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Le ali sulla pelle
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Quella storia della farfalla gli era venuta all'orecchio più di una volta anche se non ricordava bene le circostanze. Si era incuriosito ed a e aveva letto qualcosa sulle teorie collegate, si era persino spinto a dare una scorsa alle prime pagine del racconto - Rumore di tuono - di Bradbury, una cosa fantascientifica su improbabili safari temporali per turisti del futuro e aveva dato un'occhiata, su internet, ai grafici a forma di farfalla generati dagli attrattori di Lorenz, ma per il commissario Pandolfi il fatto che il battito d'ali di una farfalla a Pechino potesse far piovere o addirittura scatenare una tempesta a New York, rimaneva un fatto piuttosto criptico, improbabile, una questione squisitamente filosofica, una teoria cervellotica, una dotta e inconcludente disquisizione sul sesso degli angeli. Non che non comprendesse le interazioni possibili fra avvenimenti che accadono in luoghi diversi, anche lontani fra loro, né ignorava che, in un'epoca caratterizzata da una incipiente globalizzazione e da una sfrenata smania di comunicazione, fatti diversi e lontani fra loro potessero essere connessi, ma per lui che, per carattere, non era affatto incline a superflui voli di fantasia e che del pragmatismo aveva fatto la sua arma vincente, rimaneva una gigantesca cazzata. Certo non avrebbe mai immaginato di poter essere catapultato in una tempesta che non solo era stata generata da eventi che, per rimanere in tema, potevano essere paragonati al battito d'ali della farfalla pechinese, ma che, oltre ad e a essere molto distanti nello spazio, erano avvenuti in un tempo molto lontano.
Il telefono squillò con insistenza aprendo con qualche minuto di anticipo la giornata di lavoro del commissario Pandolfi. - Pronto. Chi parla? - - Sono Giorgio, buongiorno. - - Buongiorno, tua moglie ti ha buttato giù dal letto? - - Non è stato necessario. Ho avuto una nottataccia e la mattinata si annuncia peggiore. - - Giorgio, sembri intenzionato a peggiorare anche la mia, che c'è? - - C'è che ho qui un cadavere che dovresti vedere. - - Giorgio, se fai il medico legale può capitare di avere a che fare con qualche cadavere ogni tanto. Questo cos'ha che non possa essere rimandato a più tardi, ha tentato di scappare? - - C'è poco da scherzare. - Il dottore cominciò a snocciolare la sua tiritera. - È un maschio, bianco, di circa sessanta sessantacinque anni circa, capelli e occhi chiari, un metro e settantacinque, settanta chili scarsi, ha il corpo coperto di cicatrici, troppe e piuttosto anomale per essere esiti di operazioni e del resto la tecnica di sutura non è certo quella di un chirurgo. Porta una barba ben curata e la dentatura presenta alcune protesi fisse, ma la cosa che mi lascia maggiormente perplesso è la ferita al petto... - Arma da fuoco? - - No, sicuramente no. - - Coltello? - - In un certo senso... ma credo sarebbe meglio che tu la vedessi... - - Ma insomma Giorgio, gli indovinelli rimandiamoli a più tardi! Vuoi dirmi come cazzo è morto? - - Beh, la causa potrebbe anche essere naturale anzi, quasi certamente lo è... - - Con una ferita sul petto? Un Vuoi dire un incidente? - - A meno che non si sia scontrato con un'affettatrice, non credo proprio. Per ora posso dirti che la ferita al petto è stata sicuramente inferta post mortem, ma credo sarebbe meglio che tu venissi a dare un'occhiata... - - Arrivo. -
