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L'amore è una danza
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Sono le 6.40 di venerdì sera, io sono già piuttosto nervosa e, come al solito, Eleanor è in ritardo. Ma la colpa è mia se i nervi stanno per varcare la soglia del non ritorno. Primo perché, pur sapendo che Eleanor è una ritardataria cronica, mi ostino ad arrivare in anticipo ai nostri appuntamenti e secondo (anche se in ordine di importanza meriterebbe il primo posto) perché mi sono lasciata intrappolare in questa situazione assurda. Eleanor è sicuramente la mia più cara amica. Insieme ne abbiamo passate tante, belle e brutte, dall'adolescenza in poi, ma siamo anche sempre state due persone molto diverse. Io ho un modo tutto mio di vedere il mondo, di vestire, di scegliere cosa sia giusto per me, Eleanor è molto più convenzionale, è una di quelle persone che fa sempre la cosa giusta, quella che tutti approverebbero. Ma non per cercare il consenso degli altri, no: lei è proprio così, naturalmente predisposta al sì, alla vita, all'amore, all'amicizia. Per capirci: io sono quella che di solito ringhia, lei è quella sorridente. Io ho scelto una professione spesso poco compresa, tanto meno dalla mia famiglia, lei ha seguito le orme del padre. Io sono una interior designer, lei è un avvocato. Ma cosa ci faccio alle 6.45 - nel frattempo sono trascorsi altri 5 minuti - davanti ad una scuola di ballo in Washington Street, con appena quattro gradi sopra lo zero (temperatura anche troppo mite, per essere l'inizio di marzo a Boston)? Sto aspettando Eleanor, appunto, per accompagnarla ad una lezione di valzer. Una cosa che non farei neanche sotto tortura, ma l'amicizia con Eleanor è uno dei miei punti deboli e quindi eccomi qui. Al mio posto dovrebbe esserci il suo fidanzato-promesso sposo, che però è rimasto bloccato ad una riunione e non sa se e quando potrà arrivare. Eleanor aveva bisogno di un “partner” dell'ultimo momento e ha scelto proprio me. Che fortuna! Le lezioni serviranno a fare diventare lei e Oliver (il fidanzato, appunto) dei perfetti ballerini, in tempo per il giorno del loro matrimonio. Un matrimonio che, neanche a dirlo, si preannuncia pomposo, sfarzoso, elegante (più o meno tutte le cose che penso di Oliver, anche se non avrò mai il coraggio di dirlo ad Eleanor) e... chi più ne ha più ne metta. Eccola, finalmente! Almeno sta facendo finta di correre, nonostante indossi le scarpe da ballo. Io ho improvvisato con un paio di scarpe con mezzo tacco emerse miracolosamente dalla mia scarpiera semi abbandonata, ma non sono io che mi sposo. Per fortuna, direi. - Christine! – mi chiama da lontano -. Scusa, scusa, scusa! Ero al telefono con un cliente e non mi sono accorta dell'ora. Presto, entriamo. Avranno già cominciato! - . Non aggiungo niente, tanto so che è fiato sprecato: la prossima volta che ci incontreremo avrà di nuovo un'ottima scusa per tentare di giustificare il suo ritardo. La seguo, in silenzio, lungo le scale che conducono alla scuola di ballo. Entriamo e, già nel corridoio, si sentono le note di un valzer: sono ancora in tempo per fuggire via? Nella sala ci sono almeno una decina di coppie schierate ai bordi della pista, che guardano danzare due ballerini evidentemente esperti. Devono essere gli insegnanti. A vederli sembrano piuttosto giovani e davvero non capisco cosa ci trovino in certi balli da Belle Epoque. Tanto per ricordarlo a me stessa: siamo nel ventunesimo secolo. La dimostrazione finisce, tutti applaudono entusiasti, tranne me. Non che non voglia, sono solo in ritardo sui tempi, perché ancora presa dai pensieri di cui sopra. L'insegnante, quello maschio per inciso, se ne deve essere accorto perché mi guarda in cagnesco. Riaccendo i sensi, mi guardo intorno e mi accorgo che tutti applaudono, mi unisco a loro. Ops! Subito dopo si presentano: sono Margareth e Jordan e saranno loro ad insegnare alle coppie presenti tutti i segreti dei balli da sala. Evviva! Poi, Margareth nota me ed Eleanor e così ci ritroviamo al centro dell'interesse generale a causa di un piccolo, trascurabile