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Autore: A.S. Twinblack
La cacciatrice
Thriller Erotico
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La cacciatrice
Quest'umano mondo
è il regno del caso e dell'errore,
i quali senza pietà vi imperano,
nelle grandi come nelle piccole cose;
e accanto a quelli agitano
inoltre, follia e malvagità, la sferza.
-Arthur Schopenhauer-

Dalla balconata del Luxor, Max fissava la rossa seduta sullo sgabello. La massa di riccioli fluenti, che le ricadevano sulle spalle, sembravano lingue di fuoco danzanti. Più li guardava, più fremeva dalla voglia di farci scorrere in mezzo le dita.
Appena entrato nel locale l'aveva notata subito e, da quel momento, era diventata il suo chiodo fisso. Aveva continuato a tenerla d'occhio mentre si dirigeva, in compagnia di Rudy e Lara, verso l'area dei privè, dove erano ad attenderli gli altri amici. Si era fermato a chiacchierare con loro per alcuni minuti, poi li aveva seguiti in pista, dove aveva ballato per circa un'ora. Ma per tutto il tempo non aveva fatto altro che pensare a lei, alla donna con i capelli rossi seduta al bancone del bar.
A un certo punto si era deciso. Senza farsi notare, si era allontanato ed era salito di nuovo nella zona dei privè. Da lì avrebbe potuto osservarla meglio e controllare se fosse in compagnia di qualcuno, un partner geloso per esempio. Non gli andava di beccarsi un altro pugno, magari dritto in faccia, questa volta.
Si toccò la spalla al ricordo dell'energumeno che una settimana prima, in un altro locale, gli aveva mollato un cazzotto mentre faceva il cascamorto con una morettina. La ragazza era minuta, ma con due tette grosse che sembrava stessero per saltarle fuori dalla scollatura, e lui non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso. Le aveva parlato, sforzandosi di guardarla in faccia e con la frenesia di palpare tutta quella grazia di dio, una volta rotto il ghiaccio. Invece aveva ricevuto una brutta sorpresa. All'improvviso, mentre stava per sfiorarle un seno con la scusa di rimuovere un ragno - la cui presenza in una discoteca era alquanto improbabile, ma che come scusa funzionava sempre - gli era arrivato un bel cazzotto sulla schiena che lo aveva spostato in avanti. Il dolore era stato lancinante, da lasciarlo senza fiato per qualche secondo. Furente, si era voltato pronto a contrattaccare il bastardo che lo aveva colpito, ma si era trovato di fronte una sorta di gigante alto circa un metro e novanta, testa rapata e due bicipiti che scoppiavano sotto una t-shirt nera a mezze maniche. Sembrava un toro inferocito, con le narici dilatate e lo sguardo rabbioso. E come se ciò non bastasse, dietro il terribile Hulk erano spuntati altri due bestioni con lo sguardo torvo, il naso schiacciato e una gran voglia di allenare i pugni su di lui.
Max aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo, e subito dopo aveva assunto un atteggiamento di finta tranquillità, mentre dentro fremeva di frustrazione. Quindi, aveva sollevato le braccia in segno di resa e si era allontanato tra gli sghignazzi di tutti.
- Che figura di merda - disse sottovoce, ripensando alle risate che si era fatta quella cretina, quando lo aveva visto andar via con la coda tra le gambe.
Max non era un vigliacco, ma affrontare quei tre sarebbe stato come per un Chihuahua fronteggiare un Pitbull incazzato. In due minuti gli avrebbero frantumato le ossa riducendolo una polpetta umana.
Un pensiero improvviso spazzò via quel ricordo. E se la rossa seduta al bar non fosse stata una femmina al cento per cento? Dalla sua postazione poteva vederla solo di spalle e non era in grado di capire.
Una volta gli era capitato di avere un'esperienza piuttosto sgradevole con una pseudo femmina. Era stato conquistato dalla bellezza di lei. Aveva due gambe chilometriche, e due tette e un culo perfetti, troppo perfetti, aveva scoperto dopo, al tatto. Ma la sorpresa peggiore era stata quando aveva allungato la mano tra le sue gambe. Anziché labbra lisce e scivolose, si era ritrovato tra le dita un'appendice di carne semi rigida, che non gli era piaciuta proprio per niente.
Anche quella volta aveva fatto una colossale figura di merda perché, a quanto pareva, i suoi amici sapevano chi fosse Valery, la bella e bona Valery. Quei bastardi, si erano goduti lo spettacolo di lui che limonava con lei su un divanetto della discoteca. E si erano fatti grasse risate quando, a un certo punto, lo avevano visto schizzare via, come una molla, con la faccia schifata.
