Writer Officina
Autore: Ivano Azzellino
Titolo: Gramsci, Togliatti, Berlinguer
Genere Biografico
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Gramsci, Togliatti, Berlinguer
Tre idee per il cinema e la letteratura.

Era il 1984, avevo compiuto da poco nove anni e uno dei politici più apprezzati se ne andava precocemente. Ho dei vaghi ricordi, quelli appunto di un bambino, ma comunque ne ho, in primo luogo perché si trattò di un momento di grande emotività per il nostro Paese e poi per il fatto che mio padre Duilio, lavorando già da quindici anni al quotidiano del Partito comunista - l'Unità - , aveva vissuto quei drammatici momenti “in diretta”.
Enrico Berlinguer era molto apprezzato da tutti, a prescindere dal credo politico, ed era considerato un uomo leale, onesto, integro, sobrio, per bene. La sua memoria è ancora viva nei discorsi di politici sia di sinistra che di destra. A differenza di Gramsci e Togliatti, Berlinguer ha avuto un certo spazio nel cinema e nella letteratura, anche se nessun attore lo ha mai interpretato “fisicamente” in una ricostruzione cinematografica, eccezion fatta per la docu-fiction Storia di Nilde, di cui ho parlato nel capitolo precedente e in cui la sua figura, affidata a Vincenzo Amato, appare per 180 secondi, dal minuto 55.55 al minuto 57.25, nella scena in cui discute con la Iotti-Foglietta del testamento lasciato da Togliatti attraverso Il Memoriale di Yalta. Nel 2014 Walter Veltroni, che è stato direttore de - l'Unità - , segretario del PD, vicepresidente del Consiglio, ministro dei Beni Culturali e sindaco di Roma, ha realizzato, nella sua prima volta da regista, un docu-film dal titolo Quando c'era Berlinguer, un lavoro a testimonianza della forte influenza di un uomo politico in tutto il contesto sociale italiano. Una produzione che ha vinto un Nastro d'argento, oltre a essere stata candidata ai David di Donatello. Nella pellicola emerge la scelta del regista di una strategia narrativa che punta sulla poeticità delle parole. La sua voce fuori campo racconta con grande intensità, in alcuni tratti, come la propria crescita politica si sia intrecciata con quella di Berlinguer, il tutto con l'ausilio di filmati di repertorio, in cui si individua un giovanissimo Veltroni che, nei comizi di piazza, ascolta l'allora leader del partito. L'intento dell'autore è quello di portare a conoscenza delle nuove generazioni la vita di un politico che credeva realmente in quello che diceva, un modo per trasmettere ideali sinceri e spronare i giovani a lottare per una democrazia compiuta. L'incipit è concentrato su delle interviste a gente comune dove la domanda unica e semplice è - Chi era Berlinguer? - . Le risposte, in alcuni casi anche grottesche, lasciano a volte perplessi, ma portano a riflettere sulla scarsa conoscenza degli eventi non necessariamente da attribuire colpevolmente al singolo individuo. Infatti, una ragazza denuncia a suo modo che le responsabilità sono da imputare al sistema scolastico, e forse in parte è vero. Come possiamo pretendere di trasferire di generazione in generazione l'idea di una politica limpida se non ne espandiamo costantemente la diffusione? La memoria è importante sempre e deve essere alimentata.
Seguono le immagini, volutamente in bianco e nero, di piazza San Giovanni in Roma, scenario di innumerevoli manifestazioni oceaniche della sinistra, con prime pagine de - l'Unità - ostentate con commozione, in particolare l'edizione straordinaria, una delle numerose di quel giugno del 1984, uscita per l'ultimo saluto al politico con una parola stampata in rosso a caratteri cubitali, - Addio - . Suggestiva la musica di Danilo Rea che accompagna la scena, particolarmente struggente, con una overhead view, quella inquadratura dall'alto che mostra prima la maestosità della piazza vuota per sfumare poi nella stessa il giorno del grande commiato a Berlinguer, tanto da rendere inevitabile il collegamento con gli storici funerali di Togliatti. Mi sono chiesto in quale di queste due tragiche occasioni ci fosse più commozione, più trasporto popolare. Difficile dare una risposta se si mettono a confronto, a distanza di venti anni, due generazioni, due momenti storici diversi, due politici così dissimili. Probabilmente, il ricordo, di quei momenti vissuti durante la mia infanzia, mi induce a pensare che con Berlinguer c'è stato quel qualcosa in più.
