Writer Officina
Autore: Margherita Giacovelli
Titolo: Non è colpa tua (ma forse sì)
Genere Commedia Romantica
Lettori 278 101 1
Non è colpa tua (ma forse sì)
Mi chiamo Penelope, ma solo mia madre continua a chiamarmi così. Gli altri, compreso il mio medico di base e il corriere di Amazon, mi conoscono come Penny. Vivo a New York da tre anni, ma mi sento come una comparsa in una serie Netflix a cui hanno tagliato tutte le scene.
La Grande Mela. Le opportunità. I sogni. Le aspettative.
Spoiler: non sto vivendo nessuna di queste cose. Al massimo ho sviluppato una dipendenza da caffè filtrato e una certa familiarità con il concetto di pasto alla salsa welfare, ovvero sfruttare i rari buoni pasto che la mia azienda offre come benefit.
La verità su di me? A Chicago ci ho provato, in fondo, sono nata lì. E sono stata capace di fallire su tutti i fronti, sempre con discreta eleganza.
Mi ero iscritta a un corso di laurea che sembrava pensato da una gita scolastica in crisi identitaria: sociologia con un tocco di comunicazione, ma anche un pizzico di semiotica, storytelling, pubblicità etica e teoria del meme. Ancora oggi mi chiedo cosa diavolo mi sia venuto in mente. Ho avuto la possibilità di scegliere qualsiasi corso extra programma, ed è bellissimo finché non ti rendi conto che sai un po' di tutto ma non abbastanza di niente.
Ho passato anni tra tirocini non pagati, lavori al bar, cappuccini decorati per clienti che non lasciavano mance e gelati serviti con un sorriso forzato, nella speranza che Luke, la mia eterna crush accademica, si accorgesse che anche io potevo essere una di quelle fighe col lavoro vero.
(Risultato? Non ha funzionato. Mi ha notata solo quando gli faceva comodo. E mi ha lasciata quando finalmente stavo per fare qualcosa di buono per me.)
Dopo la fine della storia con lui, una cosa lunga, sbilenca e troppo complicata da raccontare senza un bicchiere di vino e una playlist drammatica in sottofondo, ho guardato la mia vita e ho pensato: basta.
Avevo trent'anni. Un CV fatto di entusiasmo sottopagato e un'ansia che faceva i turni con me. Così, ho fatto la cosa più audace della mia vita: ho chiesto aiuto a mia madre.
La mia è una mamma single, ma non perché mio padre sia sparito. Lui c'è. Solo che ha sempre creduto che il football liceale fosse più importante di tutto il resto. Inclusa la famiglia. Mia madre, invece, è una donna pratica: ama le minestre calde, i film con Julia Roberts e la frase se vuoi qualcosa, alzati e vai a prendertelo. Mi ha dato i soldi per partire e un bacio un po' lungo sulla fronte. "Vai a cercare te stessa. E cerca anche un lavoro vero, se riesci."
New York è arrivata così.
Ho trovato casa con Maria, una coinquilina italo-zen che fa yoga sul tappeto e parla con i fiori secchi come se le rispondessero. Lei dice di essere minimalista spirituale. Io dico che è una strega buona con un master in aromaterapia e giudizio silenzioso.
E poi ho iniziato a scrivere.
All'inizio erano lavoretti, articoli clickbait per riviste digitali del tipo 10 segnali che sei tu il problema (e forse anche la soluzione). Poi, piano piano, è arrivata una collaborazione quasi fissa con un'agenzia di comunicazione. Scrivo tutto: pubblicità, editoriali, caption motivazionali con font eleganti. Una specie di ghostwriter del branding emozionale. Ma hey, mi pagano. E riesco a vivere, quasi, senza chiedere altri soldi a mia madre.
Il lavoro non manca. La stabilità quasi c'è. Ma non so... forse sento che manca ancora qualcosa.
Tipo una risposta. O un motivo.
O qualcuno che mi guardi come Maria guarda il suo tè fermentato. Con fede incrollabile.
La stessa donna delle meditazioni che ormai mi fa da spalla emotiva, realizzata professionalmente, è anche una persona dalla sensibilità e fragilità fortissime. Mi chiesi subito come mai una direttrice del personale di una casa editrice piccola ma rinomata stesse cercando una coinquilina a tutti i costi. Poi, dopo una stretta di mano e due morsi a un biscotto di frolla alla cannella mi confessò di non aver mai vissuto da sola. Aveva lasciato il nido troppo presto per via dell'occasione lavorativa, ma non era mai stata davvero pronta a staccarsi dalla sua famiglia numerosa, quindi si è sempre spostata di appartamento in appartamento, facendo bene attenzione al fatto che ci fosse già qualcuno a viverci, per non soffrire di una sorta di sindrome di abbandono. È per questo che ogni volta che l'inquilino decideva di spiccare il volo per rendersi totalmente autonomo, lei cambiava casa. Beh, con me poteva essere tranquilla. Con quell'affitto bloccato non sarei andata proprio da nessuna parte.
