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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Maria Orlandi
Titolo: L'amore non è mai perfetto
Genere Romanzo d'amore
Lettori 658 1
L'amore non è mai perfetto
Caterina.

Le 16:43. Ancora. Quando fissi ossessivamente l'orologio, il tempo sembra non passare mai. E io continuo a seguire in modo compulsivo l'ora segnalata in basso a destra sullo schermo del pc: alle 17 in punto potrò spegnere e uscire al volo da qui per andare alla ricerca del mio albero di Natale. Sì, lo so: è il 23 dicembre e a me serve ancora un albero, possibilmente con tutti gli annessi e connessi. Non capisco come io mi sia potuta ridurre a questo punto... anzi lo so bene: turni massacranti al lavoro, nottatacce per mettermi in pari con i nuovi colleghi e, non da ultimo, il fatto di essermi trasferita a Milano solo alla fine di novembre. In tutto ciò, la mia priorità non ha potuto essere la ricerca di addobbi e luminarie natalizie; ma ora, a un giorno dalla Vigilia, non riesco a pensare ad altro che al mio bilocale milanese spoglio e triste. Soprattutto se lo paragono al ricordo del Natale in casa dei miei, dove quest'anno non potrò tornare perché ho giusto tre giorni di pausa, e poi si rientrerà in ufficio per preparare il progetto di partecipazione a un'importante gara pubblicitaria. Troppo poco tempo per pensare di affrontare il delirio dell'esodo invernale, ore e ore di traffico lento e snervante e, ovviamente, qualunque altro mezzo di trasporto è già sold out da mesi. Ergo, mi tocca rimanere da sola in una città nuova e al momento anche un tantino ostile, viste le scarse occasioni di socializzazione rispetto alla vita in una cittadina di provincia del centro Italia.
16:54. Intanto potrei spegnere il computer e iniziare a mettere a posto. È l'Antivigilia e stasera c'è la festa aziendale, per cui siamo rimasti davvero in pochi in ufficio e quei pochi, sospetto, staranno aspettando l'ora X come me.
Start, arresta, arresta il sistema. Lo schermo si scurisce mentre l'orologio segna le 16:56. Recupero alcuni documenti su cui lavorerò in questi giorni di festa, mi infilo il cappotto senza alzarmi dalla sedia, il che richiede che io faccia appello a tutte le mie risorse di pazienza. Consulto lo smartwatch: sono le 17 e sono libera di andare a caccia di addobbi!
Passo il badge ed esco dalla porta principale dell'elegante palazzetto liberty in corso Colombo, recupero la mia smart grigia e mi infilo nel traffico della città.
Non sono abituata a muovermi così piano in macchina, dalle mie parti certe punte di traffico non si raggiungono neanche negli orari di entrata e uscita dalle scuole, ma almeno il movimento dei veicoli è ordinato e mi posso dedicare alla selezione di una playlist degna del periodo. Michael Bublè è la scelta giusta per questo momento: opto per la Christmas deluxe special edition e mi lascio avvolgere dalla magia del Natale. Canticchio da sola al semaforo, immaginando mia madre alle prese con i preparativi della cena del 24. Vorrei chiudere gli occhi, ma non posso. Il ricordo dell'odore del brodetto di pesce che cuoce a fuoco lento mi stringe il cuore... e lo stomaco, ma soprattutto il cuore, al pensiero che quest'anno mi perderò ogni cosa. Questo lavoro all'interno di un'importante agenzia di comunicazione di Milano è il sogno per cui ho studiato tanti anni e anche una facile via d'uscita dall'imbarazzante situazione in cui ero piombata a inizio estate, ma il tempismo è stato pessimo. Cominciare un nuovo lavoro il 1° dicembre non è stato il massimo, tanto più che l'assunzione sarebbe dovuta partire a gennaio, per la momentanea assenza dello strategic planner alle selezioni. Ma poi è arrivata la famosa gara che ha creato l'urgenza di rafforzare il dipartimento creativo e così, nonostante il capo non fosse ancora rientrato, si è deciso di procedere al mio inserimento anche senza la sua ulteriore approvazione. Eccomi qui, dunque, catapultata in una vita completamente nuova e diversa da quella che conducevo nel mio paesino in riva al mare. Addio paesino, addio provincia e addio mare. Ma anche addio Giorgio, malelingue e sguardi di compatimento.
