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Dacci oggi i nostri eroi quotidiani
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L'albero mancante. Giacinto e Antonelli non credevano ai loro occhi, c'era un enorme buco nel giardino e il sindaco non se ne capacitava. - Dico io: dove può arrivare la demenza umana! Perché farmi un dispetto del genere. È pur vero che di nemici ne ho, soprattutto dopo l'ultimo decreto della giunta che vieta agli immigrati di sostare davanti ai negozi e i locali chiedendo la carità. Molti vorrebbero che il paese si trasformasse in un covo per accattoni, ma la pacchia è finita. Ah, sì sì sì. - Venturi era nauseato dall'esuberanza pacchiana di quell'individuo insopportabile e cercò di replicare. - Ma sindaco, non abbiamo immigrati a Sant'Agata. - Il sindaco cambiò repentinamente discorso. - Insomma, chi può aver fatto una cosa del genere? - Giacinto annusò la terra, mise una mano nella buca, si guardò intorno, ma non sentì niente. Allora si accorse di uno scampolo di radice che sbucava dal terreno, la toccò e a un tratto sentì una scossa e un'energia travolgente lo attraversò. Era lui stesso radice, ora, e si trovava aggrovigliato a una rete di capillari legnosi che si nutrivano di terra e costituivano una rete di informazioni tra gli alberi del luogo e oltre. Sentiva i messaggi di tutta la fauna circostante. Erano informazioni ancestrali, ma molto chiare, archetipi di paura e dolore. Fu una rivelazione che lo portò a una conclusione logica: parlava con i mobili perché conosceva il linguaggio delle piante e i mobili erano fatti del legno di quelle stesse piante! Poi si rivolse verso Venturi e Antonelli, che lo guardavano con interesse e curiosità. - Non è stato nessuno. L'albero se n'è andato da solo. - Il sindaco strabuzzò gli occhi. - Ma cosa dice? Qui stiamo delirando signori, per favore! Capisco che questo signor antiquario l'abbia aiutata in diversi casi, maresciallo, ma non venite qui a fare i fenomeni con me. Certe buffonate non le fanno onore maresciallo e anche lei, Venturi, per cortesia, sia serio e faccia il suo lavoro, lei fa parte del corpo forestale dello stato, santo Dio, non è mica un medium. - Venturi si spazientì. - Non è più il corpo forestale, siamo carabinieri, adesso. Dovrebbe saperlo, signor sindaco. - Anche Antonelli si stava irritando. Quel tracagnotto saltellante e gracchiante gli aveva fatto saltare i nervi. - Si calmi, la prego. Il signor Giacinto sa quello che dice ed è chiaro che nessuno può sradicare un albero in pieno centro abitato, di notte, senza che anima viva senta o veda qualcosa. Evidentemente si tratta di un evento naturale. Una tromba d'aria ad esempio. Di certo non è un caso di vandalismo. Impossibile. - Il sindaco si imbronciò. - Voi non sapete di cosa sono capaci, i miei nemici. - Venturi non riuscì più a trattenersi. - Signor Cangini, lei non sa di cosa sia capace il pre giudizio. Si dia una calmata e pianti un nuovo albero così magari si rilassa guardandolo crescere. - Giacinto e Antonelli tornarono a Sarsina sconcertati entrambi per ciò che avevano visto. La camionetta dei carabinieri entrò in piazza seguita dallo sguardo incuriosito degli astanti e parcheggiò davanti alla bottega di Giacinto. - Ciao, Giacinto, grazie per la tua disponibilità. - - Figurati maresciallo. Mi spiace di non aver concluso molto, che l'albero non fosse stato divelto da qualcuno era abbastanza evidente. - - No, invece la tua conferma, per me, è stata importante. - Giacinto si sentiva sempre sorpreso del fatto che poteva essere utile alle forze dell'ordine. - Dici? - - Sì, davvero. Mi ha tranquillizzato sapere che sia stato un evento naturale a sradicare quell'albero. Niente indagini, niente colpevoli, meglio così, no? - Giacinto si rese conto che Antonelli non aveva affatto capito quello che lui intendeva dicendo che l'albero se n'era andato via da solo. C'era eccome da indagare e anche in fretta, prima che tutti gli alberi sparissero dalla zona. - Ma io non ho detto che sia stato un evento naturale Giuseppe. Dovremo parlarne con più clama. Quello che ho sentito lì non è affatto tranquillizzante. - Antonelli rimase sorpreso dalle parole di Giacinto che scese dalla camionetta e lasciò il maresciallo tra mille dubbi. - Giacinto, cosa... che vuoi dire... ehi! - Ma l'antiquario era già in bottega dove lo aspettavano Angelo e Giovanni. Antonelli si cavò il berretto, si grattò il capo e diede uno sguardo alla piazza dal finestrino. La basilica, sorniona, sembrava