Con il tempo, poi, ho imparato ad apprezzarla sempre di più. Maria è quella che si sveglia ogni mattina con una maschera alla spirulina e dice cose tipo: Ho deciso di diventare minimalista interiore, qualunque cosa voglia dire.
Lei è il mio opposto polare: precisa, organizzata, con una risposta zen a ogni dramma. Soprattutto, è la mia ancora di salvezza in questa città caotica.
Abbiamo anche un gatto, Brian, adottato da Maria dopo che si è presentato alla finestra un giorno di pioggia con l'aria da sopravvissuto alla guerra del Vietnam. È un randagio sofisticato: mangia solo crocchette vegane e dorme sopra il mio zaino del lavoro. Peccato che io sia allergica. Ma chi sono io per discutere con un gatto e una Dea minimalista?
Sono stata fortunata, perché quella che poi è diventata la mia migliore amica è entrata nella mia vita due giorni dopo il mio arrivo a New York, quando ancora pensavo che trovare casa sarebbe stato facile come in una serie Netflix con budget medio. Avevo appena finito di piangere su un toast all'avocado quando ho postato un annuncio disperato su un gruppo social dal nome incoraggiante tipo Donne a New York – Aiuto, vi prego.
Lei ha risposto con una gif di un gatto che medita e la frase:
"Credo che l'universo voglia che dividiamo un bagno."
Me l'ha fatto lei quello che ora si chiama house tour per i miei lettori. Si è presentata all'appuntamento, uno zaino di tela con scritto align your energy e un'agenda piena di simboli astrologici. Ha guardato il mio trolley sgonfio, i miei capelli stanchi e ha detto:
"Sei un Gemelli, vero?"
"Lo dici dai miei occhi pieni di paura o dalla mia aura confusa?"
"Dal fatto che indossi una sciarpa a luglio. I Gemelli fanno queste cose."
Così è iniziato tutto.
Maria è italoamericana, ma dice che in una vita precedente ha vissuto in India con una comunità di artisti vegani. Parla con le piante, medita con Spotify e sostiene che il karma abbia un senso dell'umorismo che andrebbe studiato in terapia.
Il primo giorno, mentre io cercavo di non piangere davanti a un piatto di cous cous scotto, mi ha guardata e ha chiesto:
"Allora, chi ti ha spezzato il cuore e quanto sei vicina a ricominciare a respirare?"
"Si chiama Luke. Mi ha convinta a restare a Chicago. Ho rifiutato uno stage pazzesco per lui. Poi mi ha lasciata per una modella con un master in economia ambientale. Credo abbia anche un cane con l'ansia da separazione."
Maria ha preso un sorso dalla sua tazza, un infuso di radice di qualcosa, probabilmente, e ha detto:
"Quindi sei qui per fuggire o per guarire?"
"Perché non entrambe?"
"Benvenuta. Siamo un'ottima città per fuggire e una pessima per guarire. Ma possiamo provarci."
Poi ha acceso un incenso e mi ha dato un cuscino.
"Questo è Brian. Dorme ovunque. Anche sulle tue paure, se glielo chiedi gentilmente."
"È allergico alle emozioni?"
"No. Tu sei allergica ai gatti, ma le allergie vanno superate. Come gli ex tossici."
Così, senza troppi fronzoli, Maria è diventata la mia guida spirituale con il wi-fi.
La mia amica, coinquilina e, almeno una volta a settimana, terapeuta non autorizzata.
"Ma dimmi, Penny: sei venuta a New York per diventare una persona nuova o per rimettere insieme quella vecchia?"
"Entrambe, di nuovo."
"Perfetto. Allora iniziamo con una cosa semplice. Scegli una candela: lavanda rilassante o legno di sandalo rinascita?"
"Ce l'hai anche al gusto vendetta?"
"Sempre finita. Ma possiamo mescolare qualcosa."
Ecco com'è iniziata la mia seconda vita: con una candela, un incenso e un gatto giudicante.
Margherita Giacovelli
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Margherita Giacovelli
Mi chiamo Margherita, sono pugliese d'origine ma da anni vivo in Romagna. Non sono in ritardo: sono creativa. Ho la testa che lavora 24 ore su 24, sempre impegnata a osservare il mondo, trovare storie, immaginare dialoghi che nessuno ha detto ma che avrebbero potuto cambiare le cose. Nella vita di tutti i giorni lavoro come impiegata, ma per anni ho lavorato nel digitale, e ancora oggi una parte importante del mio tempo è dedicata alla cura del mio blog e alla scrittura. Amo l'idea che anche una scena apparentemente normale, come una fila, una pausa pranzo, una serata no, possa trasformarsi in un racconto. Credo nel potere delle parole di sbloccare ciò che resta in sospeso, soprattutto nei silenzi. Mi piace dare voce alle figure femminili forti, anche quando non sanno di esserlo, e lasciare sempre, in ogni storia, una morale positiva, anche piccola, anche nascosta. Scrivere per me è restituire al mondo tutto quello che sento e che vivo, con ironia, con empatia, con un po' di coraggio.

Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?

Margherita Giacovelli: In realtà, la passione per la letteratura è qualcosa che mi accompagna da sempre. Sono stata una bambina precoce, curiosa al limite dell'invasivo, e ho iniziato a leggere e scrivere molto prima che mi venisse chiesto. Non mi limitavo ai libri illustrati: a un certo punto ho rubato dalla libreria di casa “Psicopatologia della vita quotidiana” di Freud. I miei genitori, inizialmente orgogliosi del mio entusiasmo, sono rimasti un po' perplessi quando ho detto che da grande avrei voluto “fare quello”. Non la psicoterapeuta, ma la scrittrice. È strano che un libro così impegnativo sia stato la mia scintilla, eppure è andata così.
Ho sempre avuto una mente narrativa, e quando non potevo scrivere, inventavo le storie a voce, sul momento, come un teatrino immaginario continuo. La verità è che lo sapevo già da allora, anche se ci ho messo anni per trovare il coraggio di espormi e di pubblicare qualcosa. Sono sempre stata una sognatrice, ma oggi provo a essere anche una che realizza, che condivide, che rischia. Per me scrivere è da sempre un atto naturale, come respirare o ascoltare chi non riesce a parlare.

Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?

Margherita Giacovelli: Ne ho letti e ne continuo a leggere tantissimi, quindi dirne solo uno è difficile. Ma se devo scegliere un libro che mi ha lasciato addosso la voglia concreta di scrivere, allora dico I love shopping di Sophie Kinsella.
È stato come aprire una finestra nella mia testa.
Ricordo perfettamente il pensiero che ho avuto mentre lo leggevo: “Ehi, ma lei scrive con la mia stessa ironia! L'ironia piace davvero!”.
Fino a quel momento avevo creduto che scrivere in modo semplice, diretto, quasi come se stessi parlando con la mia migliore amica, fosse qualcosa di cui vergognarsi. Pensavo che la scrittura dovesse essere complicata, ricercata, sempre in posa. Invece ho capito che scrivere con naturalezza, senza filtri, con quella voce vera che ci portiamo dentro, è un genere. Esiste. E può emozionare, far ridere, far pensare.
Quel libro mi ha dato il coraggio di aprire il pc e cominciare a scrivere le prime cose. Senza più la paura di sembrare “troppo pop” o “troppo leggera”. E in fondo è così che si comincia davvero: quando smetti di chiederti se stai facendo letteratura, e inizi semplicemente a dire la verità, nel tuo tono.

Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?

Margherita Giacovelli: Se devo essere onesta, Non è colpa tua (ma forse sì) non è il mio primo libro. Ho già pubblicato altri due romanzi sotto pseudonimo: uno è un romanzo di formazione, l'altro una raccolta di racconti rosa. E al momento ho un nuovo romanzo, sempre rosa, in uscita con un editore. Quindi sì, conosco il percorso “classico” della pubblicazione, le sue attese, le sue dinamiche, le risposte che non arrivano mai e quelle che ti sorprendono.
Ma per questa nuova opera ho deciso di muovermi diversamente.
Questo libro è mio, nel senso più personale e profondo del termine. È una parte del mio carattere messa su carta, teatrale, ironizzata, esagerata fino al grottesco in certi punti, ma anche reale, vissuta, condivisa con molte donne. È un racconto che nasce da una voce vera, e sentivo il bisogno di portarlo fuori nel modo più diretto possibile.
Per questo ho scelto il self-publishing: volevo curare ogni dettaglio da sola, scrittura, copertina, strategia promozionale, perché sentivo che solo così sarebbe stato pienamente mio. È una sfida, certo. Ma anche una libertà. E credo che chi scrive, a volte, abbia bisogno proprio di questo: la libertà di mettersi in gioco senza filtri.

Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?