Max si appoggiò alla balaustra lanciando un'occhiata in giro. Era venerdì sera e la sala era gremita di gente. A quanto pareva venire a ballare, per molti era il modo migliore per scaricare la tensione di una settimana di lavoro.
Un uomo attirò la sua attenzione. Era giovane, più o meno sulla trentina, e si stava avvicinando al bancone del bar. Max fece una smorfia di delusione, vedendo che il tipo puntava diritto verso la rossa. L'incedere da super macho dava l'idea di uno molto sicuro di sé e del suo fascino da seduttore. Un paio di jeans strappati gli fasciavano le gambe muscolose e leggermente arcuate. Probabilmente un calciatore dilettante, pensò Max. Una t-shirt di colore bianco che, sotto le lampade di Wood accecava gli occhi a guardarla, gli fasciava i pettorali e i bicipiti gonfi, mettendo in risalto una carnagione bronzea frutto, certamente, di numerose lampade Uva. Un ciuffo di capelli biondi, tinti, gli scendeva disordinato sulla fronte, dandogli un aspetto sbarazzino che sembrava stonare con tutta quella massa di muscoli.
Con un sorriso da ebete stampato in faccia, l'uomo si era avvicinato alla donna e aveva preso posto sullo sgabello vicino.
- Ecco qua, ti pareva! Pure la rossa ha la guardia del corpo - borbottò Max seccato. - Non assomiglia all'incredibile Hulk, però ho l'impressione che un cazzotto me lo darebbe lo stesso, se mi trovasse a ronzare attorno alla sua donna. -
Deluso, stava per tornarsene nel privè quando vide ciuffo biondo alzarsi dallo sgabello e andare via, contrariato. A quanto pareva non era l'accompagnatore della rossa. Perciò la strada era libera.
Max sorrise soddisfatto mentre si staccava dalla balaustra, ma quando stava per scendere il primo gradino, vide un altro uomo che, a passo spedito, si dirigeva verso la donna.
Senza dubbio, la rossa era una preda molto ambita.
Il tizio indossava un abbigliamento casual e aveva un aspetto giovanile, ma a guardarlo meglio sembrava piuttosto su con l'età. Forse sulla cinquantina o più, con il volto gonfio di botox e un parrucchino in bella mostra sulla testa. Si vedeva lontano un chilometro che si trattava di una protesi, un'aggiunta ai pochi capelli che madre natura, beffarda, gli aveva lasciato a mo' di coroncina da un orecchio all'altro.
Max fece una smorfia di commiserazione. Trovava patetici e ridicoli gli uomini che cercavano di fermare il tempo. Lui non avrebbe mai fatto quella fine. Lui si sarebbe tenuto rughe e chierica... No, la chierica magari no. Piuttosto, se li sarebbe rapati a zero.
Continuò a osservare la coppia ancora per qualche minuto. A un certo punto parrucchino-botox mise un braccio sulle spalle della rossa e si voltò a guardare in su, verso la balconata. Con la coda dell'occhio Max vide un altro uomo affacciato alla balaustra accanto alla sua. Vestito di nero e con un paio di occhiali scuri, se avesse voluto confondersi nella notte, pensò Max, avrebbe dovuto mettersi una parrucca anche lui per nascondere la pelata chiara. Scintillava sotto le luci, per quanto era lucida. Il tipo aveva fatto un debole cenno di assenso con il capo all'altro giù al bar e poi era rientrato nel privè.
Forse la rossa è una escort e parrucchino-botox sta solo pattuendo la cifra, pensò Max. Dopo l'avrebbe accompagnata dal pelato, e magari avrebbero fatto sesso in tre.
Li osservò ancora per qualche secondo, poi, sbuffando, voltò le spalle alla coppia e tornò a sedersi. Prese il drink che aveva lasciato sul tavolino e ne bevve un sorso. Ormai era diventato caldo, ma con quello che lo aveva pagato non lo avrebbe di certo lasciato lì.
- Che schifo! -
Ne bevve ancora, mentre si guardava attorno. Non era solo. Su un divano in fondo alla saletta, vide Lara che pomiciava con un tipo mai visto. Doveva averlo rimorchiato prima, mentre ballava. Il tizio, che sembrava avere la sua stessa età, ventiquattro anni, stava cercando di sbottonarle i pantaloni, ma ogni volta che lui posava la mano sul davanti dei jeans, lei gliela allontanava.
A Max venne da ridere, osservando quella scena. Quante volte gli era capitato di vivere una situazione simile: morire dalla voglia di scopare con qualcuna e restare, invece, con un due di picche in mano.
Si accigliò quando vide che il ragazzo, a un certo punto, la stava spingendo con forza contro lo schienale del divano, intenzionato, forse, a prendersi di prepotenza ciò che voleva.
