
«Immagina perché è qui?» chiedo, guardando il suo viso. «Per Sonia, ho letto la notizia sul giornale. Mi è dispiaciuto molto, l'ho vista l'ultima volta circa tre settimane fa, ma ci sentivamo spesso, anche più volte al giorno, per motivi di lavoro» risponde con aria tranquilla, le mani sulle ginocchia e la testa inclinata indietro, come se fosse poggiata allo schienale. «Quando ha conosciuto la vittima? Si occupa di sistemi antintrusione, com'è iniziata la collaborazione con la Guadalupi?» «Ci siamo conosciuti quattro anni fa. Era il periodo più brutto della mia vita e non sapevo su cosa indirizzarmi per vivere.» «Cosa le è successo? È stato licenziato?» «No. Stavo iniziando a ingranare con il lavoro, come elettrotecnico sistemavo impianti di videosorveglianza, citofoni e anche allarmi per le abitazioni. Non tutti capiscono la mia passione per il calcio, ai tempi ero a capo degli ultrà rosanero e dopo una rissa sono stato allontanato dallo stadio con un provvedimento del giudice. Ho incontrato Sonia mentre giravo per i locali a ubriacarmi. Non so cosa abbia visto in me, però mi propose di entrare in affari con lei, finanziandomi l'apertura di un'attività tutta mia con delle somme che avrei restituito mese per mese. All'inizio pensavo scherzasse, poi ci siamo incontrati nei giorni seguenti e mi ha fatto comprendere il suo progetto, in cui la futura impresa che avrei gestito si sarebbe occupata degli impianti elettrici delle agenzie immobiliari del network. Era una donna entusiasta e coinvolgente, alla fine è riuscita a convincermi.» «Quindi ha aperto la ditta di assistenza tecnica con i soldi della signora Guadalupi, e poi? Ha avuto fortuna o ha dovuto chiudere?» «Sonia aveva visto giusto, il lavoro non mi mancava, addirittura ho assunto due collaboratori perché con il passaparola i negozi che si rivolgevano a me erano sempre di più. Ho restituito il prestito dopo un anno, prima di quando avevamo concordato.» «Avete mai litigato? Aveva motivo lei di provare risentimento per la vittima?» Vorrei disturbare l'esposizione tranquilla di Bruzzone, che rimane seduto con il corpo adagiato sulla poltrona. «Sì, tante volte, ma non ho mai nutrito risentimento. Quando Sonia mi ha conosciuto, vagabondavo da un locale all'altro in cerca di un bicchiere di liquore. Lei mi ha portato in quei gruppi di ascolto per persone alcolizzate con lo scopo di uscire dalla dipendenza e non si è fermata, mi ha anche procurato un progetto in cui credere. Le sono stato sempre riconoscente, anche se non condividevo molte sue decisioni lavorative.» Mi guarda negli occhi e chiude le labbra in una smorfia. «Avete avuto una relazione?» «No.» Sorride divertito. «Non penso che fossi il suo tipo. Per me è stata una sorella, più volte mi sono chiesto il reale interesse di Sonia per me. Dopo mesi non sono sicuro della risposta che posso dare, forse cercava una persona disperata, come ero io, che si mettesse in gioco nel progetto senza alcuna riserva, insomma che vedesse l'opportunità di creare un'impresa come il riscatto per la propria vita.» «Guadalupi ha creduto nella sua determinazione.» «Sì, vado per esclusione, non potevo darle nient'altro.» Mi guarda negli occhi. «Va bene, per oggi ho rubato troppo del suo tempo.» «Ho posticipato tutti gli impegni di un'ora per potere essere qui. Non vorrei arrivare in ritardo.» «Un'ultima domanda. Dove si trovava tra le cinque e le sette di venerdì pomeriggio 3 aprile?» Riesco a bloccarlo mentre si ricompone per alzarsi. «Il venerdì accompagno mio figlio all'allenamento di atletica allo Stadio delle Palme. Partiamo da casa alle quattro e mezza, così da poter iniziare alle cinque. Io inganno