
Chi scrive è Circe, una ragazzina che, nel giorno del suo quattordicesimo compleanno, trova sul davanzale della finestra della sua cameretta una piccola scatola di forma rettangolare. Ipotizza che si tratti di un regalo, visto che è la sua festa. Scarta quindi il suo pacchetto e, con una certa sorpresa, trova una penna stilografica. Lei nemmeno sa come si usi una penna stilografica e non ha idea di chi possa averle fatto un regalo di quel tipo. La guarda girandosela fra le mani e le basta qualche secondo per capire che le piace. Nessun biglietto accompagna il regalo e sulla carta strappata non c'è nemmeno il nome del negozio in cui è stato comprato. Decide che scoprirà dopo chi ha avuto quell'idea insolita e intanto si siede alla scrivania, intenzionata a provare la sua nuova penna. La guarda ancora un po' e poi apre la scatolina in dotazione, estrae una delle cartucce, quella verde, e la inserisce. Prova a scrivere, ma graffia solo il foglio del quadernone. A quel punto sta quasi per lasciar perdere quando una goccia di inchiostro verde macchia la pagina, passando anche sul secondo e sul terzo foglio. Comincia quindi a scrivere sul quarto foglio, quello pulito, apprezzando la scorrevolezza dell'inchiostro sulla carta. Prende presto confidenza con la nuova penna, che sembra conferire rotondità alla sua grafia. Una parola dietro l'altra, attingendo dai suoi ricordi, da ciò che gli altri le hanno raccontato di lei e, chissà, forse anche dalla sua fantasia, scrive la storia dei suoi primi quattordici anni, consumando non solo le quattro cartucce verdi, ma anche quelle blu e quelle nere. La mia nascita Sono nata a casa pochi minuti prima di mezzanotte. Era inverno inoltrato e fuori nevicava. La stanza era tiepida e il verde tenue delle uniche quattro lampadine accese accresceva il senso di calore di quell'ambiente in cui anche gli oggetti erano pronti ad accogliermi. Dalla finestra senza tende, il buio appariva attenuato per via dell'incessante e lento fioccare della neve. Le condizioni erano quelle ideali per l'arrivo di una figlia primogenita che, ahimè, presto si sarebbe rivelata ben diversa da come era stata immaginata, e da come può essere tutto sommato un neonato. La prima in assoluto a essere colpita dal mio aspetto, proprio impressionata, fu colei che era lì per aiutare la mamma in quel momento delicato e che per questo mi ebbe sotto gli occhi nello stesso istante in cui mi presentai al mondo. Era la signora Diamantina, una levatrice bassa e occhialuta che di bambini ne aveva visti nascere a decine, o forse a centinaia, ma è più sicuro a migliaia. No, ma che dico? A migliaia di migliaia! Talmente tanti che neanche lei avrebbe saputo dire con precisione quanti. Le sue mani avevano accolto bambini con gli occhi chiusi, asciutti o bagnati, con gli occhi socchiusi, asciutti o bagnati e con gli occhi spalancati, opachi o lucidi.
Bambini senza i capelli ma anche bambini con i capelli, e con capelli di ogni tipo e qualità. Lisci lisci come la seta, lanosi, annodati, come vermicelli, come piccole o grandi spirali, come una scopa, come i raggi del sole o come le spine di un riccio, di mare e di terra. Bambini rugosi, bambini squamosi e finanche bambini con il corpo cosparso di bolle. Bambini albini, bambini bianchi bianchi, bambini bianchi, bambini giallognoli e bambini color cioccolato: alcuni del colore del cioccolato al latte, altri di quello del cioccolato fondente. Per non parlare, poi, dei lineamenti! Milioni di combinazioni che mai potresti elencarle tutte. E anche a provarci, ne dimenticheresti senza dubbio più di qualcuna. E ancor prima di pensare alle combinazioni, già le caratteristiche di ogni parte di volto, prese a una a una, sono un'infinità. Pensa, per esempio, al naso. Nasi di tutte le forme e misure, con narici piccolissime o narici gigantesche. E pensa al volto. Volti allungati e volti come pagnottelle; volti squadrati e spigolosi. E le gote? Gote sporgenti e gote incavate, ma anche gote regolari o difformi. Le orecchie! Ehm, quelle sì che fanno un po' ridere. Orecchie a punta, a cuore, a fiore e a trifoglio. Qualche volta a ventaglio o a paracqua. Non dimentichiamo gli zigomi! Come biglie grosse o piccole: enormemente grosse o esageratamente minuscole. E zigomi appiattiti o vagamente inesistenti. E che dire delle fossette gemelle sulle guance e di quella unica sul