Writer Officina
Autore: Luca Marchesani
Titolo: Il viaggiatore notturno
Genere Thriller
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Il viaggiatore notturno
Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto ascoltare quelle grida? Abbracciando il suo amico immaginario si era infilato sotto le coperte, sperando che le sue orecchie non dovessero ascoltare più quel rumore. Lacrime, oggetti che cadono a terra, ancora lacrime, schiaffi, parolacce, ancora lacrime, ringhi. Sempre la stessa storia. Stavolta le coperte non l'avrebbero protetto. C'era odore rugginoso sotto le coperte. Odore di sangue. Quei rumori li avrebbe ascoltati per tutta la vita. Gli avrebbero trapassato il cranio da parte a parte. Sarebbero stati come potenti ronzii, come unghie che grattano una lavagna. Stava pensando che gli avrebbe fatto piacere fare compagnia ai suoi genitori che parevano addormentati sul pavimento della cucina. Nessuno, però, si addormenta senza cuscino e coperte. Erano lì dove li aveva lasciati. Se non fosse stato per il sangue e per la pasta ancora nei piatti tutto sarebbe stato come al solito.
L'ultima volta, la settimana precedente, era stata brutta per davvero. Ma quello che era successo un'ora prima era stato ancora peggio. L'ultima volta la mamma se l'era cavata con un livido sul viso ed un braccio gonfio. Le avevano consigliato di farsi vedere da un medico ma aveva detto che non era nulla. La sua educazione le aveva imposto discrezione e sorrisi obliqui da dispensare alle amiche della parrocchia. Da allora, però, quel braccio non riusciva a muoverlo tanto bene. E lui? Lui aveva la sua bottiglia e con quella non litigava mai. La sua educazione gli aveva imposto la massima discrezione e pacche sulle spalle da regalare ai suoi amici del bar. A scuola gli avevano detto che tutti i genitori litigano ogni tanto. Paolo gli aveva confidato che suo padre a volte picchiava anche lui. Suo padre, invece, le mani addosso non gliele aveva mai messe. Eppure non riusciva a comprendere che tutte le urla e tutti i lividi che procurava a sua madre facevano più male a lui che a lei. Le botte se le davano loro ma le cicatrici rimanevano a lui. Spesso si trattava di cose sciocche, tipo la cena o una camicia lavata male. Certe volte si trattava delle uscite che suo padre faceva parlando dei nonni. Altre volte, quando era la mamma ad arrabbiarsi, doveva trattarsi di qualcosa di diverso, cose che lui non comprendeva a fondo. Troie, corna, divorzio. Il bambino non conosceva il significato di quelle parole ma aveva capito che avevano a che fare con suo padre e riguardavano qualcosa che alla sua mamma non faceva piacere. “Divorzio” gli era sembrata quella più strana di tutte. Era una cosa che suo padre non voleva darle e che sua madre non era convinta di chiedergli. Una sera li aveva ascoltati discutere su questa cosa. Il divorzio era qualcosa che non si poteva fare perché altrimenti nessuno dei due avrebbe potuto rimettere piede in chiesa. Chissà dove la teneva, quella cosa. Lui, il bambino, in giro non l'aveva mai vista. Ma suo padre aveva tanti nascondigli segreti ed in uno di quelli probabilmente conservava l'oggetto chiamato “divorzio”.
Quel giorno il bambino stava guardando la tv in salotto. Sua madre era stata piuttosto silenziosa. Solitamente lo riempiva di domande sulla scuola, sui compiti, sugli insegnanti e sui genitori dei suoi compagni di classe. Quel giorno invece no, doveva essere successo qualcosa perché lo aveva a mala pena salutato. Poi la porta si era aperta e suo padre era entrato con la valigia ventiquattrore in mano. Quella marrone scuro dove una volta gli aveva visto infilare una specie di piccola borraccia di alluminio lucido. Aveva appeso la giacca e si era gettato sul divano. Neppure lui lo aveva salutato. E neppure loro si erano salutati. Eppure non era ancora successo niente nonostante nell'aria si sentisse che qualcosa non andava. La cena non era stata preceduta dalla dovuta preghiera e allora sì che si era preoccupato per davvero. Se c'era una cosa che non mancava mai a tavola era il ringraziamento a nostro Signore per il cibo che donava. Che lo donasse il Signore era qualcosa che gli aveva suscitato sempre diversi dubbi. Quel cibo veniva dal supermercato e mai nessuno aveva avuto intenzione di regalarlo. Se accadeva che sua madre se ne dimenticasse, e la cosa accadeva di rado, interveniva immediatamente lui a ricordarle che dovevano rendere grazie. Però Don Luigi era stato cattivo per davvero ed i suoi genitori non lo avevano mai saputo. Quella volta le preghiere non avevano funzionato. Il bambino si era convinto che anche se l'avesse raccontato, loro non gli avrebbero mai creduto. Perché la fede unisce i fedeli. E li rende ciechi, sordi e muti.
