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La musica e il silenzio. Storia di un sogno
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Estate.
Se qualcuno un giorno le avesse chiesto come tutto fosse iniziato, avrebbe risposto: «Con un raggio di sole.» Era stato proprio quello, infatti, a colpire all'improvviso le sue palpebre chiuse e a svegliarla. Caroline aprì gli occhi e li sbatté alcune volte prima di prendere pienamente coscienza. Osservò la limpida luce che filtrava dalle finestre attraverso le tende mosse dalla lieve brezza mattutina e provò un improvviso moto di gioia constatando che, dopo tante noiose giornate di pioggia, il sole era finalmente riuscito a farsi strada tra le nuvole. Si girò pigramente a guardare il letto nel quale dormiva ancora, profondamente e con la bocca aperta, sua sorella Julie. Caroline rise dentro di sé al pensiero che stesse russando. All'improvviso ebbe voglia di svegliarla per mostrarle quella luce chiara, ma poi decise di lasciarla ancora ai suoi sogni che, dall'espressione che aveva dipinta sul volto, dovevano essere pacifici e sereni. La osservò con tenerezza per un momento, fino a quando decise di alzarsi. Si scoprì lentamente, nel tentativo di non fare rumore, e si mise seduta sul bordo del letto. Cercò con lo sguardo le sue leggere pianelle di seta ma, come sempre, non si trovavano. Alla fine decise di farne a meno e si mise in piedi, facendo ricadere a terra il bordo guarnito di pizzo della sua lunga camicia da notte di mussola bianca. Si mosse verso la finestra, scostò le tende e sbirciò il giardino all'esterno: era proprio la luce del sole di una calda giornata estiva quella che lo illuminava, facendo brillare, nel boschetto all'estremità del prato, il verde delle foglie sugli alberi. Caroline sorrise e decise: quella, per lei, sarebbe stata una bella giornata. Una giornata importante. Il suo era un desiderio o un presentimento? Scelse la seconda opzione, cosa che rendeva questo auspicio ancora più probabile. Aprì piano la porta della camera e se la richiuse delicatamente alle spalle. Nella casa deserta scese le scale con lentezza, un gradino alla volta, senza saltare come faceva di solito. Andò nella grande cucina nella quale Betty, la domestica, non aveva ancora aperto la porta che dava sul cortile e sull'orto per spargere il becchime per le galline ma dove Bella, una piccola e graziosa cagnolina chiara dalle macchie fulve, la accolse scodinzolando. Seguita da Bella, Caroline passò nella sala da pranzo, immersa nella penombra, superò il piccolo atrio di ingresso il cui portone era ancora sbarrato ed entrò nel salotto. Il suo sguardo scivolò sul “patriarca”, il vecchio pianoforte accostato a una delle pareti di fianco a una finestra. Si trattava di uno strumento che il marchese Jacques de B., suo padre, aveva suonato fin da ragazzo e che, per un assurdo gioco del destino, quando anni prima si era rifugiato in Inghilterra insieme alla moglie e alla giovanissima Caroline per sfuggire alle sommosse che in Francia già annunciavano la Rivoluzione, era ben presto diventato un prezioso mezzo di sostentamento. Alcune parentele inglesi del marchese de B. per ascendenza paterna e il modo in cui il trasferimento era stato organizzato avevano fatto sì che, nel primo momento di quell'esilio, la piccola famiglia di profughi si fosse trovata in una condizione economica migliore rispetto a quella di altri nobili emigrati dalla Francia successivamente allo scoppio della Rivoluzione. Ma poco dopo, quando le cospicue rendite delle terre e dei domini della casata non erano più arrivate da oltre Manica a causa dei disordini, anche il marchese de B. si era ritrovato, come molti suoi già facoltosi compatrioti, nella necessità di dover lavorare per provvedere alla propria famiglia e a quella di sua sorella Jeanne, che lo aveva raggiunto. Per ricavare del denaro aveva venduto la dimora di campagna ereditata dai suoi avi in Inghilterra nella quale si era inizialmente trasferito acquistando, poco lontano, un'abitazione più piccola e modesta. Nonostante le ridotte dimensioni, quella casa dall'atmosfera intima e raccolta lo aveva subito incantato, convincendolo del fatto che avrebbe potuto viverci in pace e armonia con la sua adorata moglie, la figlia Caroline e le altre due bambine, gemelle, nel frattempo venute al mondo. Nel semplice edificio dall'aspetto delizioso che sorgeva in mezzo a un prato circondato da un bosco dove avevano trovato rifugio alcuni vasi con pregiate piante di camelia, specie botanica da tempo prediletta dai marchesi de B., con le stanze piene di luce disposte armoniosamente su due piani e le pareti esterne ricoperte da vivaci rampicanti, nel corso delle settimane, dei mesi e degli anni, la famiglia si era ulteriormente accresciuta. Qui Jacques de B., esperto e virtuoso musicista dilettante, aveva iniziato a proporsi per dare lezioni di musica: pianoforte e canto. Mai, nel corso della sua precedente vita in Francia, aveva pensato che la musica, la sua grande passione, sarebbe diventata il lavoro che gli avrebbe consentito di mantenere i propri