Nelle immagini successive, relative a un documento d'archivio, un giornalista chiede a Berlinguer del suo famoso “compromesso storico” facendo l'esempio culinario di come non sia mai possibile mettere nella stessa pentola pasta e riso, quindi Partito comunista e Democrazia cristiana. Nella sua risposta, soave e ragionata, Berlinguer sottolinea come la collaborazione tra i due partiti fosse, dal suo punto di vista, decisamente necessaria. Una cooperazione che avrebbe interrotto la cosiddetta “conventio ad excludendum” del secondo partito italiano dal governo. Un modo chiaro per mettere al riparo la tanto agognata democrazia italiana, finalmente conquistata grazie alla caduta del fascismo, da nuovi pericoli involutivi autoritari unitamente alla strategia della tensione che insanguinava il Paese dalla fine degli anni Sessanta. C'è da dire che Berlinguer si ritrovò a guidare un partito che era rimasto spiazzato dal movimento sessantottino che fermentava in mezza Europa, un partito abituato da sempre alla cultura dei doveri individuali più che dei diritti, che pure sentiva vivissimi, ma soltanto come diritti del partito e della classe operaia, non già dei singoli individui.
Sempre nella medesima intervista, il leader politico sottolinea come fossero fortemente cambiati i tempi dall'era Togliatti, soprattutto relativamente a una presunta dipendenza dai comunisti dell'Unione Sovietica, da cui Berlinguer si dichiarò svincolato. La politica del “compromesso storico” non fu particolarmente apprezzata dai socialisti guidati allora da Bettino Craxi, che vedevano, in questo disegno, prima di tutto un chiaro tentativo di marginalizzazione del loro partito e poi il naufragio di una possibile alternativa di sinistra che, in base alle loro aspettative, potesse sì condurre i comunisti al governo, ma in maniera subalterna, sotto la guida del PSI. La Storia poi ci rivelerà tutt'altro scenario, impensabile in quel momento.
La strategia del “compromesso storico” e la ricerca dell'incontro fra le grandi componenti popolari della società italiana rappresentarono, in questo senso, il cuore della vicenda politica di Berlinguer, il momento in cui spese le sue migliori energie. Berlinguer era consapevole delle difficoltà che si sarebbero incontrate, fin da quando nel 1973 scrisse alcuni famosi articoli su - Rinascita - dopo gli eventi del Cile, che segnarono di fatto l'avvio di quella proposta, di quella stagione.
Veltroni ci mostra anche un Berlinguer sorridente, contrariamente da come appariva abitualmente, tanto che era convinzione comune apostrofarlo come una persona triste, nel senso che non accennava quasi mai a un sorriso, ma in un'intervista di repertorio di Giovanni Minoli è proprio lui che dichiara di non condividere questa opinione generalizzata lasciandosi andare a una gradevole risata. Quel sorriso che io stesso ho scelto di inserire nel primo capitolo con una sua bellissima foto a sostegno e per rispetto di queste sue parole. È evidente la scelta di Veltroni di una focalizzazione multipla attraverso i pareri e le descrizioni di chi lo ha vissuto privatamente, in famiglia, da collega, da semplice spettatore: la commozione del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano; del capo della sua scorta Alberto Menichelli; l'ammirazione di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti; l'intimità nelle parole della figlia Bianca.
Il noto attore napoletano Toni Servillo viene arruolato dal regista per regalare, attraverso la sua sola voce, una fedele interpretazione del politico nella lettura di alcuni suoi pensieri emblematici, in quella ricostruzione cinematografica che va ad intersecarsi ai video dell'epoca. Successivamente, viene messo in evidenza il presunto attentato del 1973 a Sofia – di cui ho accennato nella biografia –, a seguito di uno strano incidente avvenuto mentre il politico viaggiava in direzione dell'aeroporto della città bulgara. Berlinguer rientrava prima del previsto in Italia dopo un aspro confronto col presidente Zivkov, una sorta di dittatore dell'Est europeo, che lo irritò al punto da fargli abbandonare il tavolo. Secondo la ricostruzione, lo scontro fu causato da un camion che sbucò all'improvviso. Berlinguer rimase fortunatamente solo ferito. Ancora oggi si avanza l'ipotesi che non ci fu nulla di casuale, ma piuttosto di voluto dai servizi segreti bulgari, presumibilmente con l'approvazione di quelli sovietici, che avversavano l'eccessiva autonomia dei comunisti italiani.