Quella sera regnava il silenzio. Poi sua madre aveva chiesto come fosse andata la giornata di suo padre e lui aveva alzato la testa per guardarla in viso prima di rispondere. Come se non si fosse aspettato quella domanda. “È andata come al solito”. Lei aveva preso una forchettata di pasta e aveva iniziato a masticare in modo lento, quasi come se avesse in bocca della gomma. Quella era una serata sbagliata e lo era più del solito. Suo padre aveva svuotato la prima bottiglia di vino quando erano ancora al primo e sua madre lo aveva guardato facendo un sorrisino. In quel momento il bambino aveva capito che suo padre si sarebbe arrabbiato perché altre volte lo aveva sentito dire frasi tipo “levati quel sorrisino del cazzo dalla bocca” prima di mollarle un pugno in faccia. Lui l'aveva guardata e le aveva detto la frase che tutti si aspettavano. Lei allora aveva allargato quel sorrisino del cazzo fino a farlo diventare una grande bocca aperta. Lui allora aveva appoggiato le posate ai lati del piatto, si era alzato ed era andato in cucina. Lo avevano sentito rovistare nel cassetto. Si sentiva uno sferragliare di posate. Lei allora aveva perso quel sorrisino del cazzo (la grande bocca era scomparsa già quando lo aveva visto alzarsi da tavola) e il bambino l'aveva vista mettersi le dita tra i capelli. Si stava massaggiando le tempie. Aveva dei capelli bellissimi e profumati, dopo esserseli lavati glieli faceva accarezzare sempre. Suo padre era tornato con il coltello che usava per affettare il pollo, quello grande e spesso con il manico grigio scuro. “Che vuoi fare con quello?” aveva chiesto lei mentre lui si era messo alle sue spalle. Ora il sorrisino del cazzo ce l'aveva stampato lui in viso e per la prima volta il bambino aveva avuto paura di suo padre. Le altre volte si era spaventato un po' ma non fino al punto di voler scappare via. Non avrebbe potuto farlo perché i suoi genitori lo avrebbero rimproverato se avesse abbandonato la tavola prima di aver finito la cena. Un bravo cristiano non avrebbe sprecato quel cibo. Suo padre non aveva risposto alla domanda e quindi nessuno dei due riusciva a capire cosa volesse fare con quell'arnese. Sua madre aveva detto che avrebbe dovuto smetterla con quella pagliacciata dei coltelli, che tanto non avrebbe avuto il coraggio di usarlo perché lui era solo un vigliacco donnaiolo del cazzo. Era rimasto alle sue spalle e lei non si era mossa di un centimetro. Anche quel discorso per il bambino era stato incomprensibile ma lo avrebbe capito con il passare degli anni. E forse un giorno avrebbe anche capito chi era Don Luigi veramente.
Un attimo dopo il viso di sua madre aveva cambiato espressione, colore e il sangue che colava dalla ferita si era mescolato con il sugo nel piatto. Era rimasta immobile perché non si aspettava che l'avrebbe fatto. Suo padre aveva fatto un movimento repentino, tipo quei film polizieschi che si guardava alla tele fino a notte fonda. C'era sempre qualcuno con un coltello, a dire il vero un po' più piccolo di quello che aveva usato lui. Il bambino era rimasto senza fiato ed allora aveva deciso di abbassare il viso e continuare a mangiare. Se era stato in grado di fare quella brutta cosa a sua madre, figuriamoci cosa avrebbe potuto fare a lui che l'aveva fatto arrabbiare tante volte. Dunque fu la volta di sua madre. Si era alzata dal tavolo e si era appoggiata il fazzoletto sulla guancia facendo pressione dove la ferita sanguinava. In pochi istanti il fazzoletto era diventato rosso scuro. “Pezzo di merda” gli aveva detto e lui aveva sgranato gli occhi. Il bambino si era accorto che alcuni schizzi di sugo che aveva sul piatto potevano confondersi con il sangue di sua madre e così gli era venuto il voltastomaco e si era vomitato sui pantaloni.
