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L'ultimo talismano
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Avventura e mistero nell'autunno della riforma di Akhenaton (La figlia di Bastet Vol. 1).
La Casa della Birra.
Per-Bast, secondo anno del regno del faraone Tutankhaton
L'hai saputa la novità, Kefera? Se vieni a sederti qui, sulle mie gambe, ti faccio sentire quant'è grossa. - Orgoglioso della brillante battuta, Amsi scoppiò a ridere in modo sguaiato, imitato dagli altri ubriachi seduti al suo tavolo. Continuai a servire una coppia di pescatori, distribuendo le coppe di birra e le ciotole di zuppa fumante che avevano ordinato, e lo ignorai. Avrei lasciato affogare quello zotico nell'indifferenza come facevo con gli idioti del suo stampo, quelli convinti di acquistare, assieme al pasto caldo, anche la cameriera. - Vuoi che venga io a poggiarti il culetto addosso, Amsi? - L'intervento di mio padre mi strappò un sorriso. Mi sistemai il vassoio vuoto sotto il braccio e lo raggiunsi al bancone. Una fila di coppe traboccanti di schiuma pastosa mi attendeva per un altro giro tra gli avventori. Il mercante agitò la mano in gesto di resa. - Come sei permaloso, vecchio mio! Volevo solo raccontare a tua figlia la cosa incredibile che sta accadendo nella capitale. - - Ma non mi dire. - Mio padre incrociò le braccia sul ventre voluminoso. - Se è così sensazionale, questa novità, raccontala a tutti, no? Sai che brividi, se Tutankhaton, per vincere la sua regale noia, avesse ripreso a organizzare le corse di carri nel bel mezzo della città! - Un coro di risatine echeggiò tra le vecchie pareti ingiallite. Amsi fece una smorfia di scherno e s'infilò due dita sotto la parrucca per grattarsi il cranio pelato. - Mi sa che al giovane faraone non importi un accidente di imitare il compianto genitore. Anzi, ha tutta l'aria di volersi sbarazzare di una scomoda eredità. - Il marinaio al mio fianco batté un pugno sul tavolo, facendo tintinnare le stoviglie. - Che idiozie vai dicendo, barcaiolo? - Cercai di trattenere il sorriso. La faccia bruciata dal sole e dalla salsedine rivelava del passato di Amsi più di quanto gioielli e tunica di lino pregiato potessero nascondere. Il mercante scoppiò a ridere. - Quello che sto cercando di dire, a voi ignoranti, è che Tutankhaton si sta preparando ad abbandonare L'orizzonte di Aton per trasferirsi a Uaset, nella cittadella reale che è stata del nonno. Con tutta la corte, s'intende. - Mio padre sciolse le braccia, ammutolito dalla sorpresa. Mi bloccai anch'io nel gesto di riprendere a raccogliere altre scodelle vuote. - Le dicerie che Tutankhaton - vita prosperità e salute siano sempre su di lui - voglia lasciare Akhetaton circolano fin dal giorno che ha indossato la Doppia Corona. - Tornai a infilarmi il vassoio sotto il braccio. - Sono soltanto chiacchiere. - Amsi si aprì in un sorriso viscido. All'interno delle labbra esangui e sottili spiccò la spaziatura tra gli incisivi. Doveva sentirsi soddisfatto di aver finalmente attirato la mia attenzione. - E invece, mia ritrosa gazzellina, non sono chiacchiere: nobili e cortigiani sono pronti a impacchettare tutto per tornarsene a Malkata. - Un uomo, seduto a un tavolo vicino all'ingresso, si alzò in piedi. - E tu come lo sai? Il Sapiente fra i sapienti sarà venuto personalmente a informarti, immagino. - Scoppiò una risata generale. Amsi reagì con un'espressione infastidita. - Ridete pure, ma io, al contrario di voi pezzenti, possiedo una flotta di dodici depet che battono i maggiori porti, dal Wdy Wr fino alle Cataratte, e quello che succede in giro per il regno lo vengo a sapere prima e meglio di tutti voi! - Un coro di sberleffi, conditi da qualche fischio, sopraffece la sua voce, costringendolo ad alzare il tono. - Se frequento questa bettola è perché qualcosa merita di tornare a farci un giretto. - Mi lanciò un'altra occhiata predatoria che mi fece venire la tentazione di coprirmi il seno con il vassoio, sebbene la tunica da lavoro non lasciasse