Margherita Giacovelli: Con tutta la trasparenza del mondo: sì... e no.
Sì, perché pubblicare su Amazon KDP può essere una grande opportunità se sei affamato, se non vuoi attendere mesi per una risposta editoriale che forse non arriverà mai, se desideri mostrare subito la tua opera al mondo e lanciarla in un mercato globale, accessibile e reattivo.
No, se pensi che basti caricare il file e il gioco sia fatto.
Il self-publishing richiede molto: non solo un minimo di investimento economico, ma soprattutto un grande investimento personale, emotivo e strategico. Serve tempo, costanza, conoscenza dei meccanismi digitali. Funziona benissimo per chi ha già una fanbase attiva o una certa presenza online. Se parti da zero, devi essere disposto a lavorare: creare una community, essere presente nei gruppi di lettura, raccontarti sui social, promuovere il libro con contenuti mirati, gestire rubriche, collaborazioni, interviste, e a volte anche campagne pubblicitarie.
Insomma: tutto ciò che un editore farebbe al posto tuo, qui lo fai tu.
Ma la soddisfazione, quando arrivano le prime recensioni spontanee, i commenti di chi si è riconosciuto nella tua voce, le condivisioni di lettrici che citano una tua frase come fosse loro, quella è incredibile. E vale ogni ora investita.

Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?

Margherita Giacovelli: Premettendo che sono affezionatissima a Non è colpa tua (ma forse sì), perché rappresenta una parte profonda del mio carattere, e perché è il primo libro che ho deciso di curare completamente da sola, dalla scrittura alla pubblicazione – se devo scegliere quello a cui sono più legata emotivamente, allora dico Rewind – The Web Coffee.
È stato il mio primo vero romanzo, pubblicato sotto pseudonimo, e ho con lui un rapporto di amore e odio. È imperfetto, tanto, ma in quelle imperfezioni ci sono tutte le mie prime volte: i dubbi, l'entusiasmo, la paura.
Racconta la nascita di una redazione online tra amicizie, intrecci amorosi, fallimenti e colpi di scena. Ma in realtà, è ispirato alla vera nascita della redazione che gestisco da oltre dieci anni. Alcuni episodi sono inventati, e per fortuna, ma l'energia di quel progetto è vera, reale.
Purtroppo è uscito tramite editore proprio il giorno prima del primo lockdown, e non ha mai avuto la risonanza che forse avrebbe meritato. Forse un giorno lo riediterò. O forse resterà così, con le sue sbavature e le sue ingenuità. Ma resterà sempre nel mio cuore come si ricorda il primo amore: con affetto, con indulgenza, e con un pizzico di tenerezza.

Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?

Margherita Giacovelli: Appunti? No, io scrivo di getto. Di cuore. Di istinto.
Quando inizio un nuovo romanzo non ho uno schema, non faccio scalette: inizio a scrivere perché sento l'urgenza di farlo. A volte faccio addirittura fatica a rileggere subito quello che ho scritto, perché mi sembra talmente personale, talmente “mio”, che ho bisogno di prendere le distanze prima di tornarci sopra.
Poi, ovviamente, arriva il momento della revisione. E lì sì, divento meticolosa: cerco l'arco narrativo, la coerenza tra le scene, la fluidità emotiva del testo. Ma il primo getto è sempre puro, istintivo, come un flusso di coscienza che segue il ritmo della storia.
Faccio anche una cosa un po' particolare: immagino le scene come se fossero episodi di una serie TV. Penso ai personaggi come attori veri, ai dialoghi come battute da recitare, e questo mi porta a scrivere molto in forma di sketch, con botta e risposta secchi, realistici, a volte anche surreali. Ma è voluto. È il mio modo di far vivere la storia nella testa di chi legge, come se la stesse guardando su uno schermo.
È un approccio istintivo, certo. Ma è anche quello che, finora, mi ha fatto sentire davvero viva mentre scrivo.

Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?

Margherita Giacovelli: In questo periodo, in realtà, sto seguendo più di un progetto. Come dicevo, c'è un nuovo romanzo rosa in uscita con un editore, e per adesso il mio desiderio è quello di dedicarmi completamente a lui e a Non è colpa tua (ma forse sì), che è il mio progetto del cuore in self-publishing.
Detto ciò... c'è anche un altro “figlio” in sospeso: il seguito di Rewind – The Web Coffee. Ne ho scritto un centinaio di pagine, ma ogni volta che lo riprendo in mano, finisco per cancellarne la metà. E questo mi ha portata a una riflessione: forse alcuni libri devono rimanere autoconclusivi. Senza sequel, senza forzature, lasciati così come sono, imperfetti e veri.
Tuttavia, non escludo sorprese. Sto valutando l'uscita di una nuova protagonista, frizzantissima e decisamente sopra le righe. Una voce tutta nuova che mi ronza in testa da un po', e che potrebbe trasformarsi in romanzo giusto in tempo per spuntare tra i regali sotto l'albero di Natale. Vedremo. Come sempre, scrivo quando qualcosa dentro di me mi costringe a farlo.
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