
La sala è immersa nel silenzio. Le tende tirate, il proiettore spento. Il caffè a metà in una brocca. Un giovane uomo riempie due tazzine. «Un socio non vuole più pagare» sussurra. «Di chi si tratta?» chiede quello più anziano. Il giovane gli passa la sua tazzina e una scheda. L'anziano la legge mentre beve. «Lascia perdere, sono passati anni» gli rende il foglio. «Non mi piace che uno si comporti così.» «Non possiamo farci niente.» «Forse hai ragione.» «Uno in più, uno in meno...» «Però un regalo d'addio se lo merita.» L'anziano fa spallucce. «Purché sia anonimo...» «Ovviamente.»
Isabel mi è piombata in casa all'alba e ora si sta agitando come un animale in trappola. Devo trovare il modo di calmarla. «Quando arriva?» cammina avanti e indietro. «È tardissimo!» «Ancora pochi minuti, calmati» cerco di trattenerla. «Vuoi che ti prepari una camomilla?» Da come mi guarda, intuisco che sta pensando a qualcosa di insolente, ma per fortuna sentiamo un clacson. Subito scendiamo in strada, carichiamo tutte le vettovaglie in macchina e partiamo per la campagna a nord della città. È una bella giornata di sole e soffia un debole venticello caldo e secco. La villa di mio padre non è distante dalla città, ma la strada è stretta e tortuosa ed è meglio andar piano. A metà strada Jason, seduto dietro insieme a Isabel, a un tratto dice: «Zia, mi dai una mano?» Lei ubbidisce e io mi giro per capire il motivo di quella richiesta. Jason le prende il polso e chiude gli occhi. «Mamma, la zia ha più di cento pulsazioni al minuto.» «Tu come hai fatto a immaginarlo?» gli chiede lei, sorpresa. «È un esercitazione che ci ha insegnato il prof di scienze. In questo momento sentivo che il tuo cuore batteva veloce come il compagno su cui avevo provato. Tu non te n'eri accorta?» «Stai male Isa» interviene Andrew «vuoi che fermi la macchina?» «No, continua pure. Sono solo agitata perché ci stiamo avvicinando al precipizio.» «Qua non ci sono montagne o precipizi» Andrew è perplesso «solo boschi e colline.» «Era una metafora, papà.» «Grazie, professor Jason, non l'avevo capito.» «La tua invece è ironia.» «Studi le figure retoriche a scuola?» Isabel gli accarezza il volto. «No zia, è uno dei miei hobby. Ho già finito il programma scolastico e allora studio un po' di tutto per conto mio.» «Controllati, Isabel» intervengo «oppure papà sospetterà qualcosa.» «Cercherò di pensare a qualcosa di piacevole, va bene?» «Zia, pensa alla tua torta. Il profumo di limone si sente da qui.» Il resto del viaggio trascorre in silenzio.