Dopo un caffè frettoloso e qualche sosta forzata nel traffico, il commissario Pandolfi entrò nell'obitorio fumando la prima sigaretta della giornata. - Allora, cosa sono tutti questi misteri? - - Qui non si può fumare... - - Lo so - disse Pandolfi aspirando una lunga boccata, - i tuoi pazienti sono molto attenti al fumo passivo! - - Paolo, lo sai, Le le regole sono regole... - - Insomma, mi hai chiamato all'alba per farmi la predica o c'è qualche motivo più valido? - - Vieni. - Il dottor Avenzi si avvicinò ad u a uno dei tavoli seguito dal commissario, poi, con un gesto che a Pandolfi sembrò vagamente teatrale, scoprì il cadavere ed a e attese la reazione. - Cazzo, gli hanno portato via la pelle del petto! Scuoiato... e non sappiamo la causa... - - Per ora ho solo fatto un esame esterno e come vedi c'è molto da dire. La morte risale a circa due o tre ore fa, o forse meno, ma sarò più preciso nel mio rapporto. - - Hai qualche idea sulla causa di tutte quelle cicatrici? - - Come ti ho detto, non ancora. So solo che le suture sono opera di un medico scarsamente preparato o, addirittura, di un dilettante. Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma credo che quest'uomo abbia subito delle torture. Vedi queste lesioni circolari? Hanno un aspetto piuttosto sospetto. Sembrano bruciature di sigaretta e anche queste altre sul dorso... - aggiunse, girando su un lato il cadavere. - In ogni caso, dopo l'autopsia potrò... - - ... essere più preciso - completò il commissario. - Fammi sapere - disse aggiunse, avviandosi verso l'uscita. Sulla porta si girò. - A proposito, chi lo ha trovato? - - Uno spazzino addetto alle pulizie dietro la cappella del parco. Per quanto ne so, sono andati Antonelli e Dilani. - - Documenti? - Il dottore scosse la testa. - Ho inviato le impronte con una nota a Fabozzi e stavo giusto prendendo il calco dei denti. Vediamo cosa ne viene fuori. - - Fammi sapere - ripeté Pandolfi prima di scomparire.
Quattro ore prima
Ivan Rasko non ha mai suonato alcuno strumento e la musica non è fra i suoi principali interessi. Nonostante questo, nell'ambiente è conosciuto come - il violinista - per l'uso creativo e poco convenzionale che fa di una corda di violino. A giudicare dall'aspetto e dall'atteggiamento potrebbe essere un militare. Capelli biondo chiaro tagliati molto corti, occhi azzurri, mascella quadrata, struttura muscolare non vistosa ma tonica. Ivan vende armi, e non solo quelle, al miglior offerente. Per lui, ribelli, terroristi, bande giovanili, delinquenza organizzata, mafie non sono altro che clienti. Fine della storia. Dai Balcani alla Somalia, dall'Iraq all'Afghanistan cerca e trova sempre qualcuno disposto a pagare per le sue armi e spesso per i suoi - servigi - . Di padre russo e madre italiana, ha imparato dal primo a muoversi nell'intricato ambiente che ruota intorno a quel mondo oscuro e sfuggente dei fuorusciti dell'ex Grande Armata Rossa, dei Servizi Segreti, di faccendieri e mafiosi, dalla seconda ha ereditato quella fantasia e quell'arte di arrangiarsi tipica del Bel Paese che era venuta spesso in suo aiuto nei momenti più difficili. La vita di Ivan si basa su poche regole e quelle poche hanno un unico denominatore comune: il profitto; il suo codice morale ha un punto fermo: - Mai tradire un amico - , codice che osserva senza troppi sforzi perché Ivan non ha amici. Il suo cellulare squillò proprio mentre stava per rilanciare. Con la mano destra prese il telefono e lo portò all'orecchio senza dire niente mentre, con la sinistra, spingeva una pila di fiches al centro