lo ammonisse per aver tralasciato qualche particolare che invece, Giacinto, aveva colto e stava lì, imponente, a guardia del centro del paese, sembrava davvero fosse viva e osservasse, oltre a lui, chi stesse seduto sul muretto del sagrato a chiacchierare o chi andava a zonzo solcando l'elegante lastricato. I negozietti aperti e semi vuoti, con i gestori sulla porta sconsolati e annoiati, e i bar con gli avventori che, nel tardo pomeriggio si crogiolavano nei tavolini esterni sotto un timidissimo sole in quella primavera che indugiava ancora e rimaneva abbarbicata all'inverno. Bicchieri di spritz e noccioline salate, sguardi persi dietro pensieri intimi e lontani. Ognuno nel proprio mondo, nel rifugio della mente dove si può evadere la realtà dura della vita e Antonelli serio a cercare di riflettere sulle ultime parole di Giacinto. Stava per scendere e raggiungere l'amico antiquario in bottega, per chiedergli cosa avesse voluto intendere con quella sua ultima frase, ma la ricetrasmittente gracchiò e la voce di Senni lo chiamò. C'era stato un incidente ed era richiesta, subito, la sua presenza. Sapeva che la questione dell'albero non sarebbe finita così. Stava per succedere qualcosa, perché Giacinto non parlava mai a caso. E poi c'era quell'altro grosso problema da risolvere. C'era quel maledetto orco da far fuori.
Angelo era l'uomo dei sogni. Quella notte venne svegliato, come al solito, dai poster appesi alla parete. Oliver Hardy gridava concitato: - Forza, forza, ooooh, i sogni sono già sui tetti - . Stan Laurel, di par suo, lo stuzzicava piagnucolante: - Uiiiih sbrigàti, sbrigàti o farai tardi! - . I due comici ballonzolavano nel loro poster, in bilico, sulla trave di un grattacielo in costruzione. Dalla parete di fronte al letto, i baronetti di Liverpool, se la ridevano guardando Angelo svegliarsi di soprassalto e cadere dal letto disorientato. Bob Dylan, con quel suo sguardo tagliente e profondo lo sosteneva: - Avessi avuto io il tuo potere, ragazzo mio, forse non avrei nemmeno suonato la chitarra, avrei lasciato perdere la musica - . Angelo lo guardò con un occhio mezzo chiuso e l'altro spalancato: - Allora meglio che sia andata così, non so cosa avrei fatto senza la tua musica, mister Zimmerman - . Poi si rivolse verso il poster di Tom Petty, con quel suo sorriso timido: - Vale anche per te Tom, non guardarmi così, lo sai quanto ti voglio bene e quanto mi manchi e anche tutti voi, amici dei miei giorni più belli. - Elvis sorrideva guascone, Springsteen rifletteva imbronciato, John Belushi alzava un sopracciglio dietro agli occhiali da sole. Era ora: Angelo si infilò una tuta, salì sul cornicione e si gettò nel vuoto, ma non precipitò. Si ritrovò a svolazzare sui tetti, come un'ape operaia, a raccogliere i sogni della gente per portarli sulla luna, in modo che non venissero dimenticati.
L'ALBERO Lontano da lì, ma più vicino di quanto si possa immaginare, Cidrolin contemplava un albero caduto in un prato dove cantavano margherite colorate. Il mattino a Invèl era buono, il sole accarezzava dolcemente ogni cosa e il suo calore era di un giallo vivo e tenero. Le montagne intorno al bosco sembravano risvegliarsi dal lungo inverno e si rivestivano di verde. Le stagioni erano sei e ora si era in quella della nascita alla quale sarebbe seguita la danzerina, una primavera esplosiva e rigogliosa, dove il sole ancora non brucia la terra. Sarebbe, poi, giunta la sempregiorno, un'estate dove la notte scende ogni due giorni soltanto. La situazione si sarebbe ripristinata solo all'arrivo della stagione della distrazione, quando il caldo sarebbe stato afoso e avrebbe distratto tutto il pianeta perso in un periodo di divertimenti. Dopo di che sarebbe arrivata la stagione della malinconia, quando gli alberi diventano rosso fuoco e perdono le foglie. Infine, ci sarebbe stata la stagione della saggezza, dove, mentre la natura è immersa in un lungo sonno, tutti lavorano e meditano con estrema serenità: là dove è possibile, ovviamente, perché se si fosse pensato che Invèl fosse stato un luogo da favola ci si sarebbe sbagliati, alla grande. Era un posto dove la vita non faceva sconti a nessuno, come su qualsiasi regione terrestre, dove si uccideva per sopravvivere, dove si lottava, nel bene e nel male, per non crollare, dove si custodiva l'origine della vita stessa racchiusa nelle due forze contrastanti tra loro, ma anche necessarie l'una all'altra, la Movenza e il Gigal. Era questa l'unica differenza rispetto ad altri mondi: qui