malinteso: Margareth ci ha scambiate per una coppia in senso biblico! - Benvenute! Quando le altre coppie si sono presentate, voi non eravate ancora arrivate. Allora: raccontateci qualcosa di voi e della vostra storia - . Cosa? Quale storia? Riesco perfettamente ad immaginare la mia espressione sgomenta, mentre non capisco la faccia divertita di Eleanor. Davvero inizio a pensare che l'amore sia nocivo per la salute mentale delle persone. - No, no. Guarda deve esserci un malinteso. Noi siamo solo amiche. Io sono qui per sostituire il suo fidanzato, altrimenti neanche morta mi troverei in un posto simile! - . Devo avere detto qualcosa di sbagliato, perché tutti si sono girati a guardarmi. Margareth è sbiancata e Jordan, bé diciamo che il suo sguardo non è molto amichevole in questo momento. - Va bene, adesso cominciamo - . Margareth, imperturbabile, non commenta la mia esclamazione di poco prima, ma piuttosto è veloce a riprendere il controllo della situazione e tutti gli occhi tornano su di lei. Menomale! All'improvviso la porta della sala si apre e, per la prima volta da quando lo conosco, sono sinceramente contenta di vedere Oliver. Sono salva! - Scusate il ritardo! Buonasera amore - . Oliver si avvicina ad Eleanor e le dà un casto bacio sulla guancia. Io alzo gli occhi al cielo: ma questa è tutta la passione tra due che stanno per sposarsi? - Bene, visto che il partner ufficiale è arrivato, io toglierei il disturbo - faccio per andarmene, quando una voce mi blocca. - Perché mai dovremmo perdere un'allieva di sicuro promettente? Ballo io con te - . A parlare è stato Jordan ed io, che questa sera già sono al massimo del mio cinismo, lo trafiggo con lo sguardo. Tecnica che di solito fa scappare tutti, ma non Jordan che mi rimanda invece un sorriso di sfida. - Grazie, davvero. Molto gentile, ma non sono proprio portata per certe cose. È meglio se dirigi le tue attenzioni verso qualche ballerina più capace - . - Capisco. Ci vuole coraggio per mettersi alla prova. Non tutti ce l'hanno - . “Scusa, bello. Ma stai parlando proprio a me?” penso. Se voleva provocarmi, ci è riuscito. E va bene, glielo faccio vedere io se non ho coraggio. - Se ne fai una questione di coraggio, evidentemente non mi conosci. Volevo solo evitare di farti perdere tempo! - . Mi dirigo verso il centro della sala e, solo a questo punto, mi rendo conto che sono tutti intenti a seguire il battibecco tra me e Jordan. Ma tu guarda in che situazione mi devo ritrovare per avere fatto un favore ad un'amica! Jordan prende la mia mano nella sua e con l'altro braccio mi cinge la vita. Vorrei non doverlo dire, ma questa stretta ferma e virile è quanto mai inaspettata. Credevo che il valzer fosse un ballo smielato e affatto “maschio”, ma sono costretta a ricredermi, almeno per quanto riguarda il “mio maschio” di questo momento. E poi, ora che siamo vicini, sento il suo profumo. Non è una di quelle fragranze solitamente usate dagli uomini, piuttosto è un profumo di buono, di pulito. Il mio cuore sta battendo un po' troppo forte, ma non saprei dire se a causa della situazione imbarazzante in cui mi sono cacciata o per l'effetto che mi fa essere stretta tra le braccia di Jordan. Mi convinco della prima. Intanto, le altre coppie ci hanno imitato e Margareth sta passando in rassegna tutti gli aspiranti ballerini, per controllare la corretta postura. Io guardo ovunque, meno che davanti a me. So benissimo, invece, che Jordan mi sta guardando, sento i suoi occhi addosso e questo mi mette a disagio. Poi Margareth fa partire la musica e Jordan prova a guidarmi attraverso i primi passi. Io mi sento un sacco di patate ancorato a lui. Vorrei diventare trasparente e sparire per sempre e invece balliamo e, mentre la musica riempie la stanza, a me sembra di sentire solo il rumore assordante del mio cuore. Se io non fossi io, se non fossi la solita scorbutica Christine, ammetto che potrei cedere al fascino di Jordan, un fascino indiscutibile, come la mia incapacità di mettere un piede dietro l'altro senza sembrare goffa e sgraziata... e senza finire con il pestare i suoi di piedi.