il tempo facendo qualche tiro al campo di pallacanestro.» «Grazie, abbiamo davvero finito.» «A disposizione, se avesse qualche dubbio mi ricontatti.» Mi stringe la mano con fermezza, si volta e il corpo viene trasportato dalle gambe verso la porta. Sergio fa capolino dalla porta ed entra. «Un bel tipo l'uomo appena uscito. Che impressione ti ha fatto? Potrebbe avere ucciso Sonia?» Rimane in piedi con le mani ingombre di fogli. «Sì, potrebbe, se avesse un movente. Quindi lo dobbiamo cercare, il movente passionale al momento è escluso, i movimenti di denaro sono legati all'attività dell'agenzia.» «Per continuare gli interrogatori, il signor Giovanni Casadio ci aspetta a casa sua, qua vicino a ridosso di piazza Sturzo, a Borgo Vecchio» mi avvisa Sergio. «Hai fame? Prima di raggiungere l'appartamento, passiamo dal panellaro, spezziamo la dieta con un panino panelle e crocchè.» Sostenuto dal desiderio del panino, faccio un balzo dalla sedia e arrivo alla porta. Anche l'ispettore sorride e stringe le labbra come se già mordesse il pane. «Ottima programmazione, lascio le carte a Elvira e andiamo.» La giornata non è primaverile, si sta bene con la giacca, ma il cielo è coperto da nuvole nere che annunciano temporali. Il coffe-break sul tema street-food è archiviato, rimangono le mani unte, e un senso di soddisfazione che fra mezz'ora lascerà il posto ai sensi di colpa. «Prendi le salviettine umidificate.» Porgo la busta all'ispettore. Arriviamo davanti al portone d'ingresso e guardo i cognomi sui citofoni ma non trovo Casadio. Sergio finisce di pulirsi le mani e si accorge della mia attesa. «Devi bussare Martorana, lo ha specificato al telefono.» Scatta la serratura e apriamo il portone, ci troviamo in un androne con le scale che salgono. Raggiungiamo l'appartamento al piano di sopra e un uomo sui quarantacinque anni, trascurato nell'aspetto, ci aspetta per farci accomodare. Ha pochi capelli e quelli rimasti fanno capolino sopra la testa. Occhi chiari, ciglia folte e inarcate sul naso, carnagione chiara, barba incolta e brizzolata. Indossa un pigiama blu a fantasia, di cui si vedono i pantaloni, e sopra porta una giacca da camera color cammello, stirata e in ordine. Le ciabatte sono di gomma e non fanno sentire il rumore dei passi. Ci accomodiamo nel salottino entrando sulla sinistra. «Non si sente la confusione della strada. La casa è prossima a un cortile interno?» chiede Sergio, per ridurre la diffidenza nei nostri confronti. «Sì, le finestre si affacciano su un pozzo luce.» Le sopracciglia si cristallizzano sopra gli occhi, con lo scopo di spaventare i rompiscatole... come noi. «Come ha conosciuto Sonia Guadalupi?» Resto in attesa della risposta e lui mi sorride, chiude gli occhi e porta il capo indietro per poi tornare a guardarmi. «Ho vissuto una storia d'amore con Sonia, circa tre anni fa. Ci siamo conosciuti in crociera, lei era partita da sola, mentre io lavoravo come cuoco. Un lavoro pesante, ma ben pagato. Capii subito che era una donna che voleva essere consolata.» «Quanto è durata la relazione?» chiedo. «Io facevo in modo di far coincidere le ferie con la sosta al porto di Palermo. Potevo stare con lei solo una settimana ed era fantastico. Dopo un anno di questa vita, decisi di lasciare il lavoro a bordo e stabilirmi qui, dove potevo vedere sempre Sonia. Lei mi promise che avrebbe lasciato il marito per vivere con me. Ma non fu così. Il lavoro veniva prima di tutto per lei. Sembrava che dovessi elemosinare il suo tempo per amarci come prima. Non lo potevo accettare, così la lasciai, rimasi in città, arrangiandomi a lavorare nei locali della ristorazione.» Termina il discorso e punta gli