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Non sono mai stato qui
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Il giudice De Nittis è un uomo di grande esperienza, dedito alla sua professione e pacato nel modo di porgere. Alto e longilineo, ha una capigliatura scura leggermente imbiancata sulle tempie e due occhi neri e penetranti che mettono soggezione. Quando l'uomo fu introdotto nell'ufficio dalla sua segretaria, alzò lo sguardo dalla pratica che stava esaminando. «Prego, signor Boito, si accomodi.» Attese che il suo interlocutore si fosse seduto e aggiunse: «So che ha insistito molto per parlarmi. Suppongo si tratti di cosa importante e urgente.» L'uomo non disse niente e il magistrato aggiunse indicando i fascicoli che aveva sulla scrivania «Come vede sono molto occupato.» L'uomo con voce calma e misurata esordì: «L'urgenza è data dal mio stato di salute. Purtroppo ho una malattia che sta un poco alla volta distruggendo la mia capacità di ricordare e ho importanti informazioni su un caso passato in giudicato. Se me ne dà la possibilità, vorrei esporle i fatti così come avvennero. La verità emersa nel processo è completamente sbagliata.» «Mi dispiace per la sua malattia, mi dispiace molto. Di quale caso stiamo parlando, anzi, di quale caso vorrebbe parlarmi?» «Si tratta del caso Sereni. Aldo Sereni.» «Sereni? Il nome non mi dice niente. Forse se ne è occupato qualche collega...» «No, se ne è occupato lei o, per essere precisi, se ne è occupato in fase preliminare. È un processo di molti anni fa. Era il 1999.» «Il 1999? Sono passati più di vent'anni!» «È vero, ma spero voglia ascoltarmi lo stesso.» «Dio mio! Spero non creda che mi possa ricordare un caso di così tanti anni fa!» «Forse, parlandone, qualcosa si ricorderà. Ne sono certo.» «Mi scusi un momento,» disse il giudice alzando il telefono. «Signorina, ho bisogno urgente del fascicolo Sereni. È un procedimento molto vecchio. Dovrebbe essere del novantanove.» Riagganciato il telefono rimase un attimo a riflettere, poi chiuse il fascicolo che aveva davanti e disse: «L'ascolto.» L'uomo si schiarì la voce e iniziò il suo racconto: «Tutto ebbe inizio una notte di molti anni fa in un bar.» Giugno 1997
Il bar era avvolto nella penombra e il barista era intento a riordinare la sala. Un uomo era seduto al bancone e stava bevendo birra e gin, alternando le due bevande. Rifletteva sulla sua posizione. E beveva. Da qualsiasi angolazione guardasse la sua situazione, non vedeva una via d'uscita. Sparire, scappare lontano, cambiare vita e lasciarsi tutto alle spalle. Forse era l'unica possibilità ma non era assolutamente certo che la cosa potesse avere successo. Anzi. «Buonasera.» L'uomo si volse verso la voce proveniente dalla sua sinistra. Quando riuscì a mettere a fuoco, vide un tale che non aveva mai visto anche se non poteva esserne sicuro. Ma un tipo così, pensò, lo avrebbe certamente ricordato. Non era molto alto, capelli, quelli che rimanevano, arruffati sui lati e completamente assenti sulla sommità del capo. Gli occhi, dietro un paio di lenti circolari con una montatura sottile e scura, erano di un azzurro chiaro, vivaci e guizzanti. Vestiva con una giacca a quadri sopra un panciotto fantasia, camicia grigio scuro e un farfallino con motivi dai colori accesi. I pantaloni, color tabacco, sembravano troppo larghi per lui. Nel complesso aveva un aspetto che ricordava un imbonitore da fiera. «Ci conosciamo?» «Lei non mi conosce, non ancora, ma io conosco lei molto bene, signor Sereni.» «Come sa il mio nome?» «Gliel'ho detto, so molte cose di lei.» «Chi ti manda?» «No, no, signor