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Autore: Giuseppe Pensieroso
Titolo: Fino alla fine (la Juve a Roma)
Genere Sportivo
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Fino alla fine (la Juve a Roma)
Siamo dentro.
La speranza di entrare è divenuta realtà. Siamo mio fratello ed io, nel bel mezzo della Curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma, il cuore del tifo giallorosso che oggi diventa feudo bianconero.
È il 22 maggio del 1996, il giorno della finale della Coppa dei Campioni tra Ajax e Juventus e sul biglietto, acquistato per quattrocentomilalire, c'è scritto Curva Nord, Ajax. Al primo varco l'omino che controlla mi fa: - perché questo biglietto è di colore diverso? -
Con nonchalance rispondo: - Perché è un biglietto di Curva Nord, ma noi siamo della Juve. -
- Ah va bene, prego. -
Ed entriamo, così, senza neanche dover forzare la resistenza di un controllo rivelatosi meno scrupoloso del previsto.
Quanta pena per quel biglietto. Ho chiamato i club dei tifosi, ho cercato in tutte le ricevitorie, ho partecipato a improbabili concorsi, ma l'unica soluzione è stata andare il giorno prima davanti allo stadio con un milione delle vecchie lire nelle tasche. Era la cifra limite che potevo spendere per due biglietti. Li ho comprati da un bagarino e lo scambio tagliando-soldi si è consumato furtivo, dietro un albero, quasi fosse l'acquisto di droga.
D'altra parte, quando ti ricapita? La Juve che arriva in finale di Champions e la finale che quell'anno si disputa proprio a Roma. Il destino voleva che noi ci fossimo per quella storica sfida.
Dunque siamo dentro, abbiamo oltrepassato i controlli e siamo nel bel mezzo della curva, ammirando gli striscioni già appesi e iniziando a sognare.
È una Juve straordinaria quella che Lippi ha portato in finale. Durante la fase eliminatoria Del Piero ha regalato prodezze indimenticabili tirando fuori dal cilindro una serie di “gol alla Del Piero” rifilati nell'ordine a Borussia Dortmund, Steaua Bucarest e Glasgow Rangers.
Poi c'è stata la doppia sfida ai quarti con il Real. A Madrid abbiamo perso per 1 a 0 (e solo grazie alle prodezze di Peruzzi che ci ha risparmiato un bel più amaro parziale), ma a Torino abbiamo sfoderato una partita epica, ribaltando con un 2 a 0 l'infausto risultato dell'andata.
La semifinale con il Nantes è stata poco più di una formalità ed eccoci davanti all'Ajax, un immenso Ajax che mette paura, una squadra che domina da qualche anno nelle massime competizioni e che parte da favorita.
Mentre mi passano davanti agli occhi le immagini di quell'incredibile percorso europeo, lo stadio si riempie. Si riempie. Si riempie ancora di più. A un certo punto non ci sono più spazi, ma continua a entrare gente.
In teoria ci sono ottantamila spettatori. In realtà, pochi minuti prima dell'inizio del match, ce ne sono molti, ma molti di più. Mai vista così tanta gente in questo stadio.
Niente uscite di sicurezza, niente corridoi di fuga. Le uscite strabordano di persone. È un fiume in piena quello che dagli ingressi rovescia gente sugli spalti dove la marea bianconera è infinita.
Del caravanserraglio che precede il match ricordo poco o nulla. C'è Alba Parietti che presenta l'evento, ma a noi non interessa il contenitore, solo il contenuto. E alla fine, la partita comincia.
Dopo pochi minuti, un'azione confusa che si svolge sotto la curva opposta alla nostra, porta Ravanelli a segnare il gol dell'uno a zero. Dalla Sud non si capisce subito che è gol, ma appena Penna Bianca si mette la maglietta sopra la testa, in un gesto diventato iconico, lo stadio esplode letteralmente di gioia. Siamo in vantaggio, siamo in finale e stiamo vincendo. Ma prima dell'intervallo Litmanen pareggia. Quella che segue è una lunga sofferenza. Il pareggio rimane tale per tutta la partita e non bastano nemmeno i supplementari a sbloccare l'1-1.