spazio alla trasparenza. Mi trattenni, sostenendo il suo sguardo. Mio padre si massaggiò la mascella, fingendo un'aria meditabonda. - Dev'essere il fatto che quand'eri uno straccione, che se ne andava in giro a elemosinare il pane, in questa bettola trovavi sempre chi aveva un cuore fin troppo tenero e ti sfamava. - Il mercante avvampò. - È da un pezzo che le mie navi vengono noleggiate per trasportare pietre e altro materiale da costruzione - riprese in fretta. - Niente di cui stupirsi, dal momento che i sacerdoti e i nobili non pensano ad altro che ad ampliare i templi e le loro case, ma ultimamente c'è stato un gran daffare nella costruzione di nuove ville a Uaset. Ad Akhetaton, verso la fine di Mesora, sono stato avvicinato dal servitore di un nobile per prendere accordi sul trasporto di tutti i suoi averi a Uaset e un paio di settimane fa mi hanno contattato altre due famiglie. Ho saputo che lo stesso sta accadendo ad altri proprietari di imbarcazioni e di chiatte. Ma quello che mi ha tolto ogni dubbio sul fatto che ci sia qualcosa di grosso in ballo è che ho avuto la stessa richiesta dallo Scultore Reale in persona. - - Il Grande Thutmose? - chiesi, sbalordita. - Sì, proprio lui. È un tipo strambo: nonostante non lavori che per la famiglia del faraone, desidera continuare a vivere fuori dalla cittadella reale, a contatto con operai e forni. Mi ha chiesto di traportare tutto ciò che c'è nel suo laboratorio a quello di Uaset, situato nella nuova casa che si affaccia su un canale del Grande Fiume. Devo trasferire tutto, comprese le statue in lavorazione e i blocchi di calcite. Sarà un lavoro da spaccarsi la schiena, ma pagherà bene. - Un insolito silenzio scese sulla clientela seduta ai tavoli della Casa della Birra. Mio padre arricciò le labbra e colpì l'aria con una mano. - Non significa nulla. Un po' di gente che si trasferisce da una città all'altra è del tutto normale e capita di continuo. - - Non così tanti, tutti nello stesso periodo e con la stessa destinazione. Commercio spesso ad Akhetaton e vi dico che c'è qualcosa sotto: nei mercati della città sembrano tutti impazziti. Anche i sacerdoti della Casa di Aton non fanno che officiare cerimonie tutto il giorno per raccogliere offerte per il dio. - - Sarà perché quello che mangiano non gli basta mai - commentò un'altra voce vicino al bancone. Ne seguì una sonora risata collettiva. Ripresi a raccogliere i piatti vuoti. Non riuscivo a credere che stesse accadendo qualcosa di importante nella città fondata da Akhenaton. Il nuovo faraone era ancora molto giovane, ma spostare una capitale non poteva essere il capriccio di un bambino. Una voce mi chiamò dalla cucina e alzai lo sguardo. Con una mano che teneva scostata la tenda che divideva i due ambienti, Habibah mi stava facendo cenno di raggiungerla. Varcai la soglia trovando la donna già impegnata a mescolare la zuppa in cottura. - Tua sorella non è ancora tornata e non ci vuole così tanto per andare e venire dalla casa di Nu. - Batté il mestolo sul bordo del calderone e mi lanciò uno sguardo preoccupato. - Quella ragazza è sempre più intrattabile. Tu non eri così alla sua età! Io davvero non so più come prenderla! - - Ho detto che potevo andare io da Nu - aggiunse Terenum, senza voltarsi, - ma ha insistito per farlo lei. - I muscoli della schiena del mio promesso sposo guizzarono al movimento del poderoso colpo d'accetta che calò sul quarto di pecora che stava disossando. Una lunga ciocca ribelle gli era sfuggita dalla fascia che portava arrotolata attorno al capo e gli accarezzava la spalla. Appoggiai il vassoio sul pianale di mattoni e trassi un lungo sospiro. Habibah aveva ragione: Maibe era sempre stata una bambina vivace ma, da quando aveva avuto la sua prima luna rossa, sembrava incontenibile. Ogni scusa era buona per sparire. - Vado a cercarla. - Mi sciolsi dai fianchi il panno che mi faceva da grembiule. - Forse so dove è andata. - Uscii dalla porta sul retro prima che potessero farmi domande. Non avevo intenzione di