Sereni. Non mi manda nessuno. Sono qui solo per aiutarla.» «Insomma, chi cazzo sei? Chi ti ha detto che ho bisogno d'aiuto?» «Se sta calmo e mi ascolta, vedrà che posso fornirle la soluzione al suo problema. Le dico solo un nome: Laudri. Ivan Laudri.» Sereni rimase muto e la sua espressione alternava meraviglia e paura. «È lui che ti manda? Puoi dirgli che...» L'uomo alzò una mano per fermarlo «No, mi creda, non mi manda nessuno. Il signor Laudri non l'ho mai visto» si affrettò a rispondere, calcando la voce sulla parola “signor”. Poi proseguì «Io sono solo un mediatore. Sappiamo che lei ha un problema e possiamo indicarle il modo di risolverlo. Tutto qui. Non mi aspetto che lei mi risponda subito. Ci pensi.» Con un sorriso rassicurante porse a Sereni un telefono cellulare e aggiunse: «La chiamerò su questo telefono tra due giorni. Se, dopo aver pensato bene a tutti gli aspetti della situazione, vorrà saperne di più, le darò un appuntamento e le spiegherò tutta la procedura, se invece deciderà di non farne niente, butti via il telefono e noi non ci incontreremo mai più. Le auguro una buona serata.» Un attimo dopo quel tipo strano aveva guadagnato l'uscita. Camminando veloce aveva girato l'angolo ed era salito su un'auto parcheggiata poco più avanti, aveva percorso le vie dietro la piazza e si era immesso nel traffico di viale Giuseppe Verdi. Ogni tanto guardava per sicurezza nel retrovisore anche se aveva forti dubbi che il Sereni potesse guidare con il tasso alcolico che aveva accumulato a furia di bere. A poco a poco riuscì a rilassarsi e un sorriso gli illuminò per un attimo il volto. Ora non rimaneva che aspettare, ma a quello era abituato. Aveva sempre aspettato. Un tempo infinito in attesa di questo momento. Già aspettare, aspettare ancora e ancora. E la mente volò lontano, indietro nel tempo. Quel ricordo era stampato in modo indelebile nella sua mente. L'inizio del tormento.
Poteva avere più o meno dieci anni. Si trovava a scuola ed era finito da poco l'intervallo. Rivide la bidella che entrava in classe e parlava a bassa voce con la maestra Paola, gli sguardi delle due donne verso di lui, la maestra che si avvicinava al suo banco e diceva «Vieni, c'è una persona che vuole parlarti.» Fuori, nel corridoio, c'erano due uomini in divisa e una donna che, appena lo vide, gli andò incontro e lo prese per mano. Andarono nella sala insegnanti. I due agenti rimasero sulla porta. «Ciao, mi chiamo Sara. Devo dirti una cosa ma tu devi promettermi di essere forte.» Lui faceva sì con il capo e la donna diceva: «Tua madre ha avuto un incidente e in questo momento si trova in ospedale. I medici stanno facendo tutto il possibile per farla stare meglio, ma ci vorrà un po' di tempo. Noi andremo ad aspettarla in un posto dove ci sono altri bambini. Vedrai, starai bene.» Le parole rimbombavano nella sua mente. “farla stare meglio, ci vorrà tempo, ci sono altri bambini”. Un incidente. Quale incidente? Lo sapeva che sua madre faceva qualcosa di sbagliato, lo sapeva perché la notte la sentiva rientrare tardi, alcune volte la mattina poco prima che lui si alzasse per andare a scuola. Un giorno l'aveva spiata dalla fessura della porta e l'aveva vista che traballava e cadeva accanto al letto. Lui si era precipitato ad aiutarla e lei, con la voce impastata, lo aveva scacciato. “Torna a letto, non è niente, sono solo scivolata” ma il respiro sapeva di alcol e di fumo. “Tua madre ha avuto un incidente” aveva detto quella donna. Forse era scivolata un'altra volta, ma l'ospedale... Non capiva bene, anzi, non voleva capire. Fece ancora sì con la testa, poi vomitò la colazione.
