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Il Signore di Notte
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Il corpo esanime del nobiluomo Nicolo Duodo, settantotto anni, due volte vedovo, famiglia annoverata tra le “Case Nove” nel Libro d'Oro della Serenissima Repubblica di Venezia, giaceva bocconi disteso davanti al lungo tavolo ingombro di carte e disposto in diagonale a chiudere un angolo della stanza. Un braccio piegato sopra il capo, con il palmo della mano rivolto in basso, era rimasto appoggiato malamente al seggiolone in le-gno scuro, rovesciato con tutta probabilità in seguito alla caduta dopo il colpo letale che aveva spedito l'uomo a miglior vita. Altri due seggioloni identici, uno dirimpetto a quello rovesciato, l'altro sul lato opposto del tavolo, quasi nel cantone della stanza, erano rimasti al loro posto. La luce del giorno penetrava dalla finestra in parte oscurata da un vecchio panno, poco più di uno straccio, messo a sostituire un vetro rotto. Il colpo mortale era stato sferrato alla testa. Questa posava di la-to nella vasta chiazza di sangue sul pavimento, sangue fuoriuscito dal cranio, colato giù lungo il collo e la faccia e andato a coprire le doghe consunte del parchetto. Altro sangue sulla gorgiera e sul farsetto blu scolorito che mal si intonava con le braghe color ocra; ancora sangue a impiastrare i capelli grigi e la guancia appoggiata a terra. Qualche carta dal tavolo era stata trascinata dal rovinare del corpo ed era finita sul pavimento. Non era difficile individuare l'arma che aveva ammazzato il Duodo: un pesante candelabro a due bracci giaceva riverso poco lontano dal cadavere. Schizzi di sangue andavano scemando sul parquet via via che si allontanavano dal corpo. Due mozziconi di candele si erano sbriciolati nell'urto e le schegge stavano sparse a terra insieme a grumi di cera. Un altro candelabro, copia esatta del primo, era rimasto al suo posto appoggiato sull'angolo opposto del tavolo, trattenendo in-fimi moccoli di candela. La cera squagliata era colata nei piattini sotto i sostegni prima di rassodarsi. Altre gocce di cera mai ri-mosse incrostavano il piano del mobile e formavano un cerchio attorno al basamento, simile a quello che indicava la posizione del candelabro rovesciato. Sul tavolo c'erano qualche soldo d'argento, un medaglione con uno stemma araldico, penne d'oca, un calamaio e tutto il necessario per la scrittura: molti fogli di car-ta, lettere, manoscritti, codici, stampe di leggi e decreti con alcuni libri. Una scodella con un cucchiaio era appoggiata tra le carte e le mosche ronzavano attorno facendo festa ai rimasugli di chissà quale brodaglia. Il Signore di Notte al Criminal, braghesse scarlatte a coscia di pollo, giubbone e berretto alto di tono più scuro, tabarro sulle spalle, se ne stava a testa alta, mento in fuori, mani dietro la schiena, ritto al centro della stanza disadorna che pretendeva di conservare una qualche dignità con un paio di quadri scadenti in cornici pompose. Si vedevano poi una spada schiavona, arma con elsa a cesto prediletta dalle truppe degli schiavoni, mercenari dalmati al servizio della Serenissima, senza particolari fregi appesa al muro accanto a una libreria che doveva aver conosciuto fasti migliori. Un sofà trasandato e qualche suppellettile non rimediava-no affatto allo squallore dell'ambiente. Dalle maniche e dal bavero della giubba di Francesco Barbarigo, il Signore di Notte, fuoriuscivano in bella mostra “lattughe” pieghet-tate con cura a guarnire polsi e collo di una camicia bianca, quasi immacolata se non fosse stato per una piccola ma fastidiosa e imbarazzante macchia di chissà cosa caduta su un polso a detur-parne il candore. Se ne era accorto dopo essere uscito di casa, troppo tardi per rientrare a porvi rimedio. Qualche oggetto ornamentale di vago prestigio posava sull'architrave del camino, insieme a un'ampolla di vetro opaco, a un mortaio di bronzo con il pestello accanto, a un candeliere di porcellana e poco altro. Parte dell'intonaco era cadente, soffitto basso, niente stucchi o affreschi, chiazze di umidità qua e là lungo le pareti annerite dal tempo, dalla fuliggine e dal fumo del camino che non veniva pulito da chissà quanto tempo. Francesco non avrebbe potuto definire miseria quanto stava os-servando, ma di sicuro grande decadenza. Lo stato precario dell'alloggio gli dava un disagio amplificato da un fievole lezzo di marciume e di aria viziata. Provò fastidio nel guardarsi intorno, an-cor più quando osservò carte e stampati ammucchiati