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Ciao e grazie per lo spazio che mi dedicate. Sono Maria Orlandi, vivo a Pescara e lavoro come giornalista dal 2007. Giornalista, ma anche addetto stampa, editor, ghost writer e social editor. Tante cose che ne hanno in comune una sola: scrivere, la mia passione da quando avevo 8 anni e iniziai a comporre le mie prime poesie. Scrivere per me è un lavoro meraviglioso, un modo esaltante di disegnare, immaginare, interpretare il mondo intorno a me. Per un lungo periodo avevo accantonato questa mia passione per rincorrere un sogno che, tra gli anni 80 e 90, accomunava un po' tutte noi ragazze: la moda. Ovviamente non avevo alcuna intenzione di calcare le passarelle, volevo lavorare dietro le quinte, meglio ancora disegnare abiti, ma i miei genitori mi iscrissero al liceo scientifico rimandando i miei sogni ad un momento in cui fossi stata più consapevole delle mie capacità. E menomale, perché fu proprio durante gli anni del liceo che riscopersi il piacere di scrivere.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Maria Orlandi: Come lettrice, ho amato leggere sin da subito. Il primo romanzo che ho letto era un fantasy e si intitolava “La signora delle tempeste” della scrittrice Marion Zimmer Bradley. Avevo 9 anni. Ma ho capito di amare le storie d'amore con la scoperta di Jane Austen. Ho letto i suoi romanzi più e più volte. Come scrittrice, invece, la magia è avvenuta durante il secondo inverno di pandemia: il mio lavoro era sceso, avevo molto tempo libero e dovevo trovare il modo di sopravvivere ai continui segnali di allarme che arrivavano dal di fuori. In modo particolare, sentivo il dovere di non lasciarmi contagiare da tutta quella tristezza, per salvare la serenità dei miei due bambini. Ho così riscoperto il gioco che facevo da piccola, prima di dormire: sognare a occhi aperti. Quelle storie però erano troppo belle, troppo ricche di dettagli per restare solo sogni e ho iniziato a scriverle.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Maria Orlandi: Durante la pandemia ho scoperto una scrittrice che non conoscevo: Anna Premoli. Ho iniziato a divorare tutti i suoi romanzi, a scoprire e apprezzare il suo stile e così ho sperimentato e trovato il mio.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Maria Orlandi: Ho sempre creduto che affidare il lavoro ad un professionista fosse il modo giusto di procedere in questo settore, come in tutti gli altri d'altronde. Così, grazie ad alcune conoscenze comuni, ho cercato e trovato un piccolo editore “interessato” a pubblicare il mio romanzo. Avevo grandi speranze e aspettative: speravo nel suo consiglio, nella sua presenza alle presentazioni, nel suo sostegno. Ma sono sempre stata troppo idealista e gli idealisti restano spesso delusi. Pochi mesi dopo ho pubblicato il mio secondo romanzo con Amazon e non mi pento, nonostante le porte chiuse in faccia da chi crede che un libro senza casa editrice non sia un buon prodotto. Non ho un editore, ma ho tanti altri professionisti che collaborano con me affinché il libro sia confezionato a dovere.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Maria Orlandi: Lo è per gli emergenti ma anche per gli scrittori affermati. Non è pensabile continuare ad offrire libri con prezzi fuori mercato. Le persone leggono già poco, se poi pretendiamo che per un libro spendano 15 o 20 euro siamo fuori tempo. E poi le case sono sempre più piccole, il formato Kindle risolve questo problema senza togliere il piacere della lettura.