Seguo le indicazioni di Google Maps e imbocco la statale in direzione Ikea, nella speranza di trovare ancora qualcosa almeno lì.
Il traffico, nel frattempo, si è normalizzato e io mi sento già più fiduciosa canticchiando Baby please come home con Bublè. Dopo circa mezz'ora raggiungo la mia destinazione, parcheggio, prendo il carrello ed entro. Non provo neanche a passare per il reparto espositivo e mi dirigo rapida al market dove mi accoglie un'esplosione di luci natalizie, ma il mio obiettivo è raggiungere la zona riservata agli addobbi. Dopo un paio di slalom tra coppiette indecise, cagnolini al guinzaglio e bambini annoiati, finalmente lo vedo. È il mio albero! Con davanti un cartello “ultimo pezzo” a segnalare l'urgenza dell'acquisto. Accelero, neanche avessi alle calcagna una banda di elfi indemoniati. A un passo dal farlo mio per davvero, vengo travolta da una pulce con i capelli biondo scuro.
«Papà, Papà! Eccolo! Il nostro albero!» sta gridando, come se fossimo tutti diventati sordi all'improvviso. A passi svelti lo raggiunge un uomo con gli stessi capelli, una versione adulta e finita della piccola peste che ha appena abbracciato il “mio” albero!
Lui mi guarda e intuisce la dinamica perché districa l'abete dall'abbraccio del bambino e poi gli parla con calma, usando una voce che dovrebbe essere vietata ai minori di diciott'anni, o alle minori, o anche alle single disperate come me.
«Giacomo, non vedi che c'era prima la signora? Ne troveremo un altro, non ti preoccupare».
«Non è vero, non è vero! Domani è la Vigilia. Questo è il mio albero! L'ho visto prima io!». Il bimbo, che a quanto pare si chiama Giacomo, è davvero disperato, forse in modo anche eccessivo, ma comprendo che per lui questo albero sia molto più di un decoro natalizio.
Mi piego sulle ginocchia per pormi alla sua altezza: «Giacomo? È così che ti chiami?». Il piccolo annuisce, tirando su con il naso in modo vistoso e tenero.
«Penso che tu abbia ragione. Sono sicura di avere visto le tue manine afferrare questo albero molto prima di me. Quindi direi che è proprio tuo». Giacomo sorride, i suoi occhi si accendono di gioia e, con mia enorme sorpresa, mi abbraccia. Così forte da percepire tutta la disperazione di un cuoricino che desidera qualcosa di più di un albero di Natale.
Il papà di Giacomo mi sorride e sillaba un muto grazie. Poi tira via il figlio da me.
«Giacomo, adesso lascia respirare la signora e ringraziala».
Ammetto di provare un certo fastidio nel sentirmi chiamare “signora” per la seconda volta. Di solito non mi fa nessun effetto, ma pronunciato da quest'uomo bellissimo, mi fa sentire inadeguata.
«Grazie signora» mi dice imbarazzato.
«Prego Giacomo. Ma puoi chiamarmi Cate» gli stringo la manina gelata.
Sollevo lo sguardo e incrocio gli occhi azzurri del papà. Il modo in cui mi sta guardando mi provoca un tumulto nel cuore e, senza capirne la ragione, mi trovo a pensare con invidia alla donna che può specchiarsi ogni giorno in quei due occhi colore del cielo. Non lo conosco, non so nulla di lui, l'ho appena incontrato eppure credo di aver sperimentato, per la prima volta nella mia vita, l'effetto di quello che i romanzi d'amore raccontano come un “colpo di fulmine”.