Siamo arrivati. La casa ci accoglie con il profumo di erba tagliata e il canto delle cicale. Papà ci aspetta sorridente davanti al cancello. «Christina, Andrew, che piacere rivedervi» mio padre ci viene incontro e sorride. «Ciao, papà» scendo dall'auto. «Buongiorno, Giosafat» Andrew scende e gli sorride. «Ma guarda un po' chi c'è: il nostro Jason e la sua splendida zia!» «Ciao, papà» Isabel lo saluta. «Ciao, nonno.» «Grazie di essere venuti a trovare questo povero vecchio.» «Ah, oggi sei vecchio» commenta Isabel, sarcastica. «Aiutami ad apparecchiare» le do una gomitata nello stomaco. Poi aggiungo, bisbigliando: «E non cominciare subito a provocarlo.» «Ho già provveduto io nel gazebo» ci dice mio padre. «È una giornata troppo bella per pranzare chiusi in casa. Là si respira aria fresca, mentre dentro si soffoca.» «Hai un gazebo nuovo?» gli chiede Andrew. «Ah, ma è il tuo garage.» «Da quando sono in pensione, la macchina non mi serve, quindi l'ho venduta e là ho messo un bel tavolo grande per mangiare sotto le querce, allietati dal vento che muove i rami.» «Sei un poeta, Giò» continua Andrew. «Per andare in città però come fai?» «C'è un pullman che passa ogni due ore, non ho problemi.» «Non è comodissimo per chi deve spostare le pietanze dalla cucina» commento «ma grazie papà.» «Ficca nel microonde ciò che deve essere riscaldato, poi porta tutto in tavola, tesoro. Così non avrai problemi.» Annuisco, mentre mi avvicino alla piccola struttura di legno per controllare cosa manca in tavola. Si trova a venti metri dalla villa e da questa posizione si vede la casa per intero. È un'immagine molto suggestiva, perché i suoi colori la fanno sembrare una cartolina d'altri tempi. Mi è sempre piaciuta, forse perché ci sono nata. Ho deciso di venire al mondo una settimana prima dello scadere dei nove mesi e non c'era tempo per arrivare in ospedale. Papà era ingegnere edile e lavorava per una grossa ditta di costruzioni, per cui s'intendeva di case. La sua voleva fosse grande a sufficienza per tutte e tre le famiglie che si sarebbero originate dal suo matrimonio, poiché i miei genitori avevano deciso di avere due figli. Scaccio dalla mia mente queste reminiscenze e mi rendo conto che sulla tavola non manca nulla. Bravo papà, penso tra me e me. Torno all'auto e scarico i contenitori delle vivande, portandoli in casa per riscaldare le pietanze, mentre vedo Andrew e mio padre scendere in cantina. «Vieni ad aiutarmi a scegliere il vino» papà si rivolge ad Andrew «ho qualche bottiglia d'annata e voglio il tuo parere.» Dopo aver messo i contenitori nel microonde, mi avvicino alla scala, perché non resisto. Voglio sentire se Andrew sfrutta l'occasione per affrontare il discorso che ci interessa. «Che cosa ne dici di questo rosso? Dodici gradi, giovane e fruttato, ideale per accompagnarsi ai piatti tradizionali a base di verdure e funghi.» «È perfetto, Giosafat» gli risponde Andrew. «Aspetta, te lo faccio assaggiare.» Immagino che stiano assaporando il vino. Scendo qualche gradino, perché la cantina ha il soffitto basso e stando sui primi scalini riesco a vedere solo i loro piedi. «Ottima bottiglia, Giò, sei un intenditore» Andrew sorseggia il vino. «Ed è anche fresco, alla temperatura giusta.» «Merito del pavimento. In cantina bisogna lasciare la terra viva sotto i piedi, non cementare o mettere piastrelle. I vini si conservano meglio se respirano e il terreno li aiuta a farlo. Qui sotto abbiamo dagli otto ai dieci gradi tutto l'anno.» «Infatti, è la stanza dove si sta meglio. Mi piacerebbe farmi un pisolino qui, dopo pranzo.» «Bravo! Bisogna godersi la vita finché è possibile. Non sai mai quando i giochi finiranno.» «Sei ancora giovane per questi discorsi.» «Le cose cambiano, nonostante uno faccia di tutto per mantenerle inalterate. Prendi questa villa, per esempio. L'ho costruita con le mie mani cinquant'anni fa, pietra su pietra, perché intendevo farne la casa per me e per le mie due bambine, e poi che cosa è successo? Intendiamoci, Andrew, non vi rimprovero niente. Ognuno decide come vivere e dove vivere. Dico solo che ho costruito una casa per tre famiglie e adesso ci