
Eravamo rimasti al mio ingresso in questo "universo parallelo" che chiamiamo comunità. Beh, c'è stato un "piccolo" fuori-programma: Covid 19. Isolamento da ormai 8 maledetti/benedetti giorni. Perché questa ambivalenza di significato, sia intrinseco che ed estrinseco? Ho paura. Vorrei...ma non vorrei. Mi annoio. Vorrei provarci ma allo stesso tempo mollare tutto. Considero come non considero me stessa un qualcosa, o forse un niente. Forse nessun posto è congeniale e disposto alla mia inettitudine: probabilmente non sono. Punto. O meglio, "esisto" e non vivo; c'è un'enorme e sottostimata differenza tra la passività di "esistere" e lo slancio dionisiaco del "vivere". A voi la scoperta (anche perché sto' cazzo di virus mi sta facendo sentire come un'ameba all'apoteosi della sua flaccidità, e quindi non scriverò molto). Comunque, se il titolo di questa nuova "pagina/virgola nell'oceano suggestivo delle scritture" è "Il vortice", un motivo ci sarà no!? Ebbene, il vortice, annoso e tuttora presente nella mia vita psichica, è una metafora che rappresenta l'enorme, ingarbugliato ed inquietante nugolo brulicante dei miei pensieri cosiddetti "negativi" (appellativo coniato per giunta dalla Guaritrice parziale). Lei afferma, nel suo rassicurante stoicismo, che non devo, o comunque devo provare, a non farmi risucchiare dal vortice dei miei pensieri, che, in questi tempi, sono equiparabili a dei dardi avvelenati e a delle "bocche di lupo" da Prima Guerra Mondiale. Ma è difficile e faticoso: nonostante l'utilizzo da parte mia di questi due aggettivi, non basterebbe l'intero vocabolario per descrivere in maniera almeno sufficiente la complessità e la ferocia del mio dolore. E poi, la Guaritrice parziale (nonché le sue ancelle) continuano a dirmi che questi miei pensieri sono sbagliati e non posseggono la men ché minima e logica ragione. Tuttavia, nonostante il "coro" ambientale esterno mi continui a dire che non è colpa mia, che è tutta un mio illogico ed inutile meccanismo che va in loop, io (o almeno una massiccia parte della mia psiche), continua ad affermare con forza che "è il mondo a sbagliarsi sulla mia persona". In altre parole, nessuno capisce chi io sia davvero: maligna, incline a portare una diabolica zizzania fra le persone che mi vogliono bene e che io amo, inutile e fine a se stessa. Il "fantastico colibrì"? Beh, lui prova ad indicarmi la strada verso la serenità spirituale e psicologica, così tenero e gioviale com'è. Guarda caso, ciò che mi sussurra all'orecchio è affine a tutti i pensieri altrui, che ruotano attorno a me. Auspicano ad accoppiarsi fra loro peggio di una figurina che si appiccica all'album. Ma che razza di storia è!? L'unico punto fermo nella mia attuale situazione mentale, è che devo e voglio uscire da quest'incubo infernale, in un modo o nell'altro. E penso anche che attuare in un prossimo futuro il mio masterplan, sia la soluzione più adeguata (si, mi sto auto- convincendo). Ma ho una paura matta...anzi svalvolata. Mah...voglio crederci...qualcosa però mi inculca un mantra: “È' tutto inutile ciò di positivo che stai attuando!". Non voglio azzardarmi a concludere questo mio soliloquio, citando Battisti. Quindi non scriverò quella frase speranzosa: "Lo scopriremo solo vivendo". Era giusto per intenderci...