condividere i miei sospetti, soprattutto perché era un argomento che non mi andava di discutere. Arrivai a quello che un tempo era stato il tempio dedicato alla dea Bastet con il cuore in trepidazione, ma non era stata la camminata a passo svelto a farmi accelerare il respiro, bensì la vista del luogo che più odiavo. L'antico portale era tanto sgangherato da dare l'impressione che sarebbe crollato su se stesso da un momento all'altro. Mi fermai sulla soglia, incapace di attraversarla come accadeva ormai da dieci anni. Mi limitai a sporgermi quanto necessario a spaziare con lo sguardo all'interno della corte. Nello spiazzo regnava la puzza degli animali allevati, insopportabile come il fastidio delle mosche che sciamavano ovunque, ingorde di sudore e liquami. Era difficile credere che qui un tempo fossero sorti quelli che erano stati definiti “i giardini più belli che il Paese delle Due Terre avesse mai visto”, in grado di rivaleggiare con quelli del palazzo dello stesso faraone. Io non li avevo mai visti e a poco era servito che nell'infanzia mi fossi scervellata a immaginare i luridi abbeveratoi di pietra sbrecciata come antiche fontane zampillanti coperte di fiori di loto e di ranuncoli. Il nuovo clero di Aton non avrebbe potuto recare a Bastet uno sfregio più grande di destinare le sue antiche aiuole e i vialetti a pascolo per i maiali e il suo tempio a magazzino e macello. Solo i miserabili erano rimasti a prestare servizio in un'attività così degradante. I miserabili e Chione e Dendera, naturalmente. Quelle dannate megere, false e bugiarde! Il solo pensare a loro mi faceva stringere i pugni dalla rabbia. Maibe si credeva una donna fatta ma non era che una ragazzina. Il cervello vuoto di una ragazzina! Non potevo permettere che due vecchie sacerdotesse di una dea estinta le riempissero la testa di sciocchezze pericolose. Deglutii e aspirai nei polmoni quanta più aria potevo per farmi coraggio. Entrai. Il cuore mi batteva in tumulto mentre avanzavo sulle pietre consumate dal tempo perché decidere cosa sia giusto fare è di gran lunga più semplice che il metterlo in pratica. Procedevo a testa china e denti stretti in direzione dell'ingresso principale del tempio, tenendo gli occhi incollati alle pietre del selciato e cercando d'ignorare l'afrore dei maiali ammassati nei recinti e lo starnazzare infastidito delle oche. Non badai neppure al servo in perizoma che avanzava in senso opposto spingendo un carretto e per poco non finii in mezzo agli animali appena macellati, accatastati sul pianale di legno. L'uomo mi spintonò via con una manata. - Attenta a dove vai, stupida! - Guardai inorridita il segno che la mano scura di sangue rappreso mi aveva lasciato sulla tunica e fuggii, lasciandomi alle spalle i suoi insulti e la vista degli animali sgozzati. Arrivai alla scalinata che portava all'ingresso del tempio con il cuore che mi martellava in petto e mi bloccai. La determinazione che mi aveva spinto fin lì ora vacillava. Si dissolse del tutto davanti alla macchia di sangue fresco che colava dallo spigolo di un gradino per gocciolare sulla superficie del successivo. Sembrava avanzasse verso di me, protendendosi come una creatura viva. Balzai indietro con un gemito strozzato. Le immagini dei ricordi che prendevano vita nella mia mente travolsero le fragili barriere erette dal bisogno di dimenticare. Mi strinsi le tempie tra le mani, serrando le palpebre, ma non riuscii a fermarle. Richiami di soldati, grida, fiaccole nella notte. Il corpo di una sacerdotessa riverso sulla scalinata con il ventre squarciato e il sangue che le si allargava sulla veste candida. L'urlo senza fine di una bambina terrorizzata e poi il grido disperato di mia madre. Kefera, scappa! KEFERA! Iniziai a boccheggiare, mi mancava l'aria. No, per favore. Non una di quelle stupide crisi adesso! Kefera! KEFERA! Non riuscivo a respirare, a pensare. Io... io... - Kefera, che ci fai qui? - Sobbalzai, alzando la testa di scatto. I fantasmi della mente si dissolsero. Maibe stava