del tavolo. - È arrivato - disse la voce al telefono. - È sceso al Royal. Ora è in camera. La 369. - - Bene - rispose Ivan con un sibilo e chiuse il telefono. - Doppia al cappa... - - Doppia all'asso... - Ivan posò sul tavolo il suo colore e attese. - Buono per me - dichiarò il quarto giocatore alla sua destra. Ivan raccolse il piatto alzandosi. - È stato un piacere - disse, dopo aver finito il suo drink e dopo aver sconsigliato, con uno sguardo, ogni tipo di rimostranza per il suo abbandono prematuro del tavolo. Si fermò al bar, cambiò le fiches e lasciò sul bancone, davanti alla barista, due banconote. Giunto sulla porta, fece un cenno di saluto al ceffo che stava di guardia, poi alzò il bavero della giacca e s'incamminò verso la sua auto. Dopo la sua, un'auto scura si staccò dal marciapiede e iniziò a seguirlo a distanza; Ivan controllava ogni tanto nello specchietto retrovisore, guidando lentamente verso casa nel traffico scorrevole della notte. Giunto a casa, accese la luce del salotto e si sedette sul divano. Attese alcuni minuti ed a e accese la luce del bagno, poi tornò in salotto. Dopo dieci minuti accese la luce in camera da letto, spense quella del bagno e del salotto, poi si sedette al buio sul divano e accese una sigaretta. Sapeva di essere osservato e quel gioco di luci avrebbe suggerito ai suoi controllori che potevano rilassarsi e attendere con calma. Per lui invece il tempo dell'attesa si stava concludendo. S Sembrava proprio che fosse arrivato il suo momento, quel momento che aveva atteso preparato a lungo e, che gli era costato molto, e per il quale aveva messo in gioco la sua stessa vita. Ora doveva stare attento a non sbagliare, una sola sbavatura poteva compromettere tutto.
Spense con cura la cicca nel portacenere, tolse dalla tasca il cellulare e lo appoggiò sul tavolinetto di fronte a lui, ne prese dal tavolo uno del tipo - usa e getta - e lo mise in tasca, poi con calma si diresse all'armadio della camera e fece scorrere i vestiti comprimendoli da un lato per liberare il più possibile il pannello di fondo, poi, facendo leva su due piccole molle, lo fece scorrere di lato fino a scoprire un'apertura che in passato era stata il vano di una porta e che ora era chiuso da una libreria. Ripeté l'operazione sulla libreria liberando un passaggio. Dopo essere entrato nell'appartamento attiguo, rimise a posto i vestiti, il pannello dell'armadio e la libreria. Dette uno sguardo alla stanza per sincerarsi che tutto fosse a posto, percorse il corridoio fino alla porta d'ingresso e uscì sul pianerottolo, poi scese a piedi le scale e uscì in un cortile interno. Si fermò, protetto dall'ombra, a controllare che nessuno fosse affacciato alle finestre, attraversò il cortile e uscì in una strada laterale. Percorse a piedi qualche centinaio di metri fino ad u a un cancello, lo aprì ed entrò in un cortile ingombro di cataste di pancali di legno, vecchi pneumatici ed elettrodomestici arrugginiti. La luce era scarsa, ma Ivan sapeva come muoversi. Tolse il telo da sopra la sua macchina - da lavoro - , aprì il bagagliaio e controllò che fosse tutto in ordine, poi si sedette alla guida e partì. Percorse ad andatura moderata alcune strade secondarie fino ad i a immettersi sul lungofiume, attraversò un ponte e continuò sul lungofiume opposto fino al parco. Fermò l'auto in un parcheggio a pagamento lungo la strada e inserì nel parchimetro tutte le monete che aveva nel portaoggetti. Aprì il bagagliaio, prese la sua borsa, la mise a tracolla ed entrò nel parco.