Dalla curva rendiamo omaggio ai nostri campioni che si sono battuti come leoni: grazie ragazzi! Nella sua semplicità il coro fa capire ai giocatori che comunque finirà, saremo contenti di loro, perché hanno dato tutto.
Arriva il momento della lotteria dei rigori.
Undici metri. Dentro o fuori, tutto o niente.
Vialli non guarda. È girato spalle alla porta, gli occhi sui fili d'erba del prato bagnato. Ha già perso una finale di Coppa dei Campioni con la Sampdoria e sa che non avrà più occasioni. Non ne giocherà altre dopo di questa. Nel futuro di Vialli c'è un cancro che lui saprà sconfiggere, ma non lo sa. Il suo futuro è tutto in un tiro che sta per essere scoccato.
Nel futuro di mio fratello c'è una versione di greco.
Oggi le finali si giocano di sabato e se vinci, hai tutta la notte a disposizione per far baldoria, ma nel 1996 no, nel 1996 si giocano il mercoledì e Simone domani avrà il compito in classe e qui l'hanno già tirata troppo per le lunghe.
Nel futuro di metà dei tifosi ci saranno altre cinque finali perse, ma non lo sanno. Loro ne hanno già perse due di finali e un'altra l'hanno vinta, ma al caro prezzo di trentanove morti. Forse per questo la chiamano la coppa maledetta.
Nel futuro di tutti gli spettatori, almeno di quelli che vivranno fino al 2020, c'è una pandemia, ma non lo sanno. Questa partita nell'anno 2020 si giocherà a porte chiuse, senza pubblico, per evitare il contagio e nel 2021 con la capienza ridotta a un quarto. Oggi invece siamo tutti ammassati per celebrare l'ultimo atto di una competizione che si chiamava Coppa dei Campioni e che ora è diventata Champions League.
Ho urlato, saltato, strillato, ho respirato l'aria e il sudore di tutta questa gente. Domani soffrirò di mal di gola, ma solo per aver gridato troppo, nessuno mi contagia con un virus che ancora non esiste.
I rigori si tirano dalla parte opposta, nel punto a noi più lontano, cento e più metri di distanza, ci vorrebbe il binocolo.
Davids e Silooy sbagliano. Ferrara, Pessotto e Padovano per noi e Litmanen e Scholten per loro segnano.
Mancano tre tiri, ma se il prossimo entra, gli ultimi due non serviranno.
Dieci secondi ci separano dal paradiso o dall'inferno. Un calcio sbagliato può voler dire aspettare altri dieci o venti o trent'anni prima di vedere la tua squadra protagonista in un evento di tale portata.
Il cuore è caldo, ma le mani sono fredde, sudo tutta la mia tensione. È il momento.
L'arbitro fischia, lo stadio ammutolisce, qualcuno accende un fumogeno, troppo presto.
Jugovic fa un ghigno, che sembra quasi un sorriso, prende la rincorsa e tira...
La Juventus è campione d'Europa.
Trionfiamo sotto il cielo di Roma ed io esulto a casa del mio nemico, festeggiando su quelle gradinate dove i romanisti hanno perso la loro finale.
Lo stadio impazzisce, Di Livio in mutande sventola sul campo il bandierone degli ultras; Del Piero abbraccia Peruzzi, che di rigori ne ha parati due; Torricelli e Vierchowod, che hanno blindato la difesa, si congratulano con Paulo Sousa, Deschamps e Conte, impenetrabile cerniera di centrocampo; gli unici due panchinari che non hanno giocato, vale a dire il ruvido Porrini e l'affidabile Rampulla, ottimo portiere di riserva, osservano questo delirio mentre gli altoparlanti dello stadio sparano a tutto volume gli inni della Juve.
Questa nottata, passata a strombazzare con lo scooter per il lungotevere e ad agitare il palloncino gigante della Coppa, rappresenta “la Juve a Roma”.