Fermò l'auto nella rimessa sotto il palazzo, varcò la porta frangi fuoco e salì la rampa di scale fino all'ascensore. Entrato in casa si lasciò andare sul divano, si tolse le scarpe e allungò le gambe sul tavolinetto da fumo. Due giorni passano in fretta pensò, certo in cuor suo che Sereni avrebbe risposto alla sua chiamata. «Pronto.» «Sì, pronto.» «Buonasera, sono contento che abbia deciso di non disfarsi del telefono.» «Mi ascolti, signor...» «Medì, mi chiami Medì.» «Bene, signor Medì, voglio essere chiaro, per ora ho deciso solo di ascoltare cosa ha da propormi. Quando mi avrà raccontato cosa intende fare, potrò dirle se la cosa mi convince.» «Certo, sono perfettamente d'accordo. Se per lei va bene, potremmo incontrarci questa sera alle undici sotto il monumento ai caduti. Sa dov'è?» «Sì. A stasera.» Medì, come aveva deciso di farsi chiamare, riagganciò, soddisfatto di come la cosa stava procedendo. Era un po' in ansia per paura che qualche piccola sbavatura potesse rovinare tutto il suo piano. Finì di bere la sua spremuta, tolse il cravattino e sbottonò il colletto della camicia, poi mise della musica, si buttò a peso morto su una poltrona e socchiuse gli occhi per lasciarsi trasportare da quella melodia.
Quel cravattino era ridicolo, lo sapeva, ma aveva deciso che per tornare a quel giorno doveva farsi forza e indossarlo. Scaramanzia, sciocca scaramanzia, anche questo lo sapeva. Tornò con la mente alla prima volta che ne aveva messo uno. Sara lo aveva aiutato a vestirsi. Giacca e pantaloni scuri, camicia e quello stupido farfallino nero. Gli altri bambini che lo guardavano cercando però di non incrociare il suo sguardo. Giovanni, il custode, aveva guidato l'auto fino al cancello, poi lui e Sara si incamminarono lungo il vialetto. Si fermarono accanto a una buca. Intorno c'era un capannello di persone, tre donne che non aveva mai visto, la signora Ardenzi che abitava nella casa accanto alla loro, un prete con un chierichetto e due uomini. Il prete aveva iniziato a parlare e tutti si erano fatti il segno della croce. Non capiva cosa stesse dicendo quel prete, ma sapeva cosa stava succedendo, lo sapeva perché aveva colto fra quelle parole cantilenanti il nome di sua madre, lo sapeva perché il suo cuore si fermò per un lungo attimo. Dopo pochi minuti i due uomini, sorreggendola con due corde, avevano calato nella buca la cassa di legno. Tutti gettarono un fiore nella buca e Sara ne dette uno anche a lui perché facesse lo stesso, ma lui sfilò la mano da quella di Sara e corse verso il cancello, corse più forte e più lontano che poteva, corse finché il cuore non si mise a martellare e il respiro sembrò sfuggirgli. Poi si sedette a terra e iniziò a piangere. In silenzio.