il bene e il male venivano gestiti con cognizione. Erano conosciuti, studiati, valutati, soppesati. Da noi, sulla terra, era tutto lasciato al caso. Il bene e il male erano liberi di agire in maniera casuale e quando era il secondo a prendere il sopravvento, come spesso accade, non c'era verso di ridimensionarlo se non con una guerra, con la forza e la violenza. I Saresi, e in particolare, gli Invellèsi, avevano imparato a domare il Gigal attraverso la Movenza, attraverso l'equilibrio delle due forze, senza stigmatizzare il male, ma considerandolo parte integrante della vita, non sempre la cosa funzionava, ma almeno c'era una consapevolezza, la speranza di riuscire nell'intento di autodisciplinarsi, di ponderare le azioni e le reazioni e quindi non eccedere in comportamenti distruttivi. Cidrolin era davanti a quell'albero esangue. Lo aveva scovato, cercandolo per tutto il bosco, insieme a una squadra formata da ninfe e troll e aveva fatto volare sull'intera regione verde anche le meravigliose fate. Così non fu difficile individuarlo, escludendo la città obliqua, che stava ai margini del bosco, l'albero poteva essere soltanto disteso in qualche radura, tra abeti e betulle, in uno dei tanti prati costellati di fiori e insetti bizzarri e coloratissimi. - Eccoti qua. non mi pare che tu stia molto bene. - Cidrolin accarezzò il tronco dell'ippocastano che sembrava molto sofferente, la corteccia respirava a fatica e la linfa sembrava insufficiente per tenerlo in vita. - Presto, presto, bisogna subito piantarlo. - Gridò Cidrolin alla sua squadra. Ci pensarono i troll, che erano forti e robusti. Con un sistema di funi e carrucole venne issato l'albero e con enormi pale, i giganteschi e rozzi bestioni, scavarono una buca abbastanza grande per poterne inserire le radici. Sero, che era un troll atipico, perché ragionava oltre a usare la forza, si mostrò molto incuriosito rispetto a quella strana situazione. - Ma da dove viene questo albero? - Cidrolin era contento ogni volta che un troll cercava di ragionare. - Credo venga da Gaya. - - Ma com'è possibile? Non è mai accaduta una cosa del genere. - - Sì, hai ragione, è davvero strano. Prepariamoci a vederne delle belle, ragazzi. Qui sta accadendo qualcosa, ma volevo farvi una preghiera. Non parlate con gli scribani in città. Questo fatto deve rimanere dentro il bosco. Quelli meno mettono il becco qui e meglio è. - Tutti furono d'accordo e la squadra di soccorso si dileguò nella foresta. Cidrolin sapeva che non sarebbe finita lì e sapeva anche che, prima o poi, in città, la stampa sarebbe venuta a conoscenza di quello strano fenomeno. Doveva contattare Giovanni al più presto. |
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Si è sempre qualcosa di diverso, da ciò che credi di essere, agli occhi degli altri. La prima cosa che mi viene in mente di dire, parlando di me, è che sono una persona piuttosto ingenua. Anche se ho dei principi fermi che non permetto a nessuno di calpestare, ma, in sostanza, sono mite e di sicuro soggetto a sbalzi di umore estremi: dalla tristezza più disperata all'entusiasmo più fanciullesco. Amo più che altro la solitudine del mio paesello di provincia, anche se, in alcune occasioni, non disdegno certo la buona compagnia e la festa. Adoro la musica e la lettura. Leggo anche tanti fumetti, sono una mia passione sin da quando ero bambino e mi piace molto il cinema, anche se non sono proprio ferrato in materia. Mi piacerebbe anche viaggiare, ma ormai il viaggio si è trasformato in vacanza e io odio la vacanza, quel non fare niente tutto il giorno frequentando solo zone turistiche. Il viaggio dovrebbe essere un cammino e nel cammino si dovrebbero incontrare persone diverse, anche se non sempre accomodanti con noi, ma vere, che ci guadino con sospetto e poi con curiosità, fino a conoscerci e scambiarci cose. Ecco, mi piacerebbe fare un viaggio come questo, ma ci vuole tempo e noi di tempo non ne abbiamo più, purtroppo.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Massimiliano Fusai : Ti sembrerà un controsenso, ma subito dopo aver finito la scuola superiore. Da ragazzo leggevo solo fumetti e quei libri che in classe mi annoiavano a morte, da Svevo a Pavese e Pirandello, cominciai ad avere l'impulso irrefrenabile di rileggermeli tutti e non smisi più. Con questo non voglio far passare un messaggio negativo sulla scuola, anzi, se non avessi studiato, molto probabilmente, non starei qui a fare questa intervista.