Galleggio tutta la settimana a un metro da terra. Non chiamo nessun romanista per prenderlo in giro, ma mi siedo sulla riva del fiume in attesa di veder passare il cadavere del nemico. E dopo sette giorni, il cadavere passa. Squilla il telefono di casa e mia mamma annuncia Fabio all'altro capo del filo. Io non devo far altro che avvicinare la cornetta allo stereo, dove da giorni avevo inserito una musicassetta dei Queen, e spingere play. Parte a tutto volume We are the Champions. Mi siedo, chiudo gli occhi e ascolto tutta la canzone, prima di parlare con il mio amico e di chiedergli come sta.
Non ho mai rivisto quella partita in tv. Ogni tanto incrocio un fotogramma del gol di Ravanelli o del rigore decisivo, ma tutti i ricordi che ho, sono legati solo alla visuale distorta della curva e si stanno pian piano sfilacciando.
L'unica partita di Champions League che vedo dal vivo in uno stadio è in pratica l'unica finale che vinciamo e tra l'altro ci permette di giocarci la Supercoppa Europea contro il Paris Saint Germain, schiantato con uno storico 1-6 in Francia e 3-1 nella partita di ritorno, disputatasi a Palermo, per un totale complessivo di 9-2, lo scarto più ampio mai registrato in competizioni Uefa.
Tutte le altre finali di Coppa Campioni sono amare come il fiele.
Giuseppe Pensieroso
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Giuseppe Pensieroso
Mi chiamo Giuseppe, ho un cognome ingombrante, dal momento che tutti hanno sempre sentito il bisogno di farci sopra qualche battuta, e vivo a Roma con mia moglie Francesca e i miei figli Elena, di sette anni, e Riccardo di quattro. Sono nato a Roma, ma tutta la mia infanzia l'ho trascorsa lontano dalla mia città perché mio papà lavorava in banca e veniva trasferito ogni sei mesi. Così ho girovagato per l'Italia (Bergamo, Verona, Livorno, Mantova, Venezia, Voghera, Cava dei Tirreni), imparando subito ad adattarmi ai cambiamenti e acquisendo quella capacità di socializzare necessaria per un bambino costretto a cambiare continuamente scuola e amici.
Prima di rientrare a Roma, a tredici anni, ho fatto in tempo a conoscere la paura vera, quella del terremoto dell'Irpinia, che ha squarciato la mia casa, lasciando per fortuna vivi me e la mia famiglia. Mi sono diplomato al liceo classico e poi laureato in Giurisprudenza, abilitandomi alla professione forense che ho praticato per cinque anni. Quando ho vinto un concorso al Ministero della Difesa ho fatto il salto dal privato al pubblico, tanto l'avvocato in famiglia lo abbiamo già: mia moglie.
Amo molto viaggiare e questa mia passione, che mi ha portato in Africa, Asia e Stati Uniti, oltre che in tutta Europa, mi ha fornito il materiale per scrivere il primo libro che ho pubblicato nel 2008: “L'eterno viaggiare”.
Leggo tantissimo, pratico sport, amo la buona tavola in compagnia, le serie tv di fantascienza e horror, adoro i cani e ogni tanto provo a scrivere qualche libro.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?

Giuseppe Pensieroso: A 11 anni. Giocavo a Subbuteo (il gioco di calcio da tavolo) e subito dopo usavo la macchina da scrivere di mio papà per elaborare l'ipotetico articolo di giornale relativo al match disputato. Non ero ancora cosciente della mia passione, ma credo che quello sia stato il momento in cui ho sviluppato l'amore per la scrittura.