«Buonasera, signor Sereni.» L'uomo si voltò di scatto, quasi temesse un'aggressione, poi si dette un contegno e rispose «Buonasera, Medì, lei appare sempre così all'improvviso?» «Mi perdoni se l'ho spaventata, non era mia intenzione.» «Non mi ha spaventato, solo sorpreso» rispose Sereni che continuava a guardarsi intorno. «Bene, andiamo in quel bar così potremo parlare con calma» disse Medì, indicando un locale poco distante. Entrando Medì fece un cenno di saluto al barista e guidò Sereni verso un tavolo in fondo alla sala. I pochi clienti erano seduti sul davanti dove, dalle porte a vetri, si poteva vedere fuori. Si sedettero e poco dopo arrivò il barista per le ordinazioni. Mentre aspettavano Sereni osservò «Lei ha un aspetto strano, un po'...» «Stravagante?» «Sì, insomma, non è per criticare, ma si direbbe che lei si occupi di tutt'altro.» «Me ne rendo conto, mi creda, ma almeno nel mio caso può essere un vantaggio!» «Sì, credo di sì. Se lo dice lei...» Il barista arrivò e appoggiò sul tavolo le consumazioni. Medì pagò e l'uomo si allontanò con un passo strascicato. «Veniamo a noi» disse Medì. «Credo lei voglia sapere quale tipo di soluzione voglio proporle. La risposta è semplice: quella definitiva.» «Cosa significa?» «Significa che lei non dovrà più preoccuparsi di Laudri, significa che quei settecentomila Euro non dovrà più pagarli, che l'utile della sua azienda rimarrà a lei e, cosa a cui lei certamente tiene di più, lei resterà vivo.» Sereni rimase senza parole, si guardava intorno come a voler cercare una conferma a ciò che aveva sentito, ma il silenzio, sporcato a tratti da un lieve brusio proveniente dalla zona del bancone, non gli suggerì niente. Medì proseguì. «Eliminare una persona non è una cosa facile e molto di rado un fatto del genere rimane impunito, e sa perché? Perché esiste sempre un nesso fra chi compie l'atto e chi lo subisce. In fondo i motivi che spingono a quel tipo di soluzione, sono sempre gli stessi. Ci pensi, gelosia, denaro, potere e cose di questo genere. Nel suo caso, nonostante lei non sia l'unica persona ad avere buoni motivi per odiare Laudri, nel suo caso, dicevo, la prima persona che verrebbero a cercare sarebbe proprio lei.» «E questo, secondo lei, dovrebbe tranquillizzarmi? Complimenti, davvero un'idea geniale. Non pago, lo ammazzo, mi sbattono in galera e lì qualche amicone di Laudri ammazza me. Come avevo fatto a non pensarci!» «Mi faccia finire, non sarà lei e neanche un sicario a portare a termine l'operazione, ma una persona che non ha mai avuto a che fare con Laudri, che vive in un'altra città, che non ha alcun motivo per farlo. Una persona assolutamente insospettabile.» «E perché questa persona dovrebbe farlo al mio posto?» «Perché in un passato non molto lontano ha avuto bisogno di un favore simile e qualcun altro lo ha aiutato. Ora capisce perché le ho detto che sono un mediatore? Il mio compito è proprio questo: contattare le persone, spiegare le modalità e le clausole dell'accordo e sparire senza lasciare traccia. I vari componenti di questa... associazione, chiamiamola così, non si conoscono fra loro e non hanno alcun contatto.» «E tutto questo quanto mi costerebbe?» «Le costerebbe ventimila euro in contanti e l'impegno, qualora se ne presentasse la necessità, a rendersi disponibile per restituire il favore. Il vincolo ha la durata di due anni dopo di che si potrà considerare libero dall'impegno.» «E chi mi dice che non intaschiate i soldi senza fare niente? In fondo non so niente di lei, non so il suo vero nome, non so dove abita. Niente di niente!» «Lei pagherà a questione risolta e onorerà ogni clausola del contratto perché in caso contrario saremmo noi a dover chiedere un favore. Come può capire, questo sarebbe molto sgradevole.» Sereni rimase un po' a soppesare i nuovi aspetti della vicenda e Medì attese in silenzio che fosse l'altro a chiedere chiarimenti su quanto detto fin lì. «In ogni caso sarei uno dei principali sospettati...» «Ha ragione» rispose Medì. «Ma vede, noi faremo in modo che la cosa sembri un incidente. Ne accadono tutti i giorni, comunque, nell'improbabile e malaugurato caso che sospettassero di lei, le forniremo un alibi di ferro. Per maggiore sicurezza disporrà di due testimoni del tutto insospettabili pronti a giurare che, al momento dell'incidente, lei si trovava in altro luogo.» Ancora un lungo silenzio da parte di Sereni. «Mi rendo conto che si tratta di una decisione difficile, ma lei come me, sa che le vie d'uscita dalla sua situazione sono scarse per non dire nulle» disse Medì, che dopo aver bevuto un sorso della sua spremuta, riprese «Se, al momento non ha altre domande direi che un paio di giorni di tempo per riflettere dovrebbero essere sufficienti. La chiamerò allo stesso telefono, se deciderà di accettare passeremo alla fase esecutiva e analizzeremo ogni dettaglio, in caso contrario non ci vedremo più. Buona serata signor Sereni.» Uscito dal bar, Medì si avviò a passo spedito verso l'auto, fermandosi ogni tanto davanti a una vetrina per controllare di non essere seguito.