alla rinfusa sui ripiani bassi della libreria e sul tavolo, manoscritti con note scarabocchiate, cancellazioni e qualche macchia d'inchiostro su libri contabili che segnavano solo zecchini da pagare. Provò altro fastidio di fronte ai volumi impilati alla bell'e meglio, con i dorsi strappati e i titoli ormai illeggibili, residui di opere che in preceden-za avevano sfoggiato la loro eleganza. Altri libri si mescolavano alla rinfusa tra le scartoffie, aperti tra le carte, e lasciavano intra-vedere pagine sgualcite. Non mancava la polvere e tanto, tanto disordine. Inutilmente l'Officiale di Notte difendeva narici e olfatto dal fetore con un grazioso fazzoletto. La presenza di insetti era del tutto normale, anche se qui più numerosi che altrove, ed egli non prestò alcuna attenzione a questi animaletti compagni degli umani anche in dimore più agiate. Lungo una parete giaceva un divano parecchio malconcio, coper-to alla rinfusa da un nutrito campionario di cuscini di foggia, colori e dimensioni disparate, segnati da macchie e macchioni, con i ri-cami sgualciti: non incoraggiava certo a sedersi. Francesco si convinse definitivamente che, se quella non era miseria, ben poco ci mancava. Due calici, residui spaiati di cristallerie ormai disperse, poggiava-no su un tavolino accanto al divano: un “servo muto”, sorridente e immobile, rappresentava un piccolo moro nel gesto di porgere un vassoio al padrone. I bicchieri erano incredibilmente lindi come pu-re l'ampolla posta accanto, finemente decorata, mezza piena di una qualche mistura alcolica. Il Barbarigo levò delicatamente il tappo di vetro per annusarne il contenuto, ma il forte odore gli ri-sultò sconosciuto e richiuse l'ampolla. Osservò meglio i calici, tendendo il braccio verso la luce che penetrava dalla finestra, sen-za notare tracce di bevande o impronte di labbra. Constatò pure come nessuna goccia fosse caduta a macchiare il tavolino. Nes-suno aveva bevuto da quei bicchieri. All'ingresso dell'abitazione che dava su Corte Loredan, e questa a sua volta sulla stretta calle omonima in contrada di San Marcilian nel sestiere di Cannaregio, le teste di alcuni sbirri facevano a turno brevi capolini ritraendosi di botto, avanti e indietro, prima uno poi l'altro, senza osare varcare la soglia perché il Barbarigo aveva vie-tato loro di entrare. L'intenzione avrebbe voluto garantire che te-stimoni, tanto poco affidabili quanto loquaci, divulgassero poi vo-ci disparate e incontrollabili sul morto d'alto lignaggio a dispetto dell'alloggio scadente e della miseria. Non sarebbe stato così, perché un omicidio in questa Venezia del 1605, sotto la signoria del doge Marino Grimani, si sarebbe ben prestato al pettegolezzo e alla morbosità del popolino, tanto più che la vittima era un patrizio, sebbene con disponibilità eco-nomiche non all'altezza del rango, un membro del ceto nobiliare che nella Serenissima Repubblica deteneva le chiavi del potere. Tuttavia l'ordine aveva impedito agli sgherri di cedere al vizio di rubacchiare frugando tra le cose del defunto, una consuetudine ben risaputa. Cosicché, tolta la possibilità di allungare le mani su qualche misero bottino, ai tutori dell'ordine era rimasta solo la po-vera soddisfazione di intrufolarsi con occhiate furtive tra le miserie della casupola in cui un nobile aveva condotto una dura esistenza scivolando lungo la china della povertà. Il resto della casa, un paio d'ambienti senza grandi fronzoli e nessun mobilio di pregio, non appariva disordinato come la stanza del ritrovamento, segno evidente di una mano amica che li teneva in ordine. Davvero strana abitudine, pensò il Barbarigo, perché un visitatore sarebbe stato accolto nello stanzone centrale, quello più lercio, tra polvere e disordine, certo non in camera da letto o in cucina. Ma cambiò subito idea: forse al defunto non piaceva che gli occhi di un eventuale domestico cadessero sulle sue carte. Oppure semplicemente gli andava bene così. Dalla presenza del denaro sul tavolo e dall'uscio intatto il Signore di Notte pensò di poter escludere il delitto di un ladro sorpreso all'opera, un furto finito male, insomma. E poi, che tesori pensava di trovare un malvivente in quella casupola? Escluse pure che l'intruso avesse rovistato tra i documenti, perché il soqquadro del-la stanza gli parve cosa vecchia come la polvere sulle pile di carta. Nell'ambiente che doveva fungere da cucina e dispensa tutto era riposto in buon ordine e pulizia. Un letto ben rifatto confermava la presenza di un servitore, magari di quelli tanto affezionati