Allora si alzò di scatto, e in pochi passi li raggiunse.
- Hai bisogno di aiuto? - domandò ad alta voce rivolgendosi all'amica.
Appena si accorse di lui, Lara arrossì violentemente e spinse con forza il ragazzo, scrollandoselo di dosso. L'altro, con il viso stravolto dall'eccitazione, la mandò a quel paese dandole della - zoccola stronza - . Poi, infuriato, abbandonò la scena e, passandogli vicino, lo urtò di proposito con una spallata.
- Prima o poi qualcuno ti violenterà - fece notare all'amica. - Li fai arrapare come tori da monta e poi li lasci a bocca asciutta. -
Lara lo fissò accigliata per qualche secondo e sbottò. - Non capisci un cazzo! - gli disse mentre si alzava dal divano.
- Ah, io non capisco un cazzo? Sei tu che sei una psicopatica - replicò Max, seccato. - Vai a far del bene... -
La ragazza lo mandò al diavolo e corse via lasciandolo a parlare da solo. - Prima o poi incontrerai qualcuno che ti farà la festa, dai retta a me - le ribadì gridandole dietro. - Io non ci sarò sempre a farti da angelo custode. -
C'era un bel po' di casino nel locale, ma il suo vaffa Max lo sentì molto bene. Andava sempre a finire così tra loro. La conosceva da un anno e mezzo e non era mai riuscito a tenere in piedi una conversazione con lei, senza farla uscire fuori dai gangheri. Non capiva perché gli rispondesse sempre incazzata, anche quando lui si dimostrava gentile ed educato.
Tornò al tavolo e tracannò il resto del drink, poi si avviò verso la scalinata che portava al piano terra. Mentre scendeva, guardò di nuovo verso il bar. Vuoto. La donna dai capelli rossi non c'era più. Doveva essere andata via da poco, perché il barman non aveva ancora rimosso il suo bicchiere dal bancone.
Max spostò lo sguardo verso il centro della sala alla ricerca di Rudy. Si rese conto che sarebbe stato piuttosto difficile individuare l'amico in mezzo a quella bolgia scalmanata, e ancor meno aveva voglia di gettarsi nella mischia per cercarlo.
- Ehi, stronzi! Bevete latte se non reggete i superalcolici - gridò a due ragazzi che lo avevano urtato alle spalle facendolo quasi cadere. I due lo ignorarono e corsero giù per le scale, ridendo. Lui li guardò accigliato e riprese a scendere, indolente.
Era una serata no per Max. Si sentiva nervoso e annoiato.
- E pensare che non avevo nemmeno voglia di venire a ballare - mormorò tra i denti. - Ma Rudy, quando ci si mette, è logorante. Uno scassa palle come pochi. Mi ha chiamato tutti giorni per una settimana. -
E, comunque, non capiva perché l'amico si ostinasse a volerlo con lui in discoteca se appena riusciva ad accalappiare qualcuna, si eclissava lasciandolo solo. E la cosa accadeva con una certa frequenza.
Si guardò in giro, ma di Rudy neppure l'ombra. E anche Lara era sparita. Allora decise che se ne sarebbe andato senza avvertire nessuno.
Fece per dirigersi verso l'uscita, ma si fermò grattandosi la testa con disappunto. Pure lui doveva aver bevuto troppo, visto che si era dimenticato di essere venuto con l'auto di Rudy ed essere, quindi, appiedato.
Sbuffò e tornò indietro.
- Vado a farmi un altro drink. È meglio - borbottò seccato.
Si avviò verso il bar, distratto dal pensiero dell'articolo che avrebbe dovuto scrivere il giorno dopo. Un servizio sulla partita di pallavolo femminile di serie B. Una noia mortale, per lui che desiderava occuparsi di cronaca nera. Ma non c'era niente da fare, il caporedattore non voleva dargli altre possibilità, non per il momento, almeno. Se voleva restare a lavorare in quel giornale doveva occuparsi di sport.
Il dramma era che a lui dello sport non importava proprio niente, soprattutto di quello di massa. L'unica nota positiva era che, almeno, il giorno dopo avrebbe visto un bel po' di tette e di culi.
Prese posto sullo sgabello davanti al bancone e, nel farlo, urtò con il ginocchio il suo vicino di posto.
- Mi scusi - disse Max con tono dispiaciuto, voltandosi nella sua direzione.