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Autori di Writer Officina
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Sono nato in Calabria, terra che ho lasciato con la mia famiglia alla tenera età di sei mesi. Ho fatto studi artistici e attualmente lavoro a Pisa dove svolgo l'attività di pubblicitario. Sono appassionato di paracadutismo ed immersione subacquea, amo i viaggi, l'arte, l'enigmistica, la lettura, il cinema, la fotografia e, più in generale, tutte le forme di espressione artistica. Coltivo con caparbietà e alterna perseveranza la passione per la scultura. Cerco di sfuggire con tutte le mie forze alla noia. Penso che ogni giorno debba segnare l'inizio di qualcosa di nuovo. Mi spiego meglio: sono convinto che non ci sia niente di peggio che lasciarsi assorbire dalle consuetudini. La routine è una delle peggiori nemiche della curiosità che è, a mio avviso, una dei più importanti propulsori della fantasia. Ho fatto molti mestieri, dal grafico pubblicitario all'ufficiale dei paracadutisti, ma potrei aggiungere il pittore, il creatore di monili ed altri ancora. Non c'è niente che accomuna queste attività se non la voglia di sperimentare cose nuove. Ho due figli ormai grandi, ho drasticamente ridotto gli impegni di lavoro e ho più tempo a disposizione per i miei hobbies. Mi piace conoscere persone diverse, fare nuove esperienze, mettermi alla prova. Insomma, a dispetto dei miei dati anagrafici, ho il fondato sospetto di essere ancora lontano dalla tranquillità dell'età matura, quella piena di saggezza e di abitudini, per intenderci. Vivo con mia moglie in campagna vicino a Pisa, ho un giardino piuttosto grande e due cani. Il mio sogno nel cassetto è che i due cuccioli smettano presto di fare buche ovunque.
Writer Officina: Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la letteratura?
Franco Filiberto : Non saprei proprio dirlo. Sin da ragazzino ero affascinato dalle storie scritte, dai mondi fantastici che quelle parole riuscivano a far immaginare, dalle avventure che prendevano vita e che sembravano così “vere”. Ma questo credo sia qualcosa di comune a molti lettori, specialmente se adolescenti. A quel tempo i soldi da spendere in libri erano veramente pochi e le biblioteche erano il modo più semplice ed economico per avvicinarsi alla lettura. Lo scrivere e nato poco a poco, prima con racconti brevi, poi con storie un po' più complesse, anche se gli uni e le altre erano destinati, nella migliore delle ipotesi, a rimanere in qualche cassetto o a coprirsi di polvere.
Writer Officina: Dopo aver scritto il tuo primo libro, lo hai proposto a un Editore? E con quali risultati?
