
Oggi – Il sogno Fa caldo. Mi agito, mi giro e rigiro, legata nelle lenzuola umide. Mi sembra di essere in uno strano dormiveglia dove tutto si confonde. Cerco di riprendere il controllo del mio respiro e il sogno ricomincia, come un film. Il pub è pieno, la musica e il vociare della gente sono insopportabili. Occupiamo il nostro solito tavolo. Morena e Caterina sono in compagnia di due uomini piuttosto carini, ma sudati. È una serata allegra. Alla mia destra, sulla panca, c'è Ignasi, un uomo che ho già incontrato più volte. Si avvicina a me e mi sussurra nell'orecchio: «Andiamo a fumare!» Mi sembra di sentire il suo respiro caldo sulla pelle e rabbrividisco. Mi guardo intorno, c'è una densa nebbia. È fredda, umida, le persone sono ombre. Solo Ignasi è visibile e distinto, troppo vicino a me. Mi copro il naso e la bocca, come se volessi soffocare una risata. La mano è fredda e non sembra proteggermi da quello che vorrei evitare. Sento il movimento di Ignasi, si avvicina di nuovo. Mi urla nell'orecchio quello che non avrei mai voluto sentire: «Devo andare in bagno. Vieni con me?». Lo guardo e spero che la mia faccia sia abbastanza eloquente. Mi prende per mano, mi costringe ad alzarmi e seguirlo. Non aspetta, mi sento tirare, fatico a restare in piedi, sento il pavimento molle sotto i piedi. Non riesco a camminare, sto per cadere, lo so, come se fossi in bilico su un burrone. Ci sono due porte argentate, le spinge. C'è un lunghissimo corridoio buio con le pareti ruvide, dipinte di viola scuro. Ogni tanto c'è una lampada al neon. Tutte insieme fanno una luce fioca. Una nebbia viola, piena di ombre, riempie subito il passaggio. Ci sono ombre singole, ombre in coppia che è facile capire che cosa stanno facendo. Le porte dei bagni sono come quelle dei saloon. Sono lucenti, lasciano passare una luce accecante dal locale dell'antibagno. Le sento sbattere, in continuazione. Ignasi mi prende per mano, vorrebbe che io passassi con lui. Punto i piedi e mi fermo. Lui si prepara a entrare da solo. Aspetta che le porte si aprano, fa un salto avanti ed entra. Ride forte, una risata strana, metallica, nella luce che mi acceca. Arretro sino a sentire il muro contro la schiena. È freddo e ruvido quel muro, mi muovo, mi dà fastidio, cerco una posizione comoda. Mi guardo le mani, ho una sigaretta e l'accendino nella mano destra. L'accendo e mi sembra che il fumo sia gelido, come un ghiacciolo in bocca. Non sono capace di far uscire quel fumo, ingoio, tossisco, mi sembra di soffocare. Mettermi in bocca di nuovo la sigaretta non migliora la situazione. Lo faccio più volte, in fretta, non posso fare altro. È in quel momento che sento una scossa che mi fa saltare, una presenza, più alta di me, mi sovrasta e ingombra il mio spazio. Fatico a muovermi, sono stretta tra il muro e quella persona che mi sta addosso. Riesco a mettere a fuoco il viso di quell'uomo e resto senza parole. Nella mia testa sento una voce suadente che mi chiede: «Hai da accendere?». Quella sensazione mi incanta. Prendo l'accendino e do fuoco alla sigaretta del nuovo venuto. Mi sembra di essere un automa. Sono pronta a fare qualunque cosa quell'uomo mi chieda. Mi sposto appena e cerco di guardarlo. Sembra che brilli di luce propria, nel buio del corridoio vedo ogni singolo dettaglio. Intorno a lui, tutto è sparito nella nebbia. Gli occhi azzurri, vicinissimi al mio viso, sono lucenti e fantastici. Non è sudato e non ha nessun odore. I capelli sono biondi, lunghi, ondulati e gli sfiorano le spalle. Indossa un soprabito nero, leggero e lungo sino ai piedi. La camicia non lascia dubbi sui muscoli addominali. I suoi pantaloni attillati e neri sembrano cantare meraviglie. Non posso più staccare il mio sguardo dai suoi occhi. Sorride svelando bianchissimi denti appuntiti. Le sue labbra perfette sono tese su quel sorriso. La barba leggera sembra d'oro e completa un volto che toglie il fiato. Mi prende per mano, lo seguo. Non ho volontà, non sento il pavimento sotto i piedi, sento solo la sua mano nella mia. Nella testa la sua voce ripete come un mantra: «Seguimi!». Fuori dal locale, la strada è deserta. Il semaforo lampeggia. All'angolo c'è un vicolo, una limousine nera e un lampione che sembra voler illuminare solo quell'auto. Mi irrigidisco per un istante, ma la voce mi dice: «Non temere, vieni!» L'auto è nera, lucida, con i vetri oscurati. Sento un calore benefico scorrermi nelle vene, il respiro lento. La