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Massimiliano Fusai : Non saprei, sin da bambino ho avuto questa passione di inventarmi e scrivere storie. Riempivo quaderni di racconti lunghissimi e tortuosi e i miei giocattoli erano gli attori che li interpretavano. Scrivevo sceneggiature per giochi solitari. Paradossalmente credo non sia stato un libro a darmi la spinta di scrivere, ma più il cinema e il fumetto. Poi di libri di cui mi sono innamorato ce ne sono a bizzeffe.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Massimiliano Fusai : questa domanda mi fa sorridere perché ho ricevuto proposte davvero indecenti da case editrici che nemmeno lo avevano letto il testo. Su Internet c'era una giungla di proposte da rimanerne inebriati, poi la risposta era sempre quella: - paga e ti pubblichiamo - . Io mi sono sempre rifiutato, non per presunzione, si intenda, ma perché volevo sapere se fossi stato degno di fare questo mestiere, se davvero i miei testi avessero avuto un valore artistico e potevo capirlo solo se qualcuno si fosse preso il rischio di investire sul mio lavoro credendoci. È successo con la Pluriversum edizioni di Ferrara. Sono stati loro a cercare me, mi hanno scovato su Facebook, hanno letto qualche testo scritto sul mio profilo e hanno pensato che, forse, avessi fatto al caso loro. Gli ho invitato quello che poi è diventato il mio primo romanzo: - Dove abita Dio - e con loro ho già pubblicato tre libri.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Massimiliano Fusai : Sicuramente ad - E - , perché è il primo libro di una trilogia a cui pensavo da anni. I personaggi erano nella mia mente da tanto tempo, ancor prima che cominciassi a scrivere, ed è stato fantastico dar loro vita con questo primo episodio. Si tratta di gialli surreali, ambientati nella provincia romagnola. Il secondo episodio è uscito proprio quest'estate: - La rosa, il folletto e il vecchio fucile - . Ho fatto in modo, però, che fossero libri indipendenti l'uno dagli altri, così da non costringere il lettore a leggerli tutti e tre. Non sono così presuntuoso.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Massimiliano Fusai : Non ho una tecnica particolare. Vado molto a istinto. L'unica caratteristica che contraddistingue il mio modo di scrivere è che parto sempre da un finale. Il finale, in una storia, secondo me, è la cosa più importante. Spesso storie bellissime sono rovinate da un finale scialbo. Io ho sempre in testa una scena, è visibile, come se guardassi un film e quella scena è il finale del romanzo. Non mi resta che inventarmi qualcosa per arrivare lì. A volte, dopo aver scritto qualche riga e aver definito i personaggi, la storia si scrive da sola, i personaggi prendono vita e fanno tutto loro, in modo indipendente. Mi capita spesso ed è magia pura.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Massimiliano Fusai : Adesso ho già pronto il terzo episodio della saga cominciata con - E - e proseguita con - La rosa, il folletto e il vecchio fucile - , ma sto scrivendo un altro romanzo, vi anticipo il titolo: - L'uomo sospeso - . È sempre una storia surreale, sul rapporto tra scrittore, lettore e personaggi. Di certo non è un tema originale, ma credo che, per come lo sto sviluppando, possa risultare piuttosto interessante e divertente. Poi ho in mente altri progetti che sono dentro il famoso cassetto, ma sono sicuro che verranno fuori. Uno su tutti un romanzo ambientato negli anni ottanta, ma non quelli che tutti noi siamo abituati a vedere nei film, diciamo che vado a raccontare l'aspetto più cupo e meno nostalgico di quegli anni, visti, tra l'altro, da un ragazzino che vive in un paesino sperduto, in mezzo alla campagna. Insomma, non mi fermo mai, scrivere e inventare per me è vitale.
Writer Officina: Che cos'è per te la scrittura?
Massimiliano Fusai : Credo che scrivere sia un po' come fare un gioco di prestigio. Lo scrittore deve ingannare il lettore, in modo piacevole, certo, ma deve far sì che chi legge una storia, per quanto questa sia assurda e improbabile, abbia la sensazione che sia vera e che magari stia capitando proprio a lui, in quel momento. L'ho capito quando due lettrici mi hanno chiesto se il mio romanzo era una storia vera. Ci sono uomini che parlano con i divani e che volano sui tetti, fate un po' voi? Eppure, loro, hanno avuto questa sensazione e per me è stata una grande soddisfazione. Non un punto di arrivo, si capisce, ma un punto da cui partire e non tornare indietro. |
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