da se-guire i padroni anche nella miseria, a condividerne stenti e priva-zioni. O forse uno schiavo comprato quando le cose andavano meglio e adibito a “famégio”, cioè a domestico, come la stragran-de maggioranza degli schiavi a Venezia. Ma il Barbarigo scartò subito l'idea che un poveraccio come il Duodo fosse mai stato in condizioni di acquistarne uno. Nella camera padronale un ingombrante letto a baldacchino tro-neggiava tra due seggioloni identici a quelli accanto al tavolo, con una cassapanca ai piedi e un basso armadio di lato. Su cuscino e coperte l'impronta di un corpo che si era adagiato senza infilarsi tra le lenzuola. Due ritratti degli avi di Nicolo che sembravano guardarlo severi negli occhi stavano appesi alla parete in cui si apriva la porta che dava sull'ambiente principale. Poca luce dalla finestra per gli scuri rimasti accostati. La cassapanca gli ricordò d'averne vista un'altra in cucina, più grezza e che aveva perso gran parte della tinta originale, un verde che da nuova doveva essere stato sgargiante. Tornò in fretta nel locale per aprirla: ne uscì qualche indumento femminile, un paio di lunghi camicioni dai ricami stinti, corpetto e gonna per le grandi occasioni ancora in buono stato, un paio di scialli bianchi, e altre cosucce. Lasciò ricadere il coperchio del baule e si precipitò all'uscio. Il rumore del botto mise in rapida fuga uno sbirro più curioso degli altri che si era avventurato poco oltre la soglia. Il Barbarigo chiamò a voce alta il capo contrada, che se ne stava a bighellonare con le guardie. - Dite, missier! - rispose quello. - La serva ... la serva del nobile Duodo, sapete chi è costei? - in-calzò il Barbarigo. - Si chiama Apollonia, missier. - La donna si chiamava davvero Apollonia, “detta anche Polonia”, aggiunse quello piccandosi di una precisione che non era affatto tale. Infatti rimase a bocca aperta quando tentò di ricordare il co-gnome. Il Barbarigo sorvolò e diede ordine di trovare questa Apol-lonia e di farlo in fretta. L'altro lo rassicurò con un cenno del capo, una specie di mezzo inchino frettoloso. Poi chiese cosa coman-dava il Signore di Notte riguardo al garzone che aveva scoperto il corpo dell'ucciso, tale Ferruccio. - ...Ferruccio Longheno, il figlio maggiore di... - stava tentando di precisare in vena di riscatto, ma il Barbarigo tagliò corto e decise in un baleno di sentire questo Longheno. Mentre si voltava per rientrare nella casetta cambiò repentinamente idea: l'avrebbe con-vocato in seguito, non ora, disse in tono perentorio. Il capo con-trada annuì di nuovo con un altro cenno del capo.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato a Milano il 4 agosto. Non dico l'anno perché al riguardo sono un tantino ritrosetto. Da quarant'anni vivo nella bergamasca dove mi sono sposato con due figli, Federico e Claudio. Istruzione: liceo scientifico e scienze politiche. Nessuna lode particolare: “È un ragazzo intelligente, ma non si applica abbastanza!” l'invariabile, ancorché poco appagante, giudizio dei miei insegnanti. Cosicché anni dopo la tesi di laurea è finita in soffitta, complice l'attività di famiglia, poi mia, dalla quale sono stato risucchiato. Ho anche fondato e diretto per una dozzina d'anni una rivista di settore, Passioni: il volo in parapendio ultima in ordine di tempo, cosa che mi ha portato a ricoprire da anni il ruolo di ufficio stampa nella FIVL (Associazione Nazionale Italiana Volo Libero – parapendio e deltaplano). Ovvio che non è stata la passione per il volo a spingermi a scrivere “Il Signore di Notte”, un giallo ambientato nella Venezia dei dogi! Lo è stata, invece, quella per la storia, da sempre. Ricordo che da ragazzino preferivo i sussidiari ai fumetti e leggevo la storia antica come fosse un romanzo d'avventura. Il vizio è rimasto in giovinezza e poi oltre, fino a oggi. Però come sia sorto l'interesse per la storia dell'antica Serenissima in particolare non saprei dire. Fatto sta che ho cominciato a leggere autori come Alvise Zorzi e altri storici che si sono occupati della sua storia lunga undici, forse tredici secoli. Quindi sono un lettore a senso unico: storia e ancora storia con qualche deviazione per la letteratura gialla. Classici quanto basta: I Promessi Sposi e I Miserabili (in francese!) me li hanno fatti ingozzare al liceo insieme a qualche cantico della Divina Commedia da recitare poi a memoria. Scampato all'Orlando Furioso. Poi ho affrontato Addio alle Armi, ma ho resistito solo fino a metà del libro, ancora meno Guerra e Pace. Divorati Granzotto, Spinosa, Mark Smith e altri. Congiunto alla passione per la storia, il vizio di non saper trattenere la penna dalla carta o i ditini dalla Olivetti Lettera 32 ai tempi, poi dalla tastiera fin dagli anni '70, quando i personal computer costavano un botto. Ecco perché “Il Signore di Notte” è insieme un racconto giallo con brevi riferimenti storici, una trama inventata, ma i personaggi sono vissuti davvero nel 1605, l'epoca dove l'ho ambientato.