Percorse senza fretta il vialetto che portava alla fontana. Su una panchina, una vecchia dava da mangiare a dei piccioni che si affollavano ai suoi piedi. Poco distante, un uomo raccoglieva con una ramazza piccoli cumuli di immondizia riversandoli poi in un bidone montato su un triciclo a pedali. La scarsa presenza di persone nel parco, a quell'ora del mattino, lo faceva sentire un po' allo scoperto; non rispose neppure al cenno di saluto dello spazzino, fingendo di essere attratto da due tortore che giocavano a nascondino nelle aiole vicine. Raggiunse la fontana e prese a destra un sentiero di ghiaia fino ad u a un ponticello che superò, costeggiò per un breve tratto il laghetto e giunse in vista di una piccola costruzione fra gli alberi che tutti chiamavano - la cappella - . In realtà si trattava di una vecchia cisterna per l'acqua che aveva assunto quel nome per un piccolo tabernacolo esterno dedicato alla Madonna, raffigurata in un mosaico di tessere dalle varie tonalità di azzurro. Si fermò a circa cento metri dietro una siepe di alloro, consultò l'orologio e si mise in attesa avendo cura di tenere d'occhio le due possibili vie di avvicinamento alla cappella. Alcuni scoiattoli correvano veloci sull'erba ancora umida della rugiada della notte, in cerca di cibo, altri rovistavano con mosse furtive nei cestini dei rifiuti. Gli seccava ammetterlo ma non si sentiva tranquillo. Il luogo dell'appuntamento non lo convinceva, ma non aveva avuto scelta e questo non faceva che aumentare la netta sensazione di aver commesso un errore di cui avrebbe potuto pentirsi. Il cielo si stava rapidamente schiarendo e Ivan consultò di nuovo l'orologio. |
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Autori di Writer Officina
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Sono nato in Calabria, terra che ho lasciato con la mia famiglia alla tenera età di sei mesi. Ho fatto studi artistici e attualmente lavoro a Pisa dove svolgo l'attività di pubblicitario. Sono appassionato di paracadutismo ed immersione subacquea, amo i viaggi, l'arte, l'enigmistica, la lettura, il cinema, la fotografia e, più in generale, tutte le forme di espressione artistica. Coltivo con caparbietà e alterna perseveranza la passione per la scultura. Cerco di sfuggire con tutte le mie forze alla noia. Penso che ogni giorno debba segnare l'inizio di qualcosa di nuovo. Mi spiego meglio: sono convinto che non ci sia niente di peggio che lasciarsi assorbire dalle consuetudini. La routine è una delle peggiori nemiche della curiosità che è, a mio avviso, una dei più importanti propulsori della fantasia. Ho fatto molti mestieri, dal grafico pubblicitario all'ufficiale dei paracadutisti, ma potrei aggiungere il pittore, il creatore di monili ed altri ancora. Non c'è niente che accomuna queste attività se non la voglia di sperimentare cose nuove. Ho due figli ormai grandi, ho drasticamente ridotto gli impegni di lavoro e ho più tempo a disposizione per i miei hobbies. Mi piace conoscere persone diverse, fare nuove esperienze, mettermi alla prova. Insomma, a dispetto dei miei dati anagrafici, ho il fondato sospetto di essere ancora lontano dalla tranquillità dell'età matura, quella piena di saggezza e di abitudini, per intenderci. Vivo con mia moglie in campagna vicino a Pisa, ho un giardino piuttosto grande e due cani. Il mio sogno nel cassetto è che i due cuccioli smettano presto di fare buche ovunque.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Franco Filiberto : Non saprei proprio dirlo. Sin da ragazzino ero affascinato dalle storie scritte, dai mondi fantastici che quelle parole riuscivano a far immaginare, dalle avventure che prendevano vita e che sembravano così “vere”. Ma questo credo sia qualcosa di comune a molti lettori, specialmente se adolescenti. A quel tempo i soldi da spendere in libri erano veramente pochi e le biblioteche erano il modo più semplice ed economico per avvicinarsi alla lettura. Lo scrivere e nato poco a poco, prima con racconti brevi, poi con storie un po' più complesse, anche se gli uni e le altre erano destinati, nella migliore delle ipotesi, a rimanere in qualche cassetto o a coprirsi di polvere.