Ancora in un contributo d'archivio, un Berlinguer euforico esprime tutta la sua convinta adesione all'eurocomunismo, il progetto politico-ideologico di un marxismo intermedio tra leninismo e socialismo democratico, quindi un comunismo sviluppato in senso riformista e pur sempre democratico che ebbe come principali sostenitori il Partito comunista italiano, appunto, il Partito comunista francese, il Partito comunista spagnolo e il Partito comunista inglese; contrario invece il PCUS il quale pretendeva che tutti i partiti comunisti filo-sovietici gli riconoscessero una certa supremazia nell'elaborazione delle linee politiche. Seguono le interviste a Richard Gardner, ambasciatore USA in Italia dal 1976 al 1980, e a Michail Gorbaciov, ex segretario generale del PCUS, che sottolineano alcuni aspetti contrastanti sulla considerazione che avevano gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica del nostro politico. Secondo gli americani, l'aver elogiato i Soviet e la Rivoluzione d'ottobre del 1917, l'aver sostenuto l'URSS come Paese cardine per la pace e l'adesione dell'Italia alla NATO, nonostante il PCI avesse fatto in realtà di tutto per indebolirla, ne mettevano in risalto le sue contraddizioni politiche. Secondo i russi, invece, la convinzione era quella di una linea sbagliata da parte di Berlinguer, una posizione errata dal punto di vista teorico, politico, ideologico. Con l'avvento di Gorbaciov cambierà questa visione russa, infatti, egli condividerà, con il nuovo leader del Cremlino, l'idea della crisi sovietica, dovuta a gravi errori in campo economico, alla centralizzazione autoritaria, ai fenomeni di burocratizzazione, all'estrema rigidezza, al prevalere di un dogmatismo chiuso, all'ossificazione delle idee. Insomma, Berlinguer era troppo filosovietico per gli americani e troppo filoamericano per i sovietici. Era sicuramente un uomo coraggioso e lo dimostrò, senza indugio, nel corso del suo intervento al sessantesimo anniversario della Rivoluzione d'ottobre, a Mosca, nel novembre del 1977. Un italiano, nella patria del comunismo, che dichiarava come la democrazia fosse un valore assoluto, da ricercare, da rispettare, da cementare.
Ivano Azzellino
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Ivano Azzellino
Mi chiamo Ivano Azzellino, sono nato a Roma, dove vivo, anche se mi sento cittadino del mondo per via della mia professione di assistente di volo, ruolo che ricopro da ventisei anni e che mi porta a visitare i luoghi più svariati del globo, permettendomi altresì di conoscere concretamente le culture più varie. Ho avuto anche una discreta esperienza come speaker e autore radiofonico che mi ha portato a sviluppare una certa capacità di narrazione e allo stesso tempo quella curiosità della conoscenza e un grande desiderio di crescita della creatività. Intervistare cantanti e attori, piuttosto che conversare con un ragazzo di Buenos Aires o una ragazza di Tokyo mi ha spinto a cercare sempre più nuovi stimoli. Nella scrittura trovo sicuramente la concretizzazione dei miei pensieri più articolati che nascono quasi maggiormente la notte. Ecco, dopo una certa ora emerge un estro che mi guida nella costruzione di qualcosa che prende forma in modo consistente, travolgente, appagante e sorprendente.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Ivano Azzellino: Mi è sempre piaciuto scrivere e farlo in un modo a tratti complesso, dove, questo termine, non sta per complicato, ma piuttosto per minuzioso, dettagliato, progressista e sicuramente scorrevole. Ho iniziato scrivendo poesie e canzoni, ma sono stati poi gli studi universitari a trasmettermi la curiosità per approdare alla letteratura.

Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Ivano Azzellino: Ho letto molto e continuo a farlo, solo così sviluppano le idee, non credo ci sia un libro in particolare ad avermi indirizzato e portato a seguire questa strada, piuttosto posso dire di emozionarmi quando mi trovo davanti a un testo nato con passione e cognizione di causa. Un libro che mi ha particolarmente coinvolto è “Mille splendidi soli” di Kahled Hosseini del 2007.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Ivano Azzellino: Spinto da una mia ex docente universitaria ho proposto il mio primo libro a una casa editrice che lei considerava in linea con l'argomento trattato. Mi hanno risposto quasi subito entusiasti e la pubblicazione è avvenuta di li a poco. Non dimentichiamoci che una dose di fortuna ci vuole sempre.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Ivano Azzellino: Sono convinto che Amazon KDP sia un ottimo trampolino di lancio per chi si affaccia a questo mondo e non ha altre possibilità. Certo, come in tutte le cose ci sono vantaggi e svantaggi, ma la considero un'alternativa valida da tenere in considerazione.

Writer Officina: La scrittura ha una forte valenza terapeutica. Confermi?

Ivano Azzellino: Direi proprio di sì, almeno per me. Non siamo fatti tutti allo stesso modo. Ognuno trova in qualcosa di specifico la sua valvola di sfogo o, comunque, è soggettivo il modo con cui riusciamo ad entrare in pace con noi stessi. Nel mio caso, pensare, immaginare e poi scrivere mi aiuta a non tralasciare nulla del mondo che mi circonda e a renderlo parte essenziale del mio vissuto. Tenere la mente sempre in esercizio mi carica e rende vivo.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Ivano Azzellino: Scrivo di getto. Ogni idea viene, immediatamente, messa nero su bianco. Sono pieno di appunti ovunque. Poi, grazie al cellulare, registro alcuni pensieri o li metto tra le note. Successivamente, inizio a dare un certo ordine alle idee e piano piano il progetto prende forma fino a divenire una vera e propria creatura di cui andare fiero.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Ivano Azzellino: Mai restare fermi! Si, sto lavorando ad un mio nuovo progetto. Lo stile è sicuramente lo stesso, ma l'argomento totalmente diverso. In precedenza ho trattato di Cinema, Storia, Politica e la loro connessione, attraversando nomi illustri che hanno lasciato il segno. Ora invece, voglio dare spazio e voce alla gente comune, ma non posso dire altro, per il momento.

Writer Officina: In precedenza, come hai appena sottolineato, hai scritto di Cinema, Storia e Politica, ti sei documentato molto sui luoghi, sulle persone di cui hai parlato?

Ivano Azzellino: Mi piace fare le cose per bene, quindi è inevitabile che se decido di trattare un argomento storico mi vado a informare e studiare tutto quello che può essere utile ai fini di un progetto che risulti il più completo e fedele alla verità. Ho fatto così quando ho scritto il mio libro “Gramsci, Togliatti, Berlinguer. Tre idee per il cinema e la letteratura”. Ho frequentato biblioteche, associazioni, fondazioni dedicate ai protagonisti dell'opera, sedi di partiti. Insomma, è fondamentale non tralasciare nulla, anche se mi rendo conto che non sempre si hanno le porte aperte o la strada spianata, quindi è fondamentale munirsi di pazienza, coraggio e arrivare con le proprie forze fin dove si riesce, il risultato sarà sempre quello di aver portato ai lettori qualcosa di nuovo, autentico, fatto con passione, convinzione e professionalità.

Writer Officina: Voglio concludere l'intervista chiedendoti quali consigli daresti, basati sulla tua esperienza, a chi come te voglia intraprendere la via della scrittura?

Ivano Azzellino: Il mio consiglio vale per tutto. Quando ci si sente portati per qualcosa, che sia la scrittura, la pittura, la musica, l'importante è provarci. Non restare fermi ad aspettare che le cose accadano perché sarà quello il momento in cui non succederà proprio nulla. Darsi da fare è l'unica soluzione plausibile, perciò mettere a frutto la propria creatività immediatamente, iniziare a prendere appunti e buttare giù qualcosa che poi con il tempo si andrà a modificare, correggere, migliorare. Bisogna esercitarsi, scrivere tutto ciò che passa per la mente e cercare di metterlo su carta nel modo più accattivante possibile. Rileggerlo più volte perché questo aiuta a trovare nuovi appigli per ampliare e rendere ancora più coinvolgente il testo. Leggere molto, libri, quotidiani, siti web, non tralasciando i social che ci permettono di avere una visione più ampia e soprattutto di conoscere quel linguaggio adottato dalle nuove generazioni. Infine, prendere esempio da chi è avanti, ascoltare la voce dell'esperienza, cercare di assistere ad eventi dedicati alla scrittura, partecipare a incontri, lezioni e a tutto quanto possa essere di aiuto per migliorare, perché non si deve smettere mai di farlo anche quando crediamo di essere pienamente competenti.
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