mente vuota che attende la voce carezzevole di quell'uomo di cui non so nulla. Eccomi qui, appoggiata contro la portiera a guardarlo negli occhi. Non posso staccarmi da quello sguardo. Due laghi azzurri in cui posso specchiarmi. Non posso leggere l'anima di quest'uomo. Ho la sensazione che l'aria sia fresca sulla pelle. Non ci sono brividi, c'è l'attesa di quello che vorrei che succedesse. Le mie guance si scaldano, lui mi guarda e ride. Non è una risata di scherno, non è la risata lasciva è la semplice risata di felicità che mi fa ridere a mia volta. Il mio sogno diventa sempre più reale. Sento caldo. Un calore piacevole sale lungo le gambe, mi stringe il ventre, arriva sino al cuore e lo fa battere all'impazzata. Le mani vorrebbero toccare quell'uomo. Le guance s'infiammano e un sussurro che non riesco a comprendere m'invade la testa. Non sono parole, ma una nenia che rilassa e incanta. La mia volontà è quella di costui. Non dice una parola, non mi tocca, non mi bacia. È abbastanza vicino, ma come se fosse lontano chilometri. Sento la mia camicetta muoversi. Il reggiseno si sposta. Qualcosa che non posso vedere mi sfiora. La minigonna si solleva e sento una mano invisibile toccarmi. Lui sta raccontando tutto questo nella mia testa, mentre io lo provo davvero. So che le sue mani sono appoggiate sulla carrozzeria dell'auto. Sento il contatto delle sue braccia. Ho il suo viso proprio di fronte a me. «Non ho bisogno di toccarti, la tua mente è mia e posso farti provare tutto quello che voglio.» Capisco che qualcosa non va, come è possibile? Quella magia non smette. Sento in modo chiaro le mani e il corpo contro il mio. Le sensazioni le conosco, il calore che provo è inequivocabile. Il desiderio che mi assale è soddisfatto, ma senza che lui faccia un solo movimento. Quegli occhi azzurri che brillano come zaffiri non mi lasciano un istante. Non tocca mai la mia pelle, mi sussurra una storia d'amore che risale a secoli prima. Una dolcissima e tristissima storia che percorre i secoli. Sono affascinata da quel racconto. Quella voce mi accarezza l'anima e mi ricorda sentimenti che ho già vissuto. Quando la mente tace, lo vedo avvicinarsi a me e mi bacia con una dolcezza che non avevo mai provato. Il solletico della barba mi fa rabbrividire. La sua pelle è fredda, lo sono anche le labbra e non capisco perché. Quest'uomo è gelido, il freddo è parte di lui. Un piccolo campanello d'allarme incomincia a suonare nella mia testa. Lo voglio ignorare, so che è sbagliato e pericoloso, ma non m'importa. Desidero solo abbandonarmi e chiudere gli occhi. Lascio che mi accarezzi, mi baci, mi tenga stretta a sé. Provo un piacere immenso e lui non va oltre. Quando tutto finisce, mi guarda ancora. Questa volta dischiude le labbra in un sorriso dolce come il miele. Mi bacia ancora una volta. Ricambio con tutto il trasporto di cui sono capace. Una spossatezza mi prende e desidero solo chiudere gli occhi. So che non scivolerò, il suo corpo perfetto è contro il mio. Le sue braccia mi cingono e io posso abbandonarmi e dimenticare. «Portami a casa.» Mi sorride. Seduta nell'auto, non vedo chi sta guidando. Lo sento al mio fianco. Davanti al portone, scende e mi apre la portiera. Una mano fredda, forte e decisa, mi aiuta a scendere. «È stato bello averti vicino.» «Dimmi chi sei.» «Lo scoprirai presto, Victoria.» Un battito di ciglia, sorpresa da quel nome che non gli ho mai detto. L'auto è scomparsa in un soffio. Non mi resta che rientrare nella mia piccola casa, al sicuro. Mi sveglio, aspiro tutta l'aria che posso e mi trovo avvolta dal lenzuolo. Devo strapparmelo di dosso per riuscire almeno a sedermi. Uso tutta la mia forza e l'agitazione per spostare la stoffa zuppa che mi avvolge. Mi guardo intorno e stento a riconoscere la mia camera. Devo stropicciarmi gli occhi e massaggiarmi i polsi. Libero le gambe dal lenzuolo umido, prima di avere la certezza di essere sveglia, nella mia casa, al sicuro. Sono le quattro e potrei dormire almeno ancora tre ore. La mia stanza non è del tutto buia. Dalla finestra entra una lama di luce intermittente, la luna gioca sulla moquette. Il letto è un disastro di cuscini e lenzuola fradice. Ripenso a quel sogno e tremo. Ogni sensazione e ogni immagine è ancora lì. Mi sento strana, con il cuore che batte all'impazzata e la percezione che quello che ho sognato sia vero.
Maria Caterina Comino
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