figli! Nel bel mondo nel quale aveva sempre vissuto, il suo talento musicale era stato conosciuto e apprezzato. Non aveva pertanto avuto problemi nel promuovere la sua attività in Inghilterra. Nella stagione estiva e autunnale, pigre e leziose signorine e viziati rampolli provenienti dalle vicine dimore di campagna avevano così cominciato a frequentare la sua casa e, in particolare, proprio quel piccolo salotto adiacente al suo studiolo dove era installato il vecchio “patriarca”. Ogni tanto il marchese de B. si era imbattuto in discepoli di talento, cosa che gli aveva procurato una certa soddisfazione. Nel tempo la sua “fama” si era talmente accresciuta da renderlo un insegnante molto richiesto, molto alla moda, al punto che, da qualche anno, si era potuto concedere il lusso di selezionare gli allievi più promettenti. Caroline sfiorò lentamente il coperchio del vecchio pianoforte e si diresse verso la porta socchiusa dello studiolo di suo padre. Come immaginava, sapendo che lui trascorreva spesso notti tormentate e quasi insonni, lo trovò lì, intento a scrivere una lettera. Sentendo la porta aprirsi, Jacques alzò lo sguardo, vide la figlia e subito le sorrise. Con una mano la invitò a entrare e le fece cenno di sedersi nella severa poltroncina blu che si trovava di fronte allo scrittoio, tornando subito alla sua occupazione. Caroline si adagiò sui cuscini, si stiracchiò, arrotolò su un indice una ciocca dei lunghi capelli biondi che le ricadevano in ampie onde sulla schiena, poggiò i piedi nudi sul bordo della poltroncina muovendo le dita delicate sotto l'orlo della camicia e, con il mento appoggiato alle ginocchia, rimase a guardare le parole che prendevano rapidamente forma sul foglio nella minuta calligrafia paterna. Facendo risalire lo sguardo esaminò Jacques con attenzione e, come sempre, pensò che nonostante avesse quasi sessant'anni e quella mattina non si fosse ancora rasato e pettinato, fosse uno degli uomini più belli che avesse mai incontrato. Indugiò con piacere sui particolari: sui suoi capelli biondi e arruffati, ancora folti, tra i quali le ciocche bianche si intravedevano appena; sugli occhi chiari, ombreggiati da ciglia scure, un poco stanchi dietro gli occhialini che ormai indossava sempre per leggere e per scrivere; sul naso piuttosto importante e sul disegno perfetto delle labbra; sulle mani forti ed eleganti; sul fisico prestante. Caroline ridacchiò tra sé osservando che, sebbene quasi del tutto vestito, fosse ancora scalzo. Quella di camminare per le stanze senza scarpe e senza calze era una “deplorevole abitudine”, come la definiva sempre la mamma, che padre e figlia condividevano. Jacques finì rapidamente di scrivere la sua lettera, si tolse dal naso gli occhialini e ricambiò lo sguardo affettuoso della figlia. «Buongiorno Tesoro! Mi fa piacere vedervi qui! Vi siete alzata presto, questa mattina.» Lei gli sorrise e annuì. «Avete delle cose particolari da fare? Siete in attesa di qualche novità?» Caroline scosse la testa. «No, niente di tutto questo», sussurrò. «Ma oggi, per me sarà una giornata importante.» Jacques la guardò con interesse. Attese che lei si spiegasse ma, dato che rimaneva silenziosa, la incalzò con un tono affettuoso. «Allora? Raccontatemi! Ditemi! Sapete che sono interessato a tutto ciò che vi riguarda.» «Non so bene, papà. Però sento che oggi succederà qualche cosa di bello...» «Voglio sperare che sarà veramente così, mia cara, e che questa, per voi, possa essere una meravigliosa giornata.» Lei assentì. «E voi, che farete, papà? Avrete un po' di tempo per studiare con me?» «Mi piacerebbe, Tesoro, ma oggi non posso promettervelo. Attendo un nuovo allievo, il figlio del conte di L., che mi è stato descritto come particolarmente talentuoso. Pare che dopo molti anni di assenza da questi luoghi abbia deciso di venire a trascorrere un periodo in una tenuta della sua famiglia che si trova poco lontano da qui, proprio per studiare con me. Ci credete?» Jacques le lanciò uno sguardo divertito e le sorrise. «Mi perdonerete? Nel caso, se ne avrete voglia, ci rifaremo domani.» Caroline lo fissò, fece una buffa smorfia di disappunto, ma poi annuì. Jacques si riscosse all'improvviso, forse udendo la pendola del salotto che stava battendo l'ora. «Presto Tesoro! Andate a prepararvi. Tra poco vostra madre si alzerà e sapete anche voi come si arrabbia quando non siamo tutti pronti per fare colazione.» Le fece l'occhiolino, scherzoso, mentre si alzava in piedi. Si chinò su di lei posandole un leggero bacio sui capelli e, mentre Caroline si levava a sua volta dalla poltroncina nella quale era sprofondata, la spinse dolcemente fuori dalla porta. Guardandola sparire di corsa insieme a Bella, silenziosa e leggera come una farfalla bianca, Jacques sorrise. Ma non appena lei scomparve dalla sua vista, chinando lo sguardo pensieroso, sospirò profondamente scuotendo la testa. |