Luca Marchesani
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Autori di Writer Officina

Luca Marchesani
Sono nato a L'Aquila, città nella quale vivo e dove svolgo la professione di avvocato. Sono un tipo riflessivo, malinconico ma anche estroverso con le persone a me più vicine. Sono appassionato di musica, suono la chitarra, ed apprezzo l'arte in tutte le sue forme. Ho cominciato a scrivere storie sin dalla prima adolescenza. Come scrittore ho ottenuto il 2° posto nell'edizione XIII ed il 4° posto nell'edizione XXXVI del "NeroPremio". Ho partecipato a diversi concorsi letterari ottenendo l'inserimento del racconto breve "Venere dagli occhi blu" nell'antologia intitolata "A volte Satana è vicino a me" (Ed. La Tela nera 2008) oltre che nella raccolta di racconti "Una storia nel cassetto" edita in versione ebook da storydrawer.org (2008). Dallo sviluppo e dall'ampliamento del racconto breve nasce l'omonimo romanzo autopubblicato nel dicembre 2016. Il secondo romanzo, intitolato "Il viaggiatore notturno", è stato pubblicato da WritersEditor nel 2020.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Luca Marchesani: L'incontro con Stephen King credo rappresenti il punto di partenza. Un vero e proprio big bang. Da quel momento i romanzi di King sono diventati per me una specie di ossessione. Per molti anni ho letto solo lui, anche perché c'era molto materiale da recuperare oltre alla produzione nuova che usciva a cadenza quasi annuale. Parallelamente ho iniziato a scrivere racconti brevi.

Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Luca Marchesani: “Misery”. E' stato un vero e proprio terremoto. Un romanzo impossibile da dimenticare una volta terminata la lettura.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Luca Marchesani: Non subito. In verità la genesi di “Venere dagli occhi blu”, il mio primo romanzo, è anomala. Avevo scritto un omonimo racconto breve nell'anno 2007 con il quale avevo partecipato ad alcuni concorsi letterari. Il riscontro è stato molto positivo. Sono arrivati in breve tempo premi e segnalazioni che mi hanno riempito di enorme soddisfazione. Un paio di anni dopo il racconto è finito tra le mani di una persona che dopo averlo letto mi ha quasi “obbligato” a trasformarlo in un romanzo tanto era stato colpito dalla trama. Oggi quella persona non c'è più ma posso dire senza tema di smentita che era altamente titolato ad esprimere pareri e giudizi in materia di romanzi e racconti. Per questo motivo, subito dopo il terribile terremoto del 2009 che ha colpito la mia città, ancora lontano dalla mia casa e senza un'idea precisa di quello che sarebbe accaduto nei mesi a seguire, ho iniziato la trasformazione del racconto in romanzo. Terminato il lavoro questo romanzo è rimasto chiuso in un cassetto fino al 2015. Mia moglie lo ha letto spingendomi a sottoporlo ad un editore. In molti mi hanno risposto positivamente salvo tuttavia richiedere contributi per la pubblicazione. La piattaforma Youcanprint, al contrario, mi ha offerto gratuitamente l'autopubblicazione.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Luca Marchesani: Non ho motivi per escluderlo anche se non posso esprimere valutazioni legate ad un'esperienza diretta. Ad ogni modo leggo spesso di autori che ne consigliano l'utilizzo. Certamente mi incuriosisce non poco.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Luca Marchesani: Ne ho scritti due, quindi devo dire che entrambi mi rendono estremamente orgoglioso. Sono profondamente diversi l'uno dall'altro. “Venere dagli occhi blu” è figlio di un periodo in cui ero immerso nella lettura di thriller, hard boiled, noir e, inevitabilmente, l'onnipresente Stephen King. Risente delle atmosfere dei romanzi che leggevo in quel periodo e di autori quali Joe Lansdale, Sebastian Fitzek o Jeffery Deaver. Senza dimenticare Giorgio Faletti, che nonostante una bibliografia inferiore ritengo un importante autore di narrativa non solo thriller. “Il Viaggiatore notturno”, pubblicato da WritersEditor, è un romanzo che non saprei neppure catalogare all'interno di un genere preciso. La caratteristica principale di quest'ultimo romanzo risiede nel fatto che è stato scritto praticamente di getto ed è stato revisionato davvero pochissimo. Anche questo romanzo è rimasto chiuso in un cassetto per qualche anno. Quando l'ho riletto sono stato proiettato indietro nel tempo e ho avuto la sensazione di rivivere il pessimo periodo personale che faceva da sfondo alla scrittura del libro. Volevo che quella rabbia rimanesse inalterata. E' un romanzo crudo, rabbioso e a tratti altamente disturbante.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Luca Marchesani: Per scrivere “Venere dagli occhi blu” avevo quantomeno una traccia scritta, una sorta di corridoio che sapevo per certo di dover percorrere fino alla fine. C'era un racconto breve che dovevo sviluppare quindi mi muovevo con la luce sempre accesa. Ovviamente, per trasformare un racconto in un romanzo occorre aggiungere tanto. Eppure la trama è rimasta quella originale. “Il Viaggiatore notturno” è nato dall'idea di un personaggio, anzi, da un “nome e cognome”. Una volta fatta la mia personale conoscenza con il Sig. Mario Rossi (il protagonista), la storia si è scritta da sola, di getto, in meno di un mese. E il prodotto finale è vicinissimo alla primissima stesura.