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Franco Filiberto: Sono arrivato alla decisione di tentare la pubblicazione di un mio scritto molto tardi e lo devo quasi esclusivamente alle insistenze di mia moglie. Finito di scrivere, letto e fatto leggere ad amici e conoscenti, ho inviato il manoscritto a un buon numero di editori, da quelli più grandi a quelli meno importanti evitando accuratamente quelli a pagamento. Dopo circa due mesi (a me è sembrato un tempo infinito) ho ricevuto la risposta da una casa editrice, piccola ma agguerrita, che mi ha proposto un contratto di edizione e pochi giorni per decidere. Ho firmato e il primo libro ha visto la luce. Tre mesi dopo ho ricevuto la richiesta da un editore più blasonato ma ormai il gioco era chiuso. Inutile dire che le case editrici veramente importanti non mi hanno risposto e le pochissime che lo hanno fatto hanno trovato il mio lavoro “molto interessante ma non in sintonia con la loro linea editoriale”.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Franco Filiberto: Credo di sì. Per carattere non amo molto i vincoli (i contratti editoriali ne sono pieni) e KDP consente all'autore di essere, almeno in buona parte, il gestore del proprio lavoro. A coloro che obiettano che KDP non fornisce gratuitamente editing, correzione bozze e altro vorrei far notare che moltissimi piccoli editori non hanno la forza di fornire realmente questi servizi (che spesso millantano) e certamente la promozione, vero punto dolente per gli autori che si affidano a piccole case editrici, è molto più efficace su KDP. Insomma, nonostante io mantenga contatti e collaborazioni con un editore piccolo ma intraprendente e leale, credo che il self publisching sia una via da percorrere per molti autori in attesa, se mai avverrà, che una grande casa editrice si faccia viva.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Franco Filiberto: Sono molto affezionato a un thriller dal titolo “La mossa del gambero” pubblicato con Arpeggio Libero Edizioni. È una storia molto intensa che parla dell'odio di un bambino che non trova pace e perdono per lunghi anni e cerca solo vendetta, una vendetta che arriverà in età adulta e che purtroppo riuscirà solo a far nascere altro odio e altre morti. La storia raccontata in questo libro, sequel di “Le ali sulla pelle”, fa parte di un progetto che vede come protagonisti il commissario Pandolfi, l'ispettore Niccolini ed altri che i miei lettori conoscono già e che presto ritroveranno in una nuova avventura.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Franco Filiberto: Sono refrattario a ogni tipo di impostazione e non ho simpatia per scalette e schemi. Parto da un'idea che quasi sempre corrisponde alla scintilla che innesca gli eventi che costituiscono la spina dorsale della storia. Quando, dopo molti ripensamenti, variazioni e adeguamenti mi convinco che la trama può “reggere”, inizio la stesura e aggiungo personaggi e fatti man mano che procedo. Arriva un momento nel quale si ha la sensazione che i personaggi inizino a decidere da soli, si muovano secondo il carattere e le peculiarità che ho creato per loro, insomma, sembra che vivano di vita propria. Da quel momento in poi tutto scorre più veloce e senza intoppi o ripensamenti.
Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Franco Filiberto: I miei personaggi nascono quasi esclusivamente da persone reali, persone che conosco o che ho avuto modo di osservare da vicino. Prendo pezzetti di carattere, qualche fissazione, piccole porzioni di gusti e propensioni e li impianto sul personaggio che devo creare, un po' alla Frankenstein, per capirci. Per alcuni anche il nome è rimasto lo stesso. Per esempio il colonnello Nizzoli che fornisce preziose informazioni al commissario Pandolfi esiste davvero e ha un carattere molto simile a quello del personaggio che ho raccontato nel thriller “Le ali sulla pelle” così come la giornalista Tiziana Sicuro, presente anche ne “La mossa del gambero”, nella realtà è una mia cara amica. Altro discorso quando la storia trae spunto da fatti realmente accaduti come nel giallo investigativo “Zic, il misterioso caso del graffitaro scomparso” nel quale, almeno per alcuni personaggi, ho cercato di essere il più possibile fedele alle caratteristiche delle persone reali mentre per gli altri mi sono affidato alla fantasia.
