uscirà a breve, giusto? Vuoi anticiparci qualcosa?

Giuseppe Pensieroso: Il 16 maggio compirò 50 anni. Ho sempre visto quest'età come un qualcosa di lontano nel tempo. Ricordo la festa per i 50 anni di mio padre; gli invitati sembravano così anziani ai miei occhi adolescenziali e ora non mi sembra vero tocchi proprio a me, che fino a ieri giocavo a calcetto e andavo al pub con gli amici a cazzeggiare. Eppure il traguardo è arrivato e voltando gli occhi indietro, alla strada percorsa, mi sono accorto che il cammino fatto è stato faticoso, ma entusiasmante e che forse alle mie spalle c'è una bella storia da raccontare. Così ho aperto l'album di famiglia e ho provato a scrivere la mia autobiografia. Ho cercato un punto di vista “emotivo” e non “descrittivo”, cercando di non limitarmi a raccontare le vicende di un perfetto sconosciuto che potrebbero non interessare il pubblico, abituato solo alle storie di personaggi famosi. Un punto di vista che racconti le emozioni dietro agli eventi. Sono partito da quel famoso terremoto, descrivendo non tanto l'evento, quanto la paura dentro l'evento, il terrore negli occhi di un bambino, fino ad arrivare alla nascita dei miei figli, anche qui non limitandomi a descriverla, ma scendendo in profondità, nell'animo di un uomo che quando guarda per la prima volta negli occhi delle sue creature riesce a percepire il senso vero di tutte le cose e il fine ultimo della sua esistenza. Ne è uscito un libro emozionante, sincero e autoironico, che si sofferma malizioso a raccontare le “sfigate” vicende di un adolescente a cavallo di un microscopico motorino che ha trovato sulla sua strada moltissime porte chiuse, ma ha sempre avuto la forza e il coraggio per aprirle o per aggirarle, alla ricerca del senso della vita.
Il libro, in memoria di quel buffo mezzo di trasporto, si intitola “Avevo un motorino arancione”, sarà edito da PAV e uscirà, nelle mie intenzioni, che spero siano anche quelle del mio editore, proprio il giorno del mio compleanno.

Writer Officina: Il libro ha una particolarità, sarà dotato di una colonna sonora. Ci vuoi spiegare come funziona?

Giuseppe Pensieroso: Ho sempre immaginato la mia vita scandita da una colonna sonora e tutti i capitoli di questo libro sono introdotti da canzoni famose dell'epoca che hanno rappresentato qualcosa per me. Ma non solo i capitoli, tutte le pagine sono piene di riferimenti sonori. Io racconto 50 anni di eventi che non sono solo i “miei” eventi, ma quelli di tutti, almeno di chi quegli anni li ha vissuti come me. Così dentro la storia c'è la musica e le canzoni sono state raccolte in una playlist che parte dagli anni '70 e arriva fino ai nostri giorni. La playlist è identificata da un codice che sarà stampato sulla copertina. Il lettore non dovrà far altro che inquadrare con la telecamera della sua App il codice per scaricare in un secondo sul suo cellulare tutte le canzoni. Così, quando ne avrà voglia, oltre a “leggere” il libro potrà “ascoltarlo”.

Writer Officina: Un'ultima cosa. Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?

Giuseppe Pensieroso : Vorrei che provassero le sensazioni che provo io quando leggo una bella storia. Quello che vorrei è che si emozionassero. Una volta una persona, dopo aver letto uno dei miei libri, mi ha scritto: “Mi hai fatto piangere, ho sentito sulla mia pelle, attraverso il tuo scritto, un'emozione forte da provare i brividi per tutto il corpo”. Quando succede questo, quando chi scrive riesce a far provare questo a chi legge, lo scrittore ha compiuto la sua magia e non ha più nulla da chiedere a se stesso.
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