avanzando tra le colonne sbrecciate che delimitavano l'ingresso del corpo centrale del tempio. Nonostante vestisse una semplice tunica stretta in vita e non fosse che appena sbocciata come donna mi superava in altezza ed era di una bellezza abbagliante, come raccontavano fosse stata la dea-gatto. Mi guardò con espressione sorpresa. Tra le braccia stringeva un canestro di giunchi intrecciati ed era accompagnata dalle due vecchiacce, vestite di stracci come le contadine più misere. Avrei voluto trascinarla a casa, ma non avevo la forza di mettere piede sui gradini. Mi limitai a puntarle il dito contro, fremente di rabbia. - Che cosa ci fai tu, qui, piuttosto! Habibah ti aveva mandata a prendere le uova e sei sparita per andarti a cacciare dove ti è stato proibito! - - Ma io sono andata a prendere le uova: eccole. - Piegò appena la cesta per mostrarmi il contenuto e si aprì in un sorriso solare, dolorosamente simile a quello di nostra madre. - Chione e Dendera si occupano delle oche, qui, lo sai. Sono così gentili che, quando possono, mi fanno dono di alcune uova. - Mi sentii ribollire il sangue. - Certo che costi poco, sorellina, se ti fai comperare con un cesto di uova. Ma non capisci che tutto ciò che vogliono queste due vecchie bugiarde è attirarti in questo... questo macello per farti perdere la ragione con le loro stupide favole? - Maibe spense il sorriso. - Ma cosa stai dicendo? - Raccolse un lembo della veste e scese la scalinata mentre le due sacerdotesse restavano a guardarmi impassibili, quasi fossero state della stessa pietra delle colonne alle loro spalle. - Non essere scortese con chi è sempre stato generoso con noi. Non importa come l'hanno ridotto: questo rimarrà sempre il tempio della dea Bastet. E poi sono io che voglio venire qui: Chione e Dendera conoscevano mamma e mi parlano di lei, al contrario di te che... - - Basta! - L'afferrai per un braccio. - Tu non verrai mai più in questo posto. Mai più! Hai capito?! - - Kefera, per favore... - interferì Chione iniziando a scendere gli scalini con passo malfermo. - Non avvicinarti! - L'additai, minacciosa. - Voi due dovete lasciare in pace mia sorella! - - Lasciami in pace tu! - protestò lei con energia, divincolandosi dalla presa con uno strattone. - Non puoi stare sempre a dirmi quello che posso o non posso fare: sono diventata donna, ormai, e ho il diritto di decidere per me stessa. Tu non sei mia madre! - - Non sono tua madre ma è come se lo fossi, dal momento che ti ho allevata. E ti dico che ti stai comportando come una ragazzina stupida, non certo come una donna. - Maibe avvampò, fremendo e assottigliando gli occhi. - E come dovrei comportarmi? Forse come te, che hai paura di tutto? Te ne stai rintanata nella Casa della Birra pensando soltanto a spaccarti la schiena di lavoro. Hai paura della gente, tremi davanti alle guardie del Medjay e sei spaventata perfino dal buio. Per non parlare di quel poveraccio di Terenum, che hai accettato di sposare tre anni fa ma che sta ancora aspettando che tu ti decida ad andare a vivere con lui. È così che mi vuoi? Una vigliacca che non ha il coraggio di affrontare la vita? Tu... - La schiaffeggiai con una tale violenza da farle perdere l'equilibrio e rovinare a terra. La cesta le cadde dalle mani e rotolò via, rovesciando il contenuto. Dai gusci spezzati colarono i tuorli che sembrarono venire inghiottiti dalle fessure delle pietre arroventate dal sole, come se fossero state affamate. Oltre i recinti, i maiali grugnirono, innervositi. Mi sentii sopraffare dal senso di colpa. Non volevo farlo. Che mi era preso? - Maibe, mi dispiace. - Mi chinai per aiutarla a rialzarsi. - Io... - - Sei cattiva! - Mi allontanò la mano con un colpo. Indietreggiò, strisciando, prima di rimettersi in piedi, gli occhi colmi di lacrime e la mano portata alla guancia arrossata e bruciante. - Non sei come la mamma. Non sei mai stata come la mamma! Io... io... ti odio. Sì, ti odio! - - Maibe! - la richiamai, ma mia sorella si era già precipitata verso l'uscita. Mi