Mi sono trasportata in un altro dove e in un altro quando: il mio essere, cosciente e consapevole, si è come assentato, entrando ad impersonare me, in un'altra dimensione. Tutto ciò, mentre il mio essere così presente, in termini materici, si trovava in tutt'altro luogo. “Tutto scorre” affermava Eraclito. Se c'è un assioma che ho applicato alla mia esistenza (passiva esistenza), è che niente della mia persona, neppure una singola molecola genetica, ha il coraggio e la propensione a cambiare, sia nel tempo che nello spazio. Ciò che affermo, in poche parole di sintesi, è che, unicamente, barbaramente e radicalmente, non cambierò mai nella mia indole significativa; mai muteranno le misure delle mie capacità di modificare chi e cosa mi circondi. Sì, il mio fenomeno, raro, strisciante e sussurrato, non tenderà a modificare il presente, ma, forse, è proprio la sua staticità, che, piano piano (simili agli anelli di risonanza che si formano negli specchi d'acqua, al lancio di una pietra) contribuirà nell'apportare, in primo piano, a cambiare, invertire le cause con le conseguenze, provocando anche delle vere e proprie “reazioni a catena”. A volte, penso ed entro nei meandri della mia mente, così segnata e puntellata da fossi profondi e caverne spaventose, e mi pongo tanti quesiti; è questa la mia realtà cognitiva? O, piuttosto, ciò a cui ho pensato fino a questi ultimi anni, non è stata solo una menzogna, stucchevole come una brioche alla Nutella e falsa come i sorrisi di coloro che fanno le cameriere nei bar malvolentieri? Ebbene, questo apparentemente cogitare, trova nella mia coscienza un senso, una direzione. Questa per me è la vera filosofia della vita umana; mettere tutto in discussione, lasciando che il fenomeno dell'antitesi ci “prenda per mano”, trasportandoci nella logica, unica per ognuno di noi.
La teoria sopra citata può risultare “filo-pirandelliana”, ma è quello che penso e provo. Avanti. Anche se il mio pensiero globale, inerente alla totalità della mia persona e la coscienza, in tutte le sue luci e le sue ombre, risulta far breccia nel suicidio, come unica soluzione per terminare sofferenze sbalorditive come gli occhi spiritati di una civetta e glorie non meritate, c'è una timida suggestione di “colibrì”; questa, intende far riaffiorare e coltivare il “decumano” della gioia di vivere; ormai ibernato e affollato di crepe sanguinose, quest'ultimo apprezza il suo intervento come un lattante a cui viene fatto il solletico.
Adesso...pareva calma piatta Il languire sommesso di quello specchio tanto oleoso, quanto cristallino che era il mare, cadeva precipitando come una candida piuma nel fondo del fondo del mio cuore, ormai stanco e martoriato da fenomeni già esposti nei precedenti capitoli, e ancora vividi e brucianti nel mio animo; irti e prepotenti come intricati e stringenti rovi. La mia atmosfera e il mio stato d'animo, si confondevano e ballavano fra le sfumature cangianti di quella perla incandescente che era protagonista nel celebre dipinto di Monet. Troppo tempo avevo passato quel pezzo di vita (o meglio di non- vita) dietro ad una sporca trincea; troppo dolore e troppa rabbia erano cresciute al mio interno e avevano bendato i miei occhi, alterandone la percezione sensoriale. Ma davvero la faccenda aveva trovato una soluzione di continuità, finendo in un inquietante “niente”? La forza, il dolore, la paura si trovavano ora come degli orribili ramarri che si ritraggono al momento in cui arriva il buio nelle notti d'estate; adesso, sembrava che quel periodo, carico di orrori e manie e tronfio di un amore viscerale per la morte, si fosse improvvisamente dileguato nella nebbia più fitta del “tutto”. Strano. Pensavo, anzi sapevo, che quella rappresentava solo un fermo immagine della mia sofferenza, completa di tutti gli aspetti e di tutte le concause che la caratterizzavano; in quello strano periodo diciamo così “silente”, fra i suoi innumerevoli aspetti bizzarri, ce n'era uno che emergeva più degli altri. Ciò era la sensazione e la mia “voglia” di provare brutte sensazioni e brutti pensieri. È giusto così, io devo stare male per punirmi. E, soprattutto, perché se non sto male non sono più io”. Probabilmente questo macabro “mantra” di vita potrebbe risultare alquanto strano ed esagerato nell'arrivare allo scopo descritto, ma per me funzionava proprio così: identificavo la mia persona con quell'immane e insuperabile dimensione di dolore; tutto ciò, ormai, non solo apparteneva al mio cielo, era anche diventato oggetto di una “fusione panica” che comprendeva la totalità (interna ed esterna) della mia persona, insieme, appunto, alla tetra porzione di cieco universo che si era legato al suo cuore, come un palloncino. Ora penserete:” Se sta male non vuole stare male, se sta bene non vuole stare bene. Che cavolo vuoi.?” Non è per niente semplice da spiegare: il dolore, per me, si identificava come la totalità emotiva e sentimentale che albergava nella mia anima, io ero quel dolore e quel dolore era me.
Cristina Girgenti
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