vivo da solo. E sono solo da ben ventotto anni. Da quando...» «Lo so Giosafat e mi dispiace molto. Non parliamo di questo, se ti fa male ricordare.» «Bah, ormai... Solo che non ho mai capito il senso della vita. Dopo tutto quello che ho fatto per Tia, nel bene e nel male, giusto o sbagliato che fosse... una mattina vado a fare colazione e la trovo stesa per terra in cucina. Ictus fulminante. Ha senso questo, secondo te?» «Non ha senso, ma poche situazioni nella vita ce l'hanno. Il caso domina l'Universo e noi uomini dobbiamo farcene una ragione. Possiamo solo cercare di fare del nostro meglio per noi e i nostri cari. È come dici tu: godiamoci la vita finché è possibile. Alla tua salute.» «Alla tua, Andrew. Ti voglio bene e ti auguro una lunga vita. Christina è stata fortunata a incontrarti.» «La fortuna è stata reciproca, credimi. E con Jason abbiamo chiuso il cerchio.» «È in gamba quel ragazzino. Farà grandi cose, ne sono certo.» «Lo penso anch'io» Drew finisce di bere e abbraccia mio padre. Una lacrima mi sfugge, silenziosa. La cancello in fretta con il dorso di una mano. «Avete finito di perdere tempo là sotto?» grido, tirando su col naso e risalendo in fretta le scale per non farmi scorgere. Li vedo tornare con due bottiglie in mano, mentre io sto portando fuori alcune pietanze su un vassoio, aiutata da mia sorella, che sta trasportando il resto. «Ti è arrivato un pacco, papà» Isabel indica uno scatolone sul tavolo del salone. «Sì, ma non so chi me l'abbia mandato. Questa mattina l'ho trovato fuori dal cancello con sopra un biglietto.» «Ci sarà stato il mittente, no?» continua Isabel. «No, nessun mittente. Devono averlo consegnato a mano. Sul biglietto c'era scritto: “Da aprire alle quattordici in punto.” Ed era firmato “I tuoi amici.”» «Be', allora aprilo» gli dice Andrew. «Devono essere stati i miei ex colleghi. Ogni tanto viene a trovarmi qualcuno di quei mattacchioni e ci facciamo quattro risate parlando male degli assenti. Sarà uno dei loro scherzi, niente di importante. Dopo pranzo vedrò di cosa si tratti.» Tempo cinque minuti e siamo tutti seduti a tavola, mangiando di gusto quello che ho preparato. Osservo i loro volti senza che se ne accorgano. Sembriamo proprio una normale famiglia felice. Siamo una normale famiglia felice. Anche Isabel sembra essersi ripresa e ride alle battute di Andrew e di papà. Che sia tutto finito? Potrebbe darsi che per la prima volta il suo sesto senso non abbia funzionato, perché no? Spero proprio che sia così. Il tempo scorre veloce. Vorrei che questo momento non finisse mai. Siamo già arrivati al dolce: raccolgo i piatti e faccio girare quelli piccoli con le forchettine. «Isa» le dico «metti in tavola la tua creazione. Torta con crema al limone, papà. È soffice e senza burro, come piace a te.» Lei prende un pacchettino, lo scarta lentamente, poi si immobilizza. Il coltello resta a mezz'aria, gli occhi vitrei, il volto svuotato. Un tremito le percorre le dita. «Be', taglia qualche fetta» le dice Andrew. «Forse è meglio se lo fai tu, tesoro» intervengo, dato che mia sorella si è imbambolata. «Sì, grazie» conferma Isabel, persa nei suoi pensieri. È sull'orlo del suo precipizio, qualsiasi cosa voglia dire per lei questa frase, penso, preoccupata. «Intanto che fate le porzioni» dice all'improvviso papà, che non si è accorto di nulla «vado a prendere un liquorino che è proprio adatto a questo dolce.» Mio padre si alza e si dirige in casa. Jason si rivolge ad Andrew: «Posso usare il tuo cellulare, papà?» «Sì, prendi» glielo porge. «Devi seguirlo» dice Isabel ad Andrew «seguirlo subito.» Lui sospira, mi cede il coltello e si alza, affrettando poi il passo per raggiungere mio padre. Quando è scomparso all'interno della casa, mia sorella chiede: «Che ore sono?» Guardo il mio orologio. «Le due.» «No, mamma, sono le tredici, cinquantanove minuti e quaranta secondi» precisa Jason, dopo aver controllato l'ora sul cellulare. Subito Isabel si alza in piedi di scatto, si mette le mani tra i capelli e si precipita verso la villa urlando. Poi... ore 14:00.
Daniele Missiroli
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