gettai al suo inseguimento ma mi fermai subito dopo: c'era una questione da sistemare, prima. Una volta per tutte. Mi voltai verso le sacerdotesse. Non erano che due vecchie dai radi capelli ingrigiti e la pelle aggrinzita, ingobbite dagli anni. Relegate al ruolo di misere guardiane di animali, sembrava impossibile immaginare che un tempo avessero indossato gioielli, parrucche e vesti preziose. Avevano un aspetto innocuo e debole che poteva ingannare chiunque, ma non me. Tornai sui miei passi e andai ad affrontarle. - Dovete lasciarla stare: sto solo cercando di proteggerla. - - Lo sappiamo e ti comprendiamo - rispose Dendera, aiutandosi a scendere i gradini con il bastone. - Ma il richiamo della dea non si può ignorare. - Alzai gli occhi al cielo in un moto di esasperazione. - Perché non vi arrendete? Ci avete provato con me e non ci siete riuscite. Non vi permetterò di corrompere mia sorella. Ve lo ripeto: dovete lasciarla stare. Maibe è fragile e non voglio si metta contro le leggi del faraone per dare retta alle vostre fandonie. - - Akila sarebbe addolorata di sentirti parlare in questo modo - riprese la voce gracchiante di Chione, che aveva affiancato la compagna. - Tua madre era la Prima Sacerdotessa di Bastet e sai quanto desiderasse vederti seguire la sua strada, la via della dea sul cui altare ha voluto partorirti e consacrarti. - - Mia madre è morta - sibilai, provando dolore alle mie stesse parole. - E anche la vostra dea. Akhenaton ha fatto cancellare il nome dei vecchi dei da tutti i templi antichi: esiste soltanto un unico dio ed è Aton. So perché vi ostinate a rimanere tra queste mura mezze sgretolate e non m'interessa, ma se vi vedrò ancora parlare con Maibe, vi denuncerò alle autorità. - Mi voltai senza aggiungere altro, sperando di averle spaventate a sufficienza con quella bugia, ma la voce di Dendera mi raggiunse. - Neppure il faraone ha il potere di cancellare gli dei, Kefera. Ricordalo. Sono ancora qui, per chi ha il cuore di vederli. - Strinsi i pugni e accelerai il passo fino a mettermi a correre.
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Buongiorno a tutti e grazie Abel per la possibilità di essere qui. Di me posso dire di essere nata in Veneto ma di essermi spostata spesso. La maggior parte del tempo ho lavorato nel settore del Customer Care e successivamente in una software house, Ufficio Accollo Rogne Causate Da Altri (altresì detto Assistenza Telefonica). Entrambe le esperienze mi hanno lasciato un profondo rigetto per le Karens e per la contabilità analitica nonché il desiderio di trasferirmi su di un'isola deserta per vivere “alla Robinson Crusoe” (con una gallina nel ruolo di Venerdì). Più o meno è finita così, dal momento che ora vivo in Australia ai confini della rainforest e allevo per diletto galline Australorp. Durante gli anni vissuti in Portogallo, grazie anche alla permanenza in un Paese così ricco di storia, ho potuto dare spazio alla mia passione per lo studio e ho avviato Storie di Storia, un blog che si occupa di narrativa e di saggistica storica nonché di eventi e personaggi del passato. Da qualche anno mi posso dedicare alla scrittura, naturalmente narrando di Storia ma spaziando anche nel genere Fantasy/Sci-Fi.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorta di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Isabel Giustiniani: Ho sempre amato leggere, fin da bambina. La scuola non ha fatto molto in questo senso se non, purtroppo, al contrario, allontanarmi dal piacere dell'apprendere. Fortunatamente i miei genitori possedevano una nutrita libreria dove ho potuto spaziare nelle letture e cercare perle di letteratura come in una caccia al tesoro. Dai grandi libri di archeologia, ricchi di immagini, fino ai classici, passando per la saggistica, la fantascienza e la narrativa russa, la bambina e poi adolescente che ero ha imparato ad amare la lettura e non ha più smesso.
Writer Officina: C'è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire questa strada?