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Maria Orlandi: L'ultimo romanzo che ho scritto, “Tutte le volte che avrei voluto odiarti”, è di sicuro il più importante per me. È quello su cui ho lavorato di più ed è quello in cui mi sono permessa di affrontare, con la dovuta leggerezza di un libro che vuole essere di intrattenimento, alcuni temi che mi stanno a cuore: l'omosessualità, l'anaffettività, la perdita di un genitore. È un testo che fa riflettere, sorridere, amare, soffrire e gioire; c'è tutto, c'è la vita vera raccontata con sguardo romantico e con fiducia nella forza dell'amore. Adoro l'ironia di Miriam, perché mi piacciono le persone ironiche e amo Thomas perché, sebbene sembri solo bello e dannatamente confuso, in lui c'è una complessità che si scopre procedendo nella lettura. E poi c'è Carlo, il fratello della protagonista: lui è il mio preferito. Leggete e scoprirete perché.
Writer Officina: Cosa c'è di te nel tuo romanzo?
Maria Orlandi: Le cose che amo. I romanzi di Jane Austen, la mia gatta Flo, il caminetto acceso, le tisane calde, la ciniglia rosa, gli unicorni, l'opera, la musica di Pat Metheny, il Natale, i quadri di Monet e i film romantici. Tutte queste cose appartengono alla vita di Miriam perché appartengono alla mia. Ma c'è anche una parte del racconto che mutua una esperienza vissuta da me in prima persona, ovvero la perdita prematura di un genitore. Ho solo consegnato alla mia protagonista un epilogo diverso.
Writer Officina: Ti sei documentata, p.e. sui luoghi, sulle professioni di cui parli?
Maria Orlandi: Sì, certo. E mi hanno aiutato alcune care amiche. Grazie a Marina, che poi è l'artista che ogni volta disegna le mie copertine, ho potuto girare per le vie di Milano fino al Lago di Garda e a quello di Como; con Emy ho conosciuto Livigno e Annalisa, mia spalla in tutte le presentazioni, mi ha dato alcune dritte sul lavoro di avvocato.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Maria Orlandi: Dopo avere immaginato tutta la trama, finale incluso, traccio e definisco la struttura e da lì inizio a scrivere. Ma lascio tutto lo spazio necessario all'ispirazione e all'improvvisazione, soprattutto nei dialoghi.
Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?
Maria Orlandi: Per me la scrittura è soprattutto fonte di gioia e di benessere, quindi immagino che abbia una valenza terapeutica: la terapia della felicità.
Writer Officina: Cosa vorresti che le persone dicessero del tuo romanzo?
Maria Orlandi: Vorrei che dicessero quello che pensano. Ne ho bisogno per crescere e migliorarmi come scrittrice e come persona. Una due, tre, quattro o cinque stelle non significano nulla se non sono accompagnate da una recensione che motivi la valutazione. Sono giudizi poco utili se lasciati senza una motivazione, perché chi scrive non sa dove ha sbagliato o cosa ha fatto di buono.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Maria Orlandi: Sì, sto buttando giù la trama di un nuovo romanzo. Non sono sicura che sarà un romance classico, perché racconterò la storia di una famiglia allargata, diciamo così, con un bambino che ci farà innamorare dei suoi ricci capricciosi. E ci sarà anche molto spazio per riflettere sulle difficoltà di chi per lavoro è costretto a lasciare la sua terra natia.
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