Poi però un suono fastidioso, insistente, stonato rompe l'idillio, almeno il mio, perché le fantasie che nel frattempo sono stata capace di accendere sono tutte nella mia testa. È il mio telefono che suona. Con imbarazzo lo recupero dalla borsa stracolma di roba e guardo il display: è Giada, la mia migliore amica.
«Beh, allora buon Natale» accompagno queste parole con un gesto infantile della mano.
«Buon Natale Cate» mi risponde l'uomo più affascinante che abbia mai incontrato e che non rivedrò mai più.
E così mi allontano per rispondere a Giada, mentre il papà di Giacomo si porta via il mio albero e tutti i miei nuovi sogni romantici.
«Pronto? Giada, ciao! Come va?». Non ricevo risposta, sento solo dei singhiozzi strozzati. Scommetto che appena si sarà calmata mi racconterà che Davide le ha spezzato il cuore. Come Antonio, prima di Davide e come Luca prima di Antonio e via così a ritroso nella disastrosa vita sentimentale di Giada.
«Giada, adesso cerca di calmarti e raccontami: cosa è successo?». Infilo gli auricolari, sospetto che si tratterà di una lunga telefonata e io vorrei riuscire a portare a casa almeno qualche decorazione e un po' di lucine.
«Davide mi ha lasciata» mi racconta tra un singhiozzo e un altro.
«Come mai questa volta?» le chiedo, ma già immagino la risposta.
«Gli ho detto che l'amavo e lui se l'è data a gambe levate» ammette la mia amica.
«Ma quando imparerai che gli uomini si spaventano se si usa la parola amore?» le dico in tono di rimprovero, e intanto infilo nella mia maxi bag gialla e blu una catena di luci multicolor, una lanterna a forma di casetta e una ghirlanda da appendere alla porta.
Mi incammino spedita verso le casse, in attesa di ricevere una risposta da Giada. Spero di rivedere l'affascinante papà, ma all'uscita non c'è traccia di quella bella testa bionda.
Intanto Giada decide di ribattere al mio rimprovero.
«Sai cosa ti dico? Mai! Se aveva paura dell'amore, allora non era la persona che pensavo ed è stato un bene che si sia tolto di mezzo. Avanti il prossimo!» dice ora con eccessiva enfasi.
«Non sarebbe il caso di stare un po' da sola?» le chiedo, anche se so già cosa mi risponderà.
«Cosa? Nooo! Neanche morta, anzi no: meglio morta che sola! Stasera esco e incontro l'uomo della mia vita. Ne sono sicura. Ora ti saluto che devo organizzare una seratina con le altre. Grazie Cate! Sei sempre la migliore!». Click. La telefonata si conclude così. Giada ha fatto tutto da sola, come al solito. E intanto mi ha ricordato che a 500 chilometri da qua ho un piccolo gruppo di amiche che stasera uscirà e si divertirà, senza di me. Non che negli ultimi mesi, a casa, io sia stata molto propensa a una vita sociale... Per lo più me ne sono stata rintanata nei miei posti sicuri, quelli non frequentati da Giorgio, ma se avessi voluto avrei potuto trovare tutta la compagnia su cui una ragazza dovrebbe contare.
Pago, raggiungo l'ascensore e risalgo in macchina.
Non ho un albero di Natale, ho incontrato un uomo bellissimo e non so neanche come si chiama, mi manca la mia migliore amica e stasera mi attende una noiosissima festa di Natale aziendale dove non conosco nessuno.
Fine della mia breve storia triste. 