Sgranò gli occhi per la sorpresa. La rossa, con i riccioli fiammanti, era di nuovo lì e, a quanto pareva, era sola. Max trattenne il fiato per qualche secondo, aspettandosi una reazione. Intanto, il desiderio di raccogliere quei lunghi capelli in una mano e tirarli con forza, mentre da dietro affondava nel suo corpo, stava diventando un'ossessione. Ma da come la donna si stava comportando, restandosene lì, immobile e senza dire una parola, Max capì che non aveva proprio intenzione di dargli un'opportunità.
La rimirò meglio. Il vestito che indossava, nero e aderente, le arrivava sotto il ginocchio, le maniche lunghe le coprivano le braccia per intero e sul davanti la scollatura rotonda metteva in evidenza i seni. Ai piedi calzava un paio di scarpe con il tacco vertiginoso, di colore rosso, e la borsetta, abbinata, la teneva poggiata sul bancone vicino al bicchiere.
Max scrutò con attenzione il profilo del seno, per sincerarsi che fosse vero. Da quando aveva avuto quella sgradevole esperienza col trans, le siliconate le scartava a priori. Quello che stava vedendo, però, sembrava un seno di taglia media, morbido al tatto, e se fosse stato fortunato lo avrebbe verificato a breve.
Tuttavia la donna aveva l'aria di tirarsela assai, manco ce l'avesse per orizzontale e tempestata di diamanti preziosi. Max conosceva bene quei tipi. Bastava che sentissero odore di soldi e l'avrebbero sbattuta in faccia al primo riccone lardoso, vendendosela molto cara.
Con lui però cascava male... malissimo.
Fece una smorfia di rammarico pensando al suo conto in rosso, e si rigirò verso il bancone. Per lui, le possibilità di fare sesso con una donna così erano pari a zero. Sicuramente si trattava di una escort, una di quelle prostitute d'alto bordo da cinquecento euro, minimo. Alta mignotteria, insomma.
Si girò di nuovo a guardarla. Però, cazzo, se gli piaceva. Le rosse gli facevano ribollire il sangue. E pure quelle scarpe... Solo quelle le avrebbe lasciato addosso, se fosse riuscito ad averla sotto di sé.
Max si agitò sullo sgabello mentre una fantasia porno stava prendendo forma nella sua mente.
Ritentò di nuovo. - È un vero peccato lasciare sola una bella donna. - Alzò la voce per farsi sentire meglio.
L'altra non rispose e neppure si girò a guardarlo.
- Come ti chiami? - continuò lui, mentre con la mano faceva cenno al ragazzo del bar di avvicinarsi.
La rossa bevve un sorso dal bicchiere. Non una parola, né un mugugno, e tanto meno un gesto qualsiasi che gli facesse capire di essersi accorta di lui.
- Per me un Long Island - chiese Max rivolto al barman, - e per la signora un... - Si interruppe voltandosi verso di lei, in attesa della risposta che non arrivò. - Un altro di quello che sta bevendo - concluse con un mezzo sorriso.
- Allora, non vuoi dirmi come ti chiami? - le domandò, ancora, sporgendosi verso di lei e abbassando volutamente il tono della voce per renderlo più sensuale. A volte, con certe donne funzionava. Gli dicevano che la sua voce somigliava a quella di Luca Ward. Il doppiatore di Russel Crowel in Il Gladiatore, per intendersi.
Nel mentre si lanciò una rapida occhiata alle spalle. Il timore che parrucchino-box, o qualche altro scimmione focoso, sopraggiungesse con aria bellicosa a rivendicare i diritti sulla bella rossa non lo abbandonava.
Lei avvicinò le labbra alla cannuccia, ignorandolo. Aspirò un lungo sorso, e subito dopo prese a disegnare pigramente il bordo del bicchiere con le dita. L'attenzione di Max fu catturata da quei polpastrelli il cui movimento lo fece pensare a una carezza fatta sulla pelle liscia di un'altra parte del suo corpo. Gli pareva quasi di sentirli, e un calore improvviso gli si addensò nel basso ventre.
Si infilò la mano destra nella tasca dei jeans e cercò di sistemare l'uccello che cominciava a stare stretto. Poi prese il cocktail dalla mano del barista. Ne bevve quasi la metà, tutto di un fiato. Era con molto ghiaccio, come piaceva a lui. Quindi, poggiò il bicchiere sul bancone e tornò a fissare la donna. Era così piena di sé da non degnarlo neppure di uno sguardo, un comportamento, quello, che lo mandava in bestia.
Finì il resto del drink e fece per scendere dallo sgabello. Non sarebbe rimasto lì a fare la figura del morto di figa che sbava dietro a un culo e a un paio di tette. Ma quando poggiò il piede a terra, la voce calda di lei lo inchiodò sul posto, come se un lazo infuocato gli avesse avvolto i lombi facendolo prigioniero.