Writer Officina: Cosa c'è di te nei tuoi romanzi?
Franco Filiberto: Sono convinto che ogni autore, volente o nolente, metta qualcosa di sé, della sua vita, delle sue esperienze e delle sue convinzioni nelle storie che scrive. Io non faccio eccezione, così molto spesso, riflettendo su alcuni punti di vista dei miei personaggi, ho riscontrato evidenti analogie col mio modo di pensare. Insomma, più o meno consciamente ho ritagliato piccoli frammenti di me e li ho trasmessi ad alcuni dei miei personaggi.
Writer Officina: Puoi farci un esempio o darci una citazione di un tuo romanzo che ritieni possa rispecchiare un aspetto del tuo carattere?
Franco Filiberto: Potrei farne molti ma a questo, tratto da “La mossa del gambero”, sono particolarmente affezionato. Ho sempre avuto grande stima delle persone che preferiscono avere dubbi, che chiedono a sé stessi la capacità di valutare con serenità e rigore le cose che accadono intorno a loro senza affidarsi a delle certezze che spesso si rivelano miopi e ottuse. Anche il mio commissario Pandolfi sembra pensarla in modo simile.
“Si fermò a riflettere su quanto odio, quanta malvagità avesse aleggiato intorno a lui durante quell'indagine, di quanta perversione fosse stato testimone nei mesi trascorsi e anche quanta pena avesse provato per quelle vite bruciate. Pena, orrore, sconforto, necessità di giustizia: sentimenti forti e contrastanti che si rincorrevano nella sua mente, che tentavano di confondere e sbiadire la sua linea di confine fra il bene e il male. Gli venne in mente suo padre quando cercava di spiegargli le variabili sulla linea di orizzonte. Lui era un bambino e la rotondità della Terra, l'altezza del punto di osservazione, la limpidezza dell'aria erano concetti che non riusciva a capire completamente. Capì solo che quella linea, che lui vedeva distintamente, in realtà non era lì per tutti, non era un confine fisso e assoluto. Insomma, quella linea poteva essere altrove. Scacciò il pensiero, quasi temesse che quel paragone tra l'orizzonte e la linea di confine tra bene e male potesse influenzare il suo punto di vista sull'accaduto, o sugli attori di quella tragedia. Valutare quelle variabili non spettava a lui, il suo compito gli era chiaro e lui, quel compito, l'avrebbe portato a termine.”
Writer Officina: In generale pensi di doverti documentare prima di scrivere una storia?
Franco Filiberto: Assolutamente sì, ho il terrore di scrivere cose inesatte e cerco sempre di documentarmi su ciò che devo raccontare. Nella maggior parte dei casi chiedo aiuto ad addetti ai lavori, leggo manuali e pubblicazioni o più semplicemente mi affido al web. A questo proposito ho un aneddoto che può chiarire meglio come la penso. In un mio libro c'è un particolare a prima vista irrilevante ma che diverrà, più avanti, un indizio importante per capire un aspetto essenziale di tutta la storia. Si tratta di una caramella rinvenuta, con una Tac, nella gola di un uomo ucciso brutalmente. Tutto funzionava alla perfezione ma all'ultimo momento mi è venuto un dubbio: una Tac può evidenziare una caramella? I pareri di addetti ai lavori ed esperti erano discordanti. Ho riflettuto sull'opportunità di eliminare la caramella incriminata ma poi, non volendo assolutamente rinunciare a quell'indizio, ho spiegato il problema ad un medico che ha eseguito l'esame strumentale sulla caramella che è, per mia fortuna, risultata visibile. Una Tac val bene la certezza di non scrivere cose inesatte! Almeno, credo. |
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