Franco Filiberto: Sono arrivato alla decisione di tentare la pubblicazione di un mio scritto molto tardi e lo devo quasi esclusivamente alle insistenze di mia moglie. Finito di scrivere, letto e fatto leggere ad amici e conoscenti, ho inviato il manoscritto a un buon numero di editori, da quelli più grandi a quelli meno importanti evitando accuratamente quelli a pagamento. Dopo circa due mesi (a me è sembrato un tempo infinito) ho ricevuto la risposta da una casa editrice, piccola ma agguerrita, che mi ha proposto un contratto di edizione e pochi giorni per decidere. Ho firmato e il primo libro ha visto la luce. Tre mesi dopo ho ricevuto la richiesta da un editore più blasonato ma ormai il gioco era chiuso. Inutile dire che le case editrici veramente importanti non mi hanno risposto e le pochissime che lo hanno fatto hanno trovato il mio lavoro “molto interessante ma non in sintonia con la loro linea editoriale”.
Writer Officina: Ritieni che pubblicare su Amazon KDP possa essere una buona opportunità per uno scrittore emergente?
Franco Filiberto: Credo di sì. Per carattere non amo molto i vincoli (i contratti editoriali ne sono pieni) e KDP consente all'autore di essere, almeno in buona parte, il gestore del proprio lavoro. A coloro che obiettano che KDP non fornisce gratuitamente editing, correzione bozze e altro vorrei far notare che moltissimi piccoli editori non hanno la forza di fornire realmente questi servizi (che spesso millantano) e certamente la promozione, vero punto dolente per gli autori che si affidano a piccole case editrici, è molto più efficace su KDP. Insomma, nonostante io mantenga contatti e collaborazioni con un editore piccolo ma intraprendente e leale, credo che il self publisching sia una via da percorrere per molti autori in attesa, se mai avverrà, che una grande casa editrice si faccia viva.
Writer Officina: A quale dei tuoi libri sei più affezionato? Puoi raccontarci di cosa tratta?
Franco Filiberto: Sono molto affezionato a un thriller dal titolo “La mossa del gambero” pubblicato con Arpeggio Libero Edizioni. È una storia molto intensa che parla dell'odio di un bambino che non trova pace e perdono per lunghi anni e cerca solo vendetta, una vendetta che arriverà in età adulta e che purtroppo riuscirà solo a far nascere altro odio e altre morti. La storia raccontata in questo libro, sequel di “Le ali sulla pelle”, fa parte di un progetto che vede come protagonisti il commissario Pandolfi, l'ispettore Niccolini ed altri che i miei lettori conoscono già e che presto ritroveranno in una nuova avventura.
Writer Officina: Quale tecnica usi per scrivere? Prepari uno schema iniziale, prendi appunti, oppure scrivi d'istinto?
Franco Filiberto: Sono refrattario a ogni tipo di impostazione e non ho simpatia per scalette e schemi. Parto da un'idea che quasi sempre corrisponde alla scintilla che innesca gli eventi che costituiscono la spina dorsale della storia. Quando, dopo molti ripensamenti, variazioni e adeguamenti mi convinco che la trama può “reggere”, inizio la stesura e aggiungo personaggi e fatti man mano che procedo. Arriva un momento nel quale si ha la sensazione che i personaggi inizino a decidere da soli, si muovano secondo il carattere e le peculiarità che ho creato per loro, insomma, sembra che vivano di vita propria. Da quel momento in poi tutto scorre più veloce e senza intoppi o ripensamenti.
Writer Officina: Per i personaggi hai fatto riferimento – magari in parte – a persone reali oppure sono solo frutto della fantasia?
Franco Filiberto: I miei personaggi nascono quasi esclusivamente da persone reali, persone che conosco o che ho avuto modo di osservare da vicino. Prendo pezzetti di carattere, qualche fissazione, piccole porzioni di gusti e propensioni e li impianto sul personaggio che devo creare, un po' alla Frankenstein, per capirci. Per alcuni anche il nome è rimasto lo stesso. Per esempio il colonnello Nizzoli che fornisce preziose informazioni al commissario Pandolfi esiste davvero e ha un carattere molto simile a quello del personaggio che ho raccontato nel thriller “Le ali sulla pelle” così come la giornalista Tiziana Sicuro, presente anche ne “La mossa del gambero”, nella realtà è una mia cara amica. Altro discorso quando la storia trae spunto da fatti realmente accaduti come nel giallo investigativo “Zic, il misterioso caso del graffitaro scomparso” nel quale, almeno per alcuni personaggi, ho cercato di essere il più possibile fedele alle caratteristiche delle persone reali mentre per gli altri mi sono affidato alla fantasia.