mento? Alcuni addirittura, volendo esagerare, ne avevano anche due in quella parte del volto, perfettamente allineate, come quelle di qualche attore americano. Altri – la maggior parte – ne erano totalmente sprovvisti. Lasciamo perdere, perché di questo passo si può non finire più. Era solo per dire che ogni singolo bambino, a quella brava donna, era apparso diverso dagli altri, senza che questa o quella caratteristica l'avesse mai minimamente turbata. Non a caso, nei suoi lunghi anni di attività, si era meritata il rassicurante appellativo di Donna Imperturbabile, e tutte le partorienti di Pozzosorpresa non volevano altra levatrice che Diamantina: per la sua imperturbabilità appunto, oltre che per l'impareggiabile destrezza. È anche vero che, essendo già anzianotta, aveva pensato di trovare delle eredi e ultimamente stava formando alcune giovani appassionate di questo mestiere, giusto un paio. Una volta pronte, proprio quando lei sarebbe stata troppo avanti con gli anni, avrebbero potuto proseguire la sua stessa onorata attività. Al momento però, anche se animate da buona volontà, le ragazze erano troppo inesperte per far fronte, da sole, a una nuova nascita; ragion per cui, davanti a Diamantina, si prospettavano altri lunghi anni di prestazioni a partorienti e nascituri. Eppure, quella notte d'inverno, mentre la neve cadeva morbidamente poggiandosi sui tetti delle case di Pozzosorpresa, l'occhialuta e bassa levatrice, che nulla avrebbe dovuto sbigottire, al solo guardarmi si cambiò in volto. Nel giro di un millesimo di secondo, aprì la sua bocca piccola e screpolata come a voler emettere un grido che, vedendomi dalle fessure irregolari dei suoi denti lunghi e storti, si rifiutò di venir fuori e si immobilizzò. Ma fu solo un attimo. Subito dopo, quel grido, girando rocambolescamente su se stesso, si fiondò verso i polmoni che, comprensivi dell'urgenza, si allargarono per farlo passare. Lei, sforzandosi di mantenere una compostezza degna del suo ruolo e della sua fama, lasciò che il grido tornasse indietro; gli diede anzi un aiutino spingendolo con un colpo deciso della lingua, e lo ingoiò in fretta e furia. Perché non era certo il caso di spaventare i presenti: le tre zie che sedevano poco distanti, la mamma esausta per il recente parto e, men che meno, il gatto Serafino che guardava con estrema compostezza, accucciato sul bracciolo sbrindellato della poltrona. E poi, la navigata Diamantina voleva prendersi il tempo necessario per capire cosa stesse succedendo e chi le fosse capitato stavolta fra le mani. Nessun grido dunque scappò libero per aria, ma la bocca di Diamantina restò spalancata per lo stupore: qualcosa di mirabolante era avvenuto quella notte. Un essere come nessuno era approdato in questo mondo ed era arrivato proprio a Pozzosorpresa! Mentre dondolavo a testa in giù, con uno dei miei due piedini rosa stretto in una delle sue manone tozze e callose, ma più che rodate, lei mi guardava e inclinava la testa fin quasi a lasciarla cadere, nel tentativo di cogliere meglio i tratti del mio volto e la strana foggia dei miei capelli. Il suo sguardo, attraverso le spesse lenti di occhiali quadrati, mi invadeva tutta e io cercavo di nascondere quel mezzo risolino che mi suscitava la vista della sua coda, fatta di lunghi capelli unti e neri, che pendolava verso il pavimento. Già che c'ero, mi concentrai a guardare i microscopici dischi che affollavano il lastricato verso cui puntava la coda di Diamantina. Dischi irregolari dello stesso colore dei globuli che avevo incontrato quando stavo uscendo dalla mia vecchia dimora. Certo, andando fuori veloce come la luce ed essendo loro stessi in costante movimento, avevo colto la forma di quei globuli non in modo perfetto, ma quanto basta per poter indiscutibilmente dire che le macchie del pavimento avevano la stessa conformazione. Quelle del pavimento, però, erano immobili e se ne stavano buone e tranquille su uno sfondo di colore più scuro del loro. Devo dire che erano niente male, soprattutto perché la forma – mi tocca ripeterlo – mi era familiare. Ero un po' intimorita, ora non vedo perché dovrei negarlo. Forse per questo non avevo il coraggio di emettere il primo urlo vitale che, impaziente di esplodere, mi pizzicava la gola e mi rendeva difficile il respiro.
Alessandra Muschella
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