Isabel Giustiniani: Molti libri mi hanno catturata come lettrice, lasciandomi il desiderio di leggere sempre di più, ma la passione per la scrittura è giunta molto tardi, per la semplice/banale ragione che non credevo di esserne in grado. Anche in questo caso il mio passaggio alla scrittura è stato fortuito, avendo iniziato a frequentare un forum (Facebook e gli altri social non erano ancora così diffusi, all'epoca) dove si creavano storie assieme ad altri utenti. Ho partecipato attivamente per diversi anni a quel forum, che ora purtroppo non esiste più, appassionandomi di scrittura e affinando le mie capacità. È stato un ottimo apprendistato.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Isabel Giustiniani: Non ho mai pensato di proporre i miei libri a un editore e non l'ho mai fatto. Mentre stavo ancora scrivendo storie d'avventura nel forum succitato, ho studiato per anni l'editoria tradizionale, raccogliendo tutte le informazioni possibili su questo affascinante mondo che m'intrigava. Ho seguito anche l'esperienza di diversi amici che avevano iniziato a pubblicare con piccole case editrici (sottolineo non a pagamento) nonché di molti altri che ho incontrato nel corso delle mie ricerche. Con sorpresa, tutte le persone che ho seguito intraprendere questa strada sono rimaste insoddisfatte dalle loro esperienze, sollevando altarini e riportando tristi vicende che sfociavano fin nel grottesco. Al tempo portavo avanti parallelamente anche lo studio del fenomeno del selfpublishing, allora ancora relativamente nuovo, e sono rimasta affascinata - essendo io una persona piuttosto indipendente - dalla possibilità di avere il totale controllo di ogni fase della realizzazione del prodotto libro, gestendo di volta in volta in autonomia le risorse necessarie. Gli amici che avevano intrapreso questo percorso ne erano quasi tutti contenti e alcuni stavano ottenendo risultati notevoli. Quindi, quando il mio primo libro è stato ultimato, la scelta verso l'autoeditoria è stata una naturale conseguenza.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Isabel Giustiniani: È una buona opportunità per chi sa cosa fare. Amazon KDP non è altro che uno strumento e se chi vi si approccia è un dilettante allo sbaraglio, difficilmente otterrà qualche buon risultato. Si può pensare a KDP come a una Ferrari: ha un grande potenziale ma se chi sale sopra non sa nemmeno accendere il motore, non si sposterà di un centimetro. Se, invece, si affronta la pubblicazione in maniera professionale come un editore, ossia gestendo un team di professionisti specializzati (dal grafico fino all'editor) e si apprendono le basi di marketing, si possono ottenere notevoli soddisfazioni. Questo lavoro è un apprendimento continuo.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionata? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Isabel Giustiniani:Scrivo romanzi storici e romanzi fantasy. Gli storici hanno un pubblico più vasto di lettori, tuttavia i miei preferiti sono quelli appartenenti alla serie fantasy. Quando scrivo storici sono molto rigorosa sia nella ricostruzione degli eventi che nella (re)interpretazione dei personaggi realmente esistiti, cercando di renderli aderenti ai fatti e alla mentalità del tempo. Il fantasy mi lascia più margine d'inventiva, soprattutto nella psicologia dei personaggi, che amo approfondire. Il mio ultimo fantasy si intitola “I Guardiani dell'Oblio” ed è un mix tra fantasy e fantascienza, in un mondo dove scienza e magia collidono ma anche si sovrappongono.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Isabel Giustiniani: Scrivendo soprattutto storici, la ricerca è componente essenziale. Spesso richiede più tempo della stesura dell'intero manoscritto. Questa serve anche per creare nel proprio immaginario il substrato corretto dove far poi svolgere la vicenda che si intende raccontare. Preparo quindi uno schema iniziale nel quale inserisco gli eventi cardine. Negli storici i paletti sono dovuti essenzialmente a vicende storiche (non amo stravolgere la storia per adattarla ai fini della trama), mentre nei fantasy mi posso muovere con maggiore libertà, sempre rispettando la struttura narrativa del buon storytelling.
Writer Officina: In questo periodo stai scrivendo un nuovo libro? È dello stesso genere di quello che hai già pubblicato, oppure un'idea completamente diversa?
Isabel Giustiniani: Diciamo che uno scrittore è sempre in fase di realizzazione di un nuovo libro, che sia una prima bozza o un editing preliminare prima di passare il manoscritto all'editor. Trattando due generi narrativi diversi, intervallo la scrittura di uno con quella dell'altro per evitare fasi di “stanca” o il cosiddetto blocco dello scrittore. È necessario non perdere mai l'entusiasmo per un nuovo progetto. Attualmente sto scrivendo il quinto libro della serie egizia “Il romanzo di Tutankhamon” che si intitolerà “La figlia di Bastet”, poi passerò al quarto libro della serie fantasy “Le Cronache di Neiuar”.
Writer Officina: Hai mai pensato di far tradurre i tuoi libri per il mercato estero?
Isabel Giustiniani: È un progetto che ho in mente da un po' e che mi sto apprestando a realizzare nel corso del prossimo anno. Ho recentemente avviato il marchio editoriale Mango Hill Books proprio per gestire al meglio il business all'estero. Attualmente in catalogo ci sono solo i miei titoli ma in futuro la casa editrice sarà aperta anche ad altri autori.
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