- È importante? - rispose la rossa con lo sguardo fisso sulle bottiglie di liquore riposte sulle mensole di fronte. Stringeva il bicchiere con la mano sinistra, mentre con le dita dell'altra continuava ad accarezzarne i contorni.
Max si soffermò a guardare le unghie lunghe laccate di rosso. Pensò al piacere che avrebbe provato nel sentirle graffiargli la schiena e infilarglisi nei glutei, mentre si spingeva tra le sue cosce aperte. Quello sì che sarebbe stato un delirio, non la lingua di Luana, la ragazza che la sera prima aveva conosciuto in un altro locale e che si era limitata a baciarlo.
Contento, Max riprese posto sullo sgabello, intenzionato a portare avanti la trattativa che gli avrebbe permesso di realizzare la sua fantasia. Il ghiaccio era finalmente rotto, segno che avrebbe avuto buone possibilità di portarsela a letto, e mentalmente si sfregò le mani in segno di soddisfazione.
- Beh... sì. Voglio sempre sapere come si chiamano le donne con le quali faccio sesso - continuò con aria spavalda.
Lei chinò la testa, e i lunghi capelli rossi le ricaddero davanti al volto, celandone in parte il sorriso.
- Chi ti ha detto che voglio fare sesso? E con te, per giunta? - aggiunse la donna con tono vivace.
- Tesoro, ma tutto di te dice che è quello che vuoi. E io so come farti godere. -
- Ah, sì? - proseguì girandosi verso di lui.
Max ebbe un sussulto e la rossa scoppiò a ridere.
Due iridi azzurro chiaro tempestate di pagliuzze dorate lo abbagliarono come la luce di un fulmine che squarcia il cielo scuro. Il make-up perfetto, con l'eyeliner scuro sulle palpebre e l'ombretto colorato, le conferiva un aspetto vagamente orientale e il rossetto rosso acceso colorava le sue labbra carnose e lisce dando risalto alla carnagione chiara.
Senza distogliere lo sguardo, Max fece un cenno al ragazzo indicandogli il bicchiere vuoto, e quello si affrettò a portargli un altro drink.
- Hai degli occhi stupendi - esclamò Max con ammirazione.
Lei sorrise. - Grazie. -
In realtà era stupenda, tutta. Era talmente stregato dalla bellezza di quella donna che era rimasto senza parole. Improvvisamente si sentì come quando da bambino, Flora, la sua compagna di banco in seconda elementare, gli aveva posato un bacio leggero sulle labbra e gli aveva sussurrato: - Ecco, ora siamo fidanzati - ed era rimasta a fissarlo con gli occhi dolci. Lui era arrossito per l'imbarazzo. Il tutto era avvenuto davanti al resto della classe e lui non aveva saputo cosa replicare.
A quei tempi non era certo spigliato come adesso, e Flora lo aveva capito subito. Tant'è vero che, dopo nemmeno mezz'ora era, andata a baciare sulle labbra Giorgio, il quale però, anziché restare fermo come un ebete, le aveva restituito il bacio.
Max si schiarì la voce e proseguì: - Stavamo dicendo? -
- Stavi dicendo che tu sai come farmi godere. - E mentre pronunciava quelle parole, la rossa poggiò il piede a terra e si diede una spinta per far girare lo sgabello.
Max se la ritrovò di fronte in tutta la sua bellezza.
- Già - replicò lui carezzandole il corpo con lo sguardo, - e credo che anche tu sappia come far impazzire un uomo. -
- E cosa te lo fa credere? - chiese ancora la donna tornando ad accavallare le gambe.
Lo spacco laterale del vestito si aprì, rivelando l'alto merletto dell'autoreggente e un lembo di pelle bianco latte che gli fece guizzare l'uccello. Lei lo fissava con un luccichio negli occhi, che Max interpretò come espressione di eccitazione sessuale. A quel punto, non solo si sfregò le mani, ma si leccò anche le labbra con compiacimento. Quella sera avrebbe fatto sesso e sarebbe stato anche del gran sesso, a giudicare dalla donna che aveva davanti. Perché quella era una donna al cento per cento, ne era sicuro.
- Tutto. Tutto quello che sei - le disse soffermandosi sui seni e sulla coscia scoperta. - Sembri la dea del sesso. -
- Davvero? -
- Sì, davvero. Tutti gli uomini qui dentro stanno guardando te. Non te ne sei accorta? -
La donna si girò attorno con noncuranza.
- Non mi pare. Mi sembra che tutti siano occupati a divertirsi, a... -
- No, tutti stanno sbavando per te - la interruppe lui, incalzante.
La donna scoppiò in una risata, gettando la testa all'indietro. I lunghi capelli si mossero come onde increspate del mare e il loro profumo gli colpì i sensi.