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Gustavo Vitali : Non c'è stato un momento particolare, perché, come detto poc'anzi, leggo quasi esclusivamente libri di storia fin da ragazzo e la passione per la storia e per i libri di storia mi è sempre stata congenita.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Gustavo Vitali : No, nessun libro in particolare. Sicuramente hanno influito i libri di Granzotto, quello su Annibale in particolare, e ancora di più La Repubblica del Leone e La Vita Quotidiana a Venezia nel Secolo di Tiziano di Alvise Zorzi, per quanto riguarda la storia dell'antica Serenissima.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Gustavo Vitali : No. Un editore non l'ho mai neppure cercato. In compenso ho avuto due proposte che ho entrambe rifiutato.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Gustavo Vitali : Penso di sì,a patto di sostenere la pubblicazione con varie iniziative a partire dai social e dai contatti con i media. Per quanto mi riguarda ho ottenuto buoni risultati.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Gustavo Vitali : Per ora ne ho scritto uno solo, Il Signore di Notte, un giallo nella Venezia del 1605. Si tratta delle vicissitudini di un magistrato alla caccia di un assassino tra uno e più omicidi. Un particolare è che i personaggi principali del libro sono realmente vissuti all'epoca e incastrati in una storia di fantasia. Sono molto affezionato a questo libro in quanto è costato molto lavoro di documentazione e ricerche sul campo, oltre che presso l'Archivio di Stato di Venezia e varie biblioteche.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Gustavo Vitali : Uno schema prefissato direi di no. Però qualche nota al riguardo mi è servita. Sicuramente nel libro di cui sopra ho dovuto prendere innumerevoli appunti dalla consultazione di testi e documenti. Poi la storia l'ho scritta quasi d'istinto aggiustandola addosso ai vari personaggi recuperati dal reale. Di certo le descrizioni di questi ultimi e i rispettivi caratteri sono stati scritti d'istinto.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Gustavo Vitali : Ho in ballo due idee: una è ancora un giallo storico che riguarda l'antica Venezia. In particolare la storia vera di una galea che nel 1509, richiamata d'urgenza in patria durante la guerra della Lega di Cambrai, navigò da Southampton in Inghilterra fino a Otranto in Puglia in un solo mese, un vero record per quei tempi e quelle navi. L'altra è un altro giallo ambientato nell'estate del 1945. Uno scrittore si trova suo malgrado a indagare sulla morte di una donna coinvolta in una relazione omosessuale con una ragazza più giovane a sua volta scomparsa. Ci saranno vari personaggi come il partigiano vendicativo che vorrebbe continuare la guerra civile e sogna un'Italia comunista, il fascista che teme ritorsioni per il suo passato e altri ancora. In questo caso trama e personaggi saranno entrambi di fantasia.
Writer Officina: Perché hai scelto il thriller piuttosto che un altro genere?
Gustavo Vitali : Perché, oltre ai libri di storia, sono anche attratto dalla letteratura gialla, sebbene abbondantemente sostituita da serie TV e quant'altro.
Writer Officina: Hai fatto dei corsi?
Gustavo Vitali : No.
Writer Officina: Quali sono le difficoltà che hai incontrato?
Gustavo Vitali : Come già detto, ho speso molto tempo in ricerche sul campo per trovare i luoghi dove i personaggi erano vissuti nel 1605. Altro tempo è stato impiegato a documentarmi e leggere libri e documenti vari. La bibliografia in coda al volume consta di ben cinque pagine. In pratica potrei dire di aver impiegato più giorni a leggere che non a scrivere.
Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?
Gustavo Vitali : Tutto il meglio possibile e nelle recensioni qualcuno lo ha anche detto.
Writer Officina: Che consigli daresti , basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?
Gustavo Vitali : Avendo scritto un solo libro, non mi reputo all'altezza di dare consigli. Magari riceverli, questo sì! |
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