Alberto

La vita è strana, in pochi minuti è in grado di farti cambiare idea su qualcosa che pensavi definitiva. Io, per esempio, ero convinto di fare una semplice comparsata a questa noiosissima festa di Natale aziendale. Una comparsata necessaria, vista la latitanza degli ultimi mesi. L'infarto di mio padre è stato davvero un duro colpo e, se fossi credente, ringrazierei il Cielo ogni giorno per avere incontrato Thomas Parinoci, il cardiochirurgo che ha rimesso a nuovo il cuore del mio vecchio. Se ripenso ai salti mortali dell'autunno appena trascorso, fatico a credere di non avere avuto bisogno anch'io di un bypass coronarico. Trasportare mio padre dall'Abruzzo in Lombardia, fino a Bergamo, occuparmi di lui, di Giacomo... da solo.
Il pessimo tempismo di Francesca è una costante. Entra ed esce dalle nostre vite, la mia e di nostro figlio Giacomo, come se avesse sempre qualcosa di meglio da fare. E, probabilmente, per lei è proprio così. Come ora, partita per una qualche jungla tropicale per difendere una non bene identificata specie animale in estinzione e finita sicuramente a riposare la sua mente stanca di avventura in un costoso resort per ricchi viziati come lei.
Se non mi avessero aiutato almeno i suoi genitori, non so come avrei fatto. Ma ce l'ho fatta, anche se a volte ho dovuto lasciare indietro qualcosa, la mia vita sentimentale per essere precisi. E quindi eccomi qua, alla festa dell'agenzia, di cui in realtà non mi importa un bel niente. Quello che mi ha spinto a mettere cura nella scelta degli abiti e del profumo da indossare è l'invito che stringo tra le mani, destinato a una donna di nome Caterina Moselli. È scivolato via dalla sua borsa nel momento in cui ha risposto al telefono durante il nostro incontro all'Ikea. Non ho fatto in tempo a restituirglielo perché quando ho alzato lo sguardo da terra era già volata via, ma è stata una piacevole sorpresa scoprire che l'avrei rivista alla festa. Almeno spero. Non so chi sia e perché risulti essere tra gli invitati, forse è una neoassunta o una cliente. Spero solo non si faccia trattenere da qualche altro impegno perché, per la prima volta dopo tanto tempo, desidero conoscere una persona nuova.
La storia con Francesca ha minato la mia fiducia nell'amore. È vero che ci siamo sposati perché lei era incinta di Giacomo, ma io l'amavo e avrei voluto sposarla lo stesso. Invece lei non era portata per il matrimonio, si sentiva limitata nel ruolo di madre e non era a suo agio in quello di moglie. Almeno queste sono le motivazioni con cui un bel giorno ha piantato in asso me e Giacomo ancora in fasce. La verità è che avrei dovuto immaginare che dietro a quell'aria da ereditiera annoiata ci fosse un'anima inquieta. Una vita facile, figlia unica di un imprenditore facoltoso, destinata a ereditare un impero senza sforzi: tutto questo l'ha resa un cane sciolto, incapace di stare nello stesso posto per più di qualche mese. Non la odio, non sono bravo a sostituire un sentimento con un altro, ma non ho ancora ritrovato la voglia di riporre la mia fiducia in un'altra persona. A parte Giacomo, ovviamente. Lui è il mio tutto ed è probabile che sia per questo che non disprezzo sua madre, perché mi ha comunque regalato la cosa più bella che ho nella vita.
Guardo l'orologio: sono quasi le 21 e lei non è ancora arrivata. Mi avvicino al tavolo dello champagne per un secondo giro e la vedo. L'effetto è lo stesso di oggi pomeriggio all'Ikea: mi si blocca il respiro mentre con lo sguardo cerco di sbrigliare i ricci fitti della sua lunga chioma nera. Quello che non avevo potuto notare, a causa del pesante giaccone rosa, è la sua fisicità giunonica. Capelli ricci, lunghi e neri, neri anche gli occhi e un corpo morbido e sinuoso: sembra uscita da un dipinto Botticelliano e vorrei stringerla tra le braccia per scoprire cosa si provi ad avvolgere una donna così. Una parte di me vorrebbe essere quel vestito di velluto nero che scivola lungo la scollatura generosa e si stringe intorno alla vita, per poi trasformarsi in una gonna ampia e lunga che arriva fino a sopra il ginocchio a mostrare due gambe slanciate e toniche.