Writer OfficinaWriter Officina: C'è un autore o un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Giuseppe Pensieroso: I miei scrittori preferiti sono Isaac Asimov, Ken Follett e Stephen King. L'abilità di quest'ultimo di descrivere al meglio le dinamiche dell'amicizia e quelle che segnano il passaggio dall'adolescenza alla maturità, di dar vita a personaggi “reali”, talmente ben caratterizzati che alla fine del libro senti di amarli, di provare qualcosa per loro, come se esistessero veramente, mi ha da sempre trasmesso la voglia di provare a descrivere la profondità dell'animo umano come fa lui.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Giuseppe Pensieroso: Ero parecchio inesperto, lo proposi in giro un po' a caso e lo pubblicai con una CE che mi fece comprare 100 copie. Ne ho vendute in tutto 300, sono stato esposto a “Più libri più liberi” e ho fatto un paio di presentazioni, una dal vivo e una in radio. Nel complesso è stata una bella esperienza, ma solo più in là con gli anni ho capito che il meccanismo che regola l'editoria è piuttosto complesso e spesso non riesce a valorizzare l'autore. Per questo, per i libri successivi, ho deciso di pubblicare in self, almeno finché non ho trovato una CE disposta a pubblicarmi completamente a proprie spese, credendo in me e valorizzando il mio progetto.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Giuseppe Pensieroso: Sicuramente. La cosa che più apprezzo del pubblicare in self è la possibilità di tornare sul tuo testo e modificarlo in tempo reale tutte le volte che vuoi. Con Amazon KDP al primo refuso che trovi puoi intervenire e il giorno dopo il tuo testo è on-line già corretto. Un altro punto di forza del self è la piena autonomia che si ha nel gestire tutti gli aspetti organizzativi, dalla data di pubblicazione, alla scelta della copertina. Certo c'è il rovescio della medaglia e cioè la promozione. Nessuno verrà da te a proporti presentazioni o interviste quindi devi rimboccarti le maniche e farti conoscere, proporre estratti della tua opera e confidare in un lento passaparola.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Giuseppe Pensieroso: A “Poteva andare peggio”. È un libro sulla pandemia, ma non è “il solito” libro sulla pandemia. È il diario di un papà in smart-working (io) catapultato improvvisamente in una realtà per lui del tutto nuova, quella della condivisione delle ore mattutine con i suoi due bimbi piccoli. Ore solitamente dedicate al lavoro e alla scuola diventano improvvisamente un dono, la possibilità di crescere insieme durante il periodo di clausura forzata. Un padre che gioca con i figli, scende con loro in giardino, ma al tempo stesso si sforza di spiegare perché non sia possibile oltrepassare il cancello del condominio. Il libro è una raccolta di riflessioni filosofiche, di pensieri, a volte seri, a volte ironici, partoriti per lo più di notte, quando mi svegliavo con un concetto in testa che al mattino presto sviluppavo al PC e poi pubblicavo in tempo reale su Facebook. In tanti hanno apprezzato queste mie pillole quotidiane, spronandomi ogni giorno a regalare loro altri pensieri cui aggrapparsi in un periodo tanto incerto. Così, dai complimenti ricevuti, ho tratto la forza per dare a quei pensieri una veste nuova e più completa e ne è nato un libro.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Giuseppe Pensieroso : In genere scrivo d'istinto. Quando ho un'idea provo a trasformarla subito in parole per non perderne la magia. Solo dopo torno a rivedere il testo ed eventualmente a incastrarlo con altri pensieri. Forse, se scrivessi gialli, preparerei uno schema, una trama di massima con un finale ipotetico, ma al momento le mie storie sono di altro tipo e non richiedono questo genere di preparazione.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Giuseppe Pensieroso: Si, sto scrivendo qualcosa di totalmente diverso. In fondo io ho scritto tutti libri differenti tra loro e non mi sento di potermi catalogare in un unico genere. Ho affrontato il tema della paternità, scritto diari di viaggio, mi sono improvvisato poeta scrivendo filastrocche per bambini, ho scritto di sport e di fantascienza (pubblicando quattro racconti distopici). Forse mi sento più un narratore che un romanziere, più un osservatore che un inventore. È la realtà la mia materia prima e la maggior parte dei miei libri hanno una forte connotazione autobiografica. Forse anche per questo sto provando qualcosa di nuovo, mi sto cimentando con la creazione di personaggi, provando a dar loro un'identità, tanto per restare in linea con quanto detto sopra a proposito del mio maestro Stephen King. Ho praticamente ultimato una raccolta di racconti a metà tra l'horror e il grottesco. Cinque storie di humor nero e poi, per cambiare ancora una volta registro, mi sto dedicando alla stesura di un romanzo romantico/erotico, una sorta di diario doppio, una storia d'amore, passione e tradimento, vista da due differenti angolazioni, quella maschile e quella femminile. Una storia condita da molto sesso tanto che, come si faceva una volta per i film, il libro uscirà con la dicitura “rigorosamente vietato ai minori di 18 anni”.