- Qui l'unico che sta sbavando per me, sei tu - replicò lei tornando a fissarlo con decisione.
Max scosse la testa. - No, no... Tutti hanno gli occhi puntati su di te. Hanno una gran voglia di vedere cosa porti sotto quel vestito attillato. - Fece una pausa soffermandosi a guardare l'abito scuro che le aderiva sui fianchi e sui seni, dove i capezzoli turgidi spingevano contro il tessuto. - Scommetto che non porti niente - ipotizzò col sopracciglio ammiccante. E si sporse leggermente in avanti verso la scollatura generosa, come a voler verificare.
- Tu che ne dici? - Lei socchiuse gli occhi mentre si chinava di poco verso di lui per consentirgli una vista migliore.
Max avvertì l'uccello fremere e allargò leggermente le gambe, sistemandosi meglio. - Io dico che non porti niente. -
- Uhm... e scommetto che muori dalla voglia di scoprirlo - gli disse lei con voce bassa e sensuale.
Non smetteva di fissarlo e Max si sentiva incendiare sotto quello sguardo predatore.
- Mmmm... beh... non mi dispiacerebbe affatto - rispose agitandosi sullo sgabello.
L'eccitazione lo rendeva nervoso. L'erezione prepotente lo obbligava a tenere occupato il cervello con l'immagine di lei, nuda e gemente sotto di sé. Dio, quanto avrebbe voluto piegarla con la faccia sul bancone e prenderla da dietro, tenendola ferma con quelle spire di fuoco strette tra le mani. E scoparla davanti a tutti, per farle sparire quell'espressione altezzosa e sicura dalla faccia.
La rossa bevve ancora un sorso dal bicchiere, quindi lo poggiò sul bancone vicino al drink che le aveva ordinato lui, poco prima. Poi dischiuse leggermente la bocca e si leccò il labbro superiore con lentezza, senza mai smettere di guardarlo.
Max la fissò ipnotizzato. Desiderava sentire quella lingua da un'altra parte. La immaginò passare e ripassare sulla pelle serica del suo membro.
Deglutì con forza. Quindi afferrò il terzo Long Island della serata e lo buttò giù tutto d'un fiato.
- Allora, perché non vieni a costatarlo di persona? - aggiunse lei con tono suadente. E scese dallo sgabello.
Era fatta!
- Come ti chiami? - le chiese Max mentre scattava in piedi alla stregua di un bambino cui è stato concesso di andare a scartare il regalo di Natale prima della mezzanotte del 25 dicembre. Di solito erano le ventenni a tallonarlo cercando di attirare la sua attenzione e lui non si tirava mai indietro, ma fremeva di gran lunga per la rossa che gli sculettava davanti e che doveva essere vicina ai quaranta.
- Artemis. -
- Artemis? Un nome insolito. -
Secondo Max era un nick che la donna si era dato per svolgere l'antico mestiere. Era sicuramente una escort.
- Sì, insolito - rispose lei, suadente.
- Comunque, ti avviso. Io non ho soldi. - Max ritenne che fosse meglio mettere subito le cose in chiaro per evitare sgradevoli sorprese, dopo.
Pregò affinché lei non ci ripensasse, ora che sapeva di avere a che fare con uno spiantato. Al massimo le avrebbe potuto dare una ventina euro, ma una tipa come quella, con venti euro ti diceva solo buonasera. E a lui sarebbe costato non poco rinunciare a quel corpo che gli stava mandando in pappa il cervello.
La rossa si girò a guardarlo. La sua espressione gli sembrò confusa, così si affrettò a chiarirsi. - Beh... cioè... se vuoi soldi in cambio di... -
Lo sguardo gelido della donna lo mise in imbarazzo. Forse si era sbagliato, e quindi ora, offesa, lo avrebbe mandato al diavolo. Ma per fortuna la rossa sorrise.
- I soldi non sono necessari - gli annunciò riprendendo a camminare
Max tirò un sospiro di sollievo e riprese a seguirla.
- Artemis, eh? Come la dea della caccia? -
Si teneva a breve distanza, il tanto che gli permetteva di guardarla ancheggiare sui tacchi vertiginosi. Si accorse che, in effetti, non portava nulla sotto, e i glutei sodi si muovevano liberi da ogni costrizione. E più quelli si muovevano, più il suo uccello faceva loro eco, gonfiandosi e pulsando. L'erezione iniziava a farsi dolorosa.
- Forse... - replicò lei dirigendosi verso l'uscita.
- Perché non andiamo in bagno - suggerì Max impaziente. E l'afferrò per il braccio. - Nessuno baderà a noi. A quest'ora sono tutti fatti. -
- No, mi piace stare all'aperto - asserì lei liberandosi dalla stretta.