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Ho un carattere timido e riservato e mi riesce difficile parlare di me. Farò comunque del mio meglio per presentarmi. Il mio nome, come si può intuire, è un nome di fantasia. Ma, in fondo, nemmeno troppo. Sono una lettrice e un'autrice di romanzi, storie e racconti per vocazione, oltre che una ricercatrice, per lavoro e per passione. A parte questo, appartengo alla generazione X e rivesto al contempo il ruolo di figlia, sorella, zia, compagna di vita, amica di bipedi e quadrupedi... Mi appassionano molto la storia, l'arte, l'architettura dei giardini e la pratica del Pilates. Sebbene per necessità familiari e lavorative mi trovi a essere spesso in movimento, ogni tanto mi piace concedermi un'esplorazione di luoghi a me sconosciuti, più o meno vicini, più o meno lontani. I miei punti di forza? Dicono che siano il sorriso e la gentilezza.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Marilyn Carbell: Sono stata bambina in una casa in cui tutti leggevano. Ho iniziato a leggere per emulazione e subito mi sono appassionata. Dalle fiabe sono passata ai primi romanzi. Durante l'adolescenza e il periodo dell'università ho letto e amato moltissimo i classici.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Marilyn Carbell: Non ricordo un libro in particolare che mi abbia invogliata a scrivere storie in quanto ho cominciato molto presto, quasi per gioco. Sicuramente all'inizio mi ha influenzato molto la lettura delle fiabe e di alcuni romanzi come “Piccole donne” di Louisa May Alcott, “Jane Eyre” di Charlotte Brontë, “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen. Ma anche l'”Iliade” di Omero e le saghe fantasy più famose.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Marilyn Carbell: Il mondo dell'editoria mi ha sempre appassionato. C'è stato un periodo della mia vita in cui avevo deciso che avrei voluto aprire una casa editrice e ho anche studiato per questo. La mia vita professionale ha poi preso altre strade ma quando ho deciso di iniziare a pubblicare le mie storie ho colto al balzo l'occasione di diventare l'editrice di me stessa. Ho scelto quindi con convinzione ed entusiasmo la via dell'autopubblicazione.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Marilyn Carbell: Penso che la via dell'autopubblicazione (con Amazon KDP o con altre piattaforme) sia sicuramente un'ottima opportunità per uno scrittore emergente, ma non solo. A mio parere è anche una scelta strategicamente vincente per l'ampia distribuzione che le piattaforme di self publishing riescono generalmente a offrire. È però una strada da percorrere con consapevolezza. Qualitativamente parlando si possono ottenere ottimi risultati ma per produrre buoni libri occorre necessariamente conoscere bene ogni singola fase del processo editoriale ed essere coscienti di tutto ciò che c'è da fare, eventualmente facendosi affiancare nel percorso anche da alcune specifiche figure professionali (editor, grafici, correttori di bozze...).
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Marilyn Carbell: Per ora ho pubblicato solo due delle storie che ho scritto: “L'amica di famiglia. Storia di un amore” e “La musica e il silenzio. Storia di un sogno”. Si tratta di due romanzi indipendenti e autoconclusivi ma, tramite alcuni personaggi ricorrenti, collegati tra loro. Sono affezionata a entrambi. Hanno ambientazioni molto diverse (la Francia settecentesca prerivoluzionaria per il primo e l'Inghilterra della prima età georgiana di austeniana memoria per il secondo) ma sono tutti e due romanzi di formazione che pongono l'accento sui sentimenti e sul significato più profondo della vita.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Marilyn Carbell: Premetto che non voglio scrivere a tutti i costi ma solo quando ho qualche cosa da dire. Di conseguenza se mi metto di fronte al computer significa che ho già una storia in mente, almeno a grandi linee. Per cominciare annoto sinteticamente la trama e per aiutarmi a organizzare le idee preparo uno schema dei capitoli. Poi, sulla base di questa scaletta iniziale, procedo d'istinto... arricchisco con fantasia, lasciandomi magari anche guidare dall'indole dei miei personaggi. Dato che mi capita di riorganizzare e di riscrivere tutto ciò che non mi convince, confesso che questo schema rimane provvisorio... fino alla fine.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quelli che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Marilyn Carbell: Scrivo in continuazione quindi sì, sono già immersa in una nuova storia che mi appassiona tantissimo. È sempre di genere storico ma, a differenza delle precedenti che sono opere di fantasia, questa si ispira a un personaggio realmente esistito, una figura emblematica del Settecento, un'epoca che amo molto. Ho ultimato da poco la fase di ricerca che è stata lunga, complessa e interessante e ho definito la successione dei capitoli. Dato che il materiale che ho raccolto è molto corposo e i capitoli sono numerosi penso che probabilmente, più che un solo libro, alla fine scriverò una saga. Sono appena all'inizio della fase di stesura e prevedo che mi occorrerà parecchio tempo per venirne a capo. Ma sono fiduciosa: anche questa volta ce la farò! |
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