Finalmente lei mi nota e devo sembrarle un vero imbecille, in piedi con la bocca spalancata e il flûte di champagne rimasto a mezz'aria. Chissà se è consapevole di essere bellissima.
Caterina mi sorride e poi si avvicina.
«Anche tu qui?» mi chiede. Dovrei rispondere qualcosa, ma all'improvviso mi sento un imbranato.
«Sì, io... io» balbetto, davvero sto balbettando? «Io lavoro qui» alla fine riesco a pronunciare una frase di senso compiuto.
«Ma dai, che coincidenza! Anche io!» ribatte sorpresa.
«Davvero? Ma io non ti ho mai vista prima?» ma che mi succede? Sono il direttore creativo di questa agenzia, prendo decisioni per milioni di euro e ora non sono neanche capace di argomentare una risposta.
«Beh, sì, in effetti lavoro qui da meno di un mese. Ho iniziato il 1° dicembre. In realtà il mio contratto doveva partire a gennaio, ma poi c'è stata una mezza emergenza, il direttore creativo è sparito, motivo per cui non sono neanche più riuscita a fare il colloquio con lui. A proposito, tu hai idea di chi sia? In quasi un mese non l'ho ancora visto. Scusami, oggi in negozio non mi sono neanche presentata per bene: mi chiamo Caterina, Cate per gli amici» dopo aver parlato tutto d'un fiato, mi tende la mano. Io l'afferro e fatico a lasciarla andare. Caterina è evidentemente una persona socievole, che forse parla un po' troppo, ma questo la rende solo più simpatica. Anche se so di essere in procinto di metterla in imbarazzo.
«Piacere mio Caterina. Io sono Alberto, il latitante». Non le ho ancora lasciato la mano, voglio che capisca che mi ha fatto sorridere sentirla parlare di me come di un'entità “aliena”; non deve preoccuparsi di ciò che penserò di lei, sono troppo preso a contemplare il taglio dei suoi occhi, il modo in cui l'eyeliner ne disegna il contorno. Le lunghe ciglia...
«Oh, wow! Fantastico, ho appena fatto la mia prima brutta figura con il capo» cerca di lasciare la mia mano e io la trattengo con dolcezza, sorridendole, ma poi rispetto la sua richiesta e la libero.
«Hai appena fatto sorridere una persona che da un po' non ne aveva motivo».
La sua bocca rossa si piega in un'espressione dolcissima. «Con un bambino come Giacomo non posso pensare che sia vero». E con questa frase conquista anche il più remoto angolo del mio cuore.
«Signori e signore, benvenuti alla nostra festa di Natale» una voce sgradevole dall'accento straniero incerto rimbomba nel microfono e interrompe il nostro idillio. Ci giriamo tutti in direzione di Gerald, il proprietario dell'azienda. A parte riconoscergli il merito di avere creato un impero dal nulla, resto dell'idea che sia una persona senza scrupoli e piena di sé. Motivo per cui, appena potrò andrò via da qui, magari proprio via da Milano per tornare a casa mia.
Ora siamo tutti girati verso di lui, anche se io con la coda dell'occhio continuo a guardare la bellissima donna al mio fianco, fasciata in un elegante vestito nero che porta i mei desideri dove non dovrebbero.
«Vi ringrazio per essere intervenuti numerosi a questo appuntamento. Come sapete quest'anno le vacanze di Natale saranno penalizzate dalla necessità di concludere entro il 15 gennaio la campagna per il lancio del nuovo profumo Saint Valentine. Vi prometto che i vostri sforzi saranno premiati».
Lavoro qui da abbastanza tempo da sapere che non è vero, ma non voglio infierire sull'entusiasmo di Caterina, la quale mi sembra credere alle promesse di quell'omuncolo.