- Ma fuori fa freddo. Sono insieme ad amici... - si giustificò. - Non ho la mia macchina. Andiamo nella tua? - le propose speranzoso.
Era impaziente di possederla, ma era pure un tipo freddoloso e a quell'ora, fuori, la temperatura era vicina allo zero.
- Ma come? Uno caldo come te non dovrebbe avere problemi - insinuò Artemis con ironia.
- Ho l'uccello caldo, anzi, bollente, ma... -
- Vuoi vedere o no se sotto sono nuda? - lo interruppe Artemis, seccata. Si era voltata e lo fissava con sguardo intenso.
- Sì, voglio anche toccarti, e voglio che mi tocchi. E visto che gelerò, mi scalderai tu - concluse Max ridendo.
- Vedremo... -
Artemis varcò l'ingresso e Max la seguì distanziandola di pochi passi. Anche quando ebbe la possibilità di affiancarla, appena furono sul piazzale antistante, non lo fece, perché voleva ammirarla. Non le staccava gli occhi di dosso. Osservava il movimento sensuale di quei glutei che a breve avrebbe strizzato tra le mani.
Da quanto non gli capitava una donna così affascinante? Una donna con la D maiuscola? L'unica che gli era rimasta impressa era la zia Grazia, sorella gemella della mamma. Non era proprio una bella donna, non una di quelle che se le incontri per strada ti giri a guardarla. Non una come Artemis, per intendersi. Però aveva una sensualità innata che traspariva dalla voce e dai gesti più banali. Quando andava a far loro visita, si accomodava sul divano del salotto e accavallava le gambe, facendo risalire di poco la gonna corta. Quello era il momento in cui il suo uccello imberbe da dodicenne scattava sull'attenti. Quindi si sedeva su una poltrona facendo finta di leggere un libro, ma in verità guardandola di sottecchi in attesa del movimento successivo che gli avrebbe permesso di vederle le mutandine.
Max seguì la rossa verso l'uscita del locale e poi in un angolo semibuio dell'ampio parcheggio sul retro. Non si sfiorarono, nessuno dei due pronunciò una parola, entrambi con l'urgenza di soddisfare le proprie voglie.
Artemis si fermò vicino a un Suv nero, a ridosso di una siepe di alloro. Si appoggiò con la schiena alla portiera laterale e lo afferrò per il bavero del giaccone. Lo baciò con impeto, sembrò quasi un assalto, come se la pantera avesse spiccato il salto e fosse piombata, famelica, sulla sua preda.
Cazzo! Aveva ragione lui sulle rosse. Tutti a prenderlo per culo, e invece era vero che erano più focose delle altre femmine.
Max rispose con altrettanta passione. Le mangiò le labbra con foga, ma presto abbandonò la bocca per scendere sul collo e verso i seni. Li strinse con forza e li scoprì, tirando con decisione la scollatura verso il basso. Le succhiò i capezzoli con avidità mentre le mani correvano nervose lungo il corpo. Aveva la frenesia di chi, a digiuno da lungo tempo, viene messo davanti a una tavola imbandita con i cibi più succulenti. Voleva assaggiare ogni recondito lembo di pelle di quella donna. Certo, avrebbe preferito di gran lunga farlo su un comodo letto, ma per il momento si sarebbe accontentato di una sveltina di conoscenza. Poi si sarebbero scambiati i numeri di telefono e si sarebbero rivisti. Una seconda volta o più, fin tanto che la ricerca del piacere li avrebbe accomunati. Niente di più. Niente relazioni. Max non era tipo da rapporti duraturi. Sentiva di essere ancora troppo giovane per accasarsi. Non era dello stesso pare sua nonna, però, che gli ripeteva spesso: - Tuo nonno a trentun anni era sposato e aveva già due figli. - - Ma quelli erano altri tempi, nonna. -
La rossa lo lasciò fare, senza partecipazione. Max, in balia del desiderio, allungò la mano fino all'orlo del vestito, e stava per sollevarlo quando lei lo fermò.
- Aspetta... -
- Che c'è? - domandò lui interrompendosi. - Mica c'avrai ripensato? Ho l'uccello talmente in tiro che tra un po' mi scoppia. -
- Voglio che ti inginocchi. -
Lui la guardò sorpreso e si mise a ridere.
- Ma che cazzo dici? -
- Voglio che ti inginocchi - ripeté lei con voce seduttiva. - Voglio venire sulla tua lingua. -
Lui la fissò ancora per qualche secondo. Voleva farsela leccare? Beh, l'avrebbe accontentata. Tutte le donne con cui era stato gli avevano detto che era bravissimo nel cunnilingus. La verità era che si adoperava in modo appassionato per farle godere. Procurare l'orgasmo a una donna lo faceva sentire potente e lo eccitava da morire.