Writer Officina: Ma a parte questi due nuovi lavori tu hai già ultimato un altro libro che uscirà a breve, giusto? Vuoi anticiparci qualcosa?

Giuseppe Pensieroso: Il 16 maggio compirò 50 anni. Ho sempre visto quest'età come un qualcosa di lontano nel tempo. Ricordo la festa per i 50 anni di mio padre; gli invitati sembravano così anziani ai miei occhi adolescenziali e ora non mi sembra vero tocchi proprio a me, che fino a ieri giocavo a calcetto e andavo al pub con gli amici a cazzeggiare. Eppure il traguardo è arrivato e voltando gli occhi indietro, alla strada percorsa, mi sono accorto che il cammino fatto è stato faticoso, ma entusiasmante e che forse alle mie spalle c'è una bella storia da raccontare. Così ho aperto l'album di famiglia e ho provato a scrivere la mia autobiografia. Ho cercato un punto di vista “emotivo” e non “descrittivo”, cercando di non limitarmi a raccontare le vicende di un perfetto sconosciuto che potrebbero non interessare il pubblico, abituato solo alle storie di personaggi famosi. Un punto di vista che racconti le emozioni dietro agli eventi. Sono partito da quel famoso terremoto, descrivendo non tanto l'evento, quanto la paura dentro l'evento, il terrore negli occhi di un bambino, fino ad arrivare alla nascita dei miei figli, anche qui non limitandomi a descriverla, ma scendendo in profondità, nell'animo di un uomo che quando guarda per la prima volta negli occhi delle sue creature riesce a percepire il senso vero di tutte le cose e il fine ultimo della sua esistenza. Ne è uscito un libro emozionante, sincero e autoironico, che si sofferma malizioso a raccontare le “sfigate” vicende di un adolescente a cavallo di un microscopico motorino che ha trovato sulla sua strada moltissime porte chiuse, ma ha sempre avuto la forza e il coraggio per aprirle o per aggirarle, alla ricerca del senso della vita.
Il libro, in memoria di quel buffo mezzo di trasporto, si intitola “Avevo un motorino arancione”, sarà edito da PAV e uscirà, nelle mie intenzioni, che spero siano anche quelle del mio editore, proprio il giorno del mio compleanno.

Writer Officina: Il libro ha una particolarità, sarà dotato di una colonna sonora. Ci vuoi spiegare come funziona?

Giuseppe Pensieroso: Ho sempre immaginato la mia vita scandita da una colonna sonora e tutti i capitoli di questo libro sono introdotti da canzoni famose dell'epoca che hanno rappresentato qualcosa per me. Ma non solo i capitoli, tutte le pagine sono piene di riferimenti sonori. Io racconto 50 anni di eventi che non sono solo i “miei” eventi, ma quelli di tutti, almeno di chi quegli anni li ha vissuti come me. Così dentro la storia c'è la musica e le canzoni sono state raccolte in una playlist che parte dagli anni '70 e arriva fino ai nostri giorni. La playlist è identificata da un codice che sarà stampato sulla copertina. Il lettore non dovrà far altro che inquadrare con la telecamera della sua App il codice per scaricare in un secondo sul suo cellulare tutte le canzoni. Così, quando ne avrà voglia, oltre a “leggere” il libro potrà “ascoltarlo”.

Writer Officina: Un'ultima cosa. Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?

Giuseppe Pensieroso : Vorrei che provassero le sensazioni che provo io quando leggo una bella storia. Quello che vorrei è che si emozionassero. Una volta una persona, dopo aver letto uno dei miei libri, mi ha scritto: “Mi hai fatto piangere, ho sentito sulla mia pelle, attraverso il tuo scritto, un'emozione forte da provare i brividi per tutto il corpo”. Quando succede questo, quando chi scrive riesce a far provare questo a chi legge, lo scrittore ha compiuto la sua magia e non ha più nulla da chiedere a se stesso.
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