«E adesso tornate a divertirvi e trascorrete un breve ma piacevole Natale». Saprei io cosa rendere breve, ma è meglio che non lo dica ad alta voce.
Piuttosto, posso tornare a concentrarmi sulla donna al mio fianco.
«Vieni, ti mostro una cosa». Solo quando la pronuncio comprendo che la mia proposta può suonare ambigua, eppure Caterina non pare turbarsi e accetta di afferrare la mia mano tesa nella sua direzione.
Nel frattempo la sala è rimasta avvolta nel buio e in molti hanno accettato l'invito a divertirsi e ballare; indisturbati, io e Caterina ci facciamo strada tra la folla e ci dirigiamo verso un posto che io trovo speciale. Scivoliamo lungo corridoi in penombra e vuoti, fino a raggiungere un angolo nascosto del palazzo che ci ospita. Una ex serra trasformata in giardino di inverno dove vengono organizzati eventi più piccoli: addobbata con le luminarie natalizie, è anche meglio di come la ricordassi. Dalle vetrate tutto intorno a noi si vedono i giardini curati che circondano la villa e dal cielo iniziano a venire giù piccoli fiocchi di neve.
«Che meraviglia: nevica!». Caterina si avvicina alla porta finestra, appoggia le mani sul vetro e resta incantata a guardare la neve scendere. Io invece riesco a guardare solo lei: non mi sentivo così da tantissimo tempo, è come se il mio cuore fosse tornato quello di un tempo. Vorrei ballare con lei sotto la neve, vorrei aspettare l'alba insieme, vorrei scoprire cosa ama per colazione. Sto correndo troppo con l'immaginazione, sto desiderando cose che non dovrei con una donna appena conosciuta, ma il mio cuore è come un fiore appena sbocciato dopo il lungo sonno dell'inverno.
«Grazie, questo posto è davvero incredibile» mi dice, destandomi dai pensieri che affollano la mia mente.
«Beh, la neve non era prevista, ma non poteva scegliere momento migliore» mi avvicino a lei e dalla sala della festa si sentono arrivare le note di una vecchia canzone di Natale.
«Ti va di ballare?» provo a chiederle.
«Cosa? Certo, ma...» si ferma, si morde le labbra, mi guarda.
«Ma?» la incoraggio a proseguire.
«Scusami se sono diretta, ma la mamma di Giacomo cosa penserebbe di noi adesso?» alla fine lo ha detto. La mia reazione non è molto elegante, l'argomento Francesca mi innervosisce non poco, e così scoppio in una risata nervosa.
«Scusa, scusami. Non è per te o per la tua domanda, ma è per l'oggetto della richiesta. La mamma di Giacomo, hai detto bene. Perché è solo la mamma di Giacomo, quando se ne ricorda. Sarò breve, perché, anche se ormai ho fatto pace con questa storia, ciò non toglie che di tanto in tanto quella donna si diverta a tornare nelle nostre vite per tormentarci». Prendo fiato e proseguo: «Francesca, questo è il suo nome. Siamo stati insieme due anni prima che scoprisse di essere incinta di Giacomo. Io ero felice, volevo sposarla. Lei ha accettato e ci siamo sposati poco prima che mettesse al mondo nostro figlio ma, dopo appena sei mesi, ha deciso che non era tagliata per il ruolo di madre, che aveva bisogno di fare esperienze e se ne è andata. Ci ha abbandonati con un biglietto e con la promessa di tornare».
«Oh mio Dio! Come si fa a lasciare un figlio così?». Caterina è sgomenta. Ma d'altronde chi non lo sarebbe al posto suo?
«Non lo so, davvero non lo so» e sono sincero, non potrei vivere senza gli sguardi di Giacomo.
«E tu cosa hai fatto?».