- Qui? - le domandò dubbioso.
- Sì, qui. -
- Ma potrebbero vederci. Almeno saliamo in macchina. -
- E allora? Non dirmi che ti vergogni. -
- Certo che no - rispose convinto, ma non si mosse.
In verità un po' si vergognava. Se i suoi amici lo avessero sorpreso in quel parcheggio, in ginocchio, con la faccia immersa nella fica di quella rossa, lo avrebbero deriso per settimane.
La guardò perplesso, poi scosse la testa ridendo.
- Sei una maialina... -
- E a te piace... - replicò Artemis.
Lui la fissava e lei continuava ad ammaliarlo con gli occhi fascinosi.
- Sì, mi piaci. -
Lo sguardo di lui era torbido. Ormai era in suo potere.
- Inginocchiati! - gli ordinò ancora lei, mentre si tirava su il vestito con lentezza.
Max obbedì. Era eccitato, e il desiderio era l'unico dolore che sentiva, perciò la ghiaia appuntita sotto le ginocchia non lo preoccupò.
- Sei bellissima! - esclamò, totalmente catturato da quel triangolo glabro.
Lei gli accarezzò il capo infilandogli le dita tra i capelli e tirandoli con leggerezza.
- Aprila per me. - Era impaziente. Gli tremava la voce.
Artemis gli sorrise sorniona. - Prima leccami i piedi... -
- Cosa? - Max era sbigottito.
- Leccami i piedi! - Il tono di lei fu duro, come duro era il suo sguardo.
Lui la fissò tra le gambe e scosse il capo. Capì che se voleva scoparsela avrebbe dovuto obbedirle. Quindi si chinò, poggiando le mani a terra per sorreggersi, ma non prima di essersi dato una rapida occhiata intorno. Che figura di merda se qualcuno lo avesse visto.
Con la lingua le lambì prima la parte superiore delle scarpe, poi arrivò alla pelle ricoperta dalla seta delle autoreggenti. Si soffermò per qualche istante sul dorso, poi risalì ancora, lungo la gamba.
Era la prima volta che faceva una cosa del genere. A letto era abituato più a comandare che a ubbidire. Per lui quella era una pratica inusuale, anzi, in realtà non l'aveva mai contemplata tra le sue fantasie erotiche ma, a quanto pareva, il suo amichetto stretto nelle mutande sembrava gradirla assai.
Artemis si mosse lentamente per allargare le gambe. Con le dita si aprì le labbra lisce e grondanti, pronte ad accoglierlo lì dove l'avrebbe mandata in orbita. Fu lei ad avvicinarlo a sé, afferrandogli i capelli e spingendogli con forza la faccia sulla fica aperta.
- E ora fammi venire! -
Max iniziò a lambire con lentezza, ma presto aumentò il ritmo, fermandosi ogni tanto a suggere il clitoride turgido, mentre con le mani le ghermiva i glutei.
La rossa controllava i fremiti che la pervadevano e roteava i fianchi, aprendosi con le mani meglio che poteva. Venne dopo pochi secondi, con un movimento convulso del bacino e soffocando i gemiti di piacere.
Max sollevò gli occhi per guardarla, rosso in viso e con le labbra e il mento ricoperti degli umori di lei.
- Grazie. - La donna gli rivolse con un sorriso malizioso.
- Prego! - esclamò lui con tono ironico, continuando a fissarla.
Era sorpreso. Non gli era mai successo che qualcuna lo avesse ringraziato per averle procurato un orgasmo. - Ora però tocca a te - aggiunse con un ghigno di eccitazione sulle labbra.
- No - disse lei mentre si risistemava il vestito.
- Come, no? -
Max era sconcertato. A trentuno anni ne aveva avute di esperienze, ma non gli era mai capitato di avere a che fare con un tipo simile, imprevedibile e inusitato.
- La buona educazione vuole che ci si scambino i piaceri, e quindi ora tocca a te farmi godere - tenne a precisare.
- Ti ho detto di no. Non voglio. -
Max era tesissimo a causa dell'eccitazione e per niente intenzionato a lasciarla andare. Era infastidito dall'arroganza della donna. Si sentiva d'essere stato usato e la cosa non gli piaceva affatto.
- Eh no! Non esiste che mi lasci così. -
Fece per rialzarsi, sporgendosi in avanti, ma una forte ginocchiata, inattesa come un fulmine a ciel sereno, lo fece ricadere sull'asfalto.

A.S. Twinblack

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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