Writer Officina: Cosa c'è di te nei tuoi romanzi?
Franco Filiberto: Sono convinto che ogni autore, volente o nolente, metta qualcosa di sé, della sua vita, delle sue esperienze e delle sue convinzioni nelle storie che scrive. Io non faccio eccezione, così molto spesso, riflettendo su alcuni punti di vista dei miei personaggi, ho riscontrato evidenti analogie col mio modo di pensare. Insomma, più o meno consciamente ho ritagliato piccoli frammenti di me e li ho trasmessi ad alcuni dei miei personaggi.
Writer Officina: Puoi farci un esempio o darci una citazione di un tuo romanzo che ritieni possa rispecchiare un aspetto del tuo carattere?
Franco Filiberto: Potrei farne molti ma a questo, tratto da “La mossa del gambero”, sono particolarmente affezionato. Ho sempre avuto grande stima delle persone che preferiscono avere dubbi, che chiedono a sé stessi la capacità di valutare con serenità e rigore le cose che accadono intorno a loro senza affidarsi a delle certezze che spesso si rivelano miopi e ottuse. Anche il mio commissario Pandolfi sembra pensarla in modo simile.
“Si fermò a riflettere su quanto odio, quanta malvagità avesse aleggiato intorno a lui durante quell'indagine, di quanta perversione fosse stato testimone nei mesi trascorsi e anche quanta pena avesse provato per quelle vite bruciate. Pena, orrore, sconforto, necessità di giustizia: sentimenti forti e contrastanti che si rincorrevano nella sua mente, che tentavano di confondere e sbiadire la sua linea di confine fra il bene e il male. Gli venne in mente suo padre quando cercava di spiegargli le variabili sulla linea di orizzonte. Lui era un bambino e la rotondità della Terra, l'altezza del punto di osservazione, la limpidezza dell'aria erano concetti che non riusciva a capire completamente. Capì solo che quella linea, che lui vedeva distintamente, in realtà non era lì per tutti, non era un confine fisso e assoluto. Insomma, quella linea poteva essere altrove. Scacciò il pensiero, quasi temesse che quel paragone tra l'orizzonte e la linea di confine tra bene e male potesse influenzare il suo punto di vista sull'accaduto, o sugli attori di quella tragedia. Valutare quelle variabili non spettava a lui, il suo compito gli era chiaro e lui, quel compito, l'avrebbe portato a termine.”
Writer Officina: In generale pensi di doverti documentare prima di scrivere una storia?
Franco Filiberto: Assolutamente sì, ho il terrore di scrivere cose inesatte e cerco sempre di documentarmi su ciò che devo raccontare. Nella maggior parte dei casi chiedo aiuto ad addetti ai lavori, leggo manuali e pubblicazioni o più semplicemente mi affido al web. A questo proposito ho un aneddoto che può chiarire meglio come la penso. In un mio libro c'è un particolare a prima vista irrilevante ma che diverrà, più avanti, un indizio importante per capire un aspetto essenziale di tutta la storia. Si tratta di una caramella rinvenuta, con una Tac, nella gola di un uomo ucciso brutalmente. Tutto funzionava alla perfezione ma all'ultimo momento mi è venuto un dubbio: una Tac può evidenziare una caramella? I pareri di addetti ai lavori ed esperti erano discordanti. Ho riflettuto sull'opportunità di eliminare la caramella incriminata ma poi, non volendo assolutamente rinunciare a quell'indizio, ho spiegato il problema ad un medico che ha eseguito l'esame strumentale sulla caramella che è, per mia fortuna, risultata visibile. Una Tac val bene la certezza di non scrivere cose inesatte! Almeno, credo. |
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