«Ho incassato il colpo, ho cercato di mantenere buoni rapporti con i suoi genitori e anche con Francesca. Avrei potuto denunciarla, ma non volevo avvelenare con l'odio l'infanzia di Giacomo; così mi sono rimboccato le maniche e ho cercato di fargli da madre e da padre».
«E adesso?».
«Adesso Francesca è da qualche parte in Africa, non so dove. Prima o poi tornerà, proverà a fare la mamma confondendo le idee a Giacomo, poi deciderà di non poterne più e se ne andrà di nuovo».
«Ma è terribile!».
«Già, ma ci si abitua a tutto». Non è vero, raccontare questa storia mi rattrista sempre.
Caterina posa le sue mani sulle mie. «Balliamo?».
Torno a respirare.
Da lontano le note di Have yourself a Merry little Christmas ci avvolgono. Con il braccio sinistro cingo la vita di Caterina e mille emozioni schizzano da una parte all'altra del mio corpo, in punti che non sapevo neanche più fossero vivi, la mia mano destra avvolge la sua mano sinistra e poi lei poggia il capo sul mio petto. Dai suoi capelli mi arriva un profumo speziato, di cannella e mela, immagino come sarebbe trovarlo al risveglio sul mio cuscino. Ancora la fantasia mi porta lontano dalla realtà e non è da me; non è da me la confidenza fisica che ho instaurato con lei in pochi minuti, non è da me lanciarmi in sogni a occhi aperti, eppure non mi sento a disagio con questo mio bisogno di abbassare le difese alzate dopo Francesca.

Balliamo, in silenzio, per un po', ondeggiando nella penombra illuminata appena dai fiocchi di neve che scendono copiosi. Siamo solo noi in questo angolo dell'edificio, con le note che arrivano leggere in lontananza e i nostri corpi che aderiscono perfettamente, come se non avessero fatto altro che cercarsi per tutto il tempo trascorso fino a questa sera.
A un tratto la canzone finisce e noi ci allontaniamo con lentezza estrema, riconquistando ognuno il proprio spazio.
«Adesso che la mia triste storia è nota, vorrei sapere di te. E spero davvero che il tuo racconto sia migliore». Ho bisogno di stemperare la tensione ed egoisticamente mi auguro che lei non abbia tristi verità da condividere.
«Nessuna storia degna di nota. Cercavo un lavoro in linea con i miei studi e la mia esperienza, possibilmente lontano da casa, e ho trovato questo. Vivo nel bilocale di mia cugina che adesso si trova a Londra e questo Natale, per la prima volta nella mia vita, sarò sola, lontana dalla mia numerosa, chiassosa e meravigliosa famiglia. Fine». Adesso il suo sguardo è malinconico e mi pento di averle fatto quella domanda.
«Mi dispiace, trasferirsi lontano da casa proprio prima di Natale non deve essere un granché» finisco appena di parlare e il mio telefono inizia a squillare. Lo tiro fuori dalla tasca della giacca: è Simona, la baby sitter.
«Simona, ciao, che succede?» deve esserci qualche problema con Giacomo, altrimenti non mi chiamerebbe.
«Alberto, mi dispiace da morire disturbarti. Ma Giacomo piange, non vuole andare a dormire se non torni tu. Non so cosa gli sia preso questa sera».
«Va bene, cerca di rassicurarlo. Sto tornando. Il tempo di trovare un taxi e arrivo». Chiudo la telefonata e ripongo il telefono. Guardo Caterina desolato.
«Non ti preoccupare, vai. E ti prego, qualunque cosa sia, dagli un bacino da parte mia». Ha uno sguardo dolce come il miele e io mi sento un'ape golosa, desiderosa di scoprire il suo sapore. Ma sono un papà, prima di tutto, prima di ogni mio egoistico desiderio. La bacio sulla guancia e non riesco a dire nulla. Mi allontano a grandi passi e intanto intercetto un Huber libero sulla App. Devo andare via in fretta o non riuscirò più a farlo.

Maria Orlandi
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