occhi sul pavimento e lascia cadere le braccia tra le gambe, sembra che non voglia più parlare, ma io incalzo con un'altra domanda: «In questi ultimi mesi l'ha richiamata spesso, abbiamo la traccia sui tabulati telefonici. Stavate di nuovo insieme?» chiedo. «No, sono stato io a chiamarla. Non mi interessava lei, ma i suoi soldi. Il proprietario del ristorante dove lavoro vuole vendere l'attività per raggiungere i suoi figli emigrati in Germania. Io conosco l'ambiente e i clienti, è un ottimo affare, ma con i miei risparmi non riuscivo a comprare la gestione. Ho pensato di chiedere un prestito a Sonia, era l'unica che mi poteva aiutare, ma lei non mi ascoltava, diceva che in questo momento aveva bisogno di denaro liquido e non poteva fare alcun prestito.» «Vi siete rivisti a casa, voleva farle credere che poteva ricominciare la relazione, poi dopo l'ennesimo rifiuto a concedere il prestito, la rabbia ha avuto il sopravvento e l'ha strangolata» concludo. «No, ma che sta dicendo!» Fissa i miei occhi, sorpreso. La voce è diventata forte e senza alcuna incertezza. Le mani, che finora avevano giocherellato con la cintura della giacca da camera, si aggrappano ai braccioli della poltrona. C'è un accenno del busto ad avvicinarsi a noi, ma viene controllato e si adagia alla poltrona. «La odiavo, è vero. Mi aveva rovinato l'esistenza facendomi credere in una vita insieme. Ho lasciato le crociere per lei, il minimo che potesse fare era aiutarmi in questa opportunità.» Le mani prima si uniscono, strofinandosi, poi, quasi a sostenere le parole, si posizionano sotto il mento. «Dov'era il pomeriggio del 3 aprile scorso tra le diciassette e le diciannove?» «A casa. Dove potevo essere? Il pomeriggio dormo perché lavoro tutta la notte al ristorante. Mi alzo verso le sei, mi faccio la doccia, mi vesto e vado al locale.» «Era solo a casa? Non c'è nessuno che può confermare che lei fosse a casa?» insisto, nonostante lo sguardo penetrante del Casadio, che poggia la schiena alla poltrona e incrocia i piedi per mettersi più comodo. «No. Lei vede qualcuno? Vivo solo, una volta a settimana viene un ragazzo che fa le pulizie.» «Domani passi in commissariato per firmare il verbale» precisa Sergio, che è rimasto in disparte osservando prima la mia faccia e poi quella dell'interrogato. «Direi che per oggi basta così. Buona giornata.» «Grazie» pronuncia a denti stretti. Scendiamo le scale, abbassando la testa per evitare il soffitto basso. Esco dal portone e tiro un sospiro mentre in testa mi si ripropone la conversazione appena terminata. «Cosa non ti convince?» chiede l'ispettore. «Giovanni Casadio parla della sua vita in cui si sono alternati alti e bassi, forse influenzati dalla vittima. Quest'ultimo periodo dovrebbe essere positivo, lavora e ha l'opportunità di avviare un'attività per conto proprio. Eppure hai visto la trasandatezza di casa sua, ma anche come si è presentato. Non per un fatto estetico, ma se capisci che è un momento costruttivo della tua vita, vuoi apparire sempre in splendida forma.» «Ma la sua disorganizzazione vale come alibi o come indizio di colpevolezza? Potrebbe essere il suo modo di vivere» mi contraddice Sergio. «Ha trascorso buona parte della sua esistenza in mare, cerca ancora un focolare domestico che non è riuscito a realizzare.» Anche lui rimane con lo sguardo verso il basso e con le sopracciglia aggrottate. «Ho capito, Freud. Cerchiamo i fatti, controlliamo se è andato tutti i giorni al ristorante e la posizione finanziaria personale.» Ci avviamo verso piazza G. Verdi, breve sosta al caffè del Massimo e poi in ufficio.
Massimo Armenia
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