Writer Officina: Parlaci del tuo ultimo romanzo, “Il Viaggiatore Notturno”.

Luca Marchesani: Il personaggio principale, che ha un nome assolutamente non casuale, si chiama Mario Rossi. Un giorno riflettevo: quante volte ci siamo imbattuti in Mario Rossi? Tutte le volte in cui abbiamo letto - negli uffici pubblici così come nelle pubblicità in tv – le istruzioni per compilare moduli che presentano dati fittizi a titolo puramente esplicativo, il nominativo prescelto è sempre o quasi Mario Rossi. Quindi questo nome diventa quasi, in un certo senso, il nome di tutti. Sono partito da qui. Volevo che il personaggio fosse anonimo come il suo nome, e che fosse infelice, perdente e soprattutto invisibile agli occhi del mondo. Proprio perché quel nome - Mario Rossi – finisce per diventare il nome di tutti e di nessuno. Sin dal primo capitolo, intitolato "Nomen omen", volevo introdurre l'idea che il destino del protagonista fosse già in qualche modo nascosto nel suo nome di battesimo. Questo lo spunto iniziale. Il resto poi è venuto da sé. Trattandosi di un personaggio infelice ho voluto costruirgli attorno un passato ed un presente altrettanto infelici sotto tutti i punti di vista. Mario ha un passato di sofferenza ed un presente certamente non migliore. La sua vita quotidiana è un disastro perché ha una famiglia che è terribilmente “sbagliata”, un lavoro che non lo gratifica, non ha amici (anche se nel corso della storia alcune amicizie finirà per averle anche lui). Allo stesso tempo, tuttavia, Mario ha in testa un "progetto" folle che intende portare a termine a tutti i costi e che, a conti fatti, ha come obiettivo finale quello di mettere alla prova l'avversario più difficile e da affrontare, ovvero..... Dio in persona.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Luca Marchesani: Ho terminato la prima stesura un anno fa. Il processo è stato identico a quello relativo a “Il Viaggiatore notturno”. Tutto scritto di getto nell'arco di un paio di mesi. Anche in questo caso non lo saprei definire secondo i canoni di un genere. C'è un po' di horror, c'è humor, parti autobiografiche. In questo caso avevo in testa un tema ben preciso che volevo trattare. E' un argomento altamente drammatico ed anche molto personale. Poi è accaduta una cosa strana: avevo un abbozzo di un altro romanzo, che avevo interrotto qualche tempo prima e che avevo comunque intenzione di riprendere. Qualcosa che apparentemente non aveva nulla a che fare con quello che stavo scrivendo. Però, pur essendo due idee e due storie diverse, le ho praticamente fuse trasformandole in una storia compiuta. Ho fatto un paio di revisioni ma vorrei fermarmi qui. Credo che non serva tornarci troppo sopra con correzioni e riscritture. Non vuol dire certo che sia perfetto, è solo che non voglio essere io a farlo. Se avrò la fortuna di permettermi un editing sarò ben felice di apportare le modifiche migliori. Se lo facessi io la storia perderebbe tutta l'energia presente al momento della creazione. E poi, è una